Il coraggio di amare: riflessioni di un prete sposato sul matrimonio.
Come prepararsi al matrimonio e come vivere la vita di coppia
di p. Nadir Giuseppe Perin
La prima cosa che molte persone dicono, quando leggono o sentono che un prete si è sposato è che “ ha fatto bene, perché anche lui è un uomo come tutti gli altri” che si sposano perché si sentono attratti dalle donne. D’altra parte, il matrimonio, come dice la stessa Parola di Dio, è considerato come il “rimedio della concupiscenza”, per cui “è meglio sposarsi che bruciare” ! Io penso, invece, che se sono queste le motivazioni che spingono l’uomo o la donna a sposarsi, non bisogna poi meravigliarsi se tanti matrimoni vanno a rotoli, se ci siano tante separazioni o tanti divorzi. Non solo nella categoria dei laici, ma anche in quella dei preti sposati. Raramente, per non dire quasi mai ho sentito qualcuno affermare che ci si sposa per rispondere ad una chiamata di Dio, per attuare assieme alla donna che si ama un progetto di vita liberamente scelto. Ebbene, come prete sposato, cercherò di rispondere ad alcune domande in modo da capire meglio cosa sia il matrimonio e come ci si debba preparare. La prima cosa che dobbiamo fare è quella di prepararsi al matrimonio, alla stessa maniera e con la stessa serietà con cui ci si prepara professionalmente ad un lavoro, all’esercizio di una professione. Il che comporta fare un cammino durante il quale noi dobbiamo sviluppare la nostra capacità di pensare, la capacità di volere e la capacità di amare.Tutto questo richiede tempo per assimilare le esperienze, perché la formazione è un processo organico, per cui un aspetto influisce sugli altri: crescono o decrescono contemporaneamente. L’essere umano, infatti, per vivere la sua vita con equilibrio e nel massimo delle sue potenzialità, deve sviluppare sia la sua capacità di pensare, perché l’intelligenza gli permette di non fermarsi all’approccio superficiale ed immediato delle persone, delle cose, degli eventi, ma di cogliere dall’interno il significato, il senso ed i valori di tutto quello che lo circonda; sia la sua capacità di volere, perché la volontà costruisce la coerenza personale della persona umana, creando i legami tra i suoi pensieri e i suoi atti, l’unità tra pensiero ed azione; liberandolo progressivamente dal ripiegamento su sé stesso, per entrare in solidarietà con gli altri, elaborando un’etica di libertà responsabile e rispettosa dell’altro; sia la sua capacità di amare : (la maturità affettiva e sessuale riguarda proprio la facoltà di amare) dove le risorse di intelligenza e di volontà della persona umana trovano il loro coronamento. Tuttavia, imparare ad amare veramente non è semplice né facile, perché l’amore non è una realtà statica, ma in divenire. L’amore coniugale è la risonanza interna di un processo di stupore sul mondo, di conoscenza creativa, di un continuo rinnovamento. Un uomo e una donna possono restare uniti dall’abitudine, dalla tenerezza, dall’aiuto reciproco, dal fatto di avere costruito delle cose in comune, ma soltanto se sono riscaldati dall’amore riescono a dare un senso e una direzione all’energia creativa del cambiamento, fatto di quella curiosità del nuovo, di quel sogno di trascendenza, di quella continua ricerca del “di più” a cui diamo, di volta in volta, il nome di curiosità, erotismo, slancio vitale, desiderio di conquista, fede, o aspirazione all’Assoluto. L’amore coniugale nella coppia umana si sviluppa ed si approfondisce, se ciascuno dei due sposi riuscirà, per tutti i giorni della vita, ad apprezzare, ad ammirare la persona amata per quello che essa è, restando unica e non confrontabile con nessun altro; se ciascuno continuerà a cercare sé stesso, la propria verità, la propria essenza, con sincerità, con pulizia morale e si metterà contemporaneamente all’ascolto e al servizio dell’altro, diventando uno strumento della sua ricerca e della sua valorizzazione. Quindi, quando parlo di educazione come di un processo organico intendo dire che questo cammino di formazione deve riguardare tutto l’uomo: la sua intelligenza, la sua volontà, ed il suo cuore (l’amore). Queste tre facoltà dell’uomo devono maturare contemporaneamente, proprio perché “maturità” significa “capacità di scegliere e ri-scegliere in maniera autonoma, consapevole e libera, nell’azione quotidiana, i valori oggettivi della propria vita di persona sposata, adeguandovi la soggettività. Ma come si fa a scegliere o riscegliere se con le persone, con le cose e con gli eventi si riesce ad avere soltanto degli approcci superficiali e non si coglie il significato profondo, il senso ed i valori di quello che ci circonda ? Come faccio ad essere una persona coerente se non riesco a creare dei legami tra i miei pensieri e le mie azioni che da essi sono ispirate ? Come posso essere solidale con gli altri, rispettare la loro libertà, assumere un atteggiamento responsabile nei confronti di quello che mi circonda, se io vedo, voglio e cerco solo me stesso? Come faccio ad amare veramente se non mi accorgo nemmeno di coloro che ho vicino e mi stanno accanto ? Per questo è necessario lavorare contemporaneamente sull’intelligenza, la volontà e sull’amore. Inoltre, la formazione oltre che essere un processo organico è anche un processo dinamico e non statico, perché dura per tutta la vita. Per questo quando due persone si sposano non possono pensare di essere già un marito perfetto o una sposa perfetta, perché hanno appena iniziato, come coppia, un cammino quotidiano di conversione al dono ricevuto, cioè alla vocazione matrimoniale, che richiede :
Ho sottolineato, poi, come sia necessario, per poter raggiungere la maturità di persona sposata, tener presente i tre livelli che contribuiscono alla sua realizzazione: - Anzitutto i due sposi devono aver presente che lo “sposarsi” è un’azione, attraverso la quale essi sono chiamati ad esercitare il ministero di genitori, secondo il progetto di Dio; persone che amandosi donano la vita ad altri esseri umani. Il disegno di Dio riservato a tutti coloro che sono chiamati a celebrare il sacramento del matrimonio, dà all’amore coniugale la caratteristica di una insopprimibile “vocazione” all’unità, una esigenza alla quale corrispondere. Infatti, la “comunione coniugale” fa dei due “una carne sola”, costituendo nello stesso tempo il progetto di vita o l’ideale verso il quale gli sposi dovranno camminare responsabilmente e senza sosta. L’unica grande legge dell’esistenza coniugale, infatti, è quella che “ la coppia diventi ciò che è”, cioè una comunione di persone, originale e caratteristica. Questo interiore cammino di fede è osteggiato da numerose difficoltà, per cui gli sposi devono impegnarsi al “dialogo” come strumento semplice, ma indispensabile per riuscire a promuovere tra di loro quella profonda “comunicazione” delle persone che sola può favorire la crescita della coppia. Spesso occorre una forza non comune perché tale dialogo abbia il suo legittimo e necessario “spazio” all’interno di tanti impegni che la vita in comune comporta, così come occorre coraggio perché tale dialogo si mantenga anche nelle difficoltà dovute a forme di incomprensione, di insincerità, di ostinazione nelle proprie posizioni… - Gli sposi, inoltre, devono essere consapevoli (consapevolezza) del mistero che opera nel loro ministero. Devono, cioè, essere consapevoli della presenza di Cristo sposo, all’interno della loro vita di coppia, e cercare di conformarsi a Lui, cioè di “prendere la forma di Cristo sposo” : ”Come Cristo ama la sua sposa, la Chiesa, così il marito ami la propria moglie”. Cristo rende feconda la sua sposa e quindi la rende madre di tanti figli, attraverso il battesimo. Lo sposo rende feconda la sua sposa, amandola “… e i due saranno una sola carne”. La vita di coppia, per non diventare traumatica, ha bisogno di essere vissuta, giorno per giorno, alla presenza di un Altro che è Dio. Solo Lui, infatti, può essere il garante dell’amore fedele che non ha fine, il custode della dignità di due persone che nell’amore si donano e si affidano all’altro essere umano, fallibile e finito. Egli è l’adempimento ultimo della promessa senza fine, insita nell’amore, ma che non potremmo mai mantenere se dovessimo trarre, unicamente da noi stessi, una pienezza così suprema. Attraverso la grazia del sacramento del matrimonio, Dio diventa per gli sposi cristiani :
Ma, la consapevolezza delle motivazioni che ci spingono a compiere determinate azioni può essere diversa. Uno dei drammi più dolorosi consiste nel fatto che spesso l’azione di sposarsi, e quindi il proprio ministero di genitori, viene compiuto senza la consapevolezza che le è propria, cioè di essere in quel momento la forma di Cristo sposo. Di conseguenza anche la decisione della libertà, avverrà secondo la consapevolezza che si ha di fatto e non secondo quella oggettiva, con il risultato che quell’azione (“il diventare sposi”), viene svuotata di significato. Quante persone si sposano perché si sentono attratte reciprocamente solo fisicamente? Non è forse vero che il loro “sentirsi innamorati” poggia spesso su basi molto superficiali? E che, in realtà, iniziano il loro cammino di vita senza conoscersi a fondo ? Che il loro innamoramento dura finché dura l’attrazione fisica? E quando questa si smorza le coppie si “scoppiano” ed ognuno va per conto suo, nel senso che si comincia a perdersi di vista, pur rimando coppia di fatto ? Dalla scuola e dalla propria esperienza ognuno di noi ha imparato che ogni organismo vive, solo se le sue cellule si rinnovano continuamente. La vita, infatti, è un rinnovamento, una ricerca e un’ascesa continua. Lo stesso vale anche per la coppia che riuscirà a vivere in pienezza il suo matrimonio, se riuscirà a dare alla sua vita uno sbocco, una meta e un traguardo da raggiungere insieme. La coppia “innamorata” non è quella che non modifica nulla, ma quella che riscopre continuamente il suo ambiente, la sua casa, i suoi interessi, i suoi amici, i valori spirituali che Dio ha posto nelle profondità dell’animo di ogni creatura. Resta innamorata se l’energia del cambiamento e l’energia esplorativa continuano ad operare rivitalizzandola. Infatti, l’amore è l’espressione dello slancio vitale che tende verso l’alto e che definisce e valorizza la coppia nel suo compito, se è vissuta come una realtà che “ha valore e che nello stesso tempo crea valore”. Quello che invece rende fragile l’amore è la mancanza di fede e di fiducia, l’insicurezza, la meschinità, il dubbio dell’altro e quando di fronte ad ogni difficoltà si cercano delle soluzioni al di fuori di sé stessi, rompendo così l’incantesimo dell’amore che svanisce nel tempo, perché si è persa la capacità di guardarsi negli occhi con lo stupore, l’innocenza, la gioia e la delicatezza di un bimbo. Allora diventa veramente “brutto e duro tentare di fare qualcosa per la coppia e non sentirsi mai in coppia, meno che mai a casa, giorno per giorno”. Per questo è necessario andare alla scoperta dell’altro e capire chi è “l’altro” nella dualità di coppia. “E’ qualcuno che misteriosamente un giorno credi di conoscere e che il giorno dopo ti appare completamente diverso di come pensavi”. Comunque, l’altro componente della coppia, non deve essere considerato come un intruso, un concorrente che bisogna evitare, un servo che bisogna sapere addomesticare ai nostri fini, un oggetto da disporre a piacimento e sul quale esercitare il nostro dominio. L’altro è, invece, una persona responsabile, autore della sua storia, come io lo sono della mia, contro ogni tipo di manipolazione. Infatti, nella vita di coppia, l’impegno dell’io è proprio quello di aiutare il tu (l’altro) a riscoprire di “essere il soggetto” e non “l’oggetto” della sua storia, rifiutando il ruolo di “recettore passivo”, perché, solo così, l’altro (il tu) diventerà capace di maturarsi, di realizzarsi e di umanizzarsi. Attraverso questa presa di coscienza e il conseguente impegno, la coppia costruisce, giorno dopo giorno, se stessa, in un movimento di reciprocità dove il dialogo diventa presenza operante dell’altro a me e, presenza di me all’altro. E’ quello che ci insegna la Parola di Dio. “Rivestitevi dunque, come eletti di Dio, santi ed amati, di misericordia del cuore, di benevolenza, di umiltà, di mitezza, di pazienza. Sopportatevi e perdonatevi a vicenda, se l’uno ha di che dolersi dell’altro. Come il Signore vi ha perdonati, così anche voi perdonate. Ma soprattutto rivestitevi di amore, che è il vincolo della perfezione” . “Non tiepidi nello zelo, ma ferventi di spirito, servite il Signore.Siate lieti nella speranza, pazienti nell’afflizione, perseveranti nella preghiera. Prendete parte delle pene degli altri cristiani. Praticate l’ospitalità. Benedite quelli che vi perseguitano, benediteli e non maledite. Rallegratevi con quelli che sono lieti, piangete con quelli che piangono. Siate di un unico sentire vicendevolmente. Non aspirate alle cose troppo alte, ma contentatevi di quelle semplici; non ritenetevi troppo saggi. Non ripagate mai male con male, cercate di fare il bene, non solo dinanzi a Dio, ma anche davanti a tutti gli uomini. Per quanto è possibile, vivete, per quello che dipende da voi, in pace con tutti gli uomini”. Tutto ciò che potete fare in parole o in opere, fatelo nel nome del Signore Gesù”. La vostra condotta sia priva di cupidigia; contentatevi di quello che avete, poiché Dio stesso ha detto: Io non ti lascerò né ti abbandonerò mai”. Certamente fare questa esperienza positiva (cioè questo cammino educativo) di crescita e di maturità, come coppia, non è facile, né basta forse una vita per riuscire ad arrivare alla meta…ma quello che conta è provarci ogni giorno, avendo la consapevolezza del proprio limite personale, evidenziato molte volte dal limite della comunità e del tempo storico in cui viviamo. A causa delle nostre sconfitte accettate, spesso cadiamo nella routine, nel pragmatismo senza anima che alla fine ci porta a vivere una vita che viene gestita dai condizionamenti fisiologici, psicologici, culturali, ecclesiali che ci privano della libertà e ci impediscono di trovare il senso della nostra vita. Per questo dicevo che è necessario che i due sposi “chiariscano, anzitutto, le verità essenziali che devono guidare la loro vita e poi intraprendano un cammino insieme per identificarsi liberamente con esse”. Ma anche questa esperienza enunciata come ideale da raggiungere (cioè chiarimento delle verità essenziali ed identificazione con esse…) richiede tempo, impegno, costanza; riconoscere i propri limiti, le cadute, le ferite, gli incidenti di percorso, ma sempre con la voglia di ricominciare… di andare avanti… “Dio, come è difficile”! - è vero, ma questa è la strada verso la santità: il fare le piccole cose di ogni giorno, guidati dall’amore di Dio e del prossimo, senza scoraggiarci per le nostre debolezze o cadute, ma con la voglia dentro di riprendere insieme il cammino che è stato interrotto a causa della debolezza umana. Quali potrebbero essere queste coordinate che costituiscono le caratteristiche dell’amore coniugale e che dovrebbe dare il ritmo ad ogni cammino di coppia? 1. Anzitutto ci vuole un impegno di reciprocità. Nessuno degli sposi deve o può aspettarsi tutto dall’altro, rimanendo in un atteggiamento passivo. Nessuno può pretendere un qualsiasi tipo di monopolio. Reciprocità significa pro-porsi vicendevolmente, attuare il vero rapporto a tu per tu, in cui nessuno sia estraneo, ma in cui ognuno prenda coscienza della propria corresponsabilità e s’impegni ad essere con-creatore della vita di famiglia. Questa è l’autentica realizzazione del riconoscersi e dell’accettarsi reciprocamente come soggetti presenti a se stessi e agli altri. Ogni essere umano, infatti, è creatore, con-creatore della propria storia e della storia dell’altro. La vocazione dell’uomo è quella di essere un soggetto responsabile. “L’uomo, è veramente uomo nella misura in cui, padrone delle proprie azioni e giudice del loro valore, diventa egli stesso autore del proprio processo, in conformità con la natura che gli ha donato il Creatore e di cui egli assume liberamente le possibilità e le esigenze”. Questo significa che ogni uomo, in un modo o nell’altro, è chiamato a prendere parte attiva alla creazione del suo futuro e di quello degli altri e che “la liberazione umana è il risultato dell’attività responsabile dell’uomo, allorquando affronta il rischio di creare un domani più umano”. Ognuno, nella ricerca della verità e nell’azione comune, nella collaborazione per costruire un mondo nuovo, diventa responsabile e corresponsabile dell’altro, in un rapporto di reciprocità. E’ il sì che ogni uomo è chiamato a pronunciare, come attore della sua storia. Un sì categorico, imperativo, per un cammino verso la scoperta di sempre nuovi aspetti della verità e verso la maturità della persona. Nella vita matrimoniale, quindi, ci si matura insieme, ma a condizione che si sappia essere disponibili l’uno all’altro. Dire di sì ad un cammino comune è dire di sì all’altro con il quale ci siamo messi in viaggio; è impegnarsi ad una reciprocità di “azione-reazione”, di un “dire-ascoltare”, in cui l’io si attua come io e il tu come tu. Infatti, è in questa reciproca individuazione che si attua il noi, cioè la solidarietà tra persone coinvolte in una stessa umanità. Ogni dialogo, infatti, è tale solo se i due si riconoscono e si accettano liberamente e responsabilmente come soggetti e non l’uno come oggetto dell’altro. Il fondamento di questo, è la libertà dell’uomo di ri-creare e rinnovare il suo mondo e se stesso, in conformità con la sua scelta. Ogni volta che nel dialogo si lede questo principio, l’altro diventa “oggetto”; e quando il mutismo, l’assenteismo e la passività subentrano nella vita di coppia, viene compromesso ogni tipo di incontro costruttivo. L’impegno di reciprocità è prima di tutto, un impegno a riconoscere e ad accettare l’altro come essere libero e insostituibile di sé, occupante cioè un posto storico in cui nessun altro potrà mai sostituirlo, in quanto egli stesso non potrà mai accettare l’ipotesi di essere “oggetto” della sua storia per non venire meno alla sua natura. In secondo luogo, tale impegno aiuta la coppia ad essere resistente all’usura del tempo perché abitua ad andare all’altro con una mentalità che non sia ristretta, egoistica, ma aperta e capace di dialogo. 2. Ci deve essere il rispetto reciproco. E’ lo stesso impegno di reciprocità che richiama quello del rispetto perché la ferma volontà di realizzarsi insieme non può essere separata da un vicendevole e autentico rispetto. Dove c’è vero rapporto umano, c’è sempre il rispetto sincero dell’uno per l’altro, perché ognuno considera l’altro come portatore di un messaggio da comunicare, anzi considera l’altro stesso come un messaggio. La prima condizione per attuare il rispetto reciproco è quella di non considerare l’io come fine e il tu come mezzo, ma ognuno deve riconoscere l’altro come principio dialogico e come tale rispettarlo. Dal rispetto, infatti, nasce l’amore come volontà a due. Nel rispetto, l’amore si fa dialogo. Se manca questo rispetto, l’io si fa dominatore e il tu diventa dominato, oggetto, cosa, questo; viene meno ogni rapporto di reciprocità io-tu, quali persone e soggetti liberi e operanti e si instaura un rapporto io-questo. Nell’amore-rispettoso non esiste un soggetto che domina, attraverso la conquista, e un oggetto che viene dominato. Ci sono invece due soggetti che si incontrano per dare un nome al mondo, in vista della sua trasformazione. Il rispetto è una delle componenti essenziali di ogni espressione dell’amore umano. Incontro, dialogo, amicizia, matrimonio, rapporti parentali ed educativi, si fondano e si mantengono soltanto sul rispetto reciproco. Il suo significato esula da qualsiasi forma di timore, ma denota, invece, la capacità di vedere una persona com’è, di conoscerne la sua individualità; di desiderare che l’altra persona cresca e si sviluppi per quello che è. Il rispetto, escludendo ogni sfruttamento esige una disponibilità tale da permettere che l’altro cresca e si sviluppi secondo i suoi desideri, secondo i suoi mezzi e mai allo scopo di servirmi. Per questo diventa possibile solo se si possiede una maturazione di indipendenza; se si può stare in piedi e camminare con le proprie forze, senza dover dominare o sfruttare nessuno. Il rispetto, infatti, presuppone la libertà e cresce con la libertà, perché l’amore è figlio della libertà, sia propria che altrui, mai del dominio. Soltanto attraverso la convinzione che l’altro sceglie liberamente il suo destino terreno ed eterno e i mezzi per perseguirlo, riesco a crearmi una disponibilità al rispetto della sua persona, delle sue scelte, delle sue operazioni, delle sue opinioni come delle sue convinzioni. Il rispetto è quel senso maturo e profondo dell’amore vero che, pur unificando due persone, permette loro di essere, di vivere e di operare come persone singole, nella libertà. Proprio perché permette ad ognuno la libera espressione della propria personalità e, nello stesso tempo, favorisce e sviluppa l’impegno reciproco alla collaborazione che integra l’apporto di ognuno. Il rispetto è una ricchezza che merita di essere posseduta. Ma, come ogni ricchezza, anch’esso è opera di conquista personale, quindi di sforzo continuo. Sforzo nel concretizzare il rispetto nella comprensione reciproca, attraverso una sintonizzazione sempre più perfetta; in uno spirito attento e aperto a penetrare l’uno il mondo dell’altro; nell’interesse autentico per le scelte e le responsabilità che ci si assume; nella disponibilità ad ogni richiesta di consiglio, di incoraggiamento e di aiuto concreto, perché ognuno sia veramente creatore della sua storia. 3. E’ essenziale l’amore-dialogo. L’amore è come il lievito. Esso permea ogni incontro umano, tanto più quello di coppia e trasforma l’incontro in vita. L’ incontro di coppia, cioè la vita di coppia è la volontà libera e responsabile di realizzarsi, di costruire la storia umana nell’impegno reciproco, in un clima di fiducia reciproca; è capacità di ricostruire gli animi nell’amore e nel rispetto concreto della persona, prendendo coscienza di essere soggetti e non oggetti, gli uni degli altri, imparando a rispettarsi come tali e assumendosene le conseguenti responsabilità. L’amore costruisce i rapporti tra due soggetti e non di un soggetto verso l’altro considerato come oggetto d’amore. Amare l’altro come soggetto e amarsi vicendevolmente come soggetti, significa realizzare il dialogo nella espressione più alta del rispetto reciproco della personalità. Amare, di fatto, è “uscire dalla cella della solitudine, dell’isolamento, costituita dallo stato di narcisismo ed egocentrismo” ed entrare nel mondo della solidarietà, dell’impegno di reciprocità, della comunicazione attiva e corresponsabile, del dialogo con l’altro. Ma la condizione essenziale affinché l’amore dell’uno verso l’altro sia veramente tale e si realizzi come orientamento reciproco è scoprire le diverse facce della verità e poter esprimere la capacità creativa di ciascun soggetto, diventando così la forma più alta di comunicazione. Attraverso la propria capacità di discernere, di esprimersi, di mettersi reciprocamente a confronto, ognuno si scopre di essere una parte vitale del rapporto dialogico e non qualcosa al di fuori, di esterno ad esso. Nell’atto di proporsi reciproco, attraverso gli incontri e gli scontri, le opposizioni e le approvazioni, le riflessioni e le critiche, le scelte e le decisioni, l’organizzazione e l’azione, ogni soggetto si scopre creatore con l’altro e costruttore dell’uomo come uomo. Questa è la legge della vita che rende possibile a due persone di potersi realizzare in questo movimento di azione-reazione di amore, un movimento in cui è impegnata tutta la persona umana. Anche la realizzazione di questo amore dal carattere dialogico non è facile, anzi è molto difficile perché richiede uno spirito di povertà non indifferente e una capacità di saper scoprire nell’altro sempre qualcosa di nuovo. L’amore per l’altro, infatti, è legato alla sua novità e il “riscoprirsi nuovi ogni giorno” diventa un impegno costante della coppia, un’attitudine permanente dell’uno verso l’altro, che ha il significato di apertura reciproca nella piena disponibilità a darsi e a ricevere totalmente l’altro. “Entrare in dialogo”, allora, significa riconoscere se stessi come soggetto di esso, ma, nello stesso tempo e alla stessa maniera, riconoscere anche l’altro come soggetto. In questo modo la coppia si inserisce liberamente nella storia, operando insieme delle scelte capaci di rendere ciascuno dei due, creatori e con-creatori della loro storia. Invece, capita spesso che nella vita di coppia si ha il timore di esprimere se stessi e di manifestare il proprio mondo di esperienze e di idee, perché non si è ancora sufficientemente convinti che ciò che esprimiamo, è sempre un apporto ed un contributo, anche se in grado minimo, alla realizzazione del dialogo; e che ogni scambio autentico è una ricchezza e un arricchimento per chi coopera attivamente. Ciò che bisognerebbe evitare in questo “gioco dialogico” è quel atteggiamento paternalistico che ci fa sentire “responsabili degli altri”, ma poco “responsabili con gli altri”. Il vero arricchimento reciproco si attua quando ogni soggetto della coppia mette in comune tutto ciò che è e tutto ciò che ha. Non sono io che devo arricchire paternalisticamente l’altro, ma siamo noi che dobbiamo arricchirci insieme e vicendevolmente. Ognuno ha le sue proprie ricchezze, le proprie capacità e i suoi doni particolari che sono il contributo per realizzare una creazione comune. Questo impegno di reciprocità non è facile da realizzare. Esso implica un serio esame di coscienza o un’autocritica continua che ci spinge ad uscire da noi stessi per comprendere l’altro, ma senza cadere nell’atteggiamento di voler fare tutto per l’altro. Questa disponibilità di ciascun componente della coppia diventa, nel tempo, un orientamento continuo e costante ad essere con l’altro, vivere con l’altro e agire con l’altro, piuttosto che “essere per”…”vivere per”…”agire per” l’altro. Ognuno di noi impara dall’esperienza che, nonostante la grazia sacramentale data da Dio agli sposi che celebrano il sacramento del matrimonio, la vita matrimoniale non è una realtà facile da vivere con pienezza e nella totalità del dono di se stessi all’altro. Rispondere alla vocazione matrimoniale” e sposarsi non costituisce la fine di un percorso, ma soltanto l’inizio e come ogni realtà vivente, anche la famiglia ha bisogno di svilupparsi e di crescere. Dopo il periodo del fidanzamento e la celebrazione sacramentale del matrimonio, gli sposi devono iniziare il loro cammino quotidiano verso la progressiva attuazione di quei valori e dei doveri che sono propri del matrimonio, ma le difficoltà che si possono incontrare, come le risorse che si hanno a disposizione, sono veramente tante! A - Le risorse per “riuscire a vivere la vita matrimoniale” con serenità ed equilibrio, hanno la loro sorgente nella “novità” che entra nella esistenza della persona, proprio a partire dal matrimonio, attraverso la singolare esperienza dell’amore coniugale e poi l’incontro con la nuova vita del figlio. La nascita di un figlio, infatti, è per se stessa una garanzia di nuove risorse per la crescita umana e cristiana dei coniugi perché li stimola ad essere più attivi, nella cura e nell’educazione cristiana della prole di cui diventano i primi e insostituibili educatori. L’educazione di un figlio è una “procreazione” che continua ogni giorno, pur con le difficoltà dovute all’inesperienza, al clima di ansietà che spesso prende ognuno di noi di fronte ad una piccola creatura da far crescere e da educare alla vita. Ma c’è una “grazia educativa” che lo Spirito Santo assicura agli sposi, in forza del sacramento del matrimonio, per riuscire a far crescere i figli in “una giusta libertà di fronte ai beni materiali, adottando uno stile di vita semplice ed austero, ben convinti che l’uomo vale più per quello che è che per quello che ha”. In una società scossa e disgregata da tensioni e conflitti per il violento scontro tra i diversi individualismi ed egoismi, i figli devono arricchirsi non soltanto del senso della vera giustizia, che conduce al rispetto della libertà personale di ciascuno, ma anche del senso del vero amore, come sollecitudine sincera e servizio disinteressato verso gli altri, in particolare i più poveri e bisognosi. Tuttavia, a volte, anche la nascita di un figlio, può far sorgere dei problemi nel rapporto di coppia e causare degli scompensi dalle conseguenze a volte irreparabili. Ma, queste “crisi della coppia nel suo ruolo genitoriale” dovrebbero essere, fondamentalmente, delle crisi che aiutano la coppia a crescere. Il fidanzamento non dà, infatti, quello che si prova nel matrimonio, cioè l’entusiasmo dei primi passi di una vita a due; la sorpresa di scoprire di essere fatti veramente l’uno per l’altro; la serenità dei rapporti intimi; la fiducia incondizionata nel parlarsi a cuore aperto; la gioia nel realizzare i progetti e i sogni accarezzati da lungo tempo. Anche la “famiglia nucleare” del nostro tempo offre ai coniugi maggiori possibilità di fare le loro scelte in maniera più autonoma, meno soggette ai condizionamenti della famiglia “patriarcale” di stampo antico, con ampio spazio da dedicare alla ricerca dei valori propri di una esistenza a due, ma non nella prospettiva di un intimismo sterile o di un rifugio nel privato, quanto piuttosto per affinare la qualità dei rapporti interpersonali. La famiglia è la prima e fondamentale scuola di socialità e in quanto comunità d’amore, essa trova nel dono di sé, la legge che la guida e la fa crescere”. Spesso, invece, a causa delle difficoltà incontrate nei rapporti con le persone del territorio o della comunità parrocchiale, come pure gli impegni di lavoro e i problemi sollevati dalla presenza dei figli piccoli, aggravano la tentazione della coppia di chiudersi in se stessa e anche quelle che prima del matrimonio erano aperte e impegnate nel campo sociale, poi finiscono per modificare il loro stile di vita. Nella costruzione del futuro di una famiglia i valori che si elaborano a partire dal giorno delle nozze, hanno una somma importanza perché orientano gli sposi all’azione e la grazia di questo sacramento che è segno dell’amore sponsale di Cristo con la Chiesa, eleva il matrimonio con tutte le sue ricchezze naturali, al piano soprannaturale. La vita matrimoniale dovrebbe essere un contesto che aiuta le giovani coppie, specialmente quelle più sensibili ai valori religiosi, ad aprirsi a prospettive nuove per una loro crescita nella fede, attraverso l’aiuto vicendevole nella educazione alla preghiera, nell’ascolto della Parola di Dio, nella partecipazione ai sacramenti, alla Messa domenicale, nell’impegno per le opere di carità. Tutte “abitudini” che si dovrebbero costruire interiormente ed essere il frutto di una ricerca continua di incontro con Dio nella propria vita di cristiani, attraverso lo spirito di servizio, il senso dell’ospitalità, l’attenzione al prossimo, nel quale Cristo vive ed è presente. Tuttavia, la strada della carità e dell’amore verso il prossimo è l’unico sentiero percorribile anche da quelle coppie che, pur essendo meno sensibili ai valori religiosi e meno praticanti, desiderassero, ugualmente, di incontrare Dio nella loro vita. Soltanto lungo il sentiero della carità e dell’amore vissuto, si possono sentire i passi di Dio che cammina al nostro fianco. B - Ma, nella vita matrimoniale ci sono anche molte difficoltà da superare! Ed è proprio il matrimonio la prima fonte dove i coniugi dovrebbero attingere la carica di energia che li rende capaci di superarle. - Una delle prime difficoltà proviene proprio dall’interno della coppia stessa ed è data dalla “difficoltà di comunione” verso quell’integrazione che è propria della coppia coniugale. Il divenire giorno per giorno “un cuor solo e un’anima sola” è un processo lungo e faticoso, tanto più lento e difficile quanto più fragili sono state le premesse poste prima del matrimonio. E’ molto importante che ogni giovane coppia cerchi di conoscersi più profondamente di quanto non si sia conosciuta prima, per riuscire ad accogliersi reciprocamente, anche negli aspetti negativi. Il superare le difficoltà legate alla comunicazione, esige tempi lunghi e comporta una trasmissione reciproca di valori che aiutano a crescere. Le crisi legate alla “comunicazione di coppia” si presentano sotto svariate forme, da quelle ordinarie e risolvibili, a quelle più gravi e talvolta drammatiche che finiscono nella separazione, nel divorzio o in un nuovo “matrimonio”. Questo accade, perché quasi sempre, dopo il matrimonio, gli sposi si conoscano meglio di quanto non si fossero conosciuti prima, soprattutto nei loro lati negativi. Nel tempo del fidanzamento, infatti, anche se prolungato per anni, la conoscenza reciproca non riesce a raggiungere la realtà profonda dell’essere. Ci si accontenta di quel tanto che viene acconsentito, sia dall’ambiente nel quale nasce l’amore, sia dal costume di vita in cui è cresciuto, come il divertimento, la discoteca, la compagnia. Purtroppo, l’esperienza ci insegna che sono sempre più numerose le giovani coppie che non riescono a superare queste difficoltà che, con l’andare del tempo, portano al fallimento del loro matrimonio, attribuito usualmente alla incompatibilità di carattere. Poiché le separazioni e i divorzi avvengono in percentuale sempre maggiore, proprio nei primi dieci anni di vita matrimoniale, c’è da chiedersi se non sia in atto, anche se in maniera non-intenzionale e non-cosciente, un profondo cambiamento dell’immagine di matrimonio, che di fatto sta assumendo la figura di un “matrimonio di prova”. - Altre difficoltà, invece, sono esterne alla coppia e possono provenire dalla rete di rapporti che si devono istituire o rinnovare con le altre persone, se non si vuole rimanere isolati dal contesto sociale. Difficoltà nei confronti delle famiglie d’origine, sia quando si è costretti a rimanere nella casa paterna, sia quando da essa ci si allontana; difficoltà connesse con l’inserimento in ambienti nuovi, come il quartiere o la parrocchia, il lavoro… - Pochi, invece pensano alle difficoltà religiose, alle quali, per altro, si dà poca o nessuna importanza. Diciamo che tanti si sposano in chiesa, ma che poche sono le coppie che, poi, continuano a frequentare la chiesa per celebrare con la comunità di cui fanno parte, la fede ricevuta da bambini e maturata negli anni. La preparazione al matrimonio cristiano non sempre (per non dire quasi mai) comporta il recupero della pratica religiosa. La stragrande maggioranza di coloro che celebrano il loro matrimonio in Chiesa, non reagisce positivamente al tentativo di risvegliare in loro la fede mediante il corso di catechesi prematrimoniale. Dopo la celebrazione delle nozze, infatti, essi continuano a vivere come prima, seguendo le medesime scelte etico-religiose, mostrandosi poco interessati a costruire la loro famiglia, giorno dopo giorno, sui valori evangelici. Ma, anche tra i coniugi che usualmente sono sensibili ai problemi religiosi, spesso non c’è alcuna comunione tra loro nella vita di fede. Sembra che nella ricerca di Dio ciascuno possa continuare a camminare per la sua strada, senza l’aiuto dell’altro. Non c’è intesa sulla “pratica” religiosa e spesso manca anche l’intesa sulla “ispirazione” religiosa, ossia sul sistema di valori comuni capaci di dare un profondo significato alle scelte della vita. - Altre difficoltà derivano dal modo di porsi della coppia di fronte alla vita-non-ancora nata, a causa della crescente sterilità coniugale; di fronte al problema della regolazione della fertilità; di fronte alla vita-concepita e la paura di avere un bambino malformato; di fronte ai problemi che possono sorgere da una vita-già-nata e per le diverse forme di malattia che la potrebbero colpire….Spesso la paura di “avere figli” viene ingigantita dai problemi economici che molti giovani coppie devono affrontare e che li spingono a lavorare entrambi per far quadrare il bilancio familiare. Altre volte, invece, la nascita di un figlio viene rimandata perché considerano il figlio come una possibile minaccia per l’armonia coniugale che si ritiene non ancora sufficientemente consolidata, al momento del matrimonio, nonostante i diversi anni di fidanzamento. Ma, la limitazione delle nascite è, molte volte, il frutto di una mentalità sempre più soggetta alla logica di una società consumistica che fa del figlio l’ultimo “pensiero”. Forse di fronte a tutte queste tempeste che si possono abbattere sulla coppia e la vita matrimoniale, di fronte alla sofferenza che tali situazioni portano con sé,viene la voglia di esclamare come gli Apostoli: “ Se questa è la condizione dell’uomo di fronte alla donna, non conviene sposarsi”. Ma non bisogna perdersi d’animo. Chi vuole celebrare il sacramento del matrimonio deve imparare a vivere “il vangelo del matrimonio”. Parlo del matrimonio come di un “Vangelo” per indicare che Gesù Cristo, la Parola eterna del Padre, fatta carne, ha portato una “lieta notizia” (= Vangelo) circa l’amore dell’uomo e della donna, uniti in matrimonio. Nel disegno di Dio tale amore non è soltanto una singolarissima esperienza umana, ma è anche, dentro e attraverso questa esperienza di vita matrimoniale, il segno vivo dellamore che Dio ha per l’umanità e che Gesù Cristo ha per la chiesa. Questa “lieta novella” può essere accolta unicamente nella fede che domanda di essere incessantemente professata dagli sposi cristiani. La fede, infatti, scopre in questo “Vangelo” il dono che il Signore fa alla coppia cristiana, come pure il “comandamento” dell’amore che ad essa viene affidato. Tale cammino di fede non si può completare in una sola volta, ma lo si percorre a tappe, gradualmente. Diventa, invece, impossibile iniziarlo e continuarlo se mancano le forze fisiche e spirituali che sono come l’anima e il principio dinamico del cammino stesso. Nel sacramento del matrimonio, la presenza salvifica del Signore, non si esaurisce nel momento della sua celebrazione liturgica, ma con la “grazia sacramentale”, accompagna gli sposi, in tutto l’arco della loro vita coniugale. Ed è proprio questa presenza dell’amore di Dio, nel cuore degli sposi cristiani, rivelato pienamente da Gesù Cristo e comunicato dallo Spirito Santo, che costituisce il motivo su cui si fonda l’incrollabile speranza degli sposi di riuscire a vivere il “vangelo” del matrimonio, rimanendo fedeli alla propria vocazione e alla missione che è stata affidata a loro, cioè quella di essere nel mondo i “testimoni dell’amore di Dio” per l’uomo. Il matrimonio tra un uomo e una donna, per mezzo della grazia sacramentale, diventa, nella storia, il segno e il luogo che rivela e comunica l’amore stesso di Dio e, nello stesso tempo, sorgente e frutto di “comunione”. Quella coniugale, poi, ha i suoi tratti specifici nell’essere una comunione “totale”, perché è chiamata ad unire gli sposi ad ogni livello - da quello corporale a quello psicologico e spirituale; una comunione unica ed esclusiva perché si realizza tra un solo uomo e una sola donna; una comunione indissolubile e fedele perché comporta la reciproca donazione di se stessi per tutta la vita; una comunione a servizio della vita, perché l’amore coniugale di sua natura è ordinato alla procreazione e alla educazione della prole. Il primo compito della coppia, è quello di diventare sempre più “comunità/comunione” nonostante i molti attentati e le minacce che cercano, in tutti i modi, di “disgregare” il nucleo coniugale e di “dividerne” l’unità. E’ necessario, perciò, esercitarsi ad acquisire il valore della fedeltà coniugale sia nel corpo, ma prima ancora nel cuore, abituandosi a riconoscere nella intimità della casa il luogo in cui Dio si fa presente agli sposi e si rivela a loro in mille modi, perché “dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro”. Per realizzare questa “comunione/comunità” d’amore della coppia, Dio ha fatto all’uomo e alla donna il dono di una sessualità diversa e complementare, attraverso la quale essi si donano reciprocamente in anima, cuore e corpo. Ma, anche questo dono della sessualità che sembra “una effusione naturale e spontanea” specialmente sotto la spinta della reciproca attrazione fisica, richiede una certa formazione, un’educazione “all’intimità sessuale”, la cui esigenza si comprende meglio, soprattutto alla luce della cultura sessuale dominante che, spesso, riconduce la sessualità alla genitalità fisica e la gratificazione sessuale al semplice piacere. La sessualità “umana, invece, appunto perché “umana”, domanda alla coppia giovane quell’interiore “libertà del dono” che la condurrà a vivere la sessualità secondo la logica profonda della “donazione”, il cui frutto è la “comunione”, contrastando, così, il “cuore concupiscente” che finisce sempre con l’appropriarsi dell’altro, rendendolo un semplice strumento dei propri interessi e tornaconti. La comunione coniugale tende, per sua natura, a dilatarsi e perfezionarsi nella comunità familiare, dove la coppia diventa famiglia. Siamo, infatti, sempre nella logica dell’amore che, per sua essenza, è donazione che coinvolge pienamente gli sposi, aprendoli al figlio anche se molte coppie, di fronte al valore della fecondità della vita, si trovano in difficoltà, soprattutto a causa di una situazione di sterilità o per le difficoltà incontrate nella regolazione della fertilità. Certamente la morale coniugale sessuale cristiana costituisce un “luogo” di difficoltà, di tensioni, di disagio spirituale, ma bisogna guardare con serenità all’ideale di una sessualità non alterata e non manipolata e, nello stesso tempo, impegnarsi con pazienza, umiltà, coraggio e speranza perché l’ideale diventi vita. Di fronte alla Parola di Dio, come di fronte a qualsiasi persona che desidera parlarci, il primo atteggiamento da avere è quello dell’ascolto. Sapersi mettere in ascolto. Ciò che abbiamo imparato nei nostri anni di studio è stata l’arte di saper scrivere, di saper leggere, di parlare, di ritenere, ma non l’arte dell’ascolto che è assolutamente necessaria per la buona riuscita della vita di coppia. Non è possibile entrare in comunicazione con l’altro e realizzare uno scambio interpersonale tendente all’arricchimento, al perfezionamento reciproco, se non si ha questa attitudine all’ascolto. L’altro è un messaggio e si manifesta a me con tutta la sua ricchezza di persona: non chiede altro che attenzione e ascolto. Il “chiudersi” in se stessi”, infatti, nella propria immobilità, o rifiutarsi di ascoltare l’altro, significa non volere realizzare la vera comunicazione tra due persone e il vero amore che è, anche, impegno reciproco di parlare e di ascoltare. Il saper ascoltare è una legge fondamentale del dialogo, specialmente nella vita matrimoniale, perché è fede nella verità che risiede nell’altro e che si esprime e si comunica come realtà dialogica. Un preteso dire senza il presupposto dell’ascoltare, si ridurrebbe a un pronunciare fisicamente dei suoni, così come un preteso ascoltare che non presupponesse a sua volta un dire, si ridurrebbe ad un udire fisicamente dei suoni. Mettersi in ascolto è una scelta libera e responsabile e come tale implica tutto un movimento dell’essere umano, un impegno ad entrare nel mondo esistenziale dell’altro, una tensione che porta con sé fatica e rischio, uno sforzo di accettare il messaggio dell’altro nel rispetto e nella comprensione. Essere in atteggiamento di ascolto significa, ancora, riconoscere l’altro come interlocutore valido, come messaggero di verità e accettarlo con le sue capacità di scelte e adesioni libere e degne di ogni rispetto e attenzione. Ascoltare, infatti, è un uscire fuori da se stessi, è un prendere coscienza di essere in relazione con qualcuno e sforzarsi di non giudicarlo solo alla luce di noi stessi, delle nostre virtù e dei nostri schemi mentali. E’, infine, accogliere l’altro dentro di noi, nel nostro mondo intimo e familiare, senza costringerlo in una morsa di schiavitù, ma lasciandolo vivere secondo i suoi progetti e la sua azione libera e personale. Diversamente l’altro diventerebbe per noi un forestiero, un numero, un essere impersonale. In questo senso, il dialogo, all’interno della coppia, diventerà un essere-tra-noi per una collaborazione autentica, un conoscere-tra-noi per concepire le linee di azione e di crescita personale e sociale, un volere-tra-noi per concretizzare un amore profondo e costruttivo. Questo atteggiamento dell’ascolto che apre al dialogo non è facile se manca l’impegno di comprensione dell’altro nel suo pro-porsi come soggetto. L’altro deve poter essere certo che chi gli sta davanti sia in atteggiamento di comprensione sincera, senza calcoli di pregiudizi e senza aggressività alcuna. La comprensione, infatti, è un prendere parte al manifestarsi dell’altro; è un impegno a non lasciarsi sfuggire nulla del suo messaggio. La vita di coppia sarà felicemente vissuta nel contesto del matrimonio, quando ambedue gli sposi avranno imparato a cogliere il significato più profondo dell’altro e diventeranno capaci di interpretare il suo messaggio, escludendo ogni classificazione. In tal modo la comprensione diventerà uno stile della loro vita matrimoniale, capace di stabilire una relazione fondamentale da persona a persona, in cui le diverse tensioni nate dalle divergenze di vedute e di esperienze favoriranno il dialogo, invece di frenarlo con le opposizioni sistemiche e anti-dialogiche. “A volte le bufere che incontriamo nella vita sono così forti che non sappiamo più che cosa fare e vorremmo lasciarci portare via dal vento, ma in quel momento di smarrimento una mano leggera stringe la nostra e ci guida sulla via del ritorno. Quella mano è l’Amore che è venuto a riportarci a casa”. Mercoledì, 12 luglio 2006 |