Sacerdote sposato o celibe ? : genesi di una scelta obbligata.
di Nadir Giuseppe Perin
Studiando la Storia della Chiesa e gli scritti dei Pontefici, per capire la genesi del rapporto tra il ministero sacerdotale ed il consiglio evangelico della castità perfetta, molte sono le domande che mi sono poste ed ancora, oggi, mi pongo. Anzitutto, la particolare “intuizione spirituale” sul celibato “in quanto sommamente confacente” alla vita sacerdotale, portata per spiegare il perché di una norma del diritto che obbliga coloro che vogliono essere sacerdoti a fare questa scelta, e avuta da “chi nella chiesa ha la potestà e la responsabilità del ministero per la comunità ecclesiale”, appartiene al secolo scorso ed è stata evidenziata da Paolo VI. Personalmente, però, pur rispettando la motivazione portata dal Santo Padre, ho sempre avuto la sensazione che sia stato un’abile ed intelligente intervento : a) per coprire tutte le altre motivazioni del passato, molto più umane, che fino a quel momento avevano avuto una grandissimo peso, nella Tradizione della Chiesa, per fare del celibato e della vocazione sacerdotale un progetto di vita, obbligatoriamente unico. Mi sembra, infatti, che si sia voluto giustificare un provvedimento di “chi nella chiesa ha la potestà e la responsabilità del ministero ecclesiale”, con un argomento che è fuori dalla portata critica della ragione, perché frutto di un carisma dello Spirito. Le motivazioni iniziali, invece, erano molto più umane e frutto di mentalità e problematiche, proprie di quel periodo storico della Chiesa. Soltanto che, tali motivazioni, dopo tanti secoli e per molteplici cause, persero ogni credibilità e ragionevolezza tanto da non venire più accettate. Cominciarono, così, a sorgere da più parti (vescovi, sacerdoti e laici) nuove correnti di pensiero, che con sempre maggiore insistenza chiedevano di modificare la legge sul celibato sacerdotale, rendendo la scelta non più obbligatoria, ma libera . Tali richieste, ancora oggi molto attuali, non indicano un atteggiamento negativo nei confronti del carisma della castità perfetta; né vogliono negare che tale carisma sia “sommamente confacente” con la vita sacerdotale; vogliono, semplicemente, sottolineare che ciò che non va e che viene criticato è solo “l’imposizione”di un modello di vita, quello della castità perfetta, che può essere vissuta in pienezza e serenità, solo quando risponde ad una chiamata di Dio, quale dono particolare che Egli fa soltanto ad alcuni e non a tutti. Nel passato, assieme alle motivazioni strettamente economiche, attinenti al mantenimento della moglie e dei figli, al patrimonio da lasciare agli eredi, dopo la morte del vescovo, del sacerdote o del diacono, ci furono, anche, molte correnti di pensiero che influirono sulla decisione di imporre l’obbligo del celibato a chi fosse chiamato al sacerdozio, come : la mentalità che identificava la “carne” (sarx) con l’atto coniugale, che era considerato una contaminazione, specialmente per i sacerdoti; la mentalità che considerava negativamente il piacere ed il desiderio sessuale nel matrimonio, che pertanto dovevano essere, sempre, “secundum Dominum et non secundum cupiditatem”; una concezione negativa della sessualità, vista più come una funzione biologica che una ricchezza relazionale tra l’uomo e la donna; la mentalità, secondo la quale, i rapporti sessuali rendevano il sacerdote impuro per le celebrazioni liturgiche ( ereditata dalla mentalità ebraica) ; la mentalità che vedeva nell’unione sessuale il germe di ogni sporcizia ed impurità; la mentalità che considerava la vita celibataria superiore a quella matrimoniale. b) Inoltre, spesso mi domando : “ Perché dei tre consigli evangelici (povertà, castità, obbedienza) che sono specifici della vita consacrata, è stata scelta, seguendo l’intuizione spirituale, ed è stata imposta per legge canonica soltanto la castità come “sommamente confacente alla vita sacerdotale” e non anche la povertà e l’obbedienza, dal momento che il sacerdozio è partecipazione all’unico sacerdozio di Cristo, il quale è stato sommamente povero, sommamente casto e sommamente obbediente” ? c) Infine, ho la sensazione che, con la motivazione della “intuizione spirituale”, frutto di un carisma particolare, il Papa abbia voluto, in tal modo, mettere al sicuro da ogni attacco o possibile cambiamento, la legge del celibato sacerdotale, riservando, a sé ogni decisione in merito, escludendo tutti gli altri membri della Chiesa ( vescovi, sacerdoti, laici), scoraggiando qualsiasi dibattito in “ambito ecclesiale” su tale argomento ed il sorgere di movimenti e correnti di pensiero che fossero più per una libera scelta del celibato sacerdotale che per una sua imposizione. Infatti, lo stesso Paolo VI, di fronte alle moltissime richieste, provenienti sia dai vescovi che dai sacerdoti, come dai laici, di rendere il celibato non più obbligatorio, ma una libera scelta per chi volesse diventare sacerdote ed esercitare il ministero sacerdotale, affermò, senza mezzi termini che “ spetta all’autorità della Chiesa (= il Papa) stabilire, secondo i tempi ed i luoghi, quali debbano essere in concreto, gli uomini e quali i requisiti perché essi possano essere ritenuti adatti al servizio religioso e pastorale della Chiesa ( cfr. Paolo VI, Encicliche e Discorsi, Ed. Paoline, Roma 1968, Vol. XVI, p. 264). Aggiungendo che “ la vocazione sacerdotale, rivolta al culto divino ed al servizio religioso e pastorale del popolo di Dio, benchè divina nella sua ispirazione e benchè distinta dal carisma che induce alla scelta del celibato come stato di vita consacrata, non diventa definitiva ed operante senza il collaudo e l’accettazione di chi (= il Papa) nella Chiesa ha la potestà e la responsabilità del ministero per la comunità ecclesiale. In una lettera al card. Villot del 2 febbraio 1970, il Papa Paolo VI si esprimeva così : “Del resto, appena osiamo pensare alle conseguenze incalcolabili che una diversa decisione comporterebbe per il Popolo di Dio sul piano spirituale e pastorale....Le conseguenze sarebbero così gravi e porrebbero delle questioni talmente nuove per la vita della Chiesa, che dovrebbero semmai essere previamente e attentamente esaminate, in armonia con Noi, dai nostri fratelli nell’Episcopato, tenendo conto davanti a Dio del bene della Chiesa universale, che non si potrebbe disgiungere da quello delle chiese locali”[1]. Ma vediamo, percorrendo, in sintesi, la storia della Chiesa, in modo particolare quella d’Occidente o latina, come, gradualmente, abbia preso piede quella mentalità dalla quale poi è maturata la decisione di rendere obbligatorio il celibato per tutti coloro che ricevono il sacramento dell’Ordine sacro. Una delle prime fra le tante correnti di pensiero che influì nel rendere il celibato l’unico progetto di vita sommamente conveniente per il ministero sacerdotale, fu quella che identificava la “carne”[2] con l’atto coniugale, considerandolo una “contaminazione”, specialmente per i sacerdoti. Nel matrimonio, il piacere e il desiderio sessuale erano considerati negativamente; dovevano essere sempre “secundum Dominum et non secundum cupiditatem”. Contro questa mentalità che stava prendendo piede nella Chiesa dei primi secoli, ci furono anche delle reazioni contrarie, come quella di Ignatio nella lettera che scrisse a Policarpo e nella quale condannava la vanteria di un uomo che viveva in continenza (en agnesìa) e che, per tale stato, si riteneva superiore addirittura al proprio vescovo che invece era sposato [3]. Altri testi del II secolo, come la lettera di Policarpo ai Filippesi e il trattato di Ireneo “Contro le eresie” [4] pur riferendosi ai ministri sposati della Chiesa, facevano notare come alcuni ecclesiastici, ad esempio Melitone[5], vescovo di Sardi fossero molto stimati dai fedeli poichè osservavano il celibato[6]. Nella seconda metà del II sec., l’encratismo[7] si alleò al dualismo gnostico[8] ed entrambi esercitarono una profonda influenza sulla Chiesa. Tra i sostenitori della corrente encratica c’era Taziano il Siriano, seguace di Marcione[9] che condannava il matrimonio in modo assoluto. Al filosofo pitagorico Sesto vennero attribuite delle sentenze morali e delle norme di comportamento che mettevano in guardia contro il matrimonio[10]. Ruffino di Aquileia (410) li tradusse più tardi dal greco in latino, attribuendoli erroneamente a papa Sisto (258). Clemente d’Alessandria, morto prima del 215, affermava che Nicolao, uno dei sette diaconi (Atti 6,5), lungi dall’essere il libertino che la setta da lui denominata faceva supporre, “ portò la moglie davanti agli Apostoli, come prova d’aver rinunciato ad ogni desiderio carnale. Fu il completo controllo dei piaceri, ricercati prima con tanta avidità, che gli insegnò la regola: “ Tratta la carne con disprezzo per obbedire al comando del Signore”[11]. Per confutare gli encratiti Clemente fece il nome degli Apostoli sposati, come Pietro e Filippo, ed aggiunse che Paolo, in una delle sue epistole, non esitò a rivolgersi alla propria moglie, che egli non prese con sé nei suoi viaggi per essere più libero nel suo ministero[12]. Secondo la didascalia apostolorum[13] (prima metà del III sec.) i candidati all’episcopato potevano essere uomini sposati o vedovi in possesso di tutti i requisiti di un buon padre di famiglia elencati nella lettera a Timoteo[14]. Con Tertulliano[15] (morto dopo il 220), Ippolito (235) e Origene (253-254) prevalse un atteggiamento del tutto diverso. Tutti e tre si dichiararono contrari al matrimonio del clero, ma nel suo ultimo periodo, il montanista Tertulliano condannò anche il matrimonio dei fedeli in modo assoluto. Essi fanno presupporre, dunque, che il matrimonio del clero fosse assai diffuso e che ci fossero delle leggi che lo proibivano. Tertulliano, nei suoi scritti, lodò molti membri degli ordini ecclesiastici (vescovi, presbiteri, vedove) che praticavano la continenza, preferendo Dio al matrimonio, dando così alla carne la sua dignità e soffocando ogni concupiscenza[16]; ma scrisse pure che i vescovi erano scelti tra gli uomini sposati e anche tra i vergini. Contro quelli che volevano risposarsi affermava che Paolo, pur avendo potuto sposarsi (1 Cor.9,5), rimase invece celibe invitandoci così a seguire il suo esempio. E’ vero che c’erano delle donne che accompagnavano gli apostoli e provvedevano ai loro bisogni, ma non erano le loro mogli. Come, infatti, avrebbe potuto il Signore mandare gli apostoli ad essere santi nella carne se poi essi non ne davano l’esempio?[17]. Commentando poi la proibizione di ammettere al sacerdozio gli uomini risposati, e all’ordine delle vedove, le donne ! che, all a morte del marito, si erano risposate, Tertulliano affermava:“ l’altare che prepariamo per Dio deve essere puro”[18]. A sostegno della sua tesi egli inventò perfino un testo biblico : “ Sacerdotes mei non plus nubent” (i miei sacerdoti non si sposeranno più) che non si trova affatto nel Levitico[19]. Inoltre, poichè le seconde nozze erano, in quel tempo, proibite ai sacerdoti, lo dovevano essere anche per i laici. Con rammarico Tertulliano ricorda, anche, che mentre alcuni sacerdoti risposati erano stati deposti, altri, invece, continuavano a presiedere all’Eucaristia e non se ne vergognavano[20]! . Ippolito[21] si mostrò scandalizzato vedendo che Papa Callisto aveva ammesso ai tre ordini ecclesiastici, uomini che si erano sposati due o tre volte[22]. Origene[23] permise ai preti della nuova legge la sola paternità spirituale, sull’esempio di Paolo[24]. Egli non volle che generassero i figli perché scorgeva qualcosa d’impuro e di sconveniente nelle relazioni sessuali, dalle quali i cristiani “ad imitazione dei sacerdoti perfetti” si dovrebbero astenere in modo assoluto[25]. Chi gode i piaceri dell’amore è in un certo senso“ contaminato e impuro”[26]. I Vergini, chi si è sposato una volta sola e chi persevera nella castità, formano la Chiesa di Dio. Dopo di loro vengono quelli che si salvano invocando Cristo, ma che non saranno incoronati da Lui[27]. I racconti delle persecuzioni della seconda metà del sec. III e dell’inizio del IV, sotto Decio, Diocleziano e Massimiliano, parlavano spesso di preti e vescovi sposati, ma non accennavano mai alla tradizione opposta di preti e vescovi celibi. Tuttavia condannavano energicamente gli ecclesiastici che convivevano con “fidanzate spirituali”. In questa stessa epoca fiorì la setta dei manichei[28] contro la quale gli imperatori emanarono editti severi. Intanto negli ambienti cristiani andava sempre più diminuendo la stima del matrimonio. Arnobio il Vecchio, rettore numida, convertitosi da adulto al cristianesimo, chiamava il sesso “ immondezza e oscenità ”[29]. Tenendo presente che le varie correnti stoiche, pitagoriche, neoplatoniche e manichee confluirono insieme e si rafforzarono a vicenda, è facile comprendere perché il celebre Concilio di Elvira (300/303 d.C.) al can. 33 abbia proibito totalmente ai vescovi, preti, diaconi e a tutti gli altri ecclesiastici impegnati nel ministero di avere moglie e figli[30]. Questo significò che mentre prima bastava un’astensione parziale, ora invece bisognava osservare una continenza assoluta. Già allora si accentuava una tendenza a sacralizzare gli uffici ministeriali, mentre alcuni gruppi estremisti disprezzavano la vita coniugale. In questo Sinodo si dichiarò esplicitamente che la continenza era richiesta dalla “purezza rituale”. Nello stesso Sinodo fu fatto divieto al sacerdote anche se regolarmente sposato, di generare figli, obbligandolo all’astinenza (can.33) e proibendo il matrimonio dopo la consacrazione sacerdotale. Tuttavia il concilio di Nicea (325) rifiutò di dare valore normativo e universale alla decisione del Sinodo di Elvira. Dal Concilio di Calcedonia (451) si sa che, a quel tempo, c’erano anche le donne diacono (diaconesse), ma il concilio, al can. XV, stabilì “ di non ordinare una donna prima dei quarant’anni e non senza diligente esame. Se per caso dopo aver ricevuto l’imposizione delle mani e avere esercitato per un certo tempo il ministero, osasse contrarre matrimonio, disprezzando con ciò la grazia di Dio, fosse scomunicata insieme a colui che si era unito a lei”. Non si poteva quindi contrarre matrimonio, dopo aver ricevuto l’ordinazione a diacono. Inoltre il concilio ribadì che “ non era lecito ad una vergine che si fosse consacrata al Signore Dio, e così pure ad un monaco, contrarre matrimonio. Chi ciò facesse, fosse scomunicato. Stabilì, comunque, che era in potere del vescovo locale mostrare verso di essi misericordiosa comprensione” (can. XVI). Un’altra idea che si fece strada fu quella della purità rituale . Il tema della purità rituale venne trattato spesso in quell’epoca in cui gli uffici del vescovo, presbitero e diacono erano oppressi dal peso di tutta l’eredità cultuale del sacerdozio e dei sacrifici romani ed ebraici. Sullo scorcio del IV secolo il motivo principale che veniva addotto a favore della convenienza del celibato sacerdotale era basato soprattutto sulla convinzione che il sesso degradava e rendeva impuri coloro che non vi rinunciavano. Naturalmente si trattava di un’impurità più rituale che morale, cioè di una cosa disdicevole e sconveniente. All’origine di questa mentalità c’era la disistima, sempre maggiore, dei cristiani per il matrimonio[31]. Il monaco egiziano Isidoro di Pelusio[32] (435) lodava la verginità perché rendeva simili agli angeli, mentre il matrimonio abbassava quasi al livello degli animali[33]. Secondo lui nessuna opera di Dio superava in splendore l’unione in una sola persona del sacerdozio e della verginità. I preti che perdevano la castità, perdevano la loro dignità. Eusebio di Cesarea[34] sosteneva che i monaci, essendo stati consacrati e destinati al servizio di Dio, dovevano rinunciare all’unione coniugale[35]. Egli esortava i maestri ed i predicatori della Parola ad essere totalmente liberi da ogni legame e da ogni specie di interesse. I Patriarchi antichi, quando erano giovani e prima delle grandi teofanie, ebbero dei figli, ma dopo non ne ebbero più. Epifanio di Salamina[36] affermava che la Chiesa ha sempre ritenuto conveniente che chi celebrava il culto divino non fosse distratto da cose estranee affinché potesse dedicarsi al sacro ministero con libertà di spirito. Se Paolo voleva che perfino i laici fo! ssero li beri dalle preoccupazioni della famiglia per pregare con più fervore, quanto più lo dovevano essere i sacerdoti ![37]. Gregorio Nazianzeno il Giovane,[38] celibe, figlio del vescovo di Nazianzo, deplorava il fatto che alcuni non volevano farsi battezzare dai preti sposati ed esclamava : “Sarebbe terribile se dovessi venire contaminato proprio quando sono purificato”[39]. Alcune leggi del IV sec. permettevano però ai candidati al diaconato di sposarsi, qualora temessero di non avere poi la forza di perseverare. I canoni di Timoteo di Alessandria (can.5) alla domanda se il marito e la moglie si potessero comunicare dopo una notte di relazioni sessuali, rispondevano che “Non potevano comunicarsi subito, secondo l’insegnamento dell’Apostolo” in cui Paolo esortava i coniugi a separarsi per qualche tempo per pregare[40]. Il can. 13, dopo aver citato lo stesso testo esortava ad astenersi da ogni rapporto sessuale, il Sabato e la Domenica, perché in questi giorni si offriva un sacrificio spirituale a Dio. Dato che in questo campo la disciplina era valida sia per il clero che per i laici, è facile comprendere come mai in oriente si sia avuto un clero sposato. L’Eucaristia infatti, non era celebrata ogni giorno, ma solo di Sabato e di Domenica, mentre in Occidente, essendoci una prassi liturgica diversa ci fu, anche, una disciplina del celibato diversa.Tutto lo sforzo della Chiesa, dei papi, sotto la spinta delle idee più diverse, cercarono fin dai primi secoli della Chiesa di portare il clero a scegliere un vita celibe, a rinunciare al matrimonio in nome della loro missione sacerdotale, anche se all’inizio non c’era nessuna legge che proibisse formalmente il matrimonio di chiunque (sacerdote o no). Fino al termine del sec. IV, chi si dedicava al servizio pastorale nella chiesa era sposato, ma non per una concessio! ne che s i faceva alla debolezza umana, ma perché era un modo ordinario di progettare la propria vita, anche sacerdotale. Alla fine del IV e V sec. l’obbligo del celibato fu esteso anche ai suddiaconi a motivo del loro servizio all’altare, sebbene non si trattasse ancora di una disciplina uniforme. A rendere obbligatorio il celibato contribuirono soprattutto i Papi del IV sec. e V sec. come Damaso, Siricio ed alcuni teologi come Girolamo, Ambrosiaster. Infatti, la disciplina del celibato obbligatorio fu sancita dalle Decretali dei Papi Siricio, Innocenzo e Leone, approvate e completate in senso ancor più rigoroso dai concili locali di Roma, Toledo, Cartagine, Torino, Orange e Tours. Il papa Siricio nella lettera ad Imerio di Tarragona (10/2/385) espose la ragione per cui i sacerdoti non dovevano sposarsi, e perché il sacerdote già sposato si doveva astenere da ogni rapporto sessuale, anche con la propria moglie: a loro non era concesso procreare. Il papa affermava che “ era un crimine procreare figli anche dalle proprie mogli, dopo che era passato molto tempo dalla consacrazione. Tutti i sacerdoti e i leviti sono vincolati da una legge insolubile, dal giorno della consacrazione, a votare cuore e corpo alla pudicizia, per cui l’atto della procreazione è dichiarato impudico. Coloro che trasgrediscono questa norma siano cacciati dallo stato sacerdotale e non possono mai più celebrare i santi misteri, dei quali essi stessi si sono privati, col correre dietro ad osceni piaceri” [41]. A sostegno della loro tesi di un sacerd! ozio cel ibe essi non portarono nessun argomento nuovo, né usarono testi biblici in senso nuovo se non applicando al clero, in senso accomodatizio e molto forzato, testi come quello di Romani 8,9 : “ Voi però non siete nella carne, ma nello spirito”. La Decretale di papa Damaso[42] ai vescovi della Gallia, in risposta ad alcuni loro quesiti è un esempio tipico della mentalità di quei tempi. Dopo una serie di testi[43] citava la presunta prassi dei sacerdoti ebrei che per essere puri vivevano per un anno intero nei locali del Tempio non occupandosi delle loro famiglie. Anche altri Papi caddero nello stesso errore e riferirono questa leggenda di cui non conosciamo l’origine. La decretale citava perfino l’uso degli idolatri che “ nel praticare il loro empio culto e nell’immolare sacrifici ai demoni” osservavano la continenza sessuale e si astenevano da determinati cibi[44]. “Chi si pone al! servizi o delle creature con l’atto della generazione, sarà forse prete di nome, ma in realtà è indegno di esserlo. Il mistero di Dio non si può affidarlo a gente simile, “miscredenti contaminati” (Tito 1,15) in cui la santità del corpo è contaminata dall’impurità e dall’incontinenza. Come è possibile che dei sacerdoti e dei diaconi si degradino fino al punto da diventare simili ad animali”[45]. Lo stesso Papa Damaso è autore dell’aforisma “commixtio pollutio est” ( = l’atto coniugale è una contaminazione). Nei sec. VI e VII le invasioni barbariche fecero crollare l’impero romano d’occidente e i papi, come Gregorio e Pelagio, cercarono invano di mantenere o restaurare la disciplina ecclesiastica. Il clero di solito era sposato. Il celibato per tutto il clero, come scelta di vita non era ancora definitivo in quanto esisteva ancora un clero sposato, nonostante che il matrimonio e il rapporto coniugale fosse considerato in maniera negativa. Nei sec. VIII e IX assistiamo al fiorire degli ordini monastici, all’influenza dei monaci missionari e ai concili carolingi per riformare la Chiesa. Tutto ciò favorì l’ideale della continenza clericale e incoraggiò gli sforzi (non sempre coronati da successo) per tradurlo in pratica. Nei sec. X e XI la dignità e il carattere sacro dell’ordine sacerdotale furono spesso conculcati dai signori feudali, dispotici e rapaci. Parte del clero era ancora sposata o conviveva more uxorio, nonostante le proteste e le condanne provenienti da persone autorevoli. La lunga lotta condotta soprattutto dai monaci, nota col nome di Riforma Gregoriana (1050-1150) riuscì gradualmente ad imporre, almeno in certa misura, la norma del celibato ecclesiastico. La classica raccolta di Graziano[46] pur contenendo molti testi discordanti, contribuì a rafforzare la disciplina della Riforma Gregoriana. Leone IX ed i suoi successori, per mezzo dei concili locali, visite canoniche e lettere severe presero misure energiche contro i violatori del celibato. Non mancarono scritti polemici a proposito dei problemi concreti che si dovevano affrontare : come il mantenere finanziariamente la famiglia del prete, determinare a chi spettava l’eredità delle proprietà ecclesiastiche ed ottenere uffici per i figli dei vescovi. Tutto questo influì sulla linea di condotta del clero. In molti paesi, però, non fu possibile applicare la disciplina ecclesiastica del celibato. Con il Concilio Lateranense II[47] (1139) l’ordinazione sacerdotale venne dichiarata impedimento dirimente al matrimonio. Anche qui riaffiora l’aspetto negativo del matrimonio e dei rapporti sessuali, perché la purezza piace a Dio e si può raggiungere unicamente fuori del matrimonio. La passione matrimoniale è infatti impura. “ Stabiliamo anche che quanti, costituiti nell’ordine del suddiaconato o in quelli superiori, avessero contratto matrimonio o tenessero concubine, siano privati dell’ufficio e del beneficio ecclesiastico. Dovendo essere di fatto e di nome tempio di Dio, vasi del Signore, santuari dello Spirito Santo, è indegno che diventino schiavi del letto nuziale o della dissolutezza” (can. 6). Seguendo le orme dei loro predecessori, i pontefici romani Gregorio VII, Urbano e Pasquale, comandarono che nessuno assistesse alla messa di chi viveva notoriamente con la moglie o una concubina. Poiché la legge della continenza e la purezza che piace a Dio, si propaghi tra gli ecclesiastici e nei sacri ordini, decretarono che i vescovi, sacerdoti, diaconi, i suddiaconi, i canonici regolari, e i monaci, anche i conversi se professi, i quali, venendo meno alla loro santa premessa, avessero osato contrarre matrimonio, fossero separati dalle loro mogli: “non crediamo infatti che una tale unione, fatta evidentemente contro le norme ecclesiastiche, sia matrimonio. Ed anche separati, essi facciano degna penitenza per così grandi eccessi” (can. 7). “ La stessa norma stabiliamo per le donne a Dio consacrate, nel caso in cui, Dio non voglia, avessero tentato di sposarsi” (can.8)[48]. Questa definizione fu riconfermata poi dal Concilio Lateranense IV(1215)[49] . La sacra ordinazione divenne un impedimento dirimente al matrimonio e dichiarò nulli tutti i matrimoni dei sacerdoti già contratti precedentemente. Infatti i sacerdoti sposati si dovevano separare dalla propria moglie, perché la copulazione, in questo caso, era contraria alla regola ecclesiastica. Tutti dovevano cercare di vivere nella continenza e nella castità e guardarsi bene da ogni vizio di impurità. Se il timore di Dio non bastava per osservare più efficacemente e più strettamente queste norme, le pena temporale che la Chiesa infliggeva a chi era colto in flagrante delitto di incontinenza, doveva servire a scoraggiare dal peccato. La pena infatti era quella di essere spogliato dei benefici ecclesiastici e di essere deposto per sempre dal proprio incarico. Il Concilio Lateranse IV al can. 14 recita: “ Perché i costumi e il comportamento del clero siano riformati in meglio, tutti cerchino di vivere nella continenza e nella castità, specialmente quelli che hanno ricevuto gli ordini sacri: si guardino quindi da ogni vizio di impurità, specie da quello per cui piomba l’ira di Dio sopra coloro che gli resistono, per servire Dio onnipotente con cuore puro e corpo casto. E perché un facile perdono non sia incentivo alla trasgressione, stabiliamo che chiunque sia colto in flagrante delitto di incontinenza, sia punito secondo le sanzioni canoniche, in proporzione del suo peccato: queste norme vogliamo che siano più efficacemente e più strettamente osservate, in modo che se il timore di Dio non trattiene il male, almeno la pena temporale scoraggi dal peccare. Chiunque, sospeso per questo motivo, pretende di celebrare i divini misteri, non solo sarà spogliato dei benefici ecclesiastici, ma, per questa duplice colpa, sarà anche deposto e per sempre. I superiori che sostenessero tali peccatori nella loro iniquità, specialmente se per denaro o per qualche altra utilità temporale, siano passibili della stessa sanzione. I chierici che, secondo l’uso della loro regione, non hanno rinunziato all’unione coniugale, se cadessero in peccato, siano puniti più gravemente, dato che hanno avuto la possibilità di vivere in un legittimo matrimonio” (can.14)[50]. Lungo il corso dei secoli si susseguirono le censure dei papi e dei concili contro il clero incontinente, ma è difficile documentare fino a che punto la legge del celibato fosse violata, anche perché non potendo più sposarsi in maniera lecita e valida, parte del clero“ conviveva”, more uxorio. E il concubinato del clero continuò ad essere un problema grave fino alla riforma protestante e anche dopo, rivestendo particolare gravità in alcune regioni [51]. Da qui si cominciarono ad accendere le discussioni sulla saggezza e prudenza delle norme del celibato e da più parti si alzarono le voci autorevoli che esortavano la Chiesa ad addolcire la disciplina tradizionale del celibato che era diventato obbligatorio, anche perché tante minacce e sanzioni non erano affatto servite a migliorare la morale del clero. Il concilio di Lione II (1274) mettendo fine a un’antica questione, stabilì che “ i bigami fossero privati di qualsiasi privilegio proprio dei chierici e soggetti al foro secolare, nonostante qualsiasi consuetudine contraria. Agli stessi proibiamo inoltre, sotto pena di scomunica, di portare la tonsura o l’abito clericale” (Cost. n. 16) I principali concili che si occuparono della riforma della Chiesa, discussero anche sulla saggezza e prudenza delle norme del celibato: Concilio di Vienne (1311-1312); Concilio di Costanza (1414-1418); Concilio di Trento (1545- 1563). Il Concilio di Trento (1563) non emanò una nuova legge sul celibato, ma confermò la normativa vigente, preparando i chierici alla sua osservanza totale, riorganizzando i seminari e il curriculum di formazione al sacerdozio, pur rimanendo il celibato un obbligo di diritto ecclesiastico più che diritto divino. Nel febbraio 1563, il Concilio di Trento, durante la ventesima sessione dedicata al sacramento del matrimonio, decise finalmente - dopo molti rinvii - di esaminare la questione del celibato obbligatorio[52]. Il concilio di Trento non ha emanato una nuova legge sul celibato, ma ha semplicemente confermato quella in vigore (DZ. 1809), ricordando poi contro i riformatori che “ Dio concederà il dono della castità a coloro che glielo chiederanno rettamente”. Al capitolo XIV il Concilio afferma: “ Quanto sia turpe e indegno del nome di chierici, consacrati al culto di Dio, vivere nell’abiezione dell’impurità e nell’immondo concubinato, lo dimostra a sufficienza il fatto in se stesso, per il comune scandalo di tutti i fedeli e il grande disonore della milizia clericale. Perché dunque i ministri della Chiesa siano richiamati ad una conveniente continenza ed integrità di vita, e di conseguenza il popolo impari a rispettarli quanto più li saprà di onesti costumi, il santo sinodo proibisce a tutti i chierici di tenere in casa, o altrove, concubine o altre donne su cui possano cadere dei sospetti o di avere con esse qualche altra familiarità. I trasgressori siano puniti con le pene stabilite dai sacri canoni o dai particolari statuti delle chiese. Se ammoniti dai superiori non si astenessero da simili comportamenti, saranno privati per ciò stesso della terza parte dei frutti e degli introiti e dei proventi di qualsiasi loro beneficio e di qualsiasi pensione, che sarà devoluta alla fabbrica della chiesa o ad altro luogo pio, a giudizio del vescovo. Se poi, ostinandosi nella colpa con la stessa o altra donna, non obbediranno neppure alla seconda ammonizione, non solo perderanno per ciò stesso tutti i frutti e le rendite dei loro benefici e le pensioni, che saranno devolute alle stesse istituzioni, ma saranno anche sospesi dall’amministrazione degli stessi benefici, fino a che l’ordinario, anche in veste di delegato della Sede apostolica, lo giudicherà opportuno. Se malgrado la sospensione, essi non cacceranno queste donne o continueranno la loro relazione, allora saranno privati per sempre di ogni beneficio, porzione, ufficio, pensione ecclesiastica e per l’avvenire saranno incapaci e indegni di qualsiasi onore, dignità, beneficio, ufficio, fino a quando dopo un’evidente conversione, i loro superiori per giusto motivo, li giudi! cheranno degni di dispensa da tali punizioni. Se una volta allontanate tali donne riprendessero il concubinato interrotto o si legassero con altre donne del genere, oltre alle pene precedenti saranno colpiti con la scomunica, senza che nessun tipo di appello o di esenzione possa impedire o sospendere l’esecuzione della pena [...] I Chierici privi di benefici ecclesiastici o di pensioni saranno puniti dallo stesso vescovo, a seconda della loro ostinazione e della qualità del delitto, con il carcere, la sospensione dalle funzioni del loro ordine, l’incapacità ad ottenere benefici e con altri mezzi conformi ai sacri canoni. Qualora anche i vescovi (Dio non voglia) cadessero in tale delitto, e, ammoniti dal sinodo provinciale, non si correggessero, siano ipso facto sospesi; se si ostineranno nella colpa, lo stesso sinodo li deferirà al Romano Pontefice, che li punirà secondo la qualità della colpa, anche privandoli della loro sede[53]. Al capitolo XV viene poi affermato “Il ricordo dell’incontinenza paterna deve restare lontano dai luoghi consacrati a Dio, cui conviene sommamente la purezza e la santità. Pertanto i figli dei chierici, che non sono nati da legittimo matrimonio, non potranno, nelle chiese dove i loro padri hanno attualmente o hanno avuto qualche beneficio ecclesiastico, possedere alcun beneficio, anche se diverso, né servire, in qualsiasi modo, nelle stesse chiese e avere pensioni sui frutti dei benefici attuali o precedenti del loro padre [...] (Sess. XXV). ! Erano stati sottoposti ai padri conciliari otto articoli tratti dalle opere dei riformatori. Il quinto asseriva che il matrimonio non dev’essere considerato inferiore alla castità, ma le dev’essere preferito, e che Dio largisce maggiori grazie agli sposi che ai celibi. Il sesto proponeva che ai preti occidentali si permettesse di sposarsi, “nonostante i voti e i divieti ecclesiastici; che sostenere il contrario equivale a condannare il matrimonio; e che tutti quelli che sentono di non avere il dono della castità siano liberi di contrarre matrimonio”[54]. La Commissione dei teologi consultori cominciò a discutere i due articoli il 4 marzo 1563. La condanna dell’art. 5 era già scontata in partenza. Sulla base della Sacra Scrittura (specialmente 1 Cor.7) delle testimonianze dei padri e del paragone degli scopi della verginità e del matrimonio, i teologi furono unanimi nel difendere la superiorità della verginità. L’art. 6 fu discusso molto più ampiamente. Si raggiunge quasi un accordo completo nel ritenere che il sacerdozio, di sua natura, esige una completa dedizione a Dio nella preghiera, nella predicazione e nell’amministrazione dei sacramenti. Tutto ciò che distrae da questo orientamento deve essere proibito: e il matrimonio distrae di certo. D’altra parte, il celibato non aggiungeva nessun obbligo particolare a quelli già richiesti dallo stesso sacerdozio. I teologi, però, non erano d’accordo sull’origine dell’obbligo del celibato sacerdotale, cioè se fosse obbligatorio a causa di un voto o per la semplice ordinazione sacerdotale. Ma ciò non aveva nessuna importanza pratica. La maggioranza propendeva per un obbligo di diritto ecclesiastico più che diritto divino. Pur ammettendo in teoria dalla possibilità di dispensare dall’obbligo del celibato, c’era, in pratica, una riluttanza generale a concederla. Va anche notato che nessuno di quei teologi proveniva dalla Germania, dove il problema era particolarmente grave, e la pressione per la modifica della legge estremamente insistente. In realtà i teologi, pur sostenendo la disciplina tradizionale, non volevano sbarrare la strada al clero sposato, almeno in alcune regioni. Quanto ai greci, in genere i teologi si astennero da ogni attacco diretto, sebbene alcuni si riferissero alla prassi orientale in termini denigratori[55]. Il 20 luglio la Commissione dei teologi sottopose i seguenti canoni all’approvazione dei padri conciliari:[56] “ Chiunque dica che i chierici occidentali che hanno ricevuto gli ordini sacri, o i religiosi che hanno fatto solenne professione di castità possono validamente contrarre matrimonio, nonostante la legge ecclesiastica o il voto; che sostenere il contrario è condannare il matrimonio; e che possono contrarre matrimonio, tutti coloro che sentono di non avere il dono della castità, pur avendone fatto voto: sia anatema” (can.7). “ Chiunque dica che il matrimonio è da preferirsi alla verginità o al celibato, e che non è meglio e più meritorio perseverare nella verginità o celibato che unirsi in matrimonio: sia anatema” (can. 9). Fu necessario riesaminare e riformulare questi canoni ben quattro volte, prima di ottenerne l’approvazione nella ventiquattresima Sessione. La discussione riguardava soprattutto il termine “occidentale”. Alla fine la maggioranza dei padri votò per la sua soppressione, ma non tutti per gli stessi motivi. Alcuni volevano sottolineare che il celibato era di istituzione divina, il che sarebbe stato impossibile se si fosse ammessa una prassi diversa per la chiesa orientale; altri volevano conservare il termine “occidentale”, dato che il matrimonio dei preti greci è valido anche quando non esercitano più il ministero sacerdotale. In conclusione nel can.9 si preferì parlare di “stato coniugale” e “stato verginale”, anziché adottare la formula dei teologi : “chiunque dica che il matrimonio è da preferirsi alla verginità o al celibato”. Nella terza e quarta sessione si discusse l’aggiunta di una esortazione della Sacra Scrittura: “Poichè Dio non lo nega (il dono della castità) a quelli che rettamente glielo domandano, né permette che siamo tentati più di quanto possiamo sostenere (1Cor. 10,13)”. L’11 dicembre 1563, i canoni, come erano stati modificati, furono definitivamente approvati[57]. Il sinodo di OSNABRUCK, nel 1625, attribuiva l’ostinazione degli eretici all’immoralità dei preti che mantenevano pubblicamente i propri figli con il patrimonio della chiesa[58]. Alcuni anni dopo, nel 1631, in un sinodo della stessa diocesi, un oratore si scaglio contro l’immoralità dei preti “che non solo cedevano alle lusinghe delle donne e convivevano con loro, ma osavano chiamarle mogli”. Un altro sinodo tenuto a Cambrai nel 1631 si dichiarò disposto a rinunciare all’immunità ecclesiastica, e propose di additare al braccio secolare il compito di allontanare con la forza le concubine del clero. Ma vent’anni dopo, nel 1652, il vescovo di Munster si lamentava ancora che il suo clero persisteva nel concubinato, con scandalo dei fedeli e danno irreparabile dell’autorità della religione. Non solo ci fu resistenza passiva ai decreti tridentini, ci fu un accanito attacco frontale contro la disciplina del celibato. La Sorbona dovette intervenire per censurare varie proposizioni tratte da opere di teologia morale e di storia. Nel 1665 condannò l’opinione secondo la quale “un religioso professo, che fosse soggettivamente persuaso d’aver ricevuto da Dio la dispensa per sposarsi, poteva farlo lecitamente”. L’anno seguente condannò la tesi che affermava che fino al tempo di Leone IX (1049-1054) i preti e i vescovi si sposavano come i laici. Nel corso del XVII secolo si stamparono in Europa centinaia di libri sul celibato. Era una prova evidente che Trento non aveva detto l’ultima parola sull’argomento. Alcuni trattati non facevano che trattare la controversia tra protestanti e cattolici iniziata nel secolo precedente, altri sostenevano e combattevano le nuove correnti filosofiche e scientifiche che facevano capo a Descartes e Newton. Si può notare una fase interessante di questa lunga controversia, situata in una nuova prospettiva dopo le guerre di religione, nella corrispondenza tra due personaggi eminenti dell’epoca: Bossuet, vescovo di Meaux e il filosofo Leibnitz. Per più di vent’anni essi furono impegnati in trattative (1679-1702), nella speranza di giungere alla riunione tra la chiesa cattolica e quella luterana, e ciò non a titolo personale, ma come rappresentanti di un movimento ben definito a favore della riunione, incoraggiato da Innocenzo XI[59]. Come documento base per la discussione, Leibnitz mandò a Bossuet un memorandum preparato da un teologo luterano, in cui tra l’altro si insisteva sulla forte opposizione del clero e dei laici protestanti alla legge del celibato. Bossuet fece notare a sua volta che i maroniti di Siria erano stati ammessi alla piena comunione cattolica senza essere obbligati a cambiare i loro riti e la loro disciplina. Così pure non si erano mai sollevate difficoltà sul matrimonio dei preti greci. Gli stessi greci, però, non permettevano il matrimonio dopo l’ordinazione sacerdotale ed obbligavano i loro vescovi al celibato. Naturalmente ci furono altre questioni fondamentali su cui Bossuet Leibnitz non riuscirono ad accordarsi, ma almeno la legge del celibato non costituì un ostacolo alla riunione. Era inevitabile che lo spirito dell’Illuminismo esercitasse una profonda influenza sul pensiero degli intellettuali cattolici[60]. L’Illuminismo era un vero movimento rivoluzionario, originatosi nei Paesi Bassi e in Inghilterra, che doveva imprimere alla cultura europea, ancora orientata in senso ecclesiastico e teologico, un carattere completamente secolare. Animato da una fiducia illimitata nella ragione e nella scienza e da una concezione ottimistica dell’uomo e dell’universo, l’illuminismo assunse un atteggiamento di critica radicale nei confronti di ogni modello di pensiero e di valori. Suo scopo supremo era la piena realizzazione dell’uomo. Nella sua versione specificamente cattolica, l’illuminismo stimolò il rinnovamento ecclesiale, favorendo la riforma liturgica, il miglioramento dell’istruzione ecclesiastica e la lotta contro la superstizione e il fanatismo. Nel secolo XVIII, in sintonia con lo spirito critico del tempo, si pubblicarono più di mille libri e trattati in favore o contrari al celibato ecclesiastico[61]. Quasi tutti coloro che aspiravano ad essere “philosophes”, si sentivano obbligati a combattere il celibato. In Francia, in Germania e in Italia, molti domandarono l’abolizione del celibato, sostenendo che era sconosciuto alla chiesa primitiva, e che quindi nulla proibiva ai chierici di sposarsi, anche senza dispensa. In genere gli illuministi si basavano sulla legge naturale che garantisce ad ogni uomo il diritto - di origine divina - di sposarsi. Altri motivi erano desunti dall’organismo fisico dell’uomo, dai bisogni della società, da considerazioni terapeutiche e da altri argomenti. Alcuni di questi derivati dalla tradizione dei Greci, non distinguevano chiaramente tra l’ordinazione di uomini sposati e il matrimonio di preti già ordinati. La grande popolarità dei razionalisti come Voltaire, Helvetius e Holbach, oltre ai persistenti sentimenti gallicani e giansenisti, incoraggiò alcuni ecclesiastici francesi a protestare contro l’antica disciplina. Nel 1758, Desforges, canonico di Estampes, cercò di provare in un’opera di due volumi che il matrimonio dei preti e vescovi era più conforme all’ordinamento divino (Gen 1,28). Tuttavia l’opinione pubblica non era ancora preparata ad accettare una tesi così radicale, tanto che il parlamento ordinò di bruciare il libro per mano del boia, e di rinchiudere l’autore nella Bastiglia. Il libro di Desforges continuò però ad essere ristampato e fu ben presto tradotto in tedesco e in italiano. A difesa del celibato il gesuita ZACCARIA, pubblicò a Roma, nel 1774, una Storia polemica del Celibato Sacro, da contrapporsi ad alcune detestabili opere uscite in quei tempi. Alcuni anni più tardi, nel 1781, GAUDIN, prete dell’Oratorio che in seguito si sposò, pubblicò a Ginevra un aspro attacco al celibato: “Les inconvénients du Celibat des Pretes, prouvés par des recherches historiques” in cui presenta numerose testimonianze storiche e filosofiche per dimostrare gli effetti perniciosi del celibato. Zaccaria gli rispose con un’altra sua opera : “Nuova giustificazione del celibato Sacro dagli inconvenienti oppostigli anche ultimamente in alcuni infami libri”. La rivoluzione francese, che per molti aspetti segnò il culmine dell’illuminismo, traspose il problema del celibato dal campo teorico a quello pratico. La Costituzione del 1791 stabiliva che nessuna professione poteva impedire il matrimonio dei cittadini, e che nessun notaio o ufficiale pubblico poteva rifiutarsi di ratificarlo per questo motivo[62]. Trattandosi di preti, il matrimonio era considerato prova di lealtà, e l’osservanza del celibato una protesta silenziosa contro il regime. Naturalmente molti ecclesiastici approfittarono subito di questo clima liberale, altri restarono irremovibili, altri infine si accontentarono di adempiere le formalità del matrimonio civile. L’abrogazione del celibato incontrò una forte opposizione perfino tra gli assermentés, cioè tra quelli che avevano giurato fedeltà alla rivoluzione. Anche il popolo, in genere, disapprovò il matrimonio dei preti, cosicché uno dei primi obiettivi della riorganizzazione ecclesiastica dopo il Regno del terrore fu appunto quello di restaurare il celibato. Fin dal 1795, alcuni vescovi assermentés pubblicarono una dichiarazione in cui denunciavano nei termini più energici il matrimonio dei preti[63]. Il concordato tra Napoleone e la Santa Sede (1801) non contemplava la questione del celibato, come non si occupava della disciplina interna della Chiesa. Dopo la firma del concordato, 3224 preti e religiosi presentarono una petizione in cui domandavano di essere riammessi all’esercizio del sacro ministero, o almeno di ottenere la regolarizzazione del loro matrimonio. Più di 2000 avevano scelto questa seconda alternativa[64]. In quell’occasione, lo stesso Talleyrand, ministro degli affari esteri e già vescovo di Autun, domandò di essere dispensato dal celibato. Nel trasmettergli la decisione di Roma, il card. Consalvi, in data 30 giugno 1802, gli scriveva : “ Avrei davvero voluto poter esaudire completamente i desideri di Vostra Eccellenza, inviandole insieme al Breve Pontificio anche la dispensa per il matrimonio; ma come fare, se in 18 secoli di storia della Chiesa non si trova un solo esempio di simile concessione?...” Nessun vescovo consacrato ottenne mai la dispensa di sposarsi. Non solo non c’è nessun precedente in 18 secoli, ma in varie occasioni questo permesso fu tenacemente rifiutato dalla Santa Sede. Al termine della Rivoluzione Francese, gli ecclesiastici sposati furono ridotti alla stato laicale e il loro matrimonio fu convalidato. Era la terza ed ultima volta nella storia moderna che la Chiesa concedeva una dispensa generale[65]. Nel 1802, HEINRICH IGNAZ VON WESSENBERG, Vicario Generale di Costanza imbevuto di idee illuministiche, cominciò a riformare la diocesi secondo il nuovo spirito. Riformò il breviario e il Messale, introdusse la messa in tedesco, tolse le statue dei Santi dalla chiese, limitò i pellegrinaggi, impose restrizioni agli ordini religiosi e riformò pure il seminario di Meersburg, sostituendo lo scolasticismo con la filosofia contemporanea. Passò quindi - con l’approvazione ufficiale del governo - ad attaccare apertamente il principio del celibato ecclesiastico[66]. Anche nel seminario di Rottenburg, con l’appoggio entusiastico dei seminaristi, si formò un forte movimento contro il celibato. Nel 1828, i professori laici di Freiburg, convinti che bisognava fare qualcosa per elevare il livello morale e spirituale del clero, domandarono al governo di autorizzare i preti a sposarsi. La petizione fu firmata da un gran numero di preti e seminaristi, mentre nella diocesi di Rottenburg fu fondata addirittura un’“Associazione per l’abolizione della legge ecclesiastica del celibato”. Proprio in quegli anni Johann Adam Mohler, detto talvolta “padre della teologia moderna” iniziava la sua carriera letteraria pubblicando nella Theologische Quartalschrift uno dei suoi primi articoli intitolato “Considerazioni sulla penuria sempre maggiore dei preti e su alcune questioni connesse” (1826).In tono fortemente critico egli si rallegra che la secolarizzazi! one abbi a ridotto il numero dei preti, perché uno dei mali peggiori della Chiesa è sempre stato il loro numero eccessivo. “ La natura stessa delle cose vuole che i preti siano pochi... Basta pensare al celibato. Ben pochi infatti sono quelli che possono o vogliono comprenderlo. Ne consegue che in apparenza i preti sono molti, in realtà e interiormente sono ben pochi”. Due anni dopo, nel Der Katholik, Mohler in tono sarcastico attaccava il clero del Baden che pensava di rimediare alla mancanza di zelo e spiritualità del clero abolendo il celibato. Il celibato, insisteva Mohler, è sorto spontaneamente come necessità interiore di chi si era votato al costante servizio di Dio. Fu solo dopo la decadenza morale provocata dalle invasioni barbariche che la chiesa fu costretta a farne una legge. La prassi della chiesa greca che permette l’ordinazione di uomini sposati non è un argomento valido. Chi si sposa senza pensare al sacerdozio ed è poi chiamato a servire i fedeli nel sacro ministero (come fanno i greci) si trova in una situazione del tutto diversa di quella di un uomo celibe che è chiamato al sacerdozio. Quanto all’obiezione che la chiesa non ha il diritto di privare i suoi preti di una libertà fondamentale, Mohler risponde che la chiesa ha il dovere di riservare il sacerdozio a coloro che hanno già ricevuto la più alta consacrazione religiosa: il dono della verginità. Egli esamina poi l’obiezione che il celibato impedisce di crescere nell’amore perché isola un individuo nel suo egoismo, e risponde che anche la moglie e i figli possono essere semplici proiezioni d’egoismo. E poiché l’egoismo è inerente alla natura umana, una crescita o uno sviluppo puramente naturale non può liberarcene. E’ solo la grazia che ci permette di superare l’amore di noi stessi, trasformandolo nell’amore cristiano: trasformazione questa che può avvenire tanto per mezzo del celibato sacerdotale quanto per mezzo del matrimonio cristiano[67]. L’agitazione divenne così violenta che GREGORIO XVI fu obbligato ad occuparsene nell’enciclica “Mirari vos” del 15 agosto 1832. Egli domandava di aiutarlo a sventare “ l’orrenda congiura contro il celibato ecclesiastico che andava estendendosi ogni giorno più”, e aggiungeva “ vediamo pure che alcuni ecclesiastici, fuorviati dalle lusinghe del piacere e dimentichi della loro vocazione, in combutta con alcuni dei peggiori philosophes, pubblicamente e, in alcuni luoghi, ripetutamente, rivolgono appelli alle autorità civili per abolire questa sacra disciplina”. Vergognandosi di soffermarsi più a lungo su questi “vili tentativi”, il papa supplicava i vescovi di fare tutto il possibile per resistere agli inganni degli scostumati e preservare intatta questa legge di vitale importanza[68]. Il suo successore PIO IX , nella sua prima enciclica “Qui pluribus” del 9 novembre 1846, si sentì obbligato a stigmatizzare la “malvagia cospirazione” contro il sacro celibato del clero, ordita da ecclesiastici che hanno ceduto alle lusinghe del piacere[69]. Alcuni anni più tardi lo stesso papa condannava chi sosteneva che la vocazione del matrimonio è superiore a quella della verginità. Il famoso Sillabo del 1864 richiamava nuovamente l’attenzione sulle precedenti condanne[70]. Il movimento per l’abolizione del celibato non si limitava alla Germania. Un inglese che visitò Firenze nel 1865 scrisse una serie di lettere sul movimento di riforma religiosa in Italia, pubblicate sul The Gardian e raccolte in formato libro nel 1866[71]. Egli riferisce che a Napoli era stata fondata una “ Società emancipatrice e di mutuo soccorso dei sacerdoti italiani” che aveva il suo organo nell’Emancipatore Cattolico. Tra gli obiettivi della riforma esposti in un memorandum, spiccava l’abolizione del celibato sacerdotale. Il memorandum affermava che esistevano 24 filiali in varie parti d’Italia e che vi erano iscritti quasi 1000 preti ed altrettanti laici. Il dottor Prota, ex- domenicano, scrive nell’Emancipatore Cattolico che in virtù di una legge civile emanata di recente, nessun vescovo può impedire ai suoi preti di sposarsi. Egli esorta quindi i preti a sposarsi, pur continuando ad esercitare il ministero, “ e più saranno quelli che lo fanno subito e tutti insieme, meno pericoli ci saranno, perché i vescovi non oseranno prendere sanzioni disciplinari di fronte alla pressione dell’opinione pubblica”. La Società emancipatrice era in stretti rapporti col movimento di unificazione nazionale, che voleva impedire lo svolgimento del Concilio Vaticano I e por termine al potere temporale del papa. Il Concilio Vaticano I (1869-1870) - primo concilio ecumenico dopo quello di Trento - non emanò decreti sul celibato. Tuttavia in occasione del concilio, videro la luce molte pubblicazioni su questo argomento. Il 18 agosto 1869, quattro pastori luterani, a nome di molti protestanti della Sassonia, presentarono al vescovo di Paderbon una petizione in cui chiedevano che il papa eliminasse i due ostacoli che, a loro parere, impedivano la riunione con i cattolici: la legge del celibato e il rifiuto del calice (cioè la comunione sotto le due specie del pane e del vino) ai laici[72]. La petizione insisteva che si estendesse la disciplina orientale a tutta la chiesa, in modo che anche gli uomini sposati potessero venire ordinati sacerdoti. I firmatari della petizione ammettevano la convenienza di preservare una casta sacerdotale distinta e suggerivano di obbligare i preti a sposare solo le figlie di altri preti o di maestri, e di far usare ai preti un calice diverso da quello riservato ai laici. I luterani si ispiravano in queste loro proposte al modello del sacerdozio Levitico. Un breve schema in tre capitoli “De vita et honestate clericorum” fu presentato al concilio dalla Commissione preparatoria, e fu discusso in otto Congregazioni generali (dal 25 gennaio all’ 8 febbraio 1870). Nell’unico riferimento al celibato, il documento confermava le pene comminate dal concilio di Trento e ordinava ai vescovi di conservare nei loro archivi gli atti relativi, specialmente nel caso di sanzioni canoniche prese in forma extra-giudiziale. Alcuni vescovi non volevano che si parlasse di concubinato, per paura che la gente credesse che si trattava di un vizio molto diffuso tra il clero, ma altri insistevano non meno decisamente che non si ignorasse la situazione, soprattutto nei paesi dove destava serie preoccupazioni. L’arcivescovo di Gran, in Ungheria, supplicò il concilio di non lasciar sfuggire un’occasione così solenne per riaffermare il grande valore di testimonianza del celibato, “perché tutti sanno quanti libri sono stati pubblicati ultimamente contro il celibato, con lo scopo espresso di farlo abolire da questo Concilio. Una sola deve essere la nostra risposta : mai !”. L’arcivescovo armeno di Mardin, in Mesopotamia, esortò il concilio ad imporre il celibato anche a tutti gli orientali, ed elencò i mali che derivavano da un clero sposato: i preti si preoccupavano più delle loro famiglie che delle chiese, cercavano di adornare le mogli più degli altari e si curavano più dei figli che dei fedeli. L’arcivescovo aggiunse che parlava di questi mali per esperienza e conoscenza personale, ma si affrettò a concludere “ io parlo così perché ormai sono vecchio”. Prima di accordare opinioni così diverse, il concilio Vaticano I passò a discutere lo schema successivo, che riguardava la proposta di un catechismo universale del tipo di quello del Bellarmino, per sostituire i numerosi catechismi diocesani allora in uso. Ma né questo schema, né quello sulla vita sacerdotale furono mai votati, perché il concilio fu interrotto dall’occupazione di Roma e dalla fine dello Stato Pontificio. Dopo il concilio un certo numero di laici e preti cattolici, specialmente nei paesi di lingua tedesca, rifiutarono di accettare i decreti sull’infallibilità e sul primato del papa. Nel settembre del 1871, si radunarono a Monaco di Baviera 300 loro rappresentanti per organizzare il movimento dei “ vecchi cattolici”. L’anno dopo un congresso analogo fu tenuto a Colonia, e furono fondate alcune sedi episcopali autonome che riconoscevano come base dottrinale comune la Dichiarazione di Utrecht. Dal 1889, l’arcivescovo vecchio-cattolico di Utrecht era il presidente del Congresso Internazionale dei vecchi-cattolici[73]. Fin dal 1875, i vecchi cattolici svizzeri abolirono il celibato del clero. Nel 1877, quelli tedeschi introdussero una modifica importante, che cioè spettava al vescovo autorizzare il matrimonio dei preti, sebbene fosse contemplata la possibilità di appellarsi al Sinodo in caso di rifiuto. Il permesso di sposarsi non doveva essere dato prima di sei anni dall’ordinazione sacerdotale, né prima di tre dall’accettazione in diocesi, qualora un prete fosse stato ordinato altrove. Nel 1880, il primo sinodo vecchio-cattolico abolì il celibato obbligatorio, che tuttavia restò in vigore in Olanda fino al 1922. Le relazioni tra IGNAZ VON DOLLINGER e i vecchi cattolici restarono ambigue. Egli era contrario ad un vero e proprio scisma, tanto che le innovazioni introdotte dai vecchi cattolici lo indussero a dissociarsi da questo movimento. L’abolizione del celibato sacerdotale ebbe in ciò una parte decisiva. Ad un suo intimo amico anglicano scriveva tra l’altro: “In Inghilterra voi non potete capire quanto sia radicata nella nostra gente la convinzione che il prete è un uomo che si sacrifica per i suoi parrocchiani. Egli non ha figli appunto perché possa adottare per suoi tutti i fedeli della sua parrocchia. I parrocchiani provvedono ai suoi bisogni in modo che possa dedicare tutto il suo tempo e la sua attività al bene del suo gregge”[74]. Dollinger non fu l’unico teologo storico che venne a trovarsi in contrasto con la chiesa alla fine del XIX secolo. Nel 1882, i fratelli Theiner pubblicarono una violenta requisitoria contro il celibato obbligatorio, insistendo sui mali che aveva provocato. Augustin Theiner si decise a ripudiarlo dopo che Roma l’aveva condannato[75]. Alcuni anni più tardi le tendenze storico critiche della teologia sarebbero sfociate nel modernismo. Nella sua enciclica “ Pascendi” del 1907, Pio X, fece rilevare che tra gli obiettivi dei modernisti v’era pure l’ abolizione del celibato sacerdotale[76]. Tra i libri messi all’indice vi furono anche quelli di due preti francesi: Le clergé contemporain et le célibat, di Dolonne; Le mariage des pretres, di Jules Claraz[77]. Verso lo stesso tempo, un celebre storico della religione, Paul-Louis Couchoud, pubblicò un opuscolo dal titolo “Le pretres et le mariage: un decret de Léon XIII autorisant le mariage des pretres de l’Amerique Latine”[78]. Non esiste però la minima prova dell’esistenza di un simile Decreto. Il barone VON HUGEL grande teologo laico e sincero cattolico sebbene fosse amico dei capi modernisti Loisy e Tyrrell, aveva in uguale stima sia il matrimonio che il celibato. Egli vedeva chiaramente i pericoli dell’estremismo, perché “ denigrando il matrimonio si offusca al tempo stesso non solo la bellezza del matrimonio, ma anche quella del celibato”. Von Hugel non aveva difficoltà ad ammettere che “ il problema del celibato obbligatorio per tutta la vita è assai grave”, e che “ alcune modifiche della disciplina attualmente in vigore nella chiesa cattolica romana di rito latino possono essere sommamente auspicabili”, ma non permetteva ai preti che si erano sposati di partecipare ai movimenti riformistici che in qualche modo dipendevano da lui. In una lettera a Giorge Tyrrell, riferendosi al caso dell’ex-carmelitano Hyacinthe Loyson, egli sconsigliava il suo amico modernista dall’accogliere nel suo movimento un prete sposato e scriveva: “ Un prete che rinunci al celibato - qualunque cosa se ne possa pensare in astratto - perde il diritto di perorare la difficile riforma che tutti auspichiamo”. Tre anni dopo, in un ‘ altra lettera scriveva: “ La questione del celibato è estremamente delicata. I preti che se ne sono andati e che l’hanno risolta per conto loro senza troppe considerazioni si sono automaticamente squalificati e non possono svolgere nessuna parte nel nostro movimento di riforma ” [79]. Nel 1917 fu emanato il CIC per la Chiesa occidentale. In esso fu raccolta la storia del celibato ecclesiastico e venne codificata in legge[80]. Subito dopo la prima guerra mondiale, un certo numero di preti cecoslovacchi appartenenti al movimento Jednota pretesero il diritto di sposarsi ed inviarono a Roma una delegazione per ottenere l’abolizione del celibato. Benedetto XIV rispose in termini estremamente decisi, riaffermando che la chiesa considerava il celibato talmente importante che era inutile sperare che un giorno l’avrebbe abolito[81]. Quei preti cecoslovacchi si dichiararono allora indipendenti dalla Santa Sede e fondarono una nuova chiesa nazionale[82]. La controversia più recente sul celibato sacerdotale obbligatorio risale alla convocazione del Concilio Vaticano II (1962- 1965) da parte di Giovanni XXIII, nel 1959. Fu in quella occasione che il domenicano P. Spiazzi sollevò qualche obiezione sulla disciplina vigente[83]. Sebbene subito dopo egli si sia dichiarato favorevole a mantenere la legge tradizionale, la diga era ormai rotta, e ne precipitò un torrente di articoli, libri, inchieste e discussioni, fino ai nostri giorni.[84]. Il concilio Vaticano II sottolineò per la prima volta la necessità del carisma del celibato, confermando nello stesso tempo la legge che lo impone a tutti i sacerdoti[85]. E’ da sottolineare per la prima volta, perché precedentemente non si era mai parlato di carisma, ma solamente di obbligatio[86] . Lo stesso Paolo VI scrisse una pubblica consecratio dove però non si parlò mai di carisma, ma di obbligatio[87]. Il concilio Vaticano II nel restaurare l’antico ufficio del diaconato permanente, stabilì che questo ordine venisse conferito anche a uomini sposati di età matura [88]. Altre disposizioni resero possibile, nella Chiesa latina, per la prima volta dopo tanti secoli, il conferimento di un ordine maggiore a uomini sposati (ai diaconi). Tuttavia fu specificato che chi riceve l’ordine del diaconato non potesse contrarre matrimonio [89]. Questa è una sintesi molto stringata sulla storia del celibato sacerdotale nella Chiesa d’Occidente o latina. Ma, dalla storia si può capire molto bene come Gesù abbia voluto affidare il sublime ministero sacerdotale non agli angeli, ma a degli uomini che nella loro “carne” racchiudono la grandezza dei figli di Dio, perchè fatti a sua immagine e somiglianza, ma nello stesso tempo la fragilità della creatura, anche se redenta dal Figlio di Dio. Inoltre, la Chiesa, come Corpo di Cristo, non è un’insieme anonimo di persone, ma una società di persone battezzate che, in quanto società ha bisogno di organizzarsi secondo modalità adatte ai tempi per raggiungere il fine che Dio le ha assegnato, cioè quello di far conoscere Gesù Cristo, affinchè credendo in Lui, gli uomini, possano salvarsi. Credo sia molto importante riconoscere da quali “contenuti” si parte per difendere una posizione piuttosto che un’altra; avere ben chiaro in mente che appoggiare una posizione piuttosto che un’altra, non significa compiere un atto di ribellione nei confronti della Chiesa o di chi (= il Papa) ha la potesta e la responsabilità del ministero per la comunità ecclesiale, ma significa sentirsi coinvolti responsabilmente per trovare, nella società di oggi, le modalità più adatte per attuare un servizio, un ministero, una diaconia, come quella sacerdotale, il cui scopo è quello di portare la salvezza di Cristo, nella vita dell’uomo. Vorrei che i laici che mi leggono, specialmente coloro che non hanno molta domestichezza con la teologia o la storia della Chiesa, si avvicinassero a questa materia così delicata del sacerdozio e del celibato con un animo molto sereno e senza scandalizzarsi, tenendo ben presente che: 1) le controversie sul sacerdozio sposato o celibe, riguardante i vescovi, i sacerdoti, i diaconi, ci sono sempre state nella vita della Chiesa, sia in quella latina che nella Chiesa d’Oriente. Non si tratta, quindi, di un problema sorto nel terzo millennio ! 2) la controversia del rapporto tra ministero sacerdotale e la rinuncia alla vita matrimoniale, non riguarda un “dogma di fede”; si tratta solo di parlare, discutere di un aspetto organizzativo della vita della Chiesa. 3) in queste controversie, dal momento che nella Chiesa non vale il principio della maggioranza democratica, alla fin fine, sarà sempre “ chi nella Chiesa ha la potestà e la responsabilità del ministero per la comunità ecclesiale” che imporrà un determinato comportamento comunitario, facendo prevalere la sua mentalità. Per questo è necessario pregare molto, affinchè lo Spirito Santo apra la mente ed il cuore di queste persone, aiutandole a prendere quelle decisioni coraggiose e necessarie, che abbiano di mira soltanto la salvezza dell’uomo ( considerato nella sua totalità di spirito e materia) ed il bene della comunità ecclesiale e non tanto la salvezza di una norma ecclesiastica. 4) l’attuale persistente obbligo del celibato per coloro che vogliono esercitare il ministero sacerdotale, è frutto di una mentalità che affonda le sue radici nella Tradizione della Chiesa di molti secoli fa, come è dimostrato dalla storia, anche se oggi le motivazioni portate per giustificare tale scelta obbligatoria sono diverse. 5) Discutere liberamente, allo scopo di trovare delle soluzioni adeguate ai problemi emergenti nella vita della Chiesa del nostro tempo, come quello riguardante il celibato imposto ai sacerdoti non religiosi, è un dovere che riguarda tutti i battezzati. Si tratta, infatti, di discutere sull’opportunità e la convenienza di mantenere o meno, nella sua integrità e senza alcuna eccezione, considerate le varie circostanze, una disposizione di legge che non viene da Dio o da Cristo, ma semplicemente da chi, nella Chiesa, ha la potestà e la responsabilità del ministero per la comunità ecclesiale. Importante è che questo parlare e discutere dei vari problemi riguardanti la comunità ecclesiale, abbia come scopo non quello di suscitare “scandalo”, quanto piuttosto di trovare delle soluzioni che tengano conto del bene delle persone e della comunità ecclesiale, e sia fatto in maniera rispettosa e nella stima reciproca, e non con l’atteggiamento di chi vuole “rivendicare” per se stesso o per gli altri, un qualche diritto violato, come si fa nella società civile, dal momento che nella Chiesa tutto è dono dello Spirito Santo. Sono convinto che il poter discutere liberamente sui vari problemi che interessano la vita organizzativa della Chiesa e dei vari ministeri, nei quali tutti i battezzati si sentono coinvolti responsabilmente, è un segno positivo dell’esistenza della vitalità della Chiesa e che il cristiano, finalmente, considera la Chiesa non più come un museo da visitare di tanto in tanto, ma come una famiglia viva di cui si sente parte e nella quale tutto viene compartecipato e condiviso, secondo i carismi ricevuti dallo Spirito Santo. Giuseppe. [1] Paolo VI, Lettera al card. Villot, 2 febbraio 1970. [2] Nel uovo testamento il termine “sarx” (carne) significa “resistenza allo Spirito”. 3 cfr. James A. Kleist, The Epistles of St. Clement of Rome and Ignatius of Anthioch, Ancient Christian Writers I, Newman Westminster, Md. 1946, 98). Cfr. S. Ignatius Antiochenus, Epistula ad Polycarpum, 68, in M.J. Rouet De Journel S.J., Enchiridion Patristicum, p. 25). 4 Cfr. S. Ireneo, “Contro le eresie”, I, 13, 5. 5 MELITONE DI SARDI : Secondo Eusebio, al quale (cfr. Historia Ecclesiastica, IV,LVIV) dobbiamo la maggior parte delle notizie intorno a lui e ai suoi scritti, Melitone di Sardi era il vescovo di questa città. Visse nel sec. II e presentò a Marco Aurelio un’apologia del cristianesimo in cui faceva notare che questo era sorto insieme con l’impero di Augusto, e che, tra tutti gli imperatori, solo Nerone e Domiziano erano stati persecutori. Eusebio ci diede i titoli di altre opere di cui una sulla Pasqua nella quale sembra che Melitone difendesse la maniera tradizionale di fissarne la data; una intorno al battesimo; una sull’Incarnazione di Cristo.... Eusebio cita anche il canone biblico dell’Antico Testamento di Melitone che esclude i libri deuteronomici. Di questi scritti non restano che scarsi frammenti (Cfr. Enciclopedia Italiana reccani, vol. XXII/1934, p. 812). 6 Cfr. Eusebio, Storia della Chiesa, 5, 24, 5 ove si dice che “ Melitone, il celibe (eunuchon), viveva interamente nello Spirito Santo”. H. Leclercq pensa che “ celibe” sia un titolo come “vescovo” e “ martire”(Cfr. Dictionaire d’Archéologie Chretienne et Liturgie, 2, 2808,“ Célibat”). 7 ENCRATISMO: L’encratismo si diffuse abbastanza largamente nel II sec., specie in Oriente, e si manifestò in parecchi scritti apocrifi (dal Vangelo secondo gli Egiziani, agli Atti di Paolo). Può essere ricollegato allo gnosticismo, come le dottrine affini condannate nel sec. IV dal Sinodo di Gangra, all’influsso del Manicheismo. Il nome di “Encratiti” designava coloro che praticavano la continenza (gr. encràteia). Ireneo parla infatti di “continenti” (encrateis), ma Clemente Alessandrino, Ippolito Romano ed Eusebio parlano di “ encratiti” (encratetai o encratitai) come di una setta, la quale sarebbe stata fondata da Taziano e continuata poi da Giulio Cassiano e da Severo (onde il nome di “ severiani”). In realtà più che di una setta si dovrebbe parlare di una dottrina che condanna l’uso di cibi animali e del vino, nonché le nozze e la procreazione. Dottrine già combattute in I Timoteo, IV, 1-5; V, 23. L’insegnamento di Taziano è collegato da Ireneo con quello di Saturnino e di Marcione, mentre Cassiano è accusato di docetismo da S. Girolamo e da Clemente. Quest’ultimo si accorda bene con i presupposti dualistici di quell’ascetismo che vede nella materia il male e nella creazione l’opera di potenze avverse a Dio. (Cfr. Enciclopedia Italiana Treccani, vol. XIII/ 1932, p.952). 8 DUALISMO : Nella storia delle religioni il dualismo esprimeva il fatto che da motivi elementari di semplici antitesi cosmiche e naturistiche - estate, inverno / luce- tenebre/ cielo e terra/ maschio e femmina - si svolsero nel pensiero religioso primitivo rudimentali concezioni dualistiche che già presso popoli incolti appaiono talvolta polarizzate in senso etico (es Cielo buono e Cielo cattivo presso i Masai e i Nandi dell’Africa Orientale), mentre in ambienti di civiltà più progredita danno luogo a concezioni più complesse e poi, in talune religioni superiori a veri e propri sistemi organici e complicati, comprendenti la cosmologia, un’antropologia, una soteriologia ecc... Il dualismo più sistematico si ebbe nella religione di Zarathustra, quando partendo dall’iniziale contrapposizione tra lo spirito buono e lo spirito cattivo, si passò all’antagonismo tra il principio del bene e il principio del male, indipendenti e perfettamente contrastanti. L’uomo scegliendo tra questi due principi partecipa alla lotta universale fino alla finale distruzione del male e alla rigenerazione del mondo. Il dualismo cosmologico e antropologico ebbero particolari sviluppi nei sistemi gnostici, nelle Antitesi di Marcione interferiscono con l’opposizione fra il Dio del Vecchio Testamento e il Dio del Nuovo Testamento. Il manicheismo, in termini di una complicata mitologia, un radicale dualismo, fondato sull’opposizione del mondo delle tenebre al mondo della luce; i cinque elementi de! ll’uom o cosmico inghiottito dalle potenze delle tenebre, restano imprigionati nell’universo e nel genere umano sino alla loro liberazione (come nell’orfismo) promossa dall’osservanza di un rigoroso ascetismo. Elementi più o meno cospicui di pensiero dualistico si trovano anche nelle sette cristiane degli euchiti (messaliani), pauliciani, bogomili, catari e altre affini (Cfr. Enciclopedia Italiana Treccani, vol.XIII/1932,p.231). Nell’Antica Grecia è tipico il dualismo pitagorico della nomade e della diade e, presso eleati ed eraclitei, la contrapposizione della verità all’opinione. In Platone si contrappongono nettamente senso e intelletto, mondo dell’intelletto e mondo del senso. Questo dualismo si tempera in Aristotele, che riconosce il senso come necessario alla formazione stessa del conoscere intellettuale, e la vita attiva condizione della contemplativa. Ma l’aspirazione della coscienza cristiana ad un regno di Dio contrapposto al mondo, regno del peccato, trova nel dualismo platonico e neoplatonico la sua espressione filosofica più felice. (cfr. Enciclopedia Italiana Treccani, cit., p.231). 9-MARCIONE : Marcione: nacque negli ultimi anni del sec. I a Sinope, sulle rive meridionali del Mar Nero. Il padre di Marcione era il vescovo della città. Epifanio racconta che il padre fu costretto a scomunicare il giovane figlio perché reo di aver sedotto una fanciulla. Marcione abbandonò per tempo la città natale. Commerciante e armatore di navi, accumulò un’ingente fortuna. Marcione rifiutò in blocco il modo di interpretare l’Antico Testamento della tradizione ortodossa che era concorde nel ricollegare senza soluzione di continuità il messaggio cristiano alle tradizioni religiose d’Israele. Ricorrendo all’interpretazione tipologico-allegorica dei libri dell’A.T. I fatti narrati da quello erano interpretati come annuncio e prefigurazione dell’economia cristiana che - quasi Israele spirituale - era stata inaugurata da Gesù, il Messia promesso e atteso. Per Marcione invece l’A. T. andava interpretato solo letteralmente e accettato come la verace e fedele cronistoria dell’uomo e del mondo. In tal modo Marcione rileva una ripugnanza verso tutta la materia e le leggi stesse della vita. Non seppe vedere in esso che la storia di un Dio che crea un uomo pieno d’imperfezioni e un mondo pieno di mali; che pone all’origine della vita una somma di atti osceni e ripugnanti. Da lui ebbe origine il “ marcionismo”. (Cfr. Enciclopedia Italiana Treccani, vol. XXII/1934, p. 250-251). 10-Cfr. E.T. di F.C. Conybeare, The ring of hope Xystus, London, 1910. 11-Cfr. Miscellanee (Strommata) 3,4,25 ss. - citato da Eusebio, 3,29. 12- Clemente sbaglia nel supporre che l’espressione “ il mio fidato collaboratore” (Fil. 4,3) si riferisca alla moglie di Paolo. Almeno non c’è alcuna prova testuale che permetta di adottare la forma femminile “gnesia”. Egli pensava che se Paolo fosse vissuto con la moglie avrebbe dato cattivo esempio a coloro che volevano vivere in continenza. “Eppure - si domanda Clemente - come si può denigrare l’opera della creazione, se la chiesa deve essere governata da un vescovo che sappia governare bene la propria famiglia e se l’unione con una sola donna rende la casa gradita al Signore”? Clemente, tra i primi padri della Chiesa, è quello che ha l’atteggiamento più aperto verso il matrimonio. 13-DIDASCALIA APOSTOLORUM (LA) : è un’antica silloge di disciplina ecclesiastica del sec. III. Il suo contenuto fu in seguito diluito nei primi 6 libri delle Costituzioni Apostoliche. Fu scoperta da P. de Lagarde in un manoscritto siriaco parigino nel 1852 e da lui pubblicata nel 1854. Il valore storico dell’opera è altissimo. Nessun altro documento dei primi secoli ci rappresenta con tanta ricchezza di particolari la vita della chiesa antica, anche tenendo il debito conto di ciò che era piuttosto aspirazione dell’autore che non una realtà effettiva. E’ già superata la prima fase del cristianesimo. I cristiani ci appaiono ormai assestati nella vita di ogni giorno, dediti alle loro cure e alle loro famiglie, per quanto rigidamente separati dai gentili. La vita normale è quella della famiglia. E’ raccomandato il matrimonio in età giovanile, è consentito un secondo matrimonio (e non più) ai vedovi. Ancora mancano gli accenni all’ascetismo monastico. L’encratismo è combattuto. La chiesa è ormai nettamente distinta in laici e clero. La gerarchia comprende : il vescovo, presbiteri, diaconi e diaconesse, e vedove con funzioni ecclesiastiche. L’episcopato monarchico è affermato con estremo vigore. Il vescovo tiene il posto di Dio, i presbiteri quello degli apostoli, il diacono quello di Cristo, la diaconessa quello dello Spirito Santo (il cui nome è femminile in siriaco). Il vescovo ha il diritto di sciogliere e di legare, anche per quanto di riferisce alle anime: è sacerdote teoforico, va amato come padre, temuto come re, venerato come Dio. Tutta la vita ecclesiastica si accentra su di lui: i pres! biteri h anno una funzione di consiglio del vescovo, mentre i diaconi sono gli strumenti della sua attività. Il vescovo è responsabile verso Dio delle anime a lui affidate. 14-Cfr. 2Tim 2,2-4. 15-TERTULLIANO (QUINTO SETTIMIO FLORENZIO) : Tertulliano (Quinto Settimio Florenzio) nacque a Cartagine, centro intellettuale e commerciale dell’Africa, verso il 155- 160. Eusebio lo definisce :“Perfetto conoscitore delle leggi dei Romani” . Ci sono ignoti i motivi per i quali egli abbracciò la fede cristiana. La sua conversione fu totalitaria, senza compromessi, portando nella sua nuova vita la stessa ardente passione che aveva profuso nello studio e nei piaceri. Rinnegò tutto, votandosi con anima di apostolo, con temperamento di combattente, con intransigente rigorismo, alla causa cristiana. Ad un certo punto della sua vita (verso il 207) aderì al montanismo: questo è stato un effetto della sua ostinata volontà di rimanere fermo a quei valori che egli considerava e aveva sempre considerato come essenziali al cristianesimo e che vedeva invece, a poco a poco, naufragare nella sistemazione ecclesiastica dell’ideale cristiano. Tartulliano è un millenarista convinto. Le sue preoccupazioni moralistiche sono dominate e suggerite dal desiderio di premunire la comunità dall’attenuazione dell’aspettativa escatologica. E’ stato definito “ il padre della teologia occidentale”. (Cfr. Enciclopedia Italiana Treccani, vol.XXXIII/1937, pp.654-656). 16-Cfr. Tertulliano, De exhortatione castitatis, 13, 4. 17-Cfr. Tertulliano, De Monogamia, 8,4-7. 18- Cfr. Tertulliano, Ad uxorem, 1, 7, 4. 19-Cfr. Tertulliano, De exhortatione castitatis, 7, 1. 20-Cfr. Tertulliano, De Monogamia, 12,3. 21-IPPOLITO : Teologo, prete e antipapa in Roma, (dopo i contrasti con Zefirino, fu rivale nell’episcopato del successore, Callisto) . Martirizzato nel 235 o 236. (Cfr. Enciclopedia Italiana Treccani, vol. XIX/1933, p.515-516). 22-Cfr. Ippolito, Katà pason haireseon, 9, 12, 22. 23- ORIGENE : nacque probabilmente ad Alessandria nel 185 d.C. Il suo insegnamento pare fosse fondato tutto e soltanto sulle Scritture e il suo tenore di vita improntato a rigido ascetismo. Compì diversi viaggi: sotto papa Zefirino (dunque prima del 218) fu a Roma dove sentì predicare Ippolito. Compì altri viaggi in Siria e Palestina per ricercarvi versioni greche dell’Antico Testamento e per essere consultato da alti personaggi, tra cui Giulia Mammea, madre di Alessandro Severo. Fu invitato dai vescovi Teoctisto di Cesarea e Alessandro di Elia Capitolina (Gerusalemme) a predicare ai battezzati, benché fosse un semplice laico. Ma essendo questa una cosa contraria agli usi di Alessandria, Demetrio fece dimostranze. Nel 230 ricevette dai due vescovi amici l’ordinazione sacerdotale: di ciò si disdegnò Demetrio che lo depose (forse perché già allora non era permesso conferire l’ordinazione sacerdotale agli eunuchi). Infatti Origene si era mutilato volontariamente da giovane forse come conseguenza del desiderio, da parte del giovane maestro, la cui scuola era frequentata anche da donne, di evitare sospetti, ovvero dell’interpretazione eccessivamente letteraria di Matteo XIX, 12. I vescovi di Palestina, Fenicia, Arabia e Acaia non aderirono alla condanna, la quale invece fu approvata da Roma e si estrinsecò di fatto soltanto con l’esilio. Poco dopo, morto Demetrio, la condanna fu ripetuta da Eraclea. Egli fonda una scuola di teologi e pensatori che continuerà la sua opera e attraverso la quale il suo influsso ! rester=E 0 predominante per tutto il sec. III e buona parte del sec. IV. Fu torturato e a seguito di queste torture morì, durante la persecuzione di Decio. Nel 553 fu convocato il quinto concilio ecumenico il quale nel can. 11 condanna fra gli altri eretici, anche Origene. (Cfr. Enciclopedia Italiana Treccani, vol. XXV/ 1935, pp.. 552-555). 24- Cfr. Origene, Homelias perì Levitikù, 4,6. 25-Cfr. Origene, Katà Kelsu, 7, 48. 26-Cfr. Origene, Tomos perì Matthaiu, 17,35. 27- Cfr. Origene, Homiliai perì Luka, 17. I testi preferiti da Origene sono Es. 19,15; 1 Sam. 21,5; 1 Cor. 7,5. Con essi egli difende le sue opinioni sul sesso e sul matrimonio. 28-MANICHEI = Sono i seguaci del manicheismo, religione fondata da Mani, la quale tra la seconda metà del sec. III d.C. e il sec. XIII si diffuse, nonostante le frequenti persecuzioni, fino alla Spagna e alla Cina, sì da essere annoverata tra le grandi religioni universali. Per il manicheismo, come nella gnosi, la salvezza, la redenzione consistevano in primo luogo in una conoscenza: dei due principi costitutivi dell’universo e dei tre momenti di questa grandiosa economia della redenzione. I due principi sono Luce e Tenebra, che in Alessandro di Licopoli vengono invece identificati con due termini filosofici : Dio e materia. La materia è il regno del disordine e pertanto di ogni male sia nell’universo che nell’uomo. Nell’universo come nell’uomo lo spirito e il bene sono avvinti e compenetrati nella materia e devono liberarsene. La conoscenza del mito, che ridesta nell’uomo la parte superiore, la ragione, e l’incita a liberare sé stessa e l’anima (principio vitale) induce il manicheo a farsi strumento per la liberazione della luce ancora frammista alla materia. Da qui traggono origine l’etica manichea e la costituzione della Chiesa. L’etica manichea trova la sua manifestazione nell’ascetismo e nella serie di divieti, simbolizzati nei tre sigilli apposti alla bocca, alla mano e all’addome: per cui il manicheo eviterà la bestemmia e lo spergiuro, come anche i cibi animali, che sono morti, e perciò pura materia abbandonata alla luce; si asterrà dal sopprimere la vita, ma anche dal propagarla con la procreazione; non aspirerà a possedere nulla nel mondo. Non compirà se non gli atti che siano! rivolti verso la liberazione della luce. (Cfr. Enciclopedia Italiana Treccani, vol.XXII/1934, pp. 120-123). “ Qualunque culto del celibato inteso in senso puramente religioso, che non si fondi su quella base ultima e vera - la piena libertà per Dio e di conseguenza per il prossimo - rientra inevitabilmente nei confini del manicheismo, il quale vede il bene nel puro fatto del celibato e vede il male nel matrimonio” (Cfr. J. Pieper, Sulla Temperanza, Morcelliana, Brescia 1957, p. 59). 29-Cfr. Arnobio il Vecchio, Contra Nationes, 4,19. 30-Cfr. Dezinger-Schonmetzer, Enchiridion Symbolorum, 119 “Placuit in totum prohibere episcopis, presbyteris et diaconibus, vel omnibus clericis positis in ministerio, abstinere se a coniugibus suis et non generare filios: quicumque vero fecerit, ab honore clericatus exterminetur” (cfr. Concilium Illiberitanum (Elvira/ Hispaniae), can. 33 - inter 300-303) . Inoltre al can. 27 dello stesso concilio si dice a proposito del celibato dei chierici:“ Episcopus, vel quilibet alius clericus, aut sororem aut filiam virginem dicatam Deo tantum secum habeat; extraneam nequaquam habere placuit”. 31- Cfr. Bernard Lohkamp, Cultic purity and the low of celibacy, in Review for religious, 30 marzo/1971, pp. 199-217 sostiene che la purità rituale fu il fattore principale del celibato clericale.Ma Giovanni XXIII, Paolo VI e il Vaticano II non hanno mai adottato la purità rituale come motivo del celibato sacerdotale. 32-ISIDORO DI PELUSIO: Santo, monaco e scrittore ecclesiastico, nato ad Alessandria nella seconda metà del sec. IV, morto verso il 449. Si ritirò a vita cenobitica presso Pelusio (Egitto), fu poi ordinato prete probabilmente dal vescovo di Pelusio, Ammonio. Abate del suo monastero intervenne spesso nelle questioni della chiesa pelusiota sia contro il malgoverno del successore di Ammonio, Eusebio, sia contro la prepotenza dei governatori civili della provincia risiedenti appunto a Pelusio. Ma non rimase estraneo nemmeno alle grandi controversie ecclesiastiche di quell’epoca. (Cfr. Enciclopedia Italiana Treccani, vol. XIX/1933, p.602). 33- Cfr. Isidoro di Pelusio, Lettere, 4,192. 34- EUSEBIO DI CESAREA : vescovo di Cesarea (Palestina) dove forse era nato tra il 260 e il 265.La sua reale partecipazione agli avvenimenti ecclesiastici e politici incomincia dopo il 323, quando Costantino è unico imperatore e Eusebio si trova immischiato nella controversia ariana, sostenendo Ario contro il vescovo Alessandro. Perciò E. fu condannato nel concilio di Antiochia, ma a Nicea, per accondiscendere al desiderio di Costantino che lo aveva sostenuto, egli accettò il celebre Credo che definiva il Figlio “ consustanziale al Padre”. La fama di Eusebio è particolarmente legata alla “Storia ecclesiastica”: dove egli vuole dare un racconto completo degli avvenimenti compendiati nella “Cronaca”, allo scopo di narrare la serie dei successori degli apostoli, con i vescovi delle sedi più insigni e con i maestri che in ogni generazione hanno annunziato la parola divina a voce o per scritto; gli eretici; le sventure con cui sono stati puniti i Giudei; le lotte sostenute dalla parola divina contro i pagani; coloro che per essa hanno versato il sangue e sofferto supplizi e martiri contemporanei; infine il soccorso misericordioso e clemente concesso dal Salvatore. (Cfr. Enciclopedia Italiana Treccani, vol.XIV/1932, pp.646-648). 35- Cfr. Eusebio di Cesarea, Evangelikè apodeixis, 1,8,1-3. 36-EPIFANIO DI SALAMINA: santo. Vescovo e scrittore del sec. IV. Nacque a Besandirke, oggi Besanduc, in Palestina. Ancora giovane andò in Egitto perché attratto dal fervore dei monasteri copti. Tornato in patria fondò un monastero. Nel 367 fu eletto metropolita di Cipro e consacrato vescovo di Salamina. Lottò contro Origene, attaccò anche Giovanni Crisostomo, accusato di origenismo estremista, essendo stato mal informato. Morì nel 303 tornando da Cipro.(Cfr. Enciclopedia Italiana Treccani, vol.XIV/1932, p.64). 37- Cfr. Epifanio di Salamina, Panarion, 59, 4, 1-7. 38 GREGORIO DI NAZIANZO = santo. Nacque fra il 325 e il 330 a Nazianzo o Diocesarea in Cappadocia, quando il padre, Gregorio, era già vescovo di Nazianzo. A lungo il suo animo fu diviso tra l’ispirazione alla vita religiosa in solitudine e l’amore per la letteratura e l’insegnamento: entrambe manifestazioni di una fondamentale avversione per la vita e l’attività pratica, specie se rendessero necessario il lottare. Tutta la vita di G. è un alternarsi di momenti in cui egli cede alle circostanze o pressioni altrui che lo chiamano all’azione e di momenti in cui, obbedendo al proprio impulso, si ritira nella contemplazione. Alternò periodi in cui visse presso Basilio nel Ponto, ad altri in cui, ordinato sacerdote, aiutò il padre a governare la chiesa di Nazianzo. Morì nella sua terra d’Arianzo, ove si era ritirato, nel 389 o 390. (Cfr. Enciclopedia Italiana Treccani, vol.XVII/1933, p.927). 39- Cfr. Gregorio Nazianzeno il Giovane, Logos, 4,26. 40-Cfr. Timoteo di Alessandria, Joannu, 2,242 s; cfr. 1Cor 7,5. 41-Cfr. Denzinger-Schonmetzer, Enchiridion Symbolorum Definitionum et Declarationun de rebus fidei et morum, Herder, p.73-74. 42-L’attività religiosa di Damaso si rivolse soprattutto ad eliminare quanto rimaneva di arianesimo, continuando la condotta conciliante di papa Liberio, diretta però a raccogliere tutti i vescovi nell’unità dei decreti niceni. (Cfr. Enciclopedia Italiana Treccani, vol.XII/1931, p.273). 43-1 Cor. 7,29, Rom. 13,14 e 1 Cor. 7,7. 44- Queste religioni orientali pretendevano ridare la purezza perduta. Si credeva che i loro riti rigenerassero gli iniziati e ridessero una vita immacolata e incorruttibile. L’astinenza che impediva di introdurre elementi eccessivi nel corpo e la castità che preservava l’uomo dalla polluzione e dalla debolezza erano mezzi per liberarsi dal dominio dei poteri maligni e per riguadagnare il favore del cielo “ (cfr. Franz Cumont, Orientals Religions in Roman Paganism, Dover, New York, 1956, pp. 39 ss.) 45-Cfr. Damaso, Decretale per i Vescovi della Gallia, 2,5-6 46-Cfr. Graziano, (Concordantia Discordantia Canonum) (1140). 47-Secondo Concilio Lateranense (1139) - Pontefice Innocenzo II - Conferma il trionfo di Innocenzo II contro l’antipapa Anacleto II. Condanna gli errori di Arnaldo da Brescia e di Pietro di Bruys. (Cfr. Enciclopedia Italiana Treccani, Vol.XI/1931, p.67) 48- Cfr. anche Conc. Claromontanum (1130), c.4 (Msi 21,438); conc. Remense (1131), c. 4 (Msi 21,458); c. 2 D. XXVIII (Fr 1,101).8 Cfr. Conciliorum Oecumenicorum Decreta, a cura dell’Istituto per le scienze religiose, EDB,Bologna, 1962, p.198) 49-Il Concilio Lateranense IV (1215) - Pontefice Innocenzo III- Oltre alla condanna degli Albigesi e di altri eretici, decreta l’organizzazione di una crociata e sancisce una serie di canoni che formano la base della disciplina moderna. In particolare rivede l’organizzazione ecclesiastica sugli impedimenti matrimoniali, e impone ai fedeli l’obbligo della confessione annua e della comunione pasquale (Denzinger, 428 ss.) (Cfr. Enciclopedia Italiana Treccani, vol. XI/1931, p.67). Si tratta di una formulazione decisiva e finora definitiva della legge del celibato. Tuttavia la legge fissò non tanto un principio di scelta, ma un impedimento che rendesse, d’ora in poi, nullo il matrimonio del sacerdote. Inoltre il concilio dichiarò nulli tutti i matrimoni dei sacerdoti, compresi quelli già contratti “ affinché la legge dell’astinenza e la purezza gradita a Dio si diffondesse tra le persone ecclesiastiche”. Questi matrimoni non meritavano nemmeno il nome di “matrimonio”, perché ora, non solo erano illeciti, ma anche nulli. Tuttavia il Concilio affermò solo indirettamente che la purezza gradita a Dio è raggiungibile unicamente fuori del matrimonio, in quanto afferma che la passione matrimoniale è impura. Un modo di pensare che corrispondeva alla dottrina teologica medioevale: “Nessun concepimento senza peccato”( cfr. Conciliorum Oecumenicorum Decreta, a cura dell’Istituto per le scienze religiose, EDB,Bologna, 1962, p. 198). Tuttavia va fatto notare che questa affermazione del Concilio è in contrasto con la stessa sacramentalità del matrimonio: &nb! sp; ; “Respingiamo come eretici coloro che, simulando religiosità, condannano il sacramento dell’Eucaristia, il battesimo dei bambini, il sacerdozio e il legittimo patto del matrimonio”. Infatti, nessuna regola ecclesiastica può mai abrogare un diritto divino [nullum ius humanum contra ius divinum praevalet] (cfr. A. Van Hove, Commentarium Lovaniense in Codicem Iuris Canonici I, I, Prolegomena, Mechlinae, Romae 1945, 51). 50 Cfr.Conciliorum Oecumenicorum Decreta, a cura dell’Istituto di scienze religiose, EDB, Bologna, 1962, p.242. 51-Cfr. R. Gryson, Les origines du célibat ecclésiastique du primier au septième siècle,Gembloux 1970 ; F. Liotta, La continenza dei chierici nel pensiero canonistico classico da Graziano a Gregorio IX, Milano 1971. 52-Hefele-Leclerq, Histoire des Conciles, X, 507. Cfr. E. Ferasin, Matrimonio e Celibato al concilio di Trento, Roma 1970. 53-Cfr. Concilio di Trento, Capit. XIV, Sess. XXV. 54-Concil. Trid., IX, n. 5, 380. 55-Cfr. P. Delhaye, “Brèves remarques historiques sur la législation du célibat ecclésiastique, in Studia Moralia 3 (1965), 389-394. 56-Cfr. Conc. Trid., IX, 640. 57-Cfr. Conc. Trid., IX, 968 (Denz.-Schon,1809,1810) 58- Schannat- Hartzheim, Concilia Germaniae, IX, 351-352. 59-Cfr. F. Gaquére, Le Dialogue irénique Bossuet-Libnitz: La réunion des églises en échec (1691-1702), Paris 1966. 60-Cfr. G. Schweiger, L’Illuminismo nella visione cattolica, in Concilium, ed. it. 7/1967, 101-118) 61-Cfr. A.De Roskovany, De caelibatu et breviario, IV, n. 1065-1795; Vol.VII, n. 5023b-5312. 62-Cfr. Monnier, Les constitutions de la France depuis 1789, Paris 1898. 63- Cfr. H. Grégoire, Histoire du mariage des pretres en France, particulièrement depuis 1789, Paris 1826, 109. 64- Cfr. S. Delacroix, La réorganisation de l’Eglise de France après la Revolution, 1801-1809, Paris I (1962), cap. 29:” La réconciliation des pretres et religieux mariés”, 443-456 65-Cfr. J.A. Abbo, The problem of Lapsed Priests, in The Jurist 23 (1963), 153-179. 66-Cfr. H. Savon, Introduzione a Johann Adam Mohler, Queriniana, Brescia 1966. 67- Cfr. H. Savon, Introduzione a Johann Adam Mohler, Queriniana, Brescia 1966. 68- Cfr. Acta Gregorii Papae, Roma 1901, I, 169-174. 69-Cfr. Acta Pii IX Pontificis Maximi, Roma 1854, I, 13. 70-Cfr. Acta Pii IX, n. 74, 715, Cfr. Denz.Schon, 2974. 71-Cfr. W. Talmadge, Letters from Florence on the Religious Reform Movements, London 1866. 72- Cfr. Collectio Lacensis, Freiburg 1890, VII, 1137-1144. 73- Cfr. C.B. Moss, The Old Catholic Movement: Its Origins and History, London 1948, 234 ss. 74- Cfr. A. Plummer, The Expositor, 2 (1980), 470. Cfr. H. Thurston, Celibacy of the Clergy, in Catholic Encyclopedia, III, Nw York 1908, 481- 482. 75- Cfr. H. Hoffmann, Lex. Theol. Kir., 10 81965), 15. 76- Cfr. Acta Apostolicae Sedis 40 (1907), 631-632. 77- Cfr. L’ami du clergé 53 (1956), 312. 78- Cfr. “On certain Central Needs”, Essay and Address, II (1926), London, 94. 79- Cfr. Selected Letters 1896-1924, a cura di B. Holland, New York 1928, 142, 183-185. 80-Cfr. Il can. 132, §1 recita: “Ai chierici che hanno ricevuto gli ordini maggiori (suddiaconato, diaconato e sacerdozio) non è permesso sposarsi, ed hanno un obbligo realmente grave di osservare la castità che, se peccano contro di essa, sono pure colpevoli di sacrilegio”. A questa norma principale si affiancano anche altre disposizioni correlative: - un uomo sposato che riceva gli ordini maggiori senza dispensa, anche se in buona fede (credendo per es. che sua moglie sia morta) non può esercitare il sacro ministero (can. 132 § 3); - Gli ecclesiastici devono evitare con cura di dare alloggio o di associarsi abitualmente con donne che possono destare sospetti (can. 133, §1); - Spetta al vescovo giudicare se queste relazioni possano essere motivo di scandalo o pericolo di incontinenza. In tal caso può proibirle. Chi non tiene conto del suo divieto si presume che viva in concubinato e può essere sospeso a divinis e privato di ogni reddito (can. 133 §3 e §4- cfr can 2176 ss. e 2358, § 1); - I chierici in sacris che presumono di sposarsi, contraggono un matrimonio invalido, e quelli che osano contrarre un matrimonio civile sono scomunicati ipso facto, non possono esercitare il loro ordine né riceverne altri (can. 1072; 2388, §1; 985)[80]; - L’ordinazione ricevuta validamente resta sempre valida. Se uno, dopo aver ricevuto gli ordini maggiori, fosse ridotto alla stato laicale, deve osservare il celibato, a meno che non venga dispensato direttamente dal romano Pontefice (can. 211 ss.) 81- Cfr. Benedetto XV, Allocuzione 16 dicembre 1920 (AAS 12,585-588) 82- Cfr.AAS 12 (1920), 33; AAS 12 (1920), 37. 83- Cfr. Monitor Ecclesiasticus 84 (1959) 389-392. 84- Cfr. J. Lynch, Critica del celibato nella chiesa cattolica, in Concilium, Anno VIII, fascicolo 8 (1972), pp.77 - 97 (Trad. dall’inglese di Cherubino Guzzetti). 85- Cfr. Presbyterorum. Ordinis. 16 86-Cfr. AAS 23 (1931) 127. 87-Cfr. AAS 64 (1972) 539. [88] Cfr. Concilio Vaticano II, Costituzione sulla Chiesa(Lumen Gentium), 29. [89] Cfr. Sacrum Diaconatum Ordinem, III, 18 giugno 1967, AAS., 59 (1967), 701. Lunedì, 29 novembre 2004 |