Fonte: http://www.liberazione.it/
Un appello come molti alla creazione di un gruppo di auto-aiuto per donne: si chiama "lamore negato"e la lettera che sta girando in rete comincia così: "Carissime amiche, siamo Stefania e Cristina, due donne che si sono conosciute attraverso il sito Donne-Così e che hanno vissuto due storie diverse, ma drammaticamente uguali. Così come saranno uguali e diverse le vostre storie, quelle che avete vissuto o che state vivendo. Sono storie di amore negato, coltivato nel cuore come dono prezioso, ma al contempo rifiutato, nascosto e umiliato. Intendiamo proporre a tutte voi degli incontri periodici per conoscerci, guardarci negli occhi e confrontarci nella comprensione, nel riconoscimento, nellaiuto reciproco". Fin qui si potrebbe pensare ad una forma di sostegno relativa a quella sindrome molto ben indagata da Robin Norwood nel suo Donne che amano troppo , un testo chiave nella storia del femminismo mondiale, che in Italia arrivò negli anni ‘80 e che aiutò migliaia di donne a capire come lamare troppo sia una vera e propria forma di malattia da dipendenza, analoga a quella legata a droga, nicotina, farmaci o alcool. Ma nellappello di Stefania e Cristina cè un di più importante, perché lamore negato, lamore problematico, spesso infelice e talvolta in eccesso non è quello verso un uomo qualunque, magari occupato con unaltra, o lontano, o diverso per età o cultura, ma quello che coinvolge un prete, un uomo cioè che ha lobbligo del celibato, e per il quale la religione stabilisce che lamore passionale verso una donna è impossibile, un peccato, pena la scomunica nella vita terrena e linferno dopo la morte, qualcosa insomma di molto lontano dalla romantica versione televisiva di Uccelli di rovo . Il breve testo di convocazione della prima riunione voluta da Stefania e da Cristina continua così: "Il nostro invito è rivolto a tutte le donne che hanno avuto a che fare con lamore per un prete o religioso, e lo scopo non è smettere di amare, ma acquisire la consapevolezza che non si è sole. Lobiettivo è ritrovare insieme il nostro valore reale, di persone, di donne, di amanti (cioè individui che amano) per riconoscere ciò che siamo: un dono, un dono damore!". Stefania, 39 anni, credente, racconta la sua storia. "Sono credente, e lo sono oggi più di quanto lo fossi quando mi sono innamorata. Lo dico perché esperienze di questo tipo molto spesso allontanano dalla fede, mentre per me il dolore e la fatica hanno segnato un punto di svolta, aperto porte che non credevo esistessero su mondi sconosciuti che mi hanno fatto capire che da una parte cè la fede, e dallaltra cè la religione. La religione è quella che ci hanno inculcato, a scuola o in chiesa, un insieme di regole e leggi che non hanno nulla a che vedere con le parole di Cristo, e con il percorso personalissimo che ogni persona compie nella vita per accogliere il Vangelo". Ma come ci si sente quando si ama un prete, e come avviene che, da devota e confessore, si superi quel limite sottile che rivela lingombro del corpo e dei sentimenti? "Ti senti come una fuorilegge. Per me la rivelazione non è stata difficile, ho un carattere estroverso e non ho mai avuto remore nel provare un sentimento damore: penso che non ci sia nulla di cui vergognarsi. Ma daltra parte ti devi rendere conto che in gioco ci sono scelte pesanti che altri hanno fatto, ti scontri con qualcosa a cui non sei preparata. La sua reazione al mio dirgli che ero innamorata di lui è stata quella classica alla quale educano i preti. Non è nulla, è un momento che passa, io capisco. La tipica risposta del dispensatore di consigli, di sacramenti: un ruolo, non più una persona, un essere umano. Questo è ciò a cui educano i giovani in seminario, nessuno li prepara al fatto che il resto delle persone ha un corpo, che loro stessi sono corpo e che non basta ignorare la realtà per cambiarla". Stefania parla di come, nei quasi cinque anni di una relazione mai approdata a nulla, ma pesantemente presente nella sua vita, si sia sentita una macchia, il capo di una corda tesa tra il sempre e il mai, convinta che lamore per una donna non sia inconciliabile con la fede, incapace di accettare che loggetto del suo amore le potesse un giorno dire di sentirsi un uomo e un prete a metà. "Il tempo mi ha aiutata a stare meglio, ma cinque anni fa la vita sarebbe stata diversa se, in piena crisi, avessi trovato un luogo che mi aiutasse a sopportare, a capire, a condividere. Mi sono messa a studiare il diritto canonico, so che il celibato è una grande bugia che non ha alcuna storia. So che su questa realtà, che coinvolge almeno il sessanta per cento dei sacerdoti in Italia, secondo le ricerche fatte dalle associazioni dei preti sposati, la legge del silenzio regna sovrana. Il prete di solito impone il silenzio alla donna perché non vuole scandali, perché la sua carriera ecclesiastica deve essere limpida come lacqua. Il vescovo, di solito, quando viene a conoscenza di queste situazioni prende il prete, lo sposta e gli dà una bella promozione, facendogli credere che è lo Spirito Santo, Dio stesso che vuole che lui perseveri senza distrazioni. Ci sono anche storie andate a buon fine, intendiamoci, ma, purtroppo ci si può riferire prevalentemente a preti che hanno lasciato. Mentre la svolta sarebbe che tutti i preti/frati innamorati andassero a braccetto con la fidanzata a piazza S. Pietro per far capire alla gerarchia ecclesiastica che lamore per una donna non è in contrasto col ministero presbiterale. E questo la Chiesa lo sa, tantè che negli ultimi ventanni, senza che nessuno lo sapesse, sono stati circa duecento i preti sposati convertiti al cattolicesimo da altre religioni che consentono il matrimonio reintegrati con le loro mogli, trovando vari aggiustamenti in silenzio per non perdere vocazioni e ministri. La Chiesa sa bene anche che ogni essere umano nasce da un atto fisico, sessuale, e che se Dio non avesse voluto non ci avrebbe dato il piacere per dare e ricevere amore. Mi sono sentita per tanto tempo una malattia: per questo vorrei che altre donne non passassero quello che ho subìto io. Letimologia della parola "consacrato" non significa riservato a Dio, ma "separato dalla sfera del male"; quindi tutte le persone, che percorrono un cammino di allontanamento del male sono consacrate, e sono sacre. Tutte le persone, nessuna esclusa, qualunque sia il loro amore".
05/07/2007
Venerdì, 06 luglio 2007
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