Buona sera a tutti, grazie per questa partecipazione, grazie agli amici di Cuneo che hanno organizzato veramente, mi sembra, in maniera eccellente questo primo incontro. Un incontro che ha come tema “Il volto di Dio”.
Di per sé non ci dovrebbe essere bisogno: se siamo credenti o praticanti dovremmo avere le idee chiare sul volto di Dio. Vedremo, invece, da questa tre giorni che purtroppo non è proprio così. Un po’ la nostra pigrizia, un po’ l’ignoranza, un po’ la confusione fa sì che quando si parla di Dio si dicano tante cose che forse non corrispondono a quelle che troviamo nella Sacra Scrittura.
Questa sera vediamo di capire anzi tutto “quale Dio”, poi da domani mattina inizieremo l’esame dei brani evangelici.
Se facciamo un raffronto tra il Dio in cui credevano i nostri nonni, quello nel quale crediamo noi e quello nel quale credono i nostri figli vediamo già che c’è una differenza.
Il Dio che veniva presentato a noi è abbastanza diverso dal Dio che è presentato oggi. Allora c’è da chiedersi: ma come mai, è cambiato Dio?
No, Dio non cambia. Man mano che l’umanità cresce e nella crescita riconosce sempre di più il valore della dignità dell’uomo, scopre sempre di più il volto di Dio. E man mano che la Chiesa è sempre più fedele al messaggio evangelico, ecco che la verità di sempre su Dio viene formulata in maniera nuova.
Non è Dio che cambia è l’umanità che cresce, con l’umanità cresce la Chiesa; man mano che si radica nella fedeltà al Vangelo scopre quei volti di Dio che non sono una novità, c’erano sempre stati, ma erano come oscurati da tante cose.
Questo della scoperta del volto di Dio è importante, perché? Perché molta gente, e tanta, ha abbandonato la fede, ha abbandonato la Chiesa, per un’interpretazione sbagliata del volto di Dio.
È stato presentato un volto di Dio talmente estraneo a quello che è la vita dell’uomo, a quello che è il benessere dell’uomo, che le persone, normalmente quelle che ragionavano con la loro testa, non potevano non rifiutarlo. Gli altri accettavano tutto.
Vedrete in questi giorni parleremo più volte della religione e adopererò il termine religione sempre in maniera negativa,
Quella di Gesù non è classificabile sotto la voce religione, ma sotto la voce fede e vedremo meglio i dettagli di questi due termini. Comunque l’effetto della religione è quello di rincretinire le persone, di far loro credere delle cose che, quelle persone che ragionano con la propria testa e che vogliono capire, non possono non rifiutare.
Invece la religione riesce ad ottenebrare le coscienze. Fa loro credere l’assurdo. Allora questa contraddizione di un Dio che viene presentato contrario al minimo di ragione umana, ha fatto sì che sorgesse l’ateismo e guardate che questo è serio, lo dice il Concilio Vaticano nella Gaudium et Spes, dove parla che la responsabilità dell’ateismo incombe sui credenti – e lo leggo testualmente – “nella genesi dell’ateismo possono contribuire non poco i credenti”. Quindi noi che ci reputiamo credenti siamo responsabili dell’ateismo per aver trascurato di educare la propria fede; quindi o per ignoranza o per una presentazione fallace della dottrina. Ce n’è per tutti: da parte dei credenti per l’ignoranza, per la pigrizia; ma anche da parte del magistero per una presentazione sbagliata o perlomeno riduttiva della dottrina: piuttosto nascondono e non manifestano il genuino volto di Dio.
E continua il Concilio “questo fa sì che molti non credenti si rappresentino Dio in un modo tale che quella rappresentazione che essi rifiutano, in nessun modo è il Dio del Vangelo”.
Quelli della mia generazione sono stati educati ad un Dio (per esempio ci si faceva credere, e lo credevamo) che per un solo peccato mortale ti spediva all’inferno per tutta l’eternità. Non c’era proporzione tra la colpa e il castigo. Oggi vedete l’umanità cresce e l’umanità crescendo ha compreso che già la pena dell’ergastolo è una pena sproporzionata alla colpa dell’uomo.
Ebbene Dio per un unico peccato mortale ti spediva all’inferno (e per quelli della mia generazione il peccato mortale aveva un ampio ventaglio di scelta: ci facevano credere che se nei venerdì si mangiava una fetta di mortadella e ti andava di traverso e morivi, morivi in peccato mortale e andavi all’inferno, mica per mille secoli, per tutta l’eternità!).
Allora una persona che ragionava si chiedeva: “Ma com’è possibile che questo Gesù che a noi che siamo umani, limitati e imperfetti ci chiede di perdonare quante volte? 70 volte sette e cioè in maniera illimitata, e lui, il Padre, perché non ci dà l’esempio? Per un solo colpo è capace di legarsela al dito per tutta l’eternità.
Allora questo ha fatto sì che molte persone di fronte a queste proposte di un Dio che vedremo non corrispondente al Padre di Gesù come emerge dal Vangelo, hanno abbandonato.
Dunque è importante avere un’immagine esatta di Dio, perché dal rapporto che si ha con Dio dipende anche il rapporto che si ha con gli uomini.
La Chiesa, dobbiamo dire e riconoscere, abbastanza lentamente, modifica piano, piano il volto di Dio. A volte c’impiega un tempo eccessivo, ma prima o poi ci arriva e la verità di sempre, la riformula man mano che comprende di più il messaggio evangelico,
Un solo esempio: 1442 Concilio di Firenze.
Il concilio di Firenze decreta che la Santa Chiesa Romana fermamente crede che nessuno al di fuori della Chiesa cattolica, né pagani, né Ebrei, né eretici o scismatici parteciperà alla vita eterna, ma andrà al fuoco eterno preparato per il diavolo e per i suoi angeli. Quindi la Chiesa nel XV secolo insegnava che tutti i non credenti, i mussulmani, gli Ebrei e anche i non cattolici (quindi non bastava essere cristiano per salvarsi, ma anche i non cattolici) quando morivano, al fuoco per tutta l’eternità.
Cinque secoli dopo, un altro Concilio, Concilio Vaticano II nel 1964 afferma che tutte le persone, quindi Ebrei, Musulmani e anche i non credenti, e quindi tutti quelli che rispondono ai dettami della propria coscienza, si possono salvare. Perciò, tutte quelle persone che per secoli credevamo finite all’inferno, per un decreto, all’improvviso, si ritrovano in paradiso.
Noi ridiamo di questo, ma c’è da chiederci e lo dobbiamo fare seriamente, ma non sarà che tutte quelle persone che oggi noi crediamo convinti che sono escluse dalla chiesa, che vengono emarginate, che vengono considerate cristiane di seconda categoria e comunque allontanate da Dio, ma non sarà che, speriamo non tra cinque secoli, ma fra 50 anni, verrà fuori un Papa che dirà loro: “Vi chiediamo perdono perché abbiamo sbagliato”. Non sarà che noi, adesso vedremo, facilmente rideremo dell’immagine del Dio dei nostri padri, ma chiediamoci, non sarà che i nostri nipoti rideranno del dio in cui noi crediamo? Quindi l’argomento è molto, molto serio.
Bisogna scoprire qual è il volto di Dio e abbandonare quell’immagine di Dio che non corrisponde al messaggio evangelico.
Per non sbagliare, bisogna centrare tutta l’attenzione nella figura di Gesù. Ed è quello che faremo in questa tre giorni.
Questa sera, prima di arrivare ai Vangeli (lo faremo soltanto alla fine), facciamo un rapido passaggio dagli dei pagani al Dio di Gesù e vedremo che ciascuna divinità pagana o anche il Dio degli ebrei – o quello che si credeva fosse il Dio degli ebrei – ha lasciato una traccia del Padre di Gesù.
Allora la prima operazione che dobbiamo fare prima di arrivare al Padre di Gesù, al Dio di Gesù, è scoprire cos’è che bisogna eliminare per purificare il volto di Dio.
Partiamo dalle divinità pagane.
Prerogativa esclusiva delle divinità pagane di cui erano estremamente gelose e che non tolleravano avessero anche gli uomini, erano l’immortalità e soprattutto la felicità. Pertanto gli dei vigilavano sugli umani: quando si accorgevano che una persona sulla terra raggiungeva una soglia di felicità che a loro sembrava intollerabile e un affronto alla loro pienezza di felicità, la colpivano con una disgrazia.
Allora chiediamoci: quanta di questa credenza negli dei pagani ha inquinato il messaggio di Gesù? Non è questo il sentimento che molti cristiani hanno nei riguardi di Dio? Guardate, la riprova è nel linguaggio popolare, nel linguaggio comune: quando a una persona capita un avvenimento negativo, normalmente sapete cosa dice? “lo sentivo che stava per succedere qualcosa, andava tutto troppo bene”. Cioè Dio è geloso della felicità degli uomini.
Quando si accorge che in una famiglia c’è serenità, felicità, come minimo un tumore non te lo toglie nessuno. È la croce che il Signore dà.
Quante volte si sentono, in occasione di disgrazie queste spiegazioni: è la croce che il Signore ti ha dato.
Diciamo subito: quando ci capita un avvenimento triste, le prime persone da cui stare alla larga sono le persone pie, le persone devote, quelle che hanno una spiegazione per tutto, che sanno tutto e sono quelle che si avvicinano e ci dicono: “È la croce che il Signore ti ha dato; non tentare di togliere questa croce perché ce n’è un’altra più grande in serbo” oppure l’espressione: “Ognuno ha la sua croce”.
Quindi nella croce si mette tutto quello che comporta il dolore: malattie, insuccessi, rapporti famigliari difficili, lutti, questa è la croce del Signore e si finisce per credere che veramente questa esistenza sia sguazzare in una valle di lacrime, dove la cosa più temibile che possa capitare a un individuo è quello di fare la volontà di Dio.
Quand’è che la gente afferma: “Sia fatta la tua volontà?” quando ha cercato in tutte le maniere di non farla e si trova con le spalle al muro.
Quando di fronte a una situazione ormai inevitabile, mettiamo una malattia, le hai provate tutte con le spalle al muro cosa dici? “Sia fatta la tua volontà”.
È mai possibile che la volontà di Dio coincida con gli avvenimenti tristi negativi e comunque spiacevoli della propria esistenza? Ma come mai non si è mai sentito una persona che vince al lotto dire: sia fatta la volontà di Dio! Ma sempre quando capitano le disgrazie! Ma Dio, questa volontà sua non sbaglia mai direzione? Non la manda mai in direzione di una felicità? Ecco questo è un retaggio delle divinità pagane: il Dio geloso della felicità degli uomini.
Naturalmente nel Padre di Gesù non c’è alcuno di questi aspetti: Dio è amore. È l’amore che desidera comunicarsi; e l’amore non desidera altro che gli uomini raggiungano qui su quest’esistenza la pienezza della felicità.
Nella volontà di Dio non c’è nulla di negativo ma tutto di positivo.
La felicità non sta nell’aldilà, chi non è felice qui non lo sarà neanche nell’aldilà. Perché nell’aldilà non cambia niente della nostra situazione e il Padre vuole che gli uomini raggiungano la pienezza della felicità qui su questa terra.
Ecco perché allora certe espressioni che derivano da questo condizionamento delle divinità pagane dovremmo evitarle.
Ho accennato alcune tra le tante che potremo dire: “Ognuno ha la sua croce”. Falso. Non è vero.
Il Concilio Vaticano ci ha invitato a fare un processo di riavvicinamento al Vangelo e di vedere se tutto quello che crediamo, diciamo e predichiamo corrisponde all’insegnamento di Gesù. Spesso non corrisponde.
Questa maniera fatalistica di dire: che ognuno ha la sua croce, che tutti quanti abbiamo la croce ecc., non corrisponde all’insegnamento di Gesù.
Mai nei Vangeli è associata la croce con il dolore degli uomini. Mai nei Vangeli si afferma che tutti hanno la loro croce, mai nei Vangeli si afferma che Dio dà la croce.
La croce è nominata cinque volte in tutti e quattro i Vangeli, (anzi in tre perché in Giovanni non c’è) l’invito a caricarsi la croce e non è mai una croce che viene data da Dio, ma presa dagli uomini.
Qual è il significato della croce nei Vangeli? Gesù ai discepoli che lo stanno seguendo per motivi sbagliati, per ambizioni perché credono di seguire il Trionfatore, il Messia vincitore a Gerusalemme li avverte: “Se non…”, e parla non di accettare la croce, ma il termine adoperato dall’evangelista è “se non sollevate” (la croce sapete era composta di due elementi: c’era un palo verticale che normalmente era sempre fissato nel luogo dell’esecuzione e uno trasversale che il condannato doveva issarsi sulle spalle). Allora Gesù ai discepoli, quindi non è rivolto a tutti il messaggio, ma ai discepoli, li avverte: “se non prendete su di voi questo patibolo non pensate di venirmi dietro”. Perché? Perché la croce era la tortura riservata alla feccia della società.
Ai discepoli che seguono Gesù animati dall’ambizione, Gesù li vuole avvertire: “Guardate che venire dietro me significa essere considerati e trattati come la feccia della società. Se a me hanno detto che sono pazzo, indemoniato, bestemmiatore, imbroglione….figuratevi quante ne diranno di vo!”. Questa è la croce.
La croce, oggi potremmo tradurre è la perdita della reputazione. La croce non è un elemento di tortura, ma un fattore di libertà.
Siamo tutti condizionati da quello che pensano gli altri o dalla nostra ambizione. Gesù ha bisogno di persone libere perché soltanto le persone pienamente libere sono capaci di amare pienamente come Lui ama.
Allora Gesù come condizione per seguirlo – ed è questo il significato della croce – chiede: “rinuncia alla tua reputazione”. È doloroso perché tutti quanti ci teniamo al nostro nome, ma pensate che ebbrezza di libertà la perdita della reputazione. Pensate! Non dover più fingere di comportarsi in una data maniera perché chissà cosa pensano gli altri, di dire certe cose, “non dico quello che penso veramente perché…” “Non sono quello che sono perché…” Immaginate che libertà quando si arriva alla perdita completa della reputazione! Quindi la croce non ha nulla a che vedere con la sofferenza, le malattie, le disgrazie e i lutti che la vita presenta.
L’altro esempio che avevamo fatto riguardava la volontà di Dio.
Vedete c’è un proverbio, che credo sia blasfemo e che conosciamo tutti: “Non cade foglia che Dio non voglia”. Quindi se non cade foglia che Dio non voglia, se io malauguratamente distratto, dopo, scendendo le scale faccio un ruzzolone è…è la volontà di Dio. Ebbene questo è blasfemo.
Questo proverbio nasce da un’inesatta interpretazione di un brano che si trova nel vangelo di Matteo dove Gesù vuol dire tutto il contrario.
Gesù alla gente proprio per darle piena fiducia in Dio dice: “Ma guardate gli uccelli del cielo…” Perché parla proprio degli uccelli? Perché fra gli animali erano considerati i più inutili, i più insignificanti. Quelli, gli unici animali che non erano benedetti. Dice: “non ne cade uno a terra” non “senza che il Padre lo voglia”, ma “all’insaputa del Padre Vostro”. Tanto più allora il Padre si preoccuperà di voi. Cioè Gesù dice: non preoccupatevi di niente. Fidatevi completamente del Padre vostro che si occupa e si prende cura anche degli aspetti più insignificanti della vostra esistenza.
La volontà di Dio non coincide con gli avvenimenti tristi della nostra esistenza.
C’è un’unica volontà di Dio che emerge dai vangeli ed è pienamente positiva. È un Dio che contrariamente al Dio delle religioni, sempre disgustato degli uomini, è un Dio totalmente innamorato che dice: troppo poca questa condizione umana che hanno, li voglio innalzare alla condizione divina. Questa è la volontà di Dio: che l’uomo diventi Dio; che l’uomo abbia la condizione divina. E tutta l’azione di Dio converge in questo. Quindi quest’immagine delle divinità pagane nemiche della felicità degli uomini è cancellata dal Dio di Gesù. Un Dio che c’invita ad essere pienamente felici qui! Certo uno si chiederà: ma come possiamo fare per essere felici qui? Gesù ce l’ha detto: la felicità non consiste in ciò che gli altri dovrebbero fare per voi, ma in ciò che voi potete fare per gli altri.
Se la mia felicità consiste in quello che gli altri devono fare per me, io rimango sempre deluso perché gli altri non possono entrare nella mia testa e pensare che io mi aspettavo una telefonata o una visita o un regalo. E quindi se noi la felicità la poniamo in ciò che gli altri compiono per noi rimaniamo sempre delusi, sempre tristi.
Invece Gesù dice: la felicità è immediata, piena e totale perché non consiste in ciò che gli altri fanno per te, ma in ciò che tu puoi fare per gli altri.
E dice Gesù negli atti degli Apostoli: “Perché c’è più gioia nel dare che nel ricevere” E Gesù c’invita ad avere la pienezza della sua gioia. Chi volontariamente, liberamente per amore si mette al servizio degli altri trova qui, su questa esistenza, la pienezza della sua felicità. Quindi questa immagine delle divinità pagane è completamente cancellata dal Dio di Gesù. Una purificazione del volto di Dio che è iniziata già nelle pagine dell’Antico Testamento.
Prendiamo soltanto alcuni schemi, alcuni esempi perché non possiamo vederli tutti. Gli uomini hanno proiettato in Dio tutte le loro aspettative e hanno creato, veramente a propria immagine e somiglianza, un Dio secondo quelle che erano le loro frustrazioni, le loro paure e le loro ambizioni e nel fare questo hanno proiettato in Dio il senso di giustizia. Siccome la giustizia degli uomini si sa è imperfetta o il più delle volte è corrotta, la giustizia di Dio era quella perfetta.
Allora gli uomini che sfuggivano dalla giustizia degli uomini si diceva che sarebbero incappati nella giustizia divina. In questa giustizia divina, prerogativa di Dio, l’elemento importante era il castigo. Un Dio che castigava gli uomini per le loro colpe.
Ebbene gli autori dell’Antico Testamento incominciano a purificare questa immagine di Dio e lo fanno con un episodio che conosciamo molto bene, è narrato nel libro del Genesi; a quell’epoca ogni fenomeno atmosferico veniva attribuito a Dio. Quindi il fulmine era un’immagine di Dio che castigava, il lampo un segno, allora l’autore del Genesi narra il racconto mitologico naturalmente del diluvio universale non per dire che Dio castiga gli uomini, ma per dire esattamente il contrario; infatti, al termine del diluvio il Signore dice che non sarà più distrutto nessun vivente dalle acque del diluvio, né più il diluvio devasterà la terra.
Cioè l’autore sacro vuol dire alla gente: Dio non castiga. È Dio stesso che ha promesso: prima ha messo l’immagine di questo diluvio, al termine di quello, Dio dà la Sua parola “non succederà più una catastrofe del genere” perché Dio non castiga e a riprova di questo, splende l’arcobaleno: l’arcobaleno che era l’immagine dell’arco del Signore.
L’arco era l’arco del guerriero con il quale scagliava le sue saette sugli uomini. Ebbene, dice il Signore “pongo il mio arco sulle nubi ed esso sarà il segno dell’alleanza tra me e la terra”. Potremmo dire con un linguaggio moderno che Dio ha deposto le armi. Quindi Dio non punisce, Dio non castiga, i fenomeni atmosferici vanno chiamati con il loro nome.
Certo stupisce che nonostante l’azione dell’autore sacro, (e qui siamo ancora nell’Antico Testamento, per non parlare poi dell’insegnamento di Gesù), stupisce che di fronte a sconvolgimenti della natura, come ultimamente il maremoto nell’Asia, ci siano delle persone che arrivino a dire che è stato il castigo di Dio e peggio ancora, quando queste persone sono preti.
Bisogna avere il pudore prima di parlare di Dio perché gli attribuiamo le nostre paure, le nostre ambizioni e allora ricordate cosa causiamo? Causiamo l’ateismo.
Se io penso che Dio veramente manda un castigo all’umanità attraverso un maremoto, io di questo Dio feroce, di questo Dio spietato non so che farmene. Si sono sentite in occasione del maremoto le cose più sublimi e un prete - io sono prete però nella nostra categoria ce ne sono di tutti i colori - diceva che il Signore ha castigato gli Asiatici per le nostre colpe. Quanto è buono il Padreterno che ha sempre un occhio di riguardo per il suo silente cristiano!
Quindi per le nostre colpe castiga gli altri. Bene continui così su questa strada e andremo bene. Bisogna stare attenti di fronte a quelle che sono disgrazie a voler interpretare il disegno di Dio. E ricordo, c’è stato adesso il processo…ricordate il rogo a Linate dell’aereo che si incendiò, il cappellano di Linate siccome tutta la gente si chiedeva: - ma perché Dio ha permesso una cosa del genere! – almeno così c’era sul Corriere della Sera, sperando che non sia vero: comunque metteva in bocca al cappellano di Linate questa risposta: “Perché Dio quel giorno aveva bisogno di 280 persone in Paradiso”.
Quindi l’ha ordinate: 280! arrosto possibilmente. Andatelo a dire ai parenti di quelle vittime.
Tuo figlio …ma tuo figlio il Signore lo voleva in Paradiso quel giorno …arrosto.
Vedete, bisogna stare attenti perché un’immagine sbagliata di Dio è la pietra d’inciampo dei credenti ed è la pietra sulla quale si costruisce l’ateismo. Quindi già nell’Antico Testamento inizia il processo di purificazione del volto di Dio.
Dio non castiga. Lo rivedremo, lo riprenderemo con Gesù. Quindi parlare di castigo di Dio è un non senso: nei Vangeli non si trova mai un Dio che castiga gli uomini. Il Dio di Gesù è un Dio amore che a tutti indistintamente, buoni e cattivi, comunica il Suo amore. Ma lo vedremo più avanti.
Un altro aspetto della divinità, nell’Antico Testamento, era che esigeva sacrifici umani. In maniera particolare erano graditi i bambini e specialmente i primogeniti.
A Gerusalemme ancora oggi c’è una vallata che si chiama la Geenna dove c’erano dei forni crematori dove le persone andavano a sacrificare i propri figlioli, i maschi al Dio Moloc.
Questo perché i figli a quell’epoca non avevano l’importanza che hanno nella nostra società.
I figli non valevano niente. Il Talmud, il testo sacro degli Ebrei, si chiede se il padre deve nutrire il proprio figlio e arriva alla conclusione che l’unghia del padre è più importante dello stomaco del figlio, con la mortalità infantile… quindi i figli non avevano la nostra importanza.
Era normale anche in Israele prendere un figlio e sacrificarlo alla divinità in vista di qualcosa di importante da compiere nella propria esistenza.
Allora l’autore sacro mette in scena un episodio nel quale vuol dire che Dio non tollera sacrifici umani. Conosciamo tutti questo episodio: è quello di Abramo che crede di dover sacrificare il proprio figliolo Isacco al Signore. Purtroppo la Scrittura, la Bibbia, è scritta in Ebraico, le nostre traduzioni specialmente queste italiane che sono deficitarie non rendono la sottigliezza della narrazione e se una persona legge questo racconto nella traduzione che si ha normalmente non è che ci capisce più di tanto perché da questa narrazione, conoscete l’episodio, è Dio che dice: ”Abramo sei contento che finalmente sei vecchietto, sei riuscito a fare un figlio, l’unico figlio?!” e Abramo capirai: “scoppio dalla felicità”.
“Bene sei contento? Adesso sacrificamelo!”
“Ma come me ne hai dato uno…..”
“Sacrificamelo”
E Abramo prende questo figlio e sale sul monte, mentre lo sta per scannare Dio interviene e dice: “No scherzavo”. Non è che dice proprio così, ma è per dare l’idea.
“Oh! Che te possino! Adesso me lo dici?”
In realtà nel racconto biblico sono due divinità che intervengono. La prima divinità nel testo ebraico si chiama Eloim che è il plurale dell’ebraico "El" che significa Dio ed è un termine che si adopera per tutte le divinità. Allora è Abramo che crede secondo gli usi e i costumi di quella terra di dover sacrificare il proprio figliuolo alla divinità. Quando sta per ammazzarlo non interviene Eloim la divinità che glielo ha chiesto, ma interviene Jahve il Dio d’Israele. Che cosa vuol dire l’autore sacro? Nei popoli pagani le divinità chiedono sacrifici umani, in Israele Dio non chiede questo. Quindi un altro processo di purificazione è stato quello di eliminare i sacrifici umani.
Finché si arriva, sempre in questa progressiva crescita, al fatto di un Dio che non solo non vuole sacrifici umani, ma un Dio che non vuole sacrifici.
Nel libro del Profeta Osea Dio dice: “Perché voglio l’amore e non il sacrificio. La conoscenza di Dio più degli olocausti”.
Quindi già nell’Antico Testamento, e poi Gesù si riallaccerà, si presenta un Dio che dice: “Non voglio sacrifici (i sacrifici sono rivolti a Dio) ma voglio misericordia”. La misericordia verso gli uomini. È la fine del culto a Dio.
Questi tre importanti aspetti di purificazione, che poi Gesù ha ripreso nei suoi Vangeli, sono importanti perché, abbiamo affermato che la nostra vita cristiana un po’ per ignoranza, un po’ per l’inesatta preparazione o presentazione dei testi, fa sì che convivano in noi queste credenze mitologiche. Per esempio abbiamo detto che il Signore non castiga e non castiga attraverso sconvolgimenti cosmici, ma quanta gente ancora crede che esista la fine del mondo.
Colpa o responsabilità in parte all’inesatte traduzioni del testo evangelico. Se avete sotto mano la Bibbia della CEI le parole finali di Gesù nel Vangelo di Matteo sono: “Ecco io sono con voi per sempre, sono con voi fino alla fine del mondo”. L’ha detto Gesù. Quindi non si mette in dubbio.
Se prendete la nuova edizione del Nuovo Testamento della CEI commissione episcopale italiana 1997 vedete che non c’è più “fine del mondo” ma c’è “fine dei tempi”, o “fine delle epoche”, una maniera ebraica con la quale Gesù assicura la Sua presenza per sempre. Gesù non annunzia un’ipotetica fine del mondo ma dice alla Sua comunità: “State tranquilli io sarò con voi per sempre”. Quindi l’immagine del Dio che castiga, che ha alimentato quest’immagine di un Dio prossimo a mandare un castigo che distruggerà l’umanità è un’immagine pagana che non ha diritto di cittadinanza nella vita cristiana.
Da Dio non c’è da temere niente perché Dio è amore; eventualmente quello che possiamo temere è dagli uomini. E lo stesso riguardo al sacrificio umano. Chiaro che oggi noi non sacrifichiamo più la persona a degli idoli: anche se ci sono tante maniere per sacrificare la propria vita alle ideologie o alle idolatrie che ci sono… ma attenzione, ci può essere una maniera di interpretare la vita cristiana intesa come sacrificio nei confronti di Dio.
È l’idea di dover dare la vita per Cristo. Attenzione perché chi dà, chi pensa di dover dare la vita per Cristo sbaglia obiettivo. Perché Cristo, Dio, non chiede che l’uomo dia la vita per Lui perché è Lui che la dà all’uomo in abbondanza.
Vedete, qualche giorno fa nell’Eucaristia abbiamo celebrato la figura di Tommaso, Tommaso chiamato Didimo il gemello che è contrapposto nel Vangelo all’altro discepolo Pietro. Pietro nell’ultima cena dice al Signore “Sarò pronto a dare la mia vita per Te”. Qualche minuto dopo finisce per tradirlo. Perché Dio non chiede di dare la vita per Lui. Questa è un’immagine pagana del Dio che assorbe l’energia degli uomini ma il Dio di Gesù è un Dio che potenzia l’uomo e gli comunica Lui le Sue energie.
Ecco Tommaso che lo capisce: “Andiamo a dar la vita con Lui”. Il credente non dà la vita per Gesù ma con Gesù e come Gesù per gli altri.
Le opere del credente non sono fatte per Dio perché Dio non ha bisogno di niente ma in Dio per gli altri. È un orientamento completamente differente.
Questo è importante perché abbiamo detto che siamo responsabili dell’ateismo della gente. Quando trovo il cristiano, con tutte le buone intenzioni, che dice che mi ama o ama oppure lo fa (l’espressione classica) “lo faccio per carità cristiana – se fosse per me potresti pure schiattare! Ma per carità cristiana…Lo faccio per amore di Gesù! Assisto i poveri perché nei poveri c’è il Signore!” – Se non ci fosse li lasceresti crepare tutti quanti. Queste immagini di dover fare le cose per il Signore, per acquistare dei meriti nel Signore, vedremo che con Gesù tutto questo è eliminato.
Non siamo noi che dobbiamo fare le cose per Dio ma è Dio che le fa per noi. Noi le dobbiamo accogliere e con Lui e come Lui andare verso gli altri. E infine abbiamo detto che il Signore non vuole sacrifici. Allora da dove è nata nel cattolicesimo pre-conciliare quest’immagine quale virtù essenziale dell’agire cristiano?
Conosco gente ottima, straordinaria, gente che si dà al volontariato però mi si confida e dice: “Io sì m’impegno faccio tanto però non è che lo faccio per sacrificio, lo faccio perché mi piace. Sarà valido? Perché se non c’è il sacrificio nella vita sembra che quello che facciamo non abbia valore”. E io consiglio sempre di mettersi le scarpe di un numero più stretto così fare le stesse cose con sacrificio è forse valido. Vedete: molto, molto si deve, purtroppo al fatto che prima del concilio non ci si rifaceva ai testi originali dei vangeli, ma a una loro traduzione: prima latina e poi italiana; traduzione il più delle volte inesatta o addirittura errata. Pensate soltanto all’invito di Gesù: “Se non vi convertite non entrate nel regno di Dio”. Convertire significa “se non orientate diversamente la propria esistenza”. Cioè se voi vivete soltanto per voi finite nel niente. Se vivete per gli altri vi realizzate. Questo è l’invito di Gesù. Quindi è positivo, fu tradotto; se non fate penitenza. Ecco perché l’obiezione che viene fatta: ma il Santo, la Santa hanno fatto tanta penitenza! Ci credo perché nel vangelo che avevano a quell’epoca Gesù diceva: “Se non fate penitenza”. Se non si fa penitenza non si entra nel regno di Dio. Ecco allora tutte queste penitenze, tutto questo sacrificare. Io sono reduce di un’educazione religiosa nella quale eravamo invitati a fare il fioretto. Immaginate! Io ho sessant’anni quindi nell’Italia del dopo guerra non è che si scialasse! Tanto che c’era il gelato una volta ogni tanto e ti arrivava la catechista, la suora o il prete che quando vedeva che lo stavi per prendere: “Offrilo alla Madonna!”. E io mi chiedevo perché sta Madonna avesse sempre bisogno di questo gelato mio, del sacrificio.
A Maggio, il gelato si offre alla Madonna, tiè. È mai possibile che questa Madonna avesse bisogno del gelato che si mangiava una volta ogni tanto? Cioè del sacrificio nei confronti di Dio. Cioè l’uomo deve privarsi per offrirlo a Dio.
Con Gesù tutto questo è finito. Con Gesù non è l’uomo che si deve privare per sacrificarsi a Dio, per offrire a Dio, ma è Dio che si sacrifica e che si offre agli uomini.
È un cambio completo. Ecco perché dicevamo, adesso ci arriveremo, che non si può parlare di religione, ma di fede cristiana.
Allora fatti questi processi di purificazione che abbiamo accennato (e domani che avremo tempo tutta la giornata, al termine di ogni incontro, lasceremo spazio abbondante per interventi e domande, stasera semplifichiamo), ebbene il tempo è maturo perché arrivi la figura di Gesù.
Gesù nel vangelo di Giovanni viene presentato con queste parole: “Dio nessuno l’ha mai visto. L’unico Figlio che è Dio e nel seno, (cioè intimo), del Padre, è Lui che ce l’ha rivelato”. L’evangelista Giovanni al termine del suo prologo dice: “Dio nessuno l’ha mai visto”. Ma come? Non è vero! Mosè l’ha visto! No. Elia l’ha visto! No. Dio nessuno l’ha mai visto.
Quindi anche Mosè o gli altri personaggi che hanno avuto un’esperienza parziale, limitata di Dio non hanno potuto esprimere la completezza e la pienezza della volontà di Dio. Dio nessuno l’ha mai visto, soltanto Gesù. E da quel momento incomincia il Vangelo. Ed è centrare l’attenzione del lettore, (è quello che faremo noi da domani mattina), sulla figura di Gesù. Cosa significa che Dio nessuno l’ha mai visto, solo Gesù ne è stato la spiegazione? Nel capitolo 14 di questo vangelo Filippo chiede a Gesù: “Mostraci il Padre”. E Gesù gli dice: “Ma non hai capito che chi vede me vede il Padre?” È importante quello che dice Gesù. Vuol dire che non Gesù è come Dio, ma Dio è come Gesù. È importante. Su questo svolgeremo la nostra tre giorni.
Se io dico Gesù è come Dio, significa che ho già un’immagine di questo Dio, un’immagine venuta dalla religione, dalle superstizioni, dalle filosofie… Ma non Gesù è uguale a Dio, bensì Dio è uguale a Gesù.
Cioè se tutto quello che noi crediamo di Dio non lo vediamo corrisposto in quanto Gesù ha detto e ha fatto, non corrisponde al vero Dio e va eliminato perché incompleto, perché incompiuto, perché falso. E molte cose cadono. Quindi ogni immagine che noi abbiamo di Dio se non corrisponde in ciò che vediamo in Gesù, va eliminato. E Gesù è l’unico che ha fatto esperienza di Dio; sempre nel prologo di Giovanni si legge che la Legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo.
È la fine della religione e inizia la fede.
Abbiamo detto che userò religione sempre in termine negativo: per religione si intende quell’insieme di atteggiamenti, di comportamenti che l’uomo ha nei confronti di Dio per ottenerne la benevolenza.
Con Gesù tutto questo è finito. Con Gesù inizia la fede.
La fede non è ciò che l’uomo fa per Dio ma ciò che Dio fa per l’uomo e che l’uomo accoglie.
E mentre la religione la useremo sempre in maniera negativa, la fede è completamente positiva.
Nella religione c’era la legge. Scrive l’evangelista – la legge fu data attraverso Mosè – La legge era ciò che regolava il rapporto tra Dio e gli uomini.
C’era una codice esterno in un libro dov’era prescritto esattamente tutto ciò che l’uomo doveva o non doveva fare. E l’uomo doveva osservare questa legge. Gli uomini soffrivano a volte perché questa legge che era stata stabilita in altre epoche, in altri contesti, magari in una società beduina, non corrispondeva più alle esigenze di un’altra società. E poi la legge non può conoscere la mia storia personale. Non importa, gli uomini devono soffrire per rispettare la legge. Quindi la legge è ciò che determina il rapporto degli uomini con Dio.
E chi è il credente? Il credente è colui che obbedisce a Dio osservando le sue leggi. Se poi per l’osservanza di questa legge l’uomo mortifica la propria esistenza, sacrifica la propria affettività. Mutila la propria sessualità, questo a Dio non interessa. L’importante è che la sua legge non venga scalfita. Gesù viene a inaugurare un nuovo rapporto completamente diverso con Dio: non più basato su una legge ma sulla accoglienza del Suo Amore.
Con Gesù la relazione con Dio non è più basata sull’osservanza di una legge divina, ma sulla pratica di un amore assomigliante a quello del Padre. Se, come avevamo detto, nella religione il credente è colui che obbedisce a Dio osservando le Sue leggi, con Gesù il credente è colui che assomiglia al Padre praticando un amore simile al suo. Ecco perché quella di Gesù non può essere definita una religione del libro bensì una fede nell’uomo: al centro, per Gesù, non c’è Dio ma l’uomo.
È importante questo. È quello che ha determinato la rivoluzione portata da Gesù.
Nella religione l’obiettivo dell’esistenza dell’individuo è Dio; l’uomo tutto ciò che fa, lo fa per Dio. Abbiamo detto prima: amare per carità cristiana, “lo faccio per Gesù”, appartiene alla religione.“A me non interessi tu, mi interessa Dio, se fosse per me a te non farei niente, ma ti voglio bene, ti servo, ti perdono e ti amo perché? Perché Dio vede e poi mi ricompensa” Dio è l’obiettivo, Dio è il traguardo. E questo nella lingua greca veniva espresso con il termine eros. Eros è un amore che ha in qualche maniera la sua controparte. Ebbene con Gesù tutto questo è finito. Con Gesù Dio non è più al traguardo della propria esistenza e quindi l’uomo è orientato verso Dio e tutto quello che fa lo fa per Dio, prega perché poi Dio lo ricompensa, ama perché poi Dio vede. Con Gesù tutto questo cambia perché Gesù non pone Dio al traguardo dell’esistenza dell’uomo, ma all’inizio.
Non siamo stati noi ad amare Dio, ma è Dio che ha amato noi. È Dio che prende l’iniziativa. È un Dio che immeritatamente ed incondizionatamente ama gli uomini.
Un Dio che ci inonda del suo amore. L’uomo non deve far nulla che accogliere questo amore, lasciarsi trasportare da questa onda d’amore e con Dio e come Dio andare verso gli altri.
Non è più fare le cose per Cristo, per Dio ma in Cristo, in Dio cioè con la stessa forza e con la stessa energia che dà Dio.
Gesù quello che ha detto lo ha anche dimostrato cambiando radicalmente l’immagine di Dio. Terminiamo soltanto con due piccoli esempi che cambiano completamente il rapporto con Dio: nella religione l’amore di Dio va meritato, l’uomo deve meritare l’amore di Dio. Con Gesù l’amore di Dio non va più meritato ma va accolto come dono gratuito del Suo amore. È finita l’epoca dell’uomo che si sforza per meritare l’amore di Dio inizia quella nella quale l’uomo accoglie l’amore di Dio come dono gratuito e meritato. Un’altra delle categorie religiose era “l’esser degni di Dio”.
La religione ha inventato il peccato, ha inculcato negli uomini il senso di colpa in modo che si sentissero sempre indegni di Dio. Era difficilissimo trovarsi degni di Dio perché qualunque cosa insozzava l’uomo. Quindi l’uomo per essere degno di Dio doveva procedere a rituali di purificazione.
Con Gesù tutto questo cambia. Lui che è il Dio, Dio nessuno l’ha mai visto solo Gesù ne è stata la spiegazione, (nel vangelo di Giovanni) si mette a lavare i piedi dei discepoli.
Cioè la parte più sporca, più zozza, più impura dell’uomo. Non è l’uomo che deve purificarsi per avvicinarsi al Signore ma: accogli il Signore ed è Lui che ti purifica.
Bene il tempo vedo che è terminato, domani potremo riprendere questi argomenti con gli altri brani del vangelo, avremo tutto il tempo necessario.
Vi ringrazio per l’attenzione perché dopo una giornata di lavoro non è facile seguire una persona che parla.
L’appuntamento è domattina per le 9,30.
Vi ringrazio e buona notte.
Un breve riassunto su cosa abbiamo svolto ieri sera, che si aggancia al tema di oggi. Abbiamo iniziato a domandarci in quale Dio noi crediamo e di come l’immagine di Dio nel tempo si modifica, non perché Dio cambia, ma perché cresce l’umanità e la Chiesa sempre più - specialmente dal Concilio Vaticano II - si attiene al messaggio di Gesù, della Buona Notizia; quindi la verità di sempre rimane tale, ma riformulata in maniera nuova. E abbiamo visto questo processo di purificazione dalle divinità pagane al Dio degli Ebrei, come dei residui delle credenze in queste divinità o nel Dio degli Ebrei si siano poi trasferite nel Dio cristiano. Quindi abbiamo visto l’immagine che c’è ancora in molti cristiani di un Dio che giudica, di un Dio che punisce, di un Dio che castiga, di un Dio al quale bisogna offrire, fare delle rinunce, dei sacrifici; ecco, tutto questo con Gesù è terminato. Ieri sera avevamo iniziato a vedere il Vangelo di Giovanni, Giovanni che termina il suo prologo – il capitolo col quale comincia il suo Vangelo - con questa espressione: “Dio nessuno lo ha mai visto; solo Gesù, che è nel seno (cioè, che gli è intimo), lui ne è stata la spiegazione”. Cosa vuol dire l’evangelista? Che tutte le immagini, le idee, le dottrine su Dio che non corrispondono a ciò che vediamo in quel che Gesù fa e in quello che Gesù dice, va eliminato, perché o falso o incompleto o comunque inesatto. E il Dio che si manifesta in Gesù è diverso dal Dio presentato dalla religione. Già all’inizio del suo Vangelo, nell’incontro con Nicodemo, Gesù smentisce quell’idea tradizionale di un Dio giudice degli uomini. Ricordo, per le persone che fossero qui per la prima volta, che adopererò il termine religione sempre in senso negativo, come del resto è nei Vangeli; il positivo è la fede; per religione, abbiamo visto ieri sera, si intende ciò che l’uomo deve fare per Dio, e con Gesù questo è terminato; con Gesù inizia la fede: non più ciò che l’uomo fa per Dio, per ottenerne la benevolenza, il perdono o la misericordia, ma ciò che Dio fa per gli uomini; ciò che Dio fa per gli uomini non va inserito nella categoria religione, ma in quella della fede. La fede non è un dono che Dio fa agli uomini; dico questo perché molti, come alibi di non credere, dicono: “Beato te che hai tanta fede; a me il Signore non ha fatto questo dono”. Non è un Dio che discrimina: ad alcuni dà fede, ad alcuni niente, ad alcuni una via di mezzo. La fede non è un dono di Dio agli uomini, ma è la risposta degli uomini al dono d’amore che Dio fa a tutta l’umanità. Quelli che rispondono a quest’azione divina, questa si chiama la fede. Ebbene, una delle immagini della tradizione giudaica era quella del giudizio di Dio. La religione inculca negli uomini il senso di colpa, il senso di indegnità; inventa, la religione, il senso del peccato. Cosa significa che la religione inventa il senso del peccato? Gli uomini – almeno, quelli che ragionano - non arrivano mai a comprendere o a immaginare che certi comportamenti, certi atteggiamenti che di per sé sono normali, sono un’offesa gravissima che scatena l’ira di Dio; è la religione che inventa il senso del peccato e lo inculca nella gente e glielo fa credere. Bene, questa religione crea il senso di indegnità negli uomini, crea un abisso tra Dio e gli uomini e, soprattutto, li minaccia con il momento del giudizio. Nell’ebraismo si credeva che tutte le azioni degli uomini fossero scritte da Dio: un Dio pignolo, un Dio minaccioso; queste idee, che Gesù ha rifiutato –lo vedremo-, ha abbandonato, purtroppo si sono travasate nel nostro cristianesimo. Quelli della mia generazione ricorderanno quell’occhio minaccioso racchiuso dentro il triangolo; ve lo ricordate? Il triangolo con l’occhio di Dio? Un poliziotto, un guardone che ci seguiva pure nel cesso per vedere se ci toccavamo o no il pisello (perché era quello il grosso problema; nella confessione era quella la prima domanda: ti sei toccato o no? Per carità, che c’è quest’occhio che ti controlla e che ti vede tutto!). Un Dio che scrive tutte le tue azioni e poi trae le somme: se il male supera il bene compiuto c’è il giudizio e la condanna. Ebbene, nessuno ha visto Dio; soltanto Gesù ne è stata la spiegazione; e quindi noi dobbiamo centrare tutta la nostra fede in Gesù. Ebbene, Gesù nel capitolo 3° del Vangelo di Giovanni a Nicodemo (Nicodemo era un fariseo, fautore di questa tradizione di un giudizio da parte di Dio) smentisce questa immagine: più chiaro Gesù non poteva essere; infatti, Dio non ha mandato suo figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Il Dio di Gesù non giudica, il Dio di Gesù non premia e non condanna; il Dio di Gesù è amore che desidera comunicarsi; ecco perché Gesù, manifestazione piena di questa divinità, nel mondo non è venuto per giudicare, ma per comunicare il suo amore a tutti quanti. L’amore di Dio non va concesso – abbiamo visto ieri sera - a chi lo merita, ma è un dono gratuito, incondizionato che avvolge tutta l’umanità. Poi dipenderà dall’uomo accogliere e rispondere a quest’amore.
Voi capite – e lo vedremo questa mattina quando affronteremo il Vangelo di Giovanni - che se c’è questo è un terremoto: la religione, tutte le religioni, si basano sull’immagine di un Dio che premia i buoni, ma castiga i malvagi; altrimenti, come facciamo a controllare la gente? Se non gli mettiamo questo spauracchio, questo terrorismo religioso di un Dio giudice, al quale nulla sfugge, tutto è visibile. Insisto su questo perché ci sono state generazioni di credenti terrorizzate dall’idea del giudizio di Dio; generazioni di credenti che hanno vissuto senza serenità perché spaventate dal giorno del giudizio. Questo è la religione: Dio premia i buoni e castiga i malvagi. Ebbene, Gesù smentisce tutto questo. Il Dio di Gesù non premia i buoni e neanche castiga i malvagi; il Dio di Gesù a tutti, indipendentemente dalla loro condotta, comunica amore. Il Dio di Gesù è amore che desidera comunicarsi. E quest’amore che desidera comunicarsi, nel Vangelo di Giovanni, lo fa in una maniera inconcepibile per la mentalità dell’epoca. Uno degli scopi della religione è convincere gli uomini del loro senso di indegnità: l’uomo, per quanto fa, è sempre in una condizione di peccato, di impurità, e questo impedisce la piena comunione con il Signore; per avvicinarsi al Signore bisogna che l’uomo si purifichi, faccia delle pratiche penitenziali e poi forse forse potrà essere in comunione con Dio. Nel cattolicesimo passato tutto questo si era trasferito nelle pratiche comuni e, praticamente, prima del Concilio, con la teologia che c’era, era impossibile considerarsi in piena comunione con Dio; l’espressione tecnica era “essere in grazia”, lo ricordate? Essere in grazia era praticamente impossibile, perché anche se ti sforzavi di eseguire tutte le regole, di praticare il tutto, se soltanto ti sfiorava il pensiero: "ecco, finalmente sono in grazia, ... mannaggia, ho peccato di orgoglio, ho perso la grazia: devo ricominciare tutto daccapo". Questa è la religione; la religione ha bisogno che gli uomini si sentano sempre in colpa, sempre indegni, perché Dio non guarda soltanto le azioni, ma guarda pure i pensieri, quindi ti giudica anche i pensieri; pensate che terrorismo religioso, quanti clienti per psicologi e psichiatri ha fornito la religione. Perché se ti viene un pensiero –e normalmente i cattivi pensieri, chissà perché, riguardano sempre la sfera sessuale, non altro- se ti viene un cattivo pensiero ecco che Dio già ti ha giudicato.
A volte mi capita, specialmente con le persone un po’ avanti cogli anni, condizionate da questa mentalità, che si vengono a confessare e dicono: “Padre, ho avuto dei cattivi pensieri”. “E ringrazia il Signore che alla tua età ancora ce li hai, figlio mio! Che cattivi pensieri vuoi che siano? Sono le azioni che contano! Ringrazia, si vede che ancora stai bene!”. Ebbene, la religione riesce a inculcare il senso di colpa e di indegnità nelle persone. Con Gesù tutto questo è finito. Gesù, nel capitolo 13 del Vangelo di Giovanni fa qualcosa di inaudito: lui che è Dio non attende che gli uomini si purifichino per essere degni di avvicinarli, ma lui, il Signore, si fa servo, perché quelli che sono considerati servi abbiano la condizione di signori; è Gesù che si mette a lavare i piedi. Lavare i piedi era compito delle persone inferiori nei confronti dei loro superiori; era obbligato a lavare i piedi il figlio al padre, la moglie al marito e il discepolo al maestro. A quell’epoca, naturalmente, la gente andava scalza; immaginate cos’erano le strade: polvere, escrementi, sputi; il piede era la parte più sozza e impura della persona. Ebbene, Gesù, che è Dio, non dice agli uomini: purificatevi; ma lui incomincia; abbiamo detto che Dio è amore che desidera comunicarsi, incomincia a purificare la parte più sporca, più sozza e più lurida dell’uomo. Un Dio che non ha paura di sporcarsi le mani, ma tanto è il suo amore...” non attendo che sia tu a purificarti, ma accoglimi, che sono io a purificarti”.
Allora, quell’immagine che la religione ha creato che dobbiamo purificarci, che dobbiamo essere degni di avvicinarci al Signore cambia completamente: non devi essere degno per avvicinarti al Signore, ma accogli il Signore e lui ti rende degno. Lavare i piedi –attenzione!- non è stato un segno di umiltà da parte di Gesù, ma un segno di dignità; Gesù, che è Dio, dimostra che la vera dignità dell’uomo, il vero valore dell’uomo non consiste nell’essere servito dagli altri, ma nel servire. Le persone, secondo Gesù, si realizzano unicamente quando, volontariamente, liberamente e per amore mettono la propria vita a servizio degli altri. Servire gli altri non significa perdere di dignità, ma dimostrare quella vera. Infine, - soltanto una breve sintesi, naturalmente, del Vangelo di Giovanni- un’azione fantastica da parte del Padre. Abbiamo visto l’azione di Gesù, e Dio in tutto questo che fa? È un solo versetto del capitolo 15: se riusciamo a comprendere questo versetto, ma in maniera che si radichi dentro di noi, cambia completamente il rapporto con Dio, e quando cambia il rapporto con Dio cambia il rapporto con gli altri. Gesù paragona la sua comunità, i credenti, a una vite di cui lui è la linfa vitale. Dice: “Io sono la linfa, la vite; voi siete i tralci, il Padre è l’agricoltore”. Sono tre ruoli completamente distinti; quindi noi tralci, Gesù la vite dove scorre questa linfa vitale, il Padre l’agricoltore. Ebbene, dice Gesù, se il tralcio porta frutto è normale; il tralcio succhiando la linfa vitale la trasforma in frutto. Cioè, il credente, succhiando quest’amore incondizionato, generoso, continuo e crescente che Gesù gli comunica lo trasforma in amore per gli altri. Ieri sera abbiamo visto quanti danni ha causato nella spiritualità cristiana un’inesatta traduzione del testo evangelico; molti dei danni che ci portiamo ancora dietro nella nostra chiesa è che il testo dei Vangeli, il testo originale greco, dal 4° secolo in poi venne sostituito – e infine abbandonato - da una traduzione latina; e le traduzioni, per quanto perfette – e non era perfetta quella traduzione - non sono esenti da limiti e da errori, e molti errori nella spiritualità sono dovuti a errori di traduzione. Abbiamo visto ieri sera l’invito di Gesù a orientare diversamente la nostra esistenza tradotto con il ‘fate penitenza’: è stato devastante! Qui, purtroppo, alcuni traduttori l’azione del Padre la traducevano con il verbo ‘potare’; ecco allora che quando capitava una disgrazia, quando capitava un avvenimento triste, le persone pie – abbiamo visto ieri sera, sono sempre le più pericolose da incontrare quando si vivono situazioni di difficoltà - pronte con la loro risposta: “È il Signore che ti pota”. È l’idea che Dio, quando ama una persona, gli procura del male per vedere se lo ama ancora di più. Se volete ancora trovare di queste cose sintonizzatevi su “Radio Maria”: è un delirio totale; se uno vuol fare un corso rapido di rincoglionimento si sintonizzi su “Radio Maria”. È totale; lì viene presentato, appunto, che Dio ci ama tanto che, per vedere se noi lo amiamo, ci toglie, per esempio, una persona cara. Quante volte ho sentito a “Radio Maria” una persona dire: “Mi è morta mia figlia”. “? il Signore che lo permette, per vedere se tu lo ami”. E va be’; toglimi pure il marito, qualcun altro,..”. vediamo se continua ad amare! ? terrorismo religioso. Appunto, si basava su quest’immagine della potatura. Ebbene, il verbo adoperato dall’evangelista non è ‘potare’, ma è ‘purificare’, che è diverso. Cosa vuol dire l’evangelista? L’unica preoccupazione del tralcio è portare frutto; l’unica preoccupazione, tensione del credente è ricevere questo amore e trasformarlo in altrettanto amore per gli altri. Se c’è nell’individuo un elemento negativo, se ci sono degli aspetti che non sono positivi, se ci sono dei difetti, dei limiti, attenzione! non lui, non gli altri tralci: il Padre inizia un processo di purificazione crescente e continuo; ma non il tralcio. Capite che questo è importante? Abituati all’esame di coscienza, che dovevamo verificare: ho fatto questo, ho fatto quest’altro; tutto questo svanisce. L’unica mia preoccupazione é amare gli altri. Se in me c’è qualcosa che è negativo, non io, il Padre lo eliminerà. Perché se lo faccio io, può darsi che vada a toccare proprio uno di quei fili vitali che tengono in piedi la mia esistenza ed è un disastro; perché, magari, cose che io ritengo negative non lo sono agli occhi di Dio; ricordate ieri sera, tra il Dio che credevano i nostri nonni e quello che credono oggi i nostri figlioli c’è una grande differenza: quante cose credevamo peccato una volta e oggi non lo sono più; allora può darsi che certe cose che noi riteniamo negative non lo sono agli occhi di Dio. Allora se noi andiamo a lavorare lì è un disastro, e, soprattutto, chi lavora su se stesso non fa altro che alimentare il proprio egocentrismo. La persona si realizza non quando si centra su se stessa, ma quando esce da sé verso gli altri. Quindi Gesù dice: non preoccupatevi di nulla, l’azione del Padre in voi è pienamente positiva. Se c’è in voi un aspetto che considerate negativo ci pensa lui a eliminarlo; se non lo elimina si vede che agli occhi suoi non è negativo. Ecco, questa in sintesi la Buona Notizia presentata dall’evangelista Giovanni.
Ma adesso andiamo questa mattina a un altro evangelista, Luca, il quale anticipa questo insegnamento, questa attività di Gesù addirittura al momento della sua nascita. È un episodio importantissimo perché ci fa comprendere la Buona Notizia. Allora, questa mattina leggiamo il capitolo 2 di Luca, i versetti che riguardano l’annunzio di Dio ai pastori ch’è nato suo figlio. Per chi vuol seguire, Luca capitolo 2, versetto 8; faremo una breve analisi di questo brano.
C’erano in quella regione alcuni pastori. Alt: attenzione! Quando leggiamo il Vangelo dobbiamo sempre collocarlo nella cultura dell’epoca e non trasferirlo nella nostra. Noi siamo reduci da qualche mese dal Natale; i pastori nel Presepio sono dei bei personaggi; sono romantici, gentili, tutti con l’agnellino, carino; ecco, questi sono frutto della nostra creazione, ma non sono i pastori all’epoca di Gesù. Perché l’evangelista sceglie i pastori? Perché rappresentavano i peccatori per eccellenza, quelli che quando verrà il Messia saranno sterminati, perché il Messia viene a effettuare il giudizio in nome di Dio ed elimina i peccatori. Perché proprio i pastori? Immaginate questa gente che viveva lontano dai centri abitati; erano servi malpagati, sfruttati, che si arrangiavano vivendo di violenza, di furti; erano considerati la quintessenza del peccatore, ma, in particolare, un peccatore per il quale non c’è speranza di salvezza. Perché sono talmente immersi nell’impurità, talmente immersi nell’immondizia, che per loro, anche se volessero, non c’è più nessuna speranza: privati dei diritti civili, erano considerati al livello delle bestie. Nel Talmud si legge: “Se trovi un pastore caduto in un fosso, non tirarlo fuori, tanto è inutile, tanto per lui non c’è nessuna salvezza”. Questi sono i pastori. Quindi l’evangelista ci presenta queste persone (questi pastori sono anonimi; vedremo più volte nel corso di questi incontri il significato dell’anonimo: i personaggi anonimi sono rappresentativi; cioè, l’evangelista invita tutti quelli che vivono una situazione del genere a identificarsi; quindi i pastori sono delle persone che vivono una situazione dalla quale non possono più uscire, anche se vogliono; uguali ai pubblicani).
Ebbene, c’erano in quella regione alcuni pastori che vegliavano di notte. La notte non è soltanto un’indicazione cronologica; la notte nei Vangeli indica le tenebre, il peccato; sono i pastori persone immerse nel peccato, facevano la guardia al loro gregge. Un angelo del Signore si presentò davanti a loro. È fatta, è la fine. L’angelo del Signore è un termine tecnico adoperato nella Bibbia per indicare Dio quando si manifesta agli uomini. Gli Ebrei ci tenevano alla distanza tra Dio e gli uomini e evitavano di adoperare il termine ‘Dio’ o ‘Signore’ quando entrava in relazione con gli uomini. Allora, per indicare l’azione di Dio adoperavano il termine tecnico ‘Angelo del Signore’, ma Angelo del Signore è Dio stesso; è una formula per indicare Dio che si manifesta agli uomini. Questo angelo del Signore nell’Antico Testamento è presentato come l’angelo con la spada in mano, cioè il giustiziere. Avete in mente Castel Sant’Angelo, l’angelo con la spada in mano? È quello lì l’angelo del Signore. Si presentò davanti a loro: è fatta. Si sapeva che Dio avrebbe spianato la strada al suo figlio, la strada al Messia; quindi, noi mettiamoci nei panni degli Ebrei o di ascoltatori che non conoscono il seguito della storia: c’erano i pastori, cioè i peccatori per eccellenza, arriva il Dio castigamatti e li brucia tutti quanti. Perché? Perché è questo che ci si aspettava. Sapete, non ci sono persone più bellicose delle persone religiose. Avete provato a leggere i Salmi? Sono intrisi di violenza: “Ti lodo, Signore, ti benedico: ammazza tutti i miei nemici”. Ha ammazzato tutti i primogeniti d’Egitto: quant’è buono il Signore! Ma può essere buono un Signore che ammazza? ‘Sono i miei nemici’. Ah, be’, se sono i tuoi nemici allora vanno ammazzati. E i salmisti dicevano: “Quando verrà il Signore brucerà tutti i peccatori”. L’arrivo di Dio coinciderà con lo sterminio dei peccatori perché Dio odia i peccatori. Allora, l’angelo del Signore si presenta a questi mascalzoni, è nato il figlio, ed ecco un fuoco che li distrugge tutti quanti. Che sorpresa, che shock: “E la gloria del Signore li avvolse di luce”. Oddio, qui non ci si capisce più niente. Come? Ma non ci hanno insegnato i rabbini che Dio detesta i peccatori, che Dio, il Santo dei Santi, è lontano dai peccatori, che se si avvicina è soltanto per punirli? La prima volta nella storia che Dio si incontra con i peccatori non solo non li incenerisce nel furore della sua ira, ma li avvolge del suo amore, la luce e lo splendore di Dio; c’è qualcosa che non Va. Qui crolla tutta la teologia: ma non ci avevano insegnato che Dio detesta i peccatori; com’è che adesso Dio, quando si incontra con i peccatori, li avvolge del suo amore? L’evangelista anticipa quella che sarà l’azione di Gesù. Dio, il Dio di Gesù, non è un Dio buono, è un Dio esclusivamente buono che non conosce altra maniera di relazionarsi con le persone che quella di una comunicazione gratuita, incessante e crescente d’amore. Quindi l’evangelista anticipa qui in questa scena quella che sarà l’azione di Gesù. “Essi furono presi da grande spavento”. E ci credo! Sono avvolti da questo amore ma non sanno come va a finire, perché c’è tutta una mentalità religiosa. Qui l’evangelista ci fa capire quanto è difficile sradicare la mentalità tradizionale religiosa, quanto è difficile ancora oggi per i cristiani togliere l’immagine del timore di Dio. Perché sono stati allevati non nell’amore di Dio, ma nel timore di Dio. Dio va temuto. E quindi loro sono presi da un grande spavento. Ma, al grande spavento si contrappone cosa? L’angelo disse loro: “Non temete: ecco vi annunzio una grande gioia”. Al grande spavento ecco la grande gioia. La prima volta che Dio parla ai peccatori non dice: ‘Adesso andatevi a purificare’; ‘Pentitevi’; ma: “Vi annunzio una grande gioia”. L’azione di Dio con gli uomini, qualunque sia la loro condotta, qualunque sia il loro comportamento è la comunicazione di una grande gioia. E qual è la gioia? “Oggi vi è nato nella città di Davide un Salvatore”. Un salvatore: quindi non è un Dio giudice, non è un castigamatti; Gesù è il Salvatore. Ma su questo termine ’salvatore’ bisogna avere un po’ le idee chiare, perché che Gesù sia il salvatore siamo tutti d’accordo, ma io vedo, almeno negli incontri che ho, quando provo a chiedere da che cosa Gesù ci ha salvato c’è un po’ di confusione. Normalmente la risposta che viene a galla dai ricordi del catechismo è che Gesù ci ha salvato dal peccato. Dico: “Ah, sì, perché allora non pecchi più?” “Beh, qualche volta sì”. Allora, da che cosa ci ha salvato il Signore? Gesù è chiamato il Salvatore perché ha liberato l’umanità da un rapporto impossibile con Dio basato sull’osservanza della legge a uno possibile nell’accoglienza e nella pratica del suo amore. Ecco il liberatore, ecco il salvatore, ecco perché ‘vi annuncio una grande gioia’! Non importa il vostro atteggiamento al tempio, se ci andate o no, non importa se pregate o no; Gesù è venuto a liberarvi. Il rapporto con Dio non consiste nel numero di pratiche religiose effettuate, ma nell’atteggiamento d’amore accolto da lui che poi si può comunicare agli altri.
Ebbene, in questa manifestazione dice che subito apparve con l’angelo una moltitudine dell’esercito celeste che lodava Dio e diceva: “Gloria a Dio nel più alto dei cieli”. La gloria è la manifestazione visibile di ciò ch’è Dio. L’evangelista dice che la gloria di Dio nel più alto dei cieli consiste in cosa? Abbiamo detto gli errori di traduzione, errori di traduzione che spesso derivavano dalla ideologia religiosa. Ricordate prima del Concilio come terminava questa frase: “Gloria a Dio nell’alto dei cieli e pace... agli uomini di buona volontà”; cioè, a chi se lo merita. Era l’ideologia religiosa del merito: chi merita, gli uomini di buona volontà hanno la pace, gli altri no. Ma questo è in contraddizione col messaggio di Gesù. Se oggi avete un’edizione aggiornata del Vangelo di Luca, troverete che non ci sono più gli uomini di buona volontà, ma ‘gli uomini che egli ama’. La pace: pace è un termine ebraico che indica tutto ciò che concorre alla pienezza di felicità degli uomini. ? desiderata da Dio non per quelli che la meritano, ma per tutta l’umanità, perché tutta l’umanità è oggetto del suo amore. La gloria di Dio dove brilla? Là dove l’uomo è felice. Ecco che Gesù spazza via –abbiamo visto ieri sera - quest’immagine di un Dio nemico della felicità, quest’immagine da temere; perché quando uno sta bene, se il Signore se ne accorge come minimo una croce, una crocetta non me la toglie nessuno; questa idea dei ‘piangenti, gementi in questa valle di lacrime’ nella quale sguazziamo tanto bene, Gesù toglie tutto questo. Dio non è nemico della gioia degli uomini, Dio non è nemico della felicità degli uomini; ricordate, questo è importante, perché ci sono delle parole che sono state proibite ai cristiani. Ci sono persone che quando provano piacere nel fare certe cose si sentono in colpa, perché se c’è il piacere senz’altro Dio non è d’accordo. Ebbene, la volontà di Dio espressa da Gesù è che gli uomini qui, su questa terra, raggiungano la pienezza della felicità. Poi gli angeli se ne vanno, i pastori vanno a Betlemme, annunziano quello ch’è stato detto e, al versetto 18 scrive l’evangelista, “tutti quelli che udirono si stupivano delle cose che i pastori dicevano”. C’è qualcosa che non va; crolla tutto l’impianto religioso tradizionale. Ma come è possibile che dei peccatori abbiano detto che sono stati avvolti dall’amore di Dio? E che per loro, anziché un giudice, è nato un salvatore? Tutti sono sconvolti. L’evangelista qui presenta la crisi della stessa comunità cristiana incapace di accogliere la grandezza della novità portata da Gesù. Maria, la madre, è stupita pure lei, ma ci riflette nella sua mente. Maria non rifiuta questa novità. E il finale è clamoroso: “I pastori poi se ne tornarono glorificando e lodando Dio”. Nell’immaginario dell’epoca Dio era nel più alto dei cieli avvolto in un alone di santità totale e al suo servizio stavano sette angeli, chiamati angeli del servizio, il cui compito era lodare e glorificare Dio incessantemente. Ebbene, l’evangelista qui ci sta dicendo qualcosa di incredibile: una volta che si è avvolti dall’amore di Dio, una volta che si è sperimentato l’amore gratuito, incondizionato di Dio anche gli esseri ritenuti più lontani da Dio possono svolgere la stessa funzione degli angeli, gli esseri più vicini a Dio.
I pastori tornano lodando e glorificando Dio. Quindi una volta che si accetta di essere avvolti da questo amore ecco che la vita cambia; non c’è più quella distanza che la religione ha messo tra Dio e gli uomini, questa viene annullata; e anche le persone, non cambiano mica mestiere, questi pastori; continuano a fare i pastori; anche continuando in un’attività che la religione giudica negativa e la morale peccaminosa, si può essere graditi a Dio. Questo è uno sconvolgimento, questa è la buona notizia, ma non per tutti; se è una buona notizia per coloro che vivevano emarginati dalla religione, per coloro che vivevano nel peccato, è una cattiva notizia per i farisei, le persone che facevano della loro vita uno sforzo continuo per essere graditi a Dio. Ma come, io faccio tanti sacrifici, io mi sforzo tanto per ottenere una briciola dell’amore di Dio, come è possibile che Dio ami anche quei disgraziati là? E guardate che questo si è riflesso anche nella mentalità cristiana. Quando si sente parlare che Dio non giudica, che Dio non è quella giustizia divina che l’uomo crede, ma che Dio a tutti dà amore, che Dio vuole salvare tutti quanti, i farisei che si gloriano nei templi reagiscono; quando parlate dell’amore di Dio li sentirete replicare: “Sì, ma è anche giustizia infinita, perché non è giusto che io che ho sacrificato tutta la vita per stare bene con Dio debba avere lo stesso trattamento di quel disgraziato che ha fatto il porco tutta la vita e poi all’ultimo momento il Signore lo accoglie con sé”. Immagino la delusione di queste persone che hanno mortificato tutta la loro esistenza, quando si troveranno di fronte al Padreterno: perché ho rinunciato a questo, perché ho sacrificato questo, perché ho fatto questo e questo. E il Padreterno gli dirà: “Ma chi te le ha chieste mai queste cose? Ma ti pare che io chieda rinunce, ma ti pare che io ti chieda sacrifici, ma ti pare che io ti chieda di mortificarti? Io sono vita che chiede di essere accolta”. Una delusione tremenda; pensate, il fallimento di una vita! Una vita fatta di rinunce; ci sono persone che non si realizzano per uno sbagliato senso di Dio. Proprio Luca ha una parabola tremenda: conoscete quella dove negli altri Vangeli si parla di talenti? Il padrone che lascia un bene sproporzionato ai suoi dipendenti; torna, e uno cos’ha fatto? Dice: “Signore, io so che tu sei tremendo, che mieti dove non hai seminato; quello che mi hai dato, ecco, l’ho nascosto sottoterra. Qui è usato il termine ‘fazzoletto’ (letteralmente il testo greco è ‘sudario’, e il sudario è il velo che si metteva sopra il volto del defunto per non vedere il processo di decomposizione). La denuncia dell’evangelista è tremenda: se la vita, per una falsa immagine di Dio, non è spesa a servizio degli altri, è sotto un sudario; il telo sarà immacolato, l’aspetto esterno; togli il sudario: c’è la putrefazione della morte. Quindi ci sono persone che hanno rinunciato a sviluppare quello che avevano: la propria affettività, le proprie emozioni per uno sbagliato senso di Dio, perché pensavano che Dio fosse nemico della loro realtà interiore. Quindi è importante tutto questo.
Allora i farisei (il termine ‘fariseo’ significa ‘separato’; sono coloro che, attraverso l’osservanza di tutti i precetti della legge, per meritare l’amore di Dio si separano dagli altri), commettono un qualcosa di inconcepibile, perché non erano molto furbi: provano a invitare Gesù a mangiare da loro. Tre volte lo invitano e tre volte il pranzo va male. Vediamo soltanto il primo; è un episodio a luci rosse è uno degli episodi più scabrosi di tutto il Vangelo di Luca, ove l’evangelista spinge le tinte proprio per far risaltare il contrasto tra la religione e la fede. Al capitolo 7 del Vangelo di Luca, al versetto 36, troviamo scritto che uno dei farisei lo pregò che mangiasse da lui. Quindi i farisei, queste persone ossessionate dall’idea della purezza, addirittura avevano costituito delle cooperative alimentari tra di loro, per evitare che nulla di ciò che entrava nella loro casa fosse esentato dal pagamento della decima, che niente fosse impuro, queste persone –pensate!- erano riuscite a estrapolare dalla legge (ché la religione –abbiamo detto ieri- rincretinisce le persone, ma la religione è anche demenziale, comica) ben 613 precetti da osservare: 365 proibizioni, come i giorni dell’anno, 248 i comandamenti, come le componenti del corpo umano. La vita del fariseo era regolata continuamente, in ogni istante della giornata da preghiere e atteggiamenti. Nel Talmud troviamo come si doveva comportare questa persona: faccio soltanto un esempio. Al mattino, quando ci si sveglia, si apre l’occhio destro e si dice: “Benedetto il Signore che ha inondato di luce il mondo”. Poi l’occhio sinistro, un’altra benedizione; poi metti il piede destro per terra e poi metti il sinistro, ecc.; passavano per i santi per eccellenza, godevano di grande ammirazione da parte degli uomini, una vita fatta continuamente di devozioni. E siccome –dicevo- la religione è anche comica, c’è una preghiera che di per sé non è neanche male, però siamo proprio nella comicità della religione. ? interessante: coloro che vivono immersi nella religione non si accorgono del ridicolo in cui vivono; bisogna starne lontani per vederlo. C’è una preghiera che potete fare anche quando si è nella latrina. La preghiera dice così: “Ti benedico, Signore Creatore, che nella tua onnipotenza hai creato l’uomo con perfezione; perché alcuni buchi dell’uomo sono aperti, altri chiusi. Se quelli che sono aperti si chiudessero e quelli che son chiusi si aprissero l’uomo non potrebbe vivere”. Poi tiri giù l’acqua e...benedetto! Questo è il fariseo: ossessionato dall’idea della purezza.
Perché invitano a mangiare Gesù? Perché vogliono attirare quest’uomo, quest’uomo che vedono carismatico, quest’uomo che ha tanto fascino sulle folle, lo vogliono attirare dalla loro parte. E Gesù? Gesù è amore che non rifiuta nessuno e a tutti si propone. Gesù, entra nella casa del fariseo; è importante per la connotazione dell’episodio. A quell’epoca, nei pranzi importanti, si mangiava –era scomodissimo!- sdraiati su delle lettighe, dei lettucci; quindi Gesù si sdraiò a mensa. Si stava appoggiati con il gomito destro, si prendeva il cibo da un grande piatto al centro con la mano sinistra. E l’evangelista irrompe con una grande sorpresa. “Ed ecco”, quindi l’evangelista richiama il lettore a qualcosa di inaudito “una donna”. Una donna che entra nella casa del fariseo. Per comprendere l’episodio bisogna ricordare che nella società dell’epoca le donne erano assenti, le donne stavano in cucina a preparare il pranzo, ma mai la donna si mescola nel banchetto con gli uomini. Le donne, essendo per propria natura delle creature subumane ed essendo sempre impure, evitano qualunque contatto con gli uomini. Ebbene, in questa sala da pranzo del fariseo entra una donna. Ma non solo: una peccatrice della città. Nella casa del fariseo, dove non entra niente che non sia più che puro, entra una prostituta. Saputo che giaceva a mensa nella casa del fariseo -mamma mia cosa scrive Luca!- portò un vaso di alabastro di unguento. Per evitare di confondere la prostituta del Vangelo con la prostituzione attuale, vediamo chi erano le prostitute all’epoca di Gesù.
Quando in una famiglia esistevano già una o due bambine, le altre o venivano eliminate alla nascita – non era considerato un reato- oppure venivano abbandonate nei crocicchi delle strade. Passava il mercante di schiavi, prendeva queste creature e le bambine venivano allevate e educate nell’arte della prostituzione. Abbiamo documenti storici che indicano che all’età di cinque anni incominciavano già nell’esercizio della prostituzione e a otto anni erano già pronte per un rapporto completo con i clienti. Non è che una volta una dicesse: “oggi vado a far la prostituta”; era una condizione che si aveva praticamente dalla nascita. Anche questa prostituta è anonima e non va confusa con altri personaggi del Vangelo. Fu un papa, papa Gregorio Magno che fece –poveretto! - una grande confusione e identificò in questa prostituta anonima ben tre personaggi del Vangelo: Maria di Magdala e Maria di Betania. Ecco, questa prostituta è solo nel Vangelo di Luca e non va assolutamente confusa con Maria di Magdala, la famosa Maddalena pentita. La Maddalena non si deve pentire di niente, era la leader della comunità.
Questa prostituta è anonima perché in questa prostituta l’evangelista vuole segnalare la situazione di persone che vivono una condizione rifiutata dalla società, che giudica immorale, e condannata dalla religione, che giudica di peccato. Quindi tutte le persone che si sentono rifiutate, emarginate dalla società ed escluse dalla religione si possono identificare con questa persona. Porta un vaso di unguento; la prostituta entra nella sala del banchetto con le armi del mestiere. Lei è stata educata fin da piccola a piacere agli uomini, a gratificare gli uomini, e non sa fare nient’altro che quello in cui è stata educata. Quindi entra con l’unguento. A cosa doveva servire l’unguento? Per massaggiare ed eccitare i clienti; questo doveva servire l’unguento. Quindi lei entra con le armi del mestiere; ed essendosi posta dietro, presso i suoi piedi, piangendo con le lacrime cominciò a bagnare i piedi e ad asciugarli con i capelli del capo. Sapete che nella religione ebraica le bambine, dal momento della pubertà, sono velate e continuano ad essere velate per tutta la loro esistenza; soltanto in casa il marito, il fratello e i figli possono vederla senza velo. Se l’uomo trova la moglie per strada senza velo la può ripudiare; erano soltanto le prostitute che andavano in giro senza velo e i capelli erano un’arma di seduzione erotica incredibile. Conoscete l’episodio di Giuditta con Oloferne? Giuditta gli è andata davanti, si è tolta il velo e Oloferne ha perso la testa; poi lei gliel’ha tagliata. I capelli erano un’arma erotica incredibile, facevano parte dell’armamentario erotico delle prostitute. Questa prostituta, dunque, vuole ringraziare il Signore e lo fa nell’unica maniera in cui è capace: quella dell’arte nella quale è stata allevata; e quindi, non solo bagna con le lacrime i piedi di Gesù, ma con i capelli –momento di alta seduzione erotica- glieli asciuga; e addirittura -è una prostituta!- con quella bocca baciava i piedi e li ungeva con unguento. Veramente è una scena a luci rosse, è scandalosa, e il fariseo che l’aveva invitato non resiste più: “Ma avendo visto, il fariseo che l’aveva invitato, disse tra sé: ‘Questo...’ – notate il disprezzo: evita di nominare Gesù; c’è un profondo disprezzo; lui, l’uomo della purezza nei confronti di quest’uomo ‘se fosse un profeta’ quindi, non è un profeta- ‘conoscerebbe’ - e guardate con che atteggiamento parla della donna!- ‘chi e che razza di donna è questa’. Guardate: ‘questo’ e ‘questa’: Gesù e la prostituta accomunati dallo stesso disprezzo; “Che lo tocca!” che lo tocca! Le persone religiose sono sempre maliziose: vedono sempre il peccato lì dove non c’è. Il verbo ‘toccare’ adoperato dal fariseo significa ‘tastare, palpare’; quindi, mentre Gesù lo vede come un ringraziamento, il fariseo lo vede come un’incitazione, un invito al peccato; perché? Perché è una peccatrice.
Nell’episodio si scontrano due visioni: il fariseo abituato a giudicare in base ai parametri religiosi, e quella di Gesù che è la manifestazione visibile dell’amore del Padre, quel Gesù che – abbiamo detto - non è venuto per giudicare, ma per salvare ciò che è perduto. Quindi il fariseo giudica in maniera religiosa e vede una peccatrice che sta tentando Gesù al peccato. Reagendo Gesù gli disse: “Simone, ho da dirti qualcosa”. Ed egli risponde col linguaggio curiale, cioè falso:
“Maestro di’...”: ecco la falsità dei religiosi! E Gesù gli espone una piccola parabola di un certo creditore che aveva due debitori. Uno gli doveva 500 denari (il denaro era la paga quotidiana, quindi gli deve più di un anno e mezzo di lavoro) e un altro 50. Non avendo essi da restituire, graziò entrambi. Chi dunque di loro l’amerà di più? Anziché adoperare il verbo ‘perdonare’, l’evangelista per indicare l’azione di Dio (di questo creditore) adopera il verbo ‘graziare’. Uno gli doveva un anno e mezzo di paga, l’altro poco più di un mese. Chi gli sarà più riconoscente? E Simone risponde di malavoglia: “Suppongo che sia colui al quale ha graziato di più” e Gesù gli dice: “Hai giudicato bene.” Gesù si mette come un maestro che dà i voti all’allievo.
Ed ecco la scena importante. Giratosi verso la donna, Gesù non vede la prostituta. Il fariseo ha detto: “Sapete chi è questa donna? Una peccatrice di questa città.” Gesù non vede la peccatrice. Gesù vede una donna. Gesù non guarda con gli occhi della religione, con categorie morali, ma guarda con lo sguardo di Dio. Vede una donna e dice a Simone:”Vedi questa donna qui?” Gesù invita Simone a non guardare una prostituta, ma a guardare una donna. “Entrando in casa tua non mi hai dato l’acqua per i piedi. Lei invece con le lacrime ha bagnato i miei piedi e con i suoi capelli li ha asciugati”. Cosa vuol dire l’evangelista? Adesso Gesù contrappone le tre azioni d’amore riconoscente della donna con le tre mancanze di accoglienza da parte del fariseo che si basano su un dato di fatto. Sia la donna che il fariseo sono già stati perdonati dai loro peccati. Solo la donna ne è cosciente e il fariseo no. Cosa significa questo? È una novità apportata da Gesù. Nel mondo ebraico, come nella religione, si credeva che l’uomo peccatore dovesse pentirsi, convertirsi per poi ottenere il perdono da Dio. Gesù rovescia tutto questo. Gesù è amore che perdona in anticipo le persone. La conversione, il cambiamento è eventualmente una conseguenza. Allora - spero di dirlo in maniera esatta perché può sembrare, se qualcuno ha orecchie religiose, sconvolgente - ecco perché nei vangeli mai Gesù invita i peccatori a chiedere perdono a Dio. Nella religione è un continuo tuonare contro i peccatori: “Chiedete perdono a Dio.” Mai! – abbiamo quattro vangeli – mai Gesù dice ai peccatori “Chiedete perdono a Dio” Mai. Perché? Chiedere perdono a Dio è la cosa più inutile che si possa fare, poiché Dio mai perdona perché mai si sente offeso. Dio è amore che desidera comunicarsi all’uomo e in questo amore è già compreso il perdono che diventerà poi operativo ed efficace quando si traduce in altrettanto perdono per gli altri. Allora Gesù dice che il perdono è già concesso, quindi non invita mai i peccatori a chiedere perdono, ma sempre e continuamente a perdonare gli altri. Se io adesso vi dico:”Il Signore adesso mi ha perdonato tutti i peccati.” Come fate a credermi? Non ve lo posso dimostrare. Dovete credermi sulla parola. Io posso essere un ciarlatano. Come faccio a dimostrarvi che tutti i miei peccati il Signore me li ha perdonati? Non lo posso dimostrare. Ma se vi dico che ho perdonato lei perché eravamo in disaccordo, eravamo in dissapore, questo si dimostra, perché si vede dalla relazione, si vede dal rapporto. Ecco perché Gesù perdona anticipatamente tutte le persone. Allora qui Gesù con questa parabola dice che sia la donna che il fariseo hanno le colpe perdonate: minime quelle del fariseo, grosse quelle della donna. Chi è stato il più riconoscente? E Gesù continua, ostentando la differenza dei due atteggiamenti: “Un bacio non mi hai dato, lei invece non ha smesso di baciarmi i piedi; olio sulla testa non mi hai cosparso, lei invece con profumo ha unto i miei piedi”. Ed ecco la sentenza finale: “Per questo motivo ti dico: a lei sono condonati i peccati anche se molti perché ha amato molto. Colui al quale poco è condonato, almeno un poco ama. Gesù sta rivoluzionando, sta smontando tutto il castello teologico costruito dalla religione sul fatto del perdono. Non si ottiene il perdono per i meriti degli uomini, ma come iniziativa gratuita da parte di Dio. Ecco che Gesù non adopera il verbo ‘perdonare’, ma il verbo ‘condonare’. Il verbo perdonare significa un’azione compiuta dall’uomo. Io mi pento, compio certe azioni penitenziali e ottengo il perdono. Gesù non perdona, Gesù condona. È un’iniziativa che parte dall’amore di Dio. Cancellare le colpe agli uomini non dipende dall’atteggiamento degli uomini, ma dall’iniziativa di Dio. Quindi Gesù sta cambiando completamente quella che era la struttura della religione sul perdono. Disse poi a lei: “Ti sono condonati i peccati” Ma cosa ha fatto questa donna per ottenere il condono dei peccati? Perché Gesù non dice alla donna: “ adesso cambia mestiere, poi fai un periodo di purificazione e di penitenza e ti verranno perdonati i peccati”? Ha sempre suscitato scandalo questo episodio perché Gesù non invita la prostituta a cambiare mestiere. C’è da chiedersi una domanda che è inquietante: quindi si può continuare a vivere in una situazione che la religione condanna, che la società giudica male ed essere graditi pure al Signore? Perché Giovanni Battista quando gli si sono presentati i pubblicani, altri impuri dell’epoca, non li ha invitati a cambiare mestiere, ma ha detto di continuare nella loro attività esigendo il giusto? Adesso, per fare una parafrasi dell’episodio, è come se Gesù dicesse a questa prostituta: “Continua, ma metti una tariffa a equo canone”. È scandaloso. Perché Gesù condona i peccati di questa donna? Gesù all’adultera nel tempio ha detto: “Va’ e non peccare più”. Alla donna no. Perché Gesù alla prostituta non dice: “Vai e non peccare più”? Gesù le dice semplicemente: “Ti sono condonati i tuoi peccati”. E naturalmente questo ha suscitato il malumore. Abbiamo detto che se quella di Gesù è una buona notizia per coloro che vivono emarginati dalla religione, è una cattiva notizia per coloro che fanno tanti sforzi per essere graditi a Dio. E infatti scoppia la bufera e cominciarono i commensali a dire tra di loro: “Chi è questo?”. Notate anche qui che disprezzo nei confronti di Gesù. “Chi è questo che condona anche i peccati? Solo Dio può condonare i peccati. Come si permette questo di farlo?” Ed ecco la conclusione sconvolgente: ma egli disse alla donna: “La tua fede ti ha salvata”. Ciò che agli occhi della religione è un sacrilegio, agli occhi di Gesù è un’espressione di fede. Questa prostituta, essendo impura, non poteva osare di avvicinarsi ad un uomo; dalle prostitute –prescriveva il Talmud, libro sacro degli Ebrei- bisogna tenere una distanza minima di due metri, perché se superi questa distanza lei ti contagia con la sua impurità. Ebbene, Gesù si è fatto toccare. Quello che agli occhi della religione è considerato un grave sacrilegio, agli occhi di Gesù è stato un gesto di fede; cambia completamente l’orientamento: per il fariseo l’azione della donna è un incitamento al peccato, per Gesù è un’espressione di riconoscenza per il suo amore. Non solo dice: “La tua fede ti ha salvata”; ma anche le ultime parole, che lasciano delusi i moralisti: “Va’ in pace”. E dove va? Cosa volete che faccia questa donna che dalla più tenera età è stata educata alla prostituzione? Marito non lo trova, la famiglia non la riprende, ammesso che sappia qual è la sua famiglia. Cosa fa? Va a morire di fame? Non lo sappiamo. Sappiamo soltanto che, più avanti, l’evangelista dice che si erano unite al gruppo di Gesù alcune donne che erano state guarite da spiriti maligni e da infermità. A quell’epoca le donne non passeggiavano mai per il paese con il proprio marito; era una cosa inammissibile. Immaginate lo scandalo, lo sconvolgimento di Gesù che si presenta con un gruppo di discepoli, con un seguito di donne poco raccomandabili! A quell’epoca non c’erano i giornali tipo “Stop” o “Novella 2000”, ma io mi immagino già i titoli... Dice l’evangelista che tra queste donne c’era Giovanna, la moglie di Cusa. Cusa era il ministro dell’economia e delle finanze del re Erode. ‘La moglie del ministro dell’economia di Erode ha abbandonato il marito per unirsi a questo gruppo di prostitute, di peccatori, con questo messia pazzoide!’. Immaginate lo scandalo che ha portato Gesù col suo messaggio.
Ecco, terminiamo qui questa prima parte e poi proseguiamo vedendo l’altra novità che Gesù ha portato. Quello che Gesù ci sta mostrando è un Dio Amore, un Dio che desidera comunicarsi, che rompe tutti gli schemi della religione. Abituati a giudicare secondo le categorie morali del peccato o no, Gesù rompe tutto quanto; lui vede soltanto persone bisognose del suo amore. E quello che agli occhi della religione può essere considerato un sacrilegio, agli occhi di Gesù è solo un gesto di fede. Vedremo l’episodio dell’emorroissa, la donna che vive nell’impurità, che, se solo ha il coraggio di trasgredire la legge e di avvicinarsi al Signore, il Signore non la caccia, ma le dice: “Era ora, figlia mia”. Quante persone vivevano emarginate dalla religione, emarginate da Dio e non avevano il coraggio di avvicinarsi al Signore perché pensavano che fosse peccato, che fosse sacrilegio; se solo hanno il coraggio di rompere questo divieto, di oltrepassare questi tabù, non solo non troveranno il rifiuto da Dio, ma un Dio che dice: “Era ora, figlia mia; quanto tempo hai aspettato; coraggio, la tua fede ti ha salvato. Va’ in pace”.
Pochi cenni sull’attività e sull’insegnamento di Gesù. Si comprende che la sua è un’azione devastatrice per l’istituzione religiosa che corre subito ai ripari tentando di arginare la sua azione e soprattutto l’emorragia che causava nel popolo, perché la gente sente che in Gesù c’è quella novità, quella verità che viene da Dio. E quindi le autorità con tutti i mezzi cercheranno di arginare e, quando vedranno che è impossibile, decideranno di eliminarlo. Che Gesù sia stato ammazzato non è una sorpresa; ciò che sorprende è come sia riuscito a campare così tanto, perché un uomo del genere andava subito eliminato. E vedremo adesso nel prossimo episodio quella che è la reazione da parte del gruppo dei farisei, dell’istituzione religiosa contro Gesù e, in una parabola, quella del Samaritano –Lc 10,25- vedremo che Gesù modifica due concetti che sono fondamentali della religione: quella del credente e quella del prossimo.
Per comprendere l’azione e l’insegnamento di Gesù dobbiamo inserirla nel contesto. Gesù ha mandato i dodici ad annunziare il Regno ed è stato un fiasco completo. Perché? I dodici sono animati dall’ambizione, dal pregiudizio, e non essendo liberi non riescono a liberare. Quindi, l’invio dei dodici – dodici si intende coloro che provengono da Israele - è stato un fiasco completo. Gesù non si arrende e questa volta invia – scrive l’evangelista - altri 72. Se il numero 12 è il numero che rappresenta Israele, composto dalle 12 tribù, il numero 72 rappresenta tutta l’umanità. Nel libro del Genesi al capitolo 10 le nazioni della terra erano raffigurate sotto la cifra 72. E quindi Gesù inviando 72 discepoli significa che non vengono da Israele, ma da altre realtà. Ebbene, costoro, svincolati dall’idea di supremazia sugli altri popoli, svincolati da quest’ambizione, riescono nel loro intento. Ritornano da Gesù pieni di gioia dicendo: “ Signore, anche i demoni si sottomettevano a noi nel tuo nome”. Sotto la voce ‘demoni’ si indicava tutto ciò che impediva all’uomo di essere libero. Il messaggio di Gesù ha una potenza tale che se l’uomo lo accoglie gli rompe tutte quelle catene che lo imprigionano e gli dà la piena libertà. Ebbene, a questo proposito Gesù esclama, ed è importante: “Vedevo il Satana cadere dal cielo come una folgore”. Una precisazione su quest’immagine, su questo termine. Noi cristiani abbiamo un po’ complicato le cose, un po’ incattivito questo signor satana.
Chi era il Satana? Il Satana era un funzionario della corte divina, era l’ispettore generale, che aveva un compito: stava in cielo presso la corte divina, scendeva sulla terra, osservava il comportamento delle persone, e quando trovava qualcuno che commetteva una colpa saliva da Dio e diceva: “Il tale ha commesso una colpa. Lo posso punire? Lo possiamo eliminare?”. Quindi era l’ispettore generale di Dio. Questo lo trovate molto ben descritto nel libro di Giobbe dove Dio riceve la sua corte e c’è anche il satana, il satana che percorre tutta la terra come se fosse un ispettore. Ebbene con Gesù il povero Satana va “in cassa integrazione” perché? Il Satana saliva a Dio per accusare gli uomini per poi poterli punire, ma Gesù ha presentato un Dio che è amore nel quale non c’è né ricompensa, né punizione. Né premio, né castigo. Ma a tutti comunica amore. Allora il povero Satana non sa più che fare: è inutile che vada a dire a Dio “Guarda il tale ha commesso una colpa” perché a Dio non interessa. Dio continua ad amarlo. Allora il Satana “prende un calcio nel sedere” e scende sulla terra. È la fine del dominio del diavolo. Tanto è vero che nell’Apocalisse si legge questa bellissima espressione: “Ora si è compiuta la salvezza, la forza e il regno del nostro Dio e la potenza del suo Cristo perché è stato precipitato l’accusatore dei nostri fratelli”. Il Satana era il pubblico ministero, colui che accusava, ma essendo Dio non un Dio giudice, ma un Dio amore la sua funzione è finita. Allora Gesù vedendo questo, vedendo che per la prima volta c’è un gruppo di discepoli che riesce ad annunciare la buona notizia, scoppia in una esplosione di gioia. È la prima e unica volta che si parla di gioia di Gesù nel vangelo. E benedice il Signore perché dice “Hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti – sta parlando dei rappresentanti dell’istituzione religiosa che adesso, vediamo, reagiranno - e le hai rivelate ai piccoli.” Questo è insopportabile! Allora al cap. 10 di Luca v.25 “Ed ecco un dottore della legge (i dottori della legge erano gli esperti della legge, per investitura divina erano equivalenti agli scribi, erano gli unici chiamati a interpretare la legge divina) si alzò (Luca è tremendo... io credo che Luca anziché intingere la penna nell’inchiostro la intingeva nel vetriolo!) per tentarlo” (Questo verbo nel vangelo c’è soltanto due volte per l’azione del diavolo e per l’azione del dottore della legge). I rappresentanti del magistero religioso, coloro che dovevano proporre al popolo la volontà di Dio, secondo Luca in realtà sono gli strumenti del diavolo. E gli chiede “Maestro che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?” Gesù mai parla di sua spontanea iniziativa della vita eterna, perché non gli interessa. Gesù non è venuto a indicare una maniera migliore per raggiungere la vita eterna, Gesù è venuto per cambiare la vita qui. Gli unici interessati alla vita eterna sono le persone ricche e le persone pie, le persone che stanno così tanto bene qui, che vogliono assicurarsi di stare bene anche nell’aldilà. Gesù non parla della vita eterna; a Gesù interessa la vita che noi viviamo qui.
E Gesù gli risponde: “Nella legge cosa c’è scritto?” Questo è un dottore della legge, gli chiede: “Hai letto mai la legge?” E addirittura lo tratta da ignorante: “Che capisci?” Perché non basta leggere la legge, bisogna capirla. Questa è un’indicazione molto importante che dobbiamo prendere seriamente: se non c’è nell’uomo come previa condizione un amore per gli uomini, per l’umanità, la legge, la Parola di Dio è incomprensibile. Quindi per comprendere la Parola di Dio ci vuole un atteggiamento di benevolenza, un atteggiamento di grande amore nei confronti dell’uomo. Questo dottore è abituato a dominare e non capisce. Infatti dice: “Che capisci?” Ed egli rispose: “Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua vita, con tutta la tua forza- è preso dal libro del Deuteronomio, il credo di Israele, al quale aggiunge un passo del Levitico – e il prossimo tuo come te stesso”.
Quindi secondo questo dottore della legge per ottenere la vita eterna c’è un amore a Dio che è totale, e un amore al prossimo che è condizionato, limitato. L’amore a Dio, con tutto te stesso, il prossimo come te stesso. È penoso vedere che questa risposta del dottore della legge sia la stessa di tanti cristiani quando gli si chiede: come Gesù ci ha insegnato e ci ha chiesto di amare. Questo è valido per il popolo giudaico, non per la comunità cristiana. La spiritualità giudaica era arrivata al suo culmine attraverso questa formulazione: un amore a Dio totale, un amore al prossimo limitato. Amo come amo me e siccome io sono limitato, il mio amore sarà limitato. Attenzione che il termine “prossimo” non ha il significato che poi assumerà alla fine di questa parabola. Il prossimo nel mondo ebraico si intende l’appartenente al clan familiare, l’appartenente alla tribù o al popolo di Israele, non di più. Quando Gesù parlerà dell’amore nella sua comunità non si rifarà a questo, ma dirà: “Vi lascio un comandamento nuovo”, nuovo per la qualità, che sostituisce tutti gli altri: “Amatevi tra di voi come io vi amo”. Il modello di questo amore non è più l’individuo “ama il prossimo tuo come te stesso”, ma amalo come io amo te, in maniera illimitata, totale. Comunque Gesù accetta la risposta e gli risponde: “La risposta è ortodossa. Fai questo e vivrai” (non: “avrai la vita eterna”). A Gesù -lo ripeto- non interessa la vita dell’aldilà, gli interessa l’al di qua. La concezione di prossimo era restrittiva, perché c’era un dibattito: fino a dove si estendeva il concetto di prossimo? e chi è il mio prossimo? È colui che appartiene al mio clan familiare? È colui che appartiene alla tribù? È colui che appartiene a tutto il popolo di Israele? Alcuni rabbini dicevano che il prossimo è anche lo straniero che vive dentro Israele. C’era un dibattito. Questo dottore della legge è per una interpretazione restrittiva. ‘Chi è il mio prossimo?’ Ebbene con questa breve parabola Gesù indica una maniera nuova per esprimere chi è il credente e il concetto di prossimo. Gesù, probabilmente rifacendosi ad un possibile fatto di cronaca, dice che un uomo scendeva da Gerusalemme verso Gerico (Gerusalemme era a più di 800 m di altezza e Gerico più di 250 m sotto il livello del mare, quindi c’è un grande dislivello in pochi chilometri, una strada che ancora oggi si può percorrere, una strada orrida), si imbattè nei briganti che lo spogliarono e lo percossero e poi se ne andarono lasciandolo mezzo morto. Quella zona della strada tra Gerusalemme e Gerico è già difficoltosa da percorrere in buone condizioni di salute perché manca l’aria (ripeto da 800 m di altezza si arriva a più di 200 m sotto il livello del mare) è soffocante e questa persona è destinata alla morte. Provvidenzialmente “Un sacerdote scendeva in quella via- gli ascoltatori dicono: ‘è stato fortunato, è la salvezza, avendolo visto…’- ma, “passò dall’altra parte”. La sorpresa è agghiacciante! Il sacerdote scende; Gerusalemme era una città sacerdotale, i sacerdoti andavano a Gerusalemme per effettuare il servizio al tempio. Questo è un sacerdote che per una settimana ha servito al tempio, è in stato di purità legale, scende, vede il malcapitato, ma passò dall’altra parte. Nel testo greco, quello che noi traduciamo “passò dall’altra parte” viene espresso in una sola parola: io la definisco la pietra tombale della religione. Perché il sacerdote è passato dall’altra parte? Perché la legge di Dio “Amerai Dio con tutta la tua anima e con tutte le tue forze”, è più importante dell’amore dell’altro. E la legge prescrive che un sacerdote che è in condizioni di purità non può avvicinarsi né ai cadaveri né alle persone ferite perché contrae l’impurità. È una settimana che questo poveretto ha fatto riti penitenziali, di purificazione; è tutto puro, guarda cosa trova per strada! Allora il dilemma che si propone Gesù è questo: tra l’osservanza della legge di Dio e il bene dell’uomo cos’é più importante? Il dottore della legge non ha dubbi: l’ha detto: amore a Dio totale, quello al prossimo è relativo. Quindi, questo sacerdote che passa dall’altra parte non è una persona crudele, non è una persona insensibile; è una persona religiosa. Sono le persone più pericolose da incontrare quando si è nelle situazioni di difficoltà. Queste persone che sono tutte orientate verso Dio sono nefaste. Vi è mai capitato di stare in una situazione di difficoltà e avere bisogno di aiuto, e di trovare queste persone pie? “Dirò un’Ave Maria per te”; e tu ti ritrovi nella merda come prima. “Ti ricorderò nelle preghiere” ‘Grazie, grazie, questo sapevo farlo pure io’. Ma non muovono un dito per toglierti dalla tua situazione. Sono talmente prese dal loro rapporto con Dio, dalla loro relazione con Dio che dell’altro non ci hanno tempo per occuparsi. Prima viene Dio, che assorbe tutta la loro esistenza.
Quindi questa persona religiosa rappresenta l’osservante della legge. La legge crea delle persone incapaci d’amare, talmente assorbite dall’impegno con Dio, sono incapaci poi di voler bene agli altri. E guardate che non solo la letteratura, ma voi vedete che le persone molto religiose vengono sempre rappresentate crudeli, spietate. Come è possibile? Perché sono talmente assorbite da Dio che non hanno né il tempo né la voglia di dedicarsi agli altri. Anni fa –ricordo- ad un corso di esercizi spirituali una suora che ha capito tutto dice: “Padre Alberto è proprio vero, sa: io sto tanto bene con il Signore che non sopporto di stare con le mie sorelle”.
“Similmente anche un levita” – i leviti, in maniera riduttiva – diciamo - erano i sagrestani del tempio; non erano sacerdoti, ma si occupavano di tutte le funzioni liturgiche e anche loro dovevano trovarsi in condizioni di purezza - “trovatosi presso quel luogo lo vide (ci sarà speranza, è un uomo di Dio!) e passò dall’altra parte”. La denuncia che fa l’evangelista è tremenda: i briganti hanno ferito il malcapitato, le persone religiose lo uccidono. Sono più pericolose le persone religiose dei briganti. Quando al bene dell’uomo viene preferito il bene della legge –fosse anche una legge divina- questa diventa inutile e nociva. Quindi il dilemma che Gesù sta presentando ai dottori della legge è: ma cos’è più importante, l’onore di Dio o l’onore dell’uomo? Cos’è più importante, la legge di Dio o il bene dell’uomo? Per quest’uomo, ormai, non c’è più speranza; ha perso due occasioni che potevano tirarlo fuori dalla sua situazione, ormai deve aspettare la morte. Ma la morte sembra accelerata dalle parole di Gesù. E infatti scrive l’evangelista: “Un samaritano, invece, essendo in viaggio si venne presso di lui”. Mettiamoci nei panni degli ascoltatori di Gesù. Tra samaritani e giudei c’era un odio mortale, un’inimicizia: quando potevano si scannavano allegramente sempre in nome di Dio (mai ci si scanna con tanto gusto come quando ci si scanna in nome di Dio!). Ogni occasione era buona; per cui un samaritano trova un giudeo mezzo morto, gli dà la botta finale: era la fine per questo povero malcapitato. I samaritani erano considerati eretici, impuri. Pensate che, se un giudeo insultava un’altra persona dandogli del samaritano, questo era considerato un reato talmente grave, da essere punito con 39 frustate. Quindi, il samaritano è una persona che fa inorridire gli ascoltatori. Soltanto un esempio: immaginate se vi dicessi: c’è un bambino che è caduto dalla bicicletta, è ferito, e da quelle parti passa un pedofilo albanese. Ecco, tanto per dare l’idea, perché oggi gli albanesi sono l’emblema della criminalità; pedofilo e albanese: povero bambino, è fatta. Questa è l’immagine che Gesù ha evocato. Un samaritano passa: lo ammazza, lo accoppa. Ed ecco la novità scandalosa portata da Gesù: “ e avendolo visto”, l’ha visto il sacerdote, l’ha visto il levita, uomini di Dio: passano dall’altra parte. “e avendolo visto”… e Gesù bestemmia. Perché Gesù adopera l’espressione: “ebbe compassione”. Questo verbo è un verbo tecnico dell’Antico Testamento che è riservato esclusivamente a Dio: avere compassione è un’azione divina con la quale Dio comunica vita a chi non ce l’ha. Nel vangelo di Luca apparirà tre volte: quando Gesù risuscita il figlio della vedova di Nain e nella parabola del figliol prodigo; è sempre un’azione divina. Ebbene, l’uomo è emarginato dalla religione; il samaritano ritenuto impuro, eretico, indemoniato compie la stessa azione di Dio. Non l’ha fatto il sacerdote, non l’ha fatto il levita, ma l’ha fatto la persona più inimmaginabile.
Allora Gesù sta cambiando il concetto di credente. Abbiamo visto che il concetto di credente, secondo la religione, era colui che obbediva a Dio osservando le sue leggi; con Gesù il credente è colui che assomiglia al Padre praticando l’amore simile al suo. Il samaritano compie la stessa azione di Dio. Non va al tempio perché non ci può entrare, non è una persona religiosa, è una persona impura, eppure è l’unica che si comporta come Dio. Chi ama, chi mette la sua vita a servizio degli altri compie la stessa azione di Dio; se poi partecipi al culto, al tempio, questo per Gesù è indifferente; quindi Gesù adopera per questo samaritano lo stesso verbo dell’azione divina. E fa il contrario di quello che avevano fatto i banditi e i sacerdoti: gli si avvicinò –il sacerdote e il levita sono andati dall’altra parte- ; i banditi l’hanno spogliato, lui invece gli fasciò le ferite; vi versò olio e vino e, caricatolo sulla propria cavalcatura, lo condusse in una locanda e si prese cura di lui. C’è ancora la strada che da Gerusalemme conduce a Gerico, si può percorrere; già in condizioni normali è difficile percorrerla. Questo samaritano aveva la cavalcatura, perché aiuta, ma lui sulla cavalcatura ci mette questo sconosciuto; un nemico sconosciuto, lo mette sulla cavalcatura e lui preferisce affrontare disagi per evitarli al ferito e lo condusse; cioè, prende la cavalcatura e lui cammina a piedi come i servi nei confronti del loro signore. Questa è l’azione di Dio con gli uomini, è il Dio che si fa servo perché quelli che sono considerati servi si ritengano signori. E l’indomani, tirati fuori dei denari, li diede al locandiere e disse: “prenditi cura di lui, e ciò che spenderai in più al mio ritorno te lo renderò”.
Conclusa la parabola, Gesù interroga il dottore della legge: “Chi di questi tre ti sembra...” e qui Gesù modifica la domanda. Ricordate il dottore della legge: ‘Chi è il mio prossimo?’, cioè, fino a dove devo arrivare ad amare? Il clan, la tribù, Israele? Gesù non dice chi è il tuo prossimo, ma, alla rovescia, chi ti sembra sia stato il prossimo di chi si era imbattuto nei briganti? Il dottore della legge voleva sapere fino a che punto deve arrivare il mio amore; Gesù gli dice: da che punto deve iniziare? Il prossimo era un concetto limitato, era l’appartenente al clan, alla tribù, a Israele, e Gesù che è portatore di un amore universale dice che il prossimo non è l’azione di colui che si rivolge a uno che ha bisogno, ma l’azione che parte da Dio, un amore che parte da Dio verso tutti quanti. Quindi il prossimo non è un oggetto da amare per ottenere poi magari la ricompensa divina, ma colui che ama come Dio stesso. Quindi non è, il prossimo, la persona che ha bisogno d’amore, ma io che mi faccio prossimo a tutte le persone che incontro.
Allora Gesù gli chiede: “Quali di questi tre ti sembra sia stato il prossimo di colui che si era imbattuto nei briganti?”. E la risposta è facile: c’è un sacerdote, un levita e un samaritano. Per esprimere l’orrore della proposta di Gesù basta vedere la risposta del dottore della legge. Avrebbe dovuto rispondere chi? Il samaritano. Per carità, figurati se il dottore della legge pronuncia quella parola esecrabile! “Quello”. E poi Gesù aveva detto: “Il samaritano ebbe compassione”. Ma il dottore della legge non può ammettere che un uomo, e per giunta un samaritano compia la stessa azione di Dio, e anziché dire: ‘Colui che ha avuto compassione’, usa il verbo ‘avere misericordia’; se avere compassione era un’azione che partiva da Dio, è un’azione divina, avere misericordia è ciò che compete agli uomini; il dottore della legge non tollera, non accetta che un uomo possa agire come Dio; invece il messaggio di Gesù è che, mentre la religione ha scavato un fossato tra Dio e gli uomini, un fossato pieno del senso di indegnità, di colpa, del peccato, Gesù è venuto a eliminarlo e dice che gli uomini sono capaci di compiere azioni divine. Gli uomini possono amare come Dio ama. In altri vangeli, nel Vangelo di Matteo, Gesù dice: “Siate perfetti “ non come Dio, un’immaginaria perfezione di Dio “siate perfetti come il Padre Vostro è perfetto”. E qual è la perfezione del Padre? Il Padre è come il sole, che splende sui buoni e sui cattivi, è come la pioggia che scende sugli ingrati e sui giusti. Il sole e la pioggia non distinguono chi la merita o no, ma si espandono su tutti. Allora Gesù in questo vangelo sta dicendo che l’uomo non è lontano da Dio, ma nell’uomo c’è la capacità di diventare Dio, di amare come Dio ama. È quello che nel prologo di Giovanni era espresso con la formula: ‘A quanti l’hanno accolto ha dato la capacità di diventare figli di Dio. Questo è il Dio di Gesù; quindi non il Dio della religione, né il Dio disgustato dell’umanità, ma un Dio talmente innamorato degli uomini che gli vuole donare la sua stessa capacità d’amore. Questa è l’azione di Gesù, di battezzare nello Spirito Santo, per rendere gli uomini simili a sé; l’uomo è chiamato a una crescita, a una progressiva maturità, e quando raggiunge la capacità di dono della propria esistenza agli altri, raggiunge la condizione divina.
Dio e l’uomo diventano un’unica cosa. Questo causa l’allarme da parte delle autorità religiose. ‘Avevamo costruito un sistema religioso perfetto in cui l’uomo non poteva rivolgersi a Dio, ma doveva passare attraverso il sacerdote in giorni ben precisi, in un luogo determinato, nel tempio; eravamo riusciti a convincerlo che era sempre in colpa’. Perché questa insistenza dei sacerdoti sul peccato dell’uomo? Perché, e lo denuncia Dio nei profeti; Dio si rivolge contro i sacerdoti e dice: “Voi avete sempre sulla bocca il termine peccato, condannate sempre i peccati, ma voi vivete del peccato degli uomini e in cuor vostro vi augurate che gli uomini pecchino ancora di più”. Perché a quel epoca il perdono delle colpe non avveniva per la modica cifra di tre pater, ave e gloria, ma ci volevano tre capre, tre galline e una papera. I sacerdoti avevano manipolato la legge di Dio in modo che gli uomini, anche se stavano attenti, si sentissero sempre in colpa e bisognosi continuamente di offrire a Dio, alla pancia dei sacerdoti, queste offerte. Se per caso, malauguratamente, gli uomini non peccassero più –è impossibile- o viene uno a dire che non c’è più bisogno di questo, è la fine; per assicurarsi un’entrata crescente di queste offerte, i sacerdoti rendevano sempre più difficile e impossibile la legge da osservare. Ecco il crimine dell’autorità religiosa: hanno deturpato il volto di Dio per i propri interessi. Dio nel profeta Geremia dice agli scribi: “La legge è la legge”. Ma quale legge? Quella menzognera creata dalle vostre pecche. Le autorità religiose hanno trasformato per la propria sete di dominio e di prestigio sugli uomini la legge di Dio in un peso insostenibile. E allora arriva Gesù e dice: ‘Lasciate stare questo giogo della legge e prendete il mio che è leggero e soave e sarà il vostro alito’. Il rapporto con Dio, con Gesù non è più basato sull’osservanza di una legge, ma attraverso l’accoglienza del suo amore; ecco perché Gesù ha proposto una nuova alleanza. Nella vecchia alleanza Mosé, servo di Dio, ha proposto un’alleanza tra dei servi e il loro Signore; Gesù, figlio di Dio, propone un’alleanza tra dei figli e il loro padre. Mentre il servo non ha relazione con il suo signore, il figlio ha relazione con il proprio padre; mentre il servo vive a distanza dalla casa del suo signore, il figlio vive nella casa del padre; è un terremoto. I pilastri che sostenevano l’istituzione religiosa – il sacerdozio, la legge, il tempio, il culto - uno dopo l’altro cadono, perché con il Dio di Gesù non c’è più bisogno di nessuna di queste cose. Il rapporto con gli uomini, con il Padre è immediato, pieno, totale; qualunque situazione si mettesse in mezzo è un diaframma, è un ostacolo tra la piena comunicazione tra Dio e gli uomini. A questo punto, Gesù, bisogna soltanto ammazzarlo. Infatti verrà fuori la sentenza di morte.
Allora, questa mattina abbiamo fatto una galoppata nel Vangelo di Luca; oggi pomeriggio andremo a vedere la novità di Gesù nel Vangelo di Marco e domattina termineremo di nuovo col Vangelo di Luca, con una delle parabole più amate e forse meno comprese: quella del figliol prodigo. A questo proposito già mi è arrivata una domanda: in questa visione liberante, come si va a situare la confessione e la preghiera? Non rispondo perché domani mattina, nella parabola del figliol prodigo, la risposta a questa domanda sarà chiara. Da 30 anni faccio questo servizio della parola in tutta Italia e ovunque spunta sempre questa domanda: ma la confessione? Ma possibile che, questo che si chiama sacramento e sacramento significa infusione di vita divina, l’abbiamo trasformato nel sacramento più detestato dai cristiani? Quale crimine abbiamo compiuto noi preti per aver trasformato un gesto che comunicava vita agli uomini in una situazione che si preferisce evitare? Io almeno lo facevo; da piccoli –vi ricordate?- si sceglieva sempre il confessore vecchio e magari un po’ sordo perché così andava meglio. Ma è possibile che si esca dall’incontro con questo sacramento a volte devastati? A volte andare da certi confessori è come andare a fare una visita ginecologica da un maniaco sessuale; si esce completamente devastati. Ma come è possibile questo? come è stato possibile che un sacramento, quello che comunica agli uomini la vita di Dio, li dovrebbe far saltare di gioia e di allegria, sia stato trasformato così? Ecco, domani mattina, nella parabola del figliol prodigo, tutto questo verrà fuori.
Allora, sia per quanto abbiamo esposto ieri sera, sia per quanto abbiamo detto stamattina, potete fare delle domande.
Intervento
Buondì… per romper il ghiaccio.
Io devo confessare che sono abbastanza perplesso da quello che si è detto, ho parecchi interrogativi che probabilmente devo anche metabolizzare.
Prima considerazione che mi viene in mente oltre al sacramento della riconciliazione, è che, se dal conclave uscisse il suo nome come nuovo papa, il primo passo sarebbe quello di cancellare gli ordini contemplativi, forse, non lo so... E a livello di Dio giudice, che è comunque una figura che da sempre caratterizza….? Siamo passati da decenni di “timor Dei”, “Dies irae” e via discorrendo, ad oggi. Oggi abbiamo un Dio esclusivamente buono, domani spero che ci sia un Dio vagamente erotico, perché nella Bibbia ci sono anche aspetti molto importanti su questo tema, che vengono sempre castrati, cancellati, dimenticati e la sacra famiglia di Maria vergine e Giuseppe mi sembra un po’ ……… insomma fino a quel punto…! Ma non c’erano la televisione e il cinema e mi chiedo cosa facessero la sera; non c’era neanche il rosario e quindi questi sono interrogativi importanti.. Anche nel nuovo testamento; non solo nell’antico, dove c’erano Giobbe, il diluvio l’Egitto… insomma c’era un Dio abbastanza cruento……. Nel nuovo testamento Dio compare pochissimo. Dio Padre; dice solo” ascoltate mio figlio”. Si incavola dopo la morte in croce, fa poi insomma sentire la sua presenza e il suo malumore, però quello che mi scuote di più è la preghiera del Getzemani,dove Dio è muto (comunque non si sente) e Gesù dice “ allontana da me questo calice, però sia fatta la tua volontà, non la mia” quindi questo, rispetto quello che diceva ieri sera, in cui comunque al centro è l’uomo e il valore del sacrificio, del dolore vissuto anche in maniera positiva e non fine a se stessa, questo è chiaro. Però per noi cattolici questo ha sempre rappresentato una cosa molto importante,che adesso dall’impianto che ha detto lei, dovrebbe essere un po’ cancellato, o comunque pesantemente rivisto. Vorrei capire un po’ meglio questi aspetti.
Starei qui un’ora a dire tutte le cose, ma c’è già abbastanza carne al fuoco.
Maggi “Si, qual è il tuo nome?”
“Pierpaolo”
Allora almeno due elementi li tiriamo fuori e li spieghiamo meglio, quello di Dio giudice, cioè della giustizia di Dio, e quello della volontà di Dio, che,-come ha accennato Pierpaolo-, Gesù nel Getsemani chiede che sia fatta, ma, se è possibile, un po’ rimandata.
Abbiamo detto che abbiamo un problema nella traduzione dalla Bibbia ebraica alla Bibbia latina e poi italiana: un problema di traduzione è il concetto di giustizia divina, perché il termine “giustizia” in ebraico, venne tradotto con il termine “giustizia“ italiano. Ma per noi in occidente il termine “giustizia” si riferisce a quella retributiva, a quella, per intenderci, dei tribunali, ma il senso di giusto, di giustizia nell’Antico Testamento non è lo stesso.
Quando si parla di Dio che è giusto e della sua giustizia, qui “giustizia” significa: “fedeltà”. Chi è il giusto? È colui che è fedele a Dio. Se Dio è giusto, Dio è colui che è fedele. A chi? Non a se stesso.
Dio è “giusto” e la sua “giustizia” riguardano la fedeltà agli uomini con i quali ha fatto il patto, per cui il significato della giustizia divina è pienamente positivo. Gli autori sacri vogliono dire: “anche se voi tradirete questo Dio, lo bestemmierete, lo rifiuterete, Egli rimarrà sempre fedele”: questa è la “giustizia” divina.
Dopo, noi in occidente gli abbiamo attribuito la giustizia del diritto penale romano: il premio e il castigo, ma nella Bibbia l’idea del Dio giusto e della giustizia di Dio si riferisce sempre alla sua fedeltà agli uomini.
Quindi non c’è nei Vangeli l’immagine di un Dio che giudica, perché, abbiamo sentito Gesù stesso: “Dio non mi ha mandato per giudicare, ma per salvare gli uomini”.
Da dove nasce allora quest’immagine del giudizio di Dio? Nasce da un’inesatta interpretazione del capitolo 25 del vangelo di Matteo, quella che poi ha ispirato i pittori. Basta pensare al giudizio universale nella cappella Sistina o ad altre espressioni del genere: di un Dio che premia i buoni e castiga i malvagi, ma questo si deve ad un’inesatta traduzione del testo greco e ad una mancata interpretazione di un termine che l’evangelista Matteo aveva messo in questo brano.
Perché Matteo, l’unico evangelista, ha questa parabola del giudizio? Conoscete la parabola del giudizio? Gli uomini divisi come le pecore e i capri e la domanda: “avevo sete, avevo fame ecc. ecc.?” perché gli Ebrei erano certi che per il fatto di essere discendenza di Abramo non andavano incontro a nessun giudizio.
La primitiva comunità cristiana di Matteo, che proviene dal giudaismo, era convinta che per il fatto di essere comunità cristiana non andava incontro a nessun giudizio.
Gli Ebrei si chiedevano “ma i pagani che fine fanno?” Nel Talmud c’è una pagina alla quale Matteo s’ispira: c’è Dio in trono con il libro della legge e sfilano davanti a lui tutti i popoli pagani. “Hai osservato la legge? Vieni benedetto nel regno di Dio. Non hai osservato questa legge? Vattene via”. Allora Gesù prende questa parabola, ma ne cambia i significati: non è più l’osservanza della legge ciò che determina la salvezza o meno, ma la risposta agli elementari bisogni nei confronti degli uomini, questo è il giudizio di tutte le “genti”: Il termine greco adoperato dall’evangelista è etne, da cui deriva la parola etnico, etnologia, con il quale s’indicavano le nazioni pagane, quindi non è un giudizio universale. È la comunità che si chiede: “Noi, per il fatto di avere dato l’adesione a Gesù, non andiamo incontro a nessun giudizio, ma quelli che non ti hanno mai conosciuto, quelli che magari ti hanno rifiutato, questi? Ebbene il giudizio non è su ciò che hanno creduto o meno, su ciò che hanno pregato o meno, ma sulla risposta agli elementari bisogni degli uomini: “avevo fame e mi hai dato da mangiare, avevo sete mi hai dato da bere”.
A quelli che hanno compiuto questo, anche se non conoscevano Dio, Egli dice: “venite benedetti dal Padre mio”: l’azione di Dio è positiva. A quelli che non l’hanno fatto dice: “andate via maledetti”, non dal Padre. Dio benedice solo! - Andate a vedere questo testo, che è bellissimo! - “Venite benedetti dal Padre mio”: - L’azione di Dio è solo positiva.- “Andatevene via maledetti”:- non li ha maledetti Dio!- “Siete voi che vi siete maledetti”.
Se non siete stati capaci di rispondere agli elementari bisogni dell’uomo, non avete in voi la vita. È quello che nel nuovo testamento viene definito la morte seconda.
Ma cosa significa la “morte seconda”? Dice l’autore dell’Apocalisse: “Beati quelli che non vengono colpiti dalla morte seconda”.
C’è una morte – la prima morte – a cui tutti andiamo incontro. La morte fisica, arriva ad un certo momento della nostra esistenza, ma Gesù ci garantisce sia noi che l’abbiamo accolto come modello di comportamento, sia quelli che, pur non avendolo conosciuto, hanno risposto ai bisogni d’amore degli altri, hanno una vita dentro di sé di una qualità tale che non faranno esperienza di questa morte. Continuano la loro esistenza: chiaro, muore la ciccia, ma questo non siamo noi. Oggi ci sono morte milioni di cellule e non ce ne siamo accorti. Un giorno morirà tutta questa parte fisica, ma non siamo noi. L’uomo continua la sua esistenza in Dio, senza andare incontro a nessun giudizio.
C’è il rischio reale che una persona, che ha sempre rifiutato le proposte di vita, che si è chiusa a tutti gli inviti ad amare, abbia atrofizzato quella vita che c’era in lei. Quando arriva la morte fisica trova il niente, un corpo svuotato d’energia. È l’annientamento totale dell’individuo: è la morte seconda. Questo per quanto riguarda il giudizio di Dio. Quindi il credente non va incontro a nessun giudizio, ma è passato dalla morte alla vita. Quelli che non hanno conosciuto il Signore si giudicano in base al comportamento che hanno nei confronti degli altri.
Gesù nei racconti della passione non è presentato come una vittima, che viene trascinata al macello, ma come il campione dell’amore, che non vede l’ora, sulla croce, di dimostrare quanto grande era l’amore del Padre per l’umanità.
Dobbiamo distinguere le devozioni, nelle quali abbiamo proiettato le nostre paure e i nostri bisogni, dall’insegnamento evangelico. La via crucis, se volete farla, fatela, ma non confondetela con i Vangeli. È nella via crucis che Gesù cade tre volte portando la croce, nei vangeli mai, Gesù non cade mai, però noi, per la poca conoscenza che abbiamo dei vangeli e la confusione che abbiamo in testa ne siamo convinti - (Tempo fa nel corso di esercizi spirituali, un prete mi contestò, disse: “padre tre volte no, ma senz’altro una è caduto” ed è ancora lì che sfoglia cercando ‘sta caduta del Cristo, che non riesce a trovare). Siamo noi che proiettiamo nel Cristo i nostri bisogni e lo facciamo cadere una, due, tre volte…. Gesù non cade mai, prende il patibolo e non viene presentato come una vittima trascinata al supplizio, ma come l’amore che non vede l’ora di manifestare sulla croce la potenza dell’amore che ha ricevuto. Gesù viene presentato nei Vangeli così.
Allora come si spiega, non in Giovanni, ma in Matteo o Marco o Luca questa richiesta di Gesù: “Padre se possibile allontana questo calice da me”? Che sarà messo a morte, Gesù lo sa dall’inizio, da quando trasgredisce tutti i comandamenti che gli uomini dovevano osservare, compreso quello del sabato, che vedremo poi nel pomeriggio.
Gesù non è un martire fanatico, non va incontro alla morte con fanatismo. Gesù muore non per volontà di Dio, ma per la convenienza del sommo sacerdote. Gesù è rimasto fedele all’amore e, per questa fedeltà, affronta il sacrificio. Allora perché dice “Padre si compia la tua volontà”? Per Gesù fare la volontà del Padre non è frutto di uno sforzo. Nel vangelo di Giovanni dice: “Per me compiere la volontà del Padre è il mio cibo” - è quello che lo mantiene in vita -. La volontà di Gesù è identica a quella del Padre: dimostrare l’amore all’umanità. Ma Gesù è rattristato dalla fine di Gerusalemme e del popolo di Israele, che hanno rifiutato il Messia portatore di pace e pensa: “ciechi e pazzi” hanno scelto l’assassino portatore di morte. Invece di Gesù, figlio del Padre, hanno scelto Bar-abba. “Bar-abbà” espressione aramaica –“bar” significa figlio, “abbà” significa padre – hanno scelto il violento, l’assassino ed è la distruzione.
Allora Gesù nella sua preghiera piange, si lamenta per la fine del suo popolo. Ha fallito completamente con il suo popolo. Dirà Giovanni: “venne tra i suoi, ma i suoi non l’hanno accolto”, che non è un recriminare contro il mondo giudaico, ma un monito che la comunità cristiana deve tenere presente, perché Dio si manifesta sempre, ma in maniere completamente nuove e c’è il rischio, che per l’attaccamento al Dio dei padri si perseguiti, come faceva Saul, il Dio che si presenta nel momento.
I religiosi giudei non sono malvagi, sono religiosi: attaccati ad un Dio imbalsamato, non si sono accorti di un Dio in carne e ossa, che hanno di fronte. Allora Gesù prega il Padre che passi quest’ora, -non della sua morte-, ma della distruzione di Gerusalemme. La morte di Gesù porterà alla distruzione di Gerusalemme perché hanno rifiutato il Messia portatore di pace e hanno scelto un violento.
Siamo reduci dalla Pasqua – non so come avete celebrato la domenica delle Palme – vi siete mai chiesti: “Ma come è possibile? Quelli che accolgono Gesù: “Osanna al Figlio di Davide….” Qualche ora dopo: “crocifiggilo!” Sono andati fuori di testa? Come è possibile che quelli, che lo hanno accolto con osanna, gridino: “crocifiggilo”? Perché avevano sbagliato persona! L’osanna è al “Figlio di Davide”, ma Gesù non è il “Figlio di Davide”.
“Figlio”, nel mondo ebraico, significa: “colui che somiglia al padre” e Davide era stato il grande re violento, assassino, spietato, che, attraverso la forza, aveva imposto il regno di Israele. Era questo il Messia che questi si aspettavano. Un Messia che, attraverso la violenza, conquistasse il potere”. Quando si accorgono che Gesù non è il “figlio di Davide” ma il “figlio del Dio vivente” non colui che toglie la vita ai nemici, ma colui che è disposto a darla pure per loro, di questo Messia non sanno che farsene, “Crocifiggilo! Scegliamo Barabba”. È la distruzione. Nel giro di pochi anni verranno i romani e di Gerusalemme non rimarrà pietra su pietra.
Altre domande?
Intervento Io, oltre a ringraziarla, vorrei chiederle l’origine del male nell’uomo, l’origine del male soprattutto la crudeltà, la cattiveria… non so come chiederlo. Da dove nasce, visto che nel prologo viene detto “tutto fu fatto per mezzo di Lui”?
Maggi Dunque ieri sera abbiamo visto le divinità pagane … ebbene nel mondo pagano è tutto molto chiaro. Ci sono un Dio buono, che crea la vita e il bene e un Dio malvagio che crea le malattie i danni e la morte..
Quando nell’ebraismo si cominciò a purificare il volto di Dio, inizialmente in Dio esistevano questi due aspetti: era buono, ma anche abbastanza “malignetto”, quindi mandava il bene e mandava anche il male, perché non si poteva tollerare nell’ebraismo, -che arrivava pian piano all’idea di un Dio solo- l’immagine di un’altra divinità, una divinità negativa.
Ebbene,con Gesù tutto questo è scomparso. Dio è amore e da Lui può venire solo amore.
Da Dio, dal Padre di Gesù, non può venire nulla di negativo. Ma allora, se Dio è onnipotente, perché esiste il male nel mondo? Se Dio è onnipotente, non è buono; se è buono, non è onnipotente. La soluzione infantile che spesso viene data è: “Dio non vuole il male, ma lo permette”. Criminale lo stesso! Se io papà dico a mio figlio: “Non attraversare la strada, che arrivano le macchine e vai sotto” e mio figlio disobbedisce e attraversa la strada, io vedo arrivare la macchina…. L’ho avvisato, non voglio il male, ma lo permetto: passa la macchina e lo schiaccia. Ma quale padre non si getta lui sotto la macchina per salvare la vita del figlio? Per giustificare il male nel mondo, si è finito per incancrenire ancora di più l’immagine di un Dio spietato, malvagio.
Il problema era anche all’epoca di Gesù. Mentre nella tradizione giudaica si credeva che Dio avesse creato il mondo perfetto e che il settimo giorno si fosse riposato (poi –accidenti! Quei due, avevano combinato il guaio, avevano rovinato tutto ed ecco allora le malattie, la morte, che prima non c’era, e tutte le disgrazie) Gesù smentisce questa interpretazione del libro del Genesi, ha un’altra risposta: il racconto della Creazione non è il rimpianto di un paradiso definitivamente perduto, ma la profezia di un paradiso da costruire.
Il comandamento del sabato significa riconoscere che Dio si riposa perché ha ideato bella la sua creazione: sono stati quei “due scellerati” a rovinarla!
Quando Gesù ignora il sabato e le autorità gli dicono: “Che fai?” risponde: “Il Padre mio lavora e anch’io continuo a lavorare”. La creazione semplicemente non è terminata, non è completata. Il Padre continua la sua creazione e ha come progetto quella del Genesi, cioè: piena armonia tra l’uomo e la donna, piena armonia tra gli uomini e il creato. Ma è una profezia, cioè un progetto da realizzare, non il rimpianto per qualcosa che è stato irrimediabilmente perduto.
Allora Gesù dice: “Il Padre mio lavora e anche io lavoro” e ci associa nella sua azione creatrice. C’è S. Paolo, che nella lettera ai Romani ha un grido: dice “ma non v’accorgete che la creazione geme nell’attesa che voi diventiate figli di Dio?”
Quindi i mali che ci sono nella società, i mali che ci sono nell’umanità fanno parte di questo processo lento di crescita e di maturazione. Più l’uomo diventa figlio di Dio e più riuscirà ad entrare in sintonia con la creazione e i mali progressivamente tenderanno a scomparire ad eliminarsi o perlomeno ad essere sopportabili.
Quindi i mali che ci sono nel mondo fanno parte di quest’azione di crescita della umanità, che è contrastata dalle forze dei “poteri”, che, anziché la vita, vogliono la morte.
Pensate soltanto se ciò che s’impiega per distruggere, per ammazzare, fosse impiegato, nella ricerca scientifica, per dare vita, quante malattie, quante sofferenze di meno avremmo.
Ma fintanto che nella società vige l’egoismo dell’accumulo del denaro - e per questo bisogna creare disordini, guerre, distruzioni - fintanto che la nostra economia (quella italiana) deve gran parte del suo apporto alle industrie belliche, cioè che producono morte e distruzione, ecco che la creazione rimane paralizzata. Quindi l’invito da parte di Gesù di alzarci le maniche e lavorare tutti per cambiare qui, in profondità, questa società.
Intervento La mia domanda è un po’ una provocazione, anche una rabbia che ho dentro. Sentendo la sua relazione, mi viene da chiedere: ma come è possibile che tante persone: i religiosi, le persone che hanno dedicato una intera vita a studiare la parola, il vangelo, continuino ancora adesso, nella Chiesa, nelle varie parrocchie, a lanciare un messaggio che non è questo. Lei ha spiegato queste parabole con una semplicità… e sono semplici a leggerle! Come mai questo messaggio comunque non viene interpretato così?
Una spiegazione che mi sta sorgendo dal profondo è che, se è vero che è un Dio che cambia nel tempo, allora forse il Dio di adesso sta cambiando, lei ce lo sta un po’ cambiando quel Dio a cui siamo stati abituati….
Però è un po’ in contraddizione anche questo, perché se Dio è veramente un abbraccio di amore, come è possibile che, nel vangelo non si esprima così, e noi abbiamo potuto interpretarlo diversamente, addirittura come fonte di castigo a volte, di sofferenza? Io sto facendo catechismo a dei bambini che il 24 aprile faranno la prima comunione, abbiamo trattato l’argomento della confessione. Purtroppo è difficile e comunque glielo abbiamo trasmesso con un’altra connotazione, non di sicuro come lei ce l’ha detto. Si va un po’ in crisi. Io mi chiedo perché i preti ancora oggi lanciano un messaggio diverso da questo? I preti, la chiesa, che comunque ha documenti, tempo per studiare e per rivedersi per essere critica.
Maggi Renata ha messo il dito nella piaga sanguinante.
Dio già nell’Antico Testamento rimprovera i sacerdoti dice il mio popolo perisce per mancanza di conoscenza e i responsabili sono i sacerdoti.
Credo che qui ci siano dei medici, se un medico vi cura come curava al tempo in cui si è laureato, ma dopo non ha aperto più una rivista scientifica, non ha partecipato più a nessun convegno, a nessun congresso di aggiornamento, se sono passati degli anni, la cura, che trent’anni fa vi guariva, oggi vi manda all’altro mondo. È pericoloso un medico che non si aggiorna, va evitato perché rischia di danneggiarvi. I medici coscienti continuamente rinnovano la loro arte medica… ma trent’anni fa guariva…. E va bene, trent’anni fa!
Ebbene i preti sono più pericolosi dei medici, perché un prete che dal momento dell’ordinazione non apre più un libro, non si aggiorna più in riviste scientifiche, non si mette in sintonia con il rinnovamento che c’è nella chiesa è pericolosissimo, va evitato.
I preti se li conosci li eviti, naturalmente quelli che non si aggiornano. Purtroppo una definizione dei preti è che sono quelli che si occupano sempre delle cose più urgenti e mai di quelle più importanti. Le cose che vi dico non piovono dall’alto, fanno parte degli studi che la Chiesa, anche gerarchica, accoglie, solo che non vengono fatte conoscere alla gente.
Una piccola nota biografica, io con altri confratelli abbiamo inaugurato già da 10 anni un centro studi biblici nelle Marche, perché era il mio dolore vedere che nel campo biblico c’è una produzione effervescente di novità, che rimane a livello di studiosi, a livello di gerarchia, ma non arriva alla gente. Alla gente arrivano -se arrivano- le briciole decomposte, allora mi sono chiesto: ma non è possibile che questo tesoro che ha la Chiesa possa arrivare alla gente? Allora abbiamo creato questo centro, dove studiamo in maniera rigorosamente scientifica, addirittura maniacale, ma poi divulghiamo in maniera popolare, come avete sentito qui, anche con qualche parola che fa scuotere un po’ le pie orecchie delle persone religiose, ma un po’ di choc fa bene.
Avete sentito che nel corso di questi incontri non c’è stata né una parola tecnica, né una clericale né una difficile. Noi studiamo queste novità e le divulghiamo a livello popolare. Come lo facciamo noi potrebbero farlo i preti. L’invito che vi faccio è: smettiamola di avere soggezione dei preti. Quando un prete fa una predica che non ha né capo né coda, bisogna avere il coraggio di dirglielo: “Oggi hai detto delle grandi fesserie”.
Uscire di chiesa di fronte ad una predica insulsa è un gesto di legittima difesa, ma fin tanto che i preti si trovano le chiese piene, non cambieranno mai. Quando se le troveranno svuotate, finalmente diranno: “Forse c’è qualcosa che non va…” Quindi oggi abbiamo tutti un grado di istruzione maggiore del passato, abbiamo la possibilità tutti di comprare dei libri o di informarci, di aggiornarci a livello di religione e, se non ce lo danno i nostri preti, procuriamocelo da soli. Va bene Renata?
Intervento Si va bene, ancora una domanda: se poteva dire due parole sull’Eucaristia
Maggi Ci sarai domani?
Intervento No, purtroppo oggi è l’unico giorno…..
Maggi Brevemente allora domani celebreremo l’Eucaristia. Cos’è? Abbiamo detto che con il Dio di Gesù è finito il culto nei suoi confronti. L’uomo nell’antichità doveva togliersi il pane per offrirlo a Dio, con Gesù, è Dio che si fa pane e si offre agli uomini.
Domani quanto celebreremo l’Eucaristia tutto questo verrà richiamato. Non sarà un momento di culto nei confronti del Signore, ma un’immagine molto bella, che c’è nel Vangelo di Luca, proprio dell’Eucaristia, dice: “immaginate un padrone che torni di notte a casa; trovando i servi ancora in piedi cosa farà?” “Normale: si farà servire!”.”No! Li farà sedere e passerà lui a servirli”: questa è l’Eucaristia. L’Eucaristia è il momento privilegiato e importante nel quale noi servi - (non di Dio, perché con Gesù non siamo servi ma figli) - servi volontari dei nostri fratelli, veniamo fatti riposare, perché il Signore passa a servirci, cioè ci comunica la sua stessa capacità di amore, per darci energie nuove per amare: questo è il significato dell’Eucaristia. Quindi è un momento importante e prezioso nel quale la Comunità viene, per dirlo in termini moderni, ricaricata di energia da parte di Gesù, perché con Lui e come Lui si possa poi andare verso gli altri, questo è il significato dell’Eucaristia.
Quindi Gesù si fa pane, Gesù il figlio di Dio si fa pane perché quanti lo accolgono e si fanno pane per gli altri, diventino anch’essi figli di Dio.
Facciamo ancora una domanda.
Intervento Ho solo un dubbio legato sempre a questo
Maggi Se è solo un dubbio, è andata bene la mattinata…
Intervento Primo dubbio legato a questa domanda è che ci sia nella Chiesa e nella Gerarchia un po’ di volontà di mantenere la situazione com’è.
Maggi Tu lo dici…….
Moderatore Padre Alberto non può sbilanciarsi troppo…
Maggi No, no più la gente è ignorante più si comanda bene, ogni dittatura la prima cosa che fa è eliminare le classi intellettuali, quelle che possono far ragionare le persone.
Intervento Sì però ci si aspetterebbe che nella Chiesa, espressione del Corpo di Cristo, il ragionamento fosse diverso. Pensando a questo, riflettevo su: ”quelli che avranno dato da bere, da mangiare vengano a me, qualunque sia la loro origine…”. E mi domandavo come sia stato possibile che in un Concilio di Firenze nel 1400, dopo 1400 anni di Cristianesimo, si dicesse che chi non apparteneva al cattolicesimo non aveva speranza di salvezza. Insomma la Chiesa come ha potuto dire una cosa del genere? È veramente aver ripudiato il vangelo.
Maggi Dunque: un po’ è malafede un po’ era ignoranza, dovuta, alla mancanza di accesso al testo originale. (Noi, nella nostra équipe, stiamo traducendo da 10 anni il Vangelo di Matteo e non abbiamo ancora terminato).
Tradurre è delicatissimo, perché se io imposto la mia vita sul vangelo e questo è mal tradotto, la mia vita sarà devastata. Allora il testo originale era greco: perché il greco? Perché era l’inglese dell’epoca. Gli evangelisti hanno scelto la lingua commerciale però hanno fatto male i calcoli, perché già un paio di secoli dopo, il greco ha cominciato a declinare e da noi in occidente è subentrato il latino, da cui la necessità di tradurre il testo dal greco al latino.
Ebbene papa Damaso nel 384 incaricò San Girolamo di verificare le varie traduzioni che c’erano e di farne una che andasse bene. Girolamo fece un lavoro ciclopico non esente da errori e il più grosso è nel cap. 10° del vangelo di Giovanni. Ha confuso i termini “ovile” e “recinto”…Si dice che Gesù entra nel recinto e caccia fuori le pecore. Con Gesù è la fine dei recinti, per quanto sacri possano essere. Cos’è il recinto? È quello che ti dà la religione. Ti toglie la libertà, però ti dà la sicurezza. Qual è la sicurezza? Che tu non devi più pensare con la tua testa, avrai sempre un superiore che ti dice cosa fare. Ci sono persone che per la loro indole psicologica, per la loro struttura mentale, hanno paura della libertà, allora si affidano ad una istituzione dove c’è un capo che decide per te: rinuncio alla mia libertà però ho la sicurezza: non sbaglio mai perché, caso mai, sbaglia chi mi ha comandato.
Gesù spinge via le pecore dal recinto, perché viene a portare la libertà senza alcuna sicurezza. Gesù non ha bisogno di esseri infantili, che hanno sempre bisogno di un padre che gli dica cosa fare, ma di persone mature, capaci di camminare con le proprie gambe. Allora Gesù dice e vi sarà un solo gregge, un solo pastore.
Tutti quelli che vengono liberati da Gesù formano questa comunità.
Girolamo, probabilmente ingannato dal termine “ovile”, che c’era una riga prima, ha tradotto, anziché: “vi sarà un unico gregge”, “vi sarà un unico ovile”.
Gesù aveva eliminato gli ovili, San Girolamo scrive: “vi sarà un unico ovile”.
Da qui l’interpretazione: vi sarà un’unica chiesa.
Lo slogan che imperava ancora prima del concilio era: “fuori della Chiesa cattolica non c’è salvezza” perché Gesù ha detto (secondo questa traduzione): “ci sarà un unico ovile”.
Vi sono state lotte di religione, guerre tra le varie chiese per essere un’unica Chiesa. La religione in assoluto più criminale, che sia apparsa sulla faccia della terra è il cristianesimo.
I morti che ha sulla coscienza il cristianesimo, nessun’altra religione ce l’ha. Tutto per forzare le persone ad entrare in questo recinto. Andavano i missionari con il crocifisso: “ci credi?” –“no”– una botta in testa, tanto bisogna massacrarli. In nome di Dio, del Dio di Gesù, sono stati compiuti dei genocidi spaventosi. Pensate soltanto alla scomparsa dei popoli dell’America latina, dei Maja, degli Aztechi, ma non solo, all’interno dello stesso cristianesimo sapete che ancora tutt’ora non si conosce bene il numero delle donne bruciate nei roghi? Si va da un minimo di 3000-4000 fino ad un massimo di 7 milioni……
In nome di Dio i cristiani sono stati squartati, bolliti, arrostiti, amputati, per farli entrare nell’unico ovile, che era il regno di Dio.
Quindi vedi come un’inesatta traduzione del Vangelo ha portato dei danni catastrofici.
Oggi non c’è più questo “ovile” ci saranno “un gregge” ed “un unico pastore”.
Bene penso che possiamo terminare, oggi pomeriggio alle 16 con il vangelo di Marco.
Oggi pomeriggio passiamo ad un altro evangelista.
Dice il Talmud: quando ti trovi in un contrasto tra la Parola di Dio e la parola dello scriba, ascolta quest’ultimo. Gli scribi erano gli interpreti ufficiali della sacra scrittura e i depositari della volontà di Dio. Il loro potere sulla folla era enorme. Quando parla uno scriba è Dio che parla.
Ebbene quando Dio parla, la gente reagisce e dice: “Questo sì sentiamo che viene da Dio, non come i nostri scribi”. Qual è l’insegnamento degli scribi? Abbiamo il loro insegnamento e le trascrizioni delle loro prediche. Era tutto un insieme di doveri nei confronti di Dio, era un aumentare sempre pesi su pesi in modo che l’uomo fosse schiacciato continuamente e soprattutto facevano in modo, e questo è il crimine della religione, di riuscire ad inculcare in ogni persona il senso della piena “indegnità” nei confronti di Dio, che non permetteva mai di sperimentare la piena intimità e comunione con Lui. Questo era l’insegnamento degli scribi: “La Bibbia dice così”. Il profeta, il rabbino tal dei tali ha detto così, e noi vi diciamo che: eccetera, eccetera…e la gente era schiacciata dal peso insopportabile di tutte queste leggi da osservare, che, come dirà Pietro: “Non siamo riusciti noi, né i nostri padri mai ad osservare questo peso incredibile della legge…”.
Allora Gesù entra nella Sinagoga, “immediatamente” si mette ad insegnare; subito c’è la reazione della gente, che porta il discredito all’insegnamento degli scribi ed ecco - c’è la stessa parola - “immediatamente” succede l’incidente. Nella loro sinagoga, - notate che l’evangelista prende le distanze: è la “loro”-, vi era un uomo, (è anonimo, quindi è rappresentativo di tutti coloro che si trovano nella sinagoga), con uno spirito impuro, che immediatamente gridò. La denuncia che fa l’evangelista è grave. L’unico personaggio che troviamo in questa sinagoga è un uomo con uno spirito impuro. Che cosa significa un uomo con uno spirito impuro? Spirito è una forza, un’energia vitale; quando questa forza proviene da Dio si chiama Santo, non solo per la qualità, ma per l’attività che è di separare l’uomo, che accoglie questo spirito, dalla sfera del male. E l’attività di Gesù, l’uomo sul quale è sceso lo Spirito, la pienezza della forza dell’amore di Dio, sarà di battezzare in Spirito Santo, annunciare la vita di Dio, che nella misura in cui viene accolta dalle persone, le separa dalla sfera del male. Quando questa forza non viene da Dio, ma viene da realtà che gli sono contrarie, si chiama impura, perché fa rimanere le persone nella cappa dell’impurità. Ebbene, nella sinagoga, denuncia l’evangelista, c’è una persona impura. L’evangelista intende denunciare l’istituzione religiosa giudaica, che, con il suo insegnamento, allontana l’uomo da Dio anziché avvicinarlo. Gli scribi, proprio loro, che maniacalmente cercano di individuare e imporre leggi rigorose sulla purezza, non si accorgono che l’impurità risiede proprio all’interno della loro sinagoga. I luoghi religiosi sono a rischio. Chi li frequenta contrae l’impurità. - Capite perché hanno ammazzato Gesù?- Io, leggendo i Vangeli, (ed è una vita che lo faccio), non smetto di stupirmi, non che sia stato ammazzato, ma di come abbia fatto a campare così tanto! Questo è un uomo da “ammazzare tutto” subito! Uno che arriva a dire che frequentare i luoghi religiosi non solo non induce alla comunione con Dio, ma sono luoghi infetti di impurità, questo bisogna ammazzarlo subito. Infatti la volta successiva in cui Gesù entra in una sinagoga decidono di ammazzarlo.
Questo uomo con uno spirito impuro immediatamente gridò. Appena c’è stata la reazione positiva da parte della gente c’è quest’uomo, posseduto da uno spirito impuro. - Cosa significa un uomo posseduto da uno spirito impuro? È un individuo che solitamente ha aderito ad un sistema di valori o ad un’ideologia religiosa, che lo rende non solo refrattario, ma ostile all’insegnamento di Gesù. - Mentre la gente ha avuto una reazione positiva, questo ce l’ha negativa, reagisce e si mette a gridare e, notate che strano: è un individuo, ma parla al plurale e dice: “Che vuoi da noi?” È strano: come mai un individuo parla al plurale: ”Gesù Nazareno”, - gli ricorda la sua provenienza: Nazaret - “sei venuto a rovinarci? Io so chi tu sei: il santo di Dio”. Vediamo un po’ di comprendere questa espressione. Perché quest’uomo posseduto da spirito impuro parla al plurale ed accusa Gesù che è venuto a rovinarli? Ma Gesù con il suo insegnamento chi sta rovinando? La gente ha avuto una reazione positiva. Gesù sta rovinando la reputazione, l’autorità degli scribi, che contrabbandavano come volontà di Dio quelle che erano in realtà invenzioni degli uomini. Le avevano talmente ben presentate ed imposte, che la gente non distingueva più quella che era la volontà di Dio da quelle che erano tradizioni degli uomini. Gesù, con il suo insegnamento, sta rovinando l’insegnamento degli scribi. Allora chi è quest’uomo posseduto da uno spirito impuro? È una persona che ha basato tutta la sua fede, tutto il suo credo sull’insegnamento degli scribi.. Appena vede questo minacciato, sente minacciata la sua religiosità, la sua fede, la sua stessa esistenza, ecco perché reagisce.
L’uomo posseduto da uno spirito impuro rappresenta chi ha aderito alla religione. (Ricordate, questa mattina, si parlava dell’effetto della religione). La religione ti toglie la libertà, però ti dà la sicurezza, ti toglie la libertà, perché tu non sei più capace che agire secondo il tuo cervello, ma secondo un’autorità che conosci, questo ti toglie la responsabilità. Tu agisci secondo quello che gli altri ti dicono. “Cos’è bene, cos’è male” non sei tu a deciderlo, ma c’è sempre una persona, che è superiore a te, che ti dirà ciò che è bene è ciò che è male nella tua vita. La persona che agisce così, non è mai quindi responsabile delle sue azioni. Ebbene quest’uomo si sente minacciato dall’insegnamento di Gesù e dice: “Sei venuto a distruggermi? Gli ricorda che è “il santo di Dio”. Il “santo di Dio” è un’espressione che indicava il Messia atteso dalla tradizione, che doveva essere il perfetto osservatore della legge ed il perfetto interprete della legge. Egli ricorda a Gesù qual è il suo scopo: “Tu non devi demolire la legge, tu la devi far osservare”. E Gesù lo sgridò dicendo “Taci”.-La parola di Gesù riduce al silenzio,quella degli scribi- “Esci da lui”. Gesù non accetta il dialogo e gli impone il silenzio. “E lo spirito impuro, straziandolo e gridando forte, uscì da lui”. Quando gli Evangelisti ci presentano questi episodi, non fanno racconti di cronaca, ma narrazioni teologiche. Questi episodi non riguardano la storia, ma riguardano la fede. Qui l’Evangelista vuol presentare lo strazio di una persona, la quale, ad un certo punto della sua esistenza, scopre che tutto quello che le veniva insegnato per entrare in comunione con Dio, non solo non favorisce la comunione, ma è proprio ciò che gliela impedisce. Scopre che tutto quello che aveva creduto sacro,non solo non è tale, ma è fonte di impurità, cioè le impedisce il rapporto con Dio. Ecco perché lo strazio è grande. La liberazione dell’individuo non è indolore. Arrivare ad un punto della propria esistenza imbattersi nel vangelo di Gesù e scoprire che si è sbagliato completamente l’orientamento della propria vita è un dramma e uno strazio, però è lo strazio che porta alla liberazione.
Tutti furono meravigliati tanto che si chiedevano a vicenda “Che è mai questo?” C’è uno stupore, una meraviglia. “Un insegnamento nuovo”. Nella lingua greca “nuovo” si può dire con due termini: uno che significa aggiunto nel tempo, quindi: abbiamo tanti insegnamenti, c’è un insegnamento nuovo. Questo termine si chiama ”neo”, lo usiamo anche nella lingua italiana. L’altro invece indica una qualità migliore, che sostituisce tutto il resto. La gente sente nel messaggio di Gesù una qualità che annulla tutto l’insegnamento degli scribi, si riconosce l’origine divina, “dato con autorità”. “comanda persino agli spiriti immondi, e, stupore, gli obbediscono”. È strano: Gesù ha agito con uno spirito immondo, ma la gente estende l’attività di Gesù a tutti gli spiriti immondi. La sua fama si diffuse subito ovunque in tutta la regione della Giudea. E adesso vedremo le conseguenze di questa fama, ma prima vorrei sottolineare un aspetto importante: quello dell’impurità che abbiamo visto risiedere proprio nella sinagoga.
Ricordate, fin dalla prima sera abbiamo detto che è la religione ad inventare il peccato. Gli uomini che ragionano non arrivano mai ad individuare in certe situazioni, in certe azioni, in certi comportamenti un crimine talmente grave da scatenare le minacce di Dio. È la religione che inventa il peccato e riesce ad inculcarlo nella testa della gente ed è la religione che aveva creato la categoria del puro e dell’impuro: Dio è nella sfera della purezza, l’uomo nella sfera dell’impurità. Tutto quello che riguarda la vita dell’uomo lo rende impuro. Soltanto tre aspetti riguardo all’impurità: la stessa nascita di un figlio rendeva la madre impura. Abbiamo detto che la religione è nemica della vita. Credo che, se c’è un momento nel quale si può toccare con mano il miracolo della creazione, sia la nascita di un bambino. Non così per la religione. Allora la religione, -libro del Levitico, parola di Dio- stabilisce che, quando una donna partorisce, per 33 giorni è impura, 66 se è una femmina. Per una settimana, dopo questi 33 giorni, non potrà recarsi al tempio, 14 se è una femmina, perché la femmina rende la madre impura due volte. Ma è possibile che la nascita di un bambino renda impura la madre? Guardate, noi ridiamo, ma fino a prima del Concilio Vaticano II, le mamme, quando partorivano, non potevano entrare in chiesa se non previa benedizione del parroco, perché il parto le aveva rese impure. Una persona che ragiona con la propria testa come può credere che la nascita di un bambino renda impuri? Impuro significa che il contatto con Dio è finito, perché Dio accoglie le preghiere e si può essere in sintonia con Lui soltanto se la persona è pura. Ma può la nascita di un bambino rendere impura una persona? È la religione che inventa questo.. Un altro aspetto che rendeva impura la persona era la vita sessuale. La donna per il fatto del ciclo mestruale era sempre impura. Poteva avere rapporto col marito solo quando non aveva il ciclo, ma questo la rendeva impura, quindi la donna era considerata sempre impura. La religione faceva si che anche gli aspetti normali dell’esistenza fossero vissuti con un senso di colpa e di vergogna. Quante coppie, anche nel nostro cristianesimo, sono state traumatizzate perché la sola idea di provare piacere in un rapporto coniugale li faceva sentire in colpa? Che tutto quello che riguarda il sesso sia parente del peccato deriva appunto da queste credenze ebraiche. E infine i cibi. Il libro del Levitico ha capitoli nei quali separa cibi che ti rendono puro e cibi che ti rendono impuro e se uno va a leggere trova che è impuro il maiale, ma non le cavallette.” A me le cavallette fanno schifo, il prosciutto mi piace. “No! Se mangi il maiale sei impuro”. Allora quando dico che è la religione che inventa il peccato, capite a cosa mi riferisco. Non sto minimizzando il senso del peccato, ma Gesù lo ha riportato nel suo vero significato. Il peccato per Gesù non è la trasgressione di una regola, di un precetto divino, ma è il male che intenzionalmente l’uomo fa nei confronti dell’altro. Quando Gesù parla del peccato -e proprio in questo vangelo- dichiara puri tutti i cibi: quindi è falso il libro del Levitico. Ma come ?: è falsa la parola di Dio?” È falsa la parola di Dio”. Non è vero che ci sono dei cibi che mangiandoli ti rendono impuro. Il peccato non sta all’esterno da te, ma sta al tuo interno. È la cattiveria che hai dentro e che si trasforma in un atteggiamento che danneggia l’altro. Nell’elenco che Gesù fa dei peccati non ce n’è nessuno che riguarda Dio. Il peccato non è non partecipare al culto, non pregare e neanche non credere. Il peccato cos’è? È rubare, invidiare, odiare; è tutto quello che concorre a danneggiare l’altro. C’è un peccato che io, in tutta la mia attività di prete ormai trentennale, non ho mai sentito confessare, eppure Gesù lo mette all’ultimo posto, non perché fosse il meno importante, ma proprio per dargli rilievo: la stupidità. Essere stupidi è un lusso che non ci possiamo permettere; è un peccato! Perché la stupidità impedisce di percepire l’azione di Dio nella nostra esistenza. Ecco allora la liberazione che ha fatto Gesù. Il peccato non è quello che vi è stato insegnato; il peccato è la cattiveria che uno si porta dentro e trasforma in azioni concrete, che danneggiano gli altri. Per la gente è una grande liberazione:” allora posso far l’amore tranquillo con mia moglie senza dover dopo purificarmi?” “Ma fallo, fallo con fantasia, ma fallo”.”Allora posso mangiare un prosciutto?” Ma sì!” Il rapporto con Dio non è basato su queste cose. Il rapporto con Dio è basato sulla tua relazione con gli altri. “E se commetto un peccato? Devo andare al tempio a portare una gallina?” “Ma figurati, quella va nella pancia dei sacerdoti, non va a Dio.Se commetti un peccato, perdona i peccati degli altri e le tue colpe ti saranno cancellate”. È l’allarme. Se l’insegnamento di Gesù, dilaga, è la fine del tempio! Il tempio di Gerusalemme si manteneva con le entrate dei sacrifici per i peccati. Se la gente capisce davvero che non c’è più bisogno di portare una capra per ottenere il perdono dei peccati, gli ingressi calano.
Tanto per avere un’idea di come si era trasformata la religione: il sommo sacerdote era il proprietario dell’allevamento nel monte degli ulivi dove potevano essere comprati gli animali per i sacrifici, perché non è che uno potesse prendere una gallina o una capra sua. No! Dovevano essere determinati animali. Facciamo l’ipotesi che io da Nazareth andassi a Gerusalemme, non potevo mica fare 100 km con un animale…Andavo dal sommo sacerdote, che era il detentore dell’allevamento, compravo l’animale, lo portavo al tempio, il sacerdote lo sgozzava, una spruzzatina su di me. Si prendeva sia la pelle (era importante) sia la carne. Naturalmente in quell’epoca non si facevano i viaggi di andata e ritorno, come minimo si stava a Gerusalemme tre giorni. Se volevo mangiare una bistecchina dell’agnello, della capra, andavo dal macellaio. Avete già capito di chi erano di proprietà le macellerie di Gerusalemme? guarda un po’ della famiglia del sommo sacerdote. È il caso di dire. “compri uno-paghi tre”. L’ho comprato, l’ho offerto e, se voglio mangiarne una bistecca, lo devo ricomprare. Voi capite che si crea l’allarme nel tempio. Quest’allarme non è solo economico, ma è di autorità e di prestigio. Ed ecco le conseguenze: abbiamo visto che la gente, entusiasta di questo messaggio, diffonde la fama di Gesù in ogni luogo ed ecco le reazioni, le conseguenze di questo allargamento del messaggio.
Andiamo al versetto 39: “….andò predicando nelle loro sinagoghe - (ripeto, mai Gesù partecipa al culto sinagogale, va nelle sinagoghe per insegnare, per liberare la gente) - per tutta la Galilea e scacciando i demoni
”Volete trovare i demoni? Andate nelle sinagoghe. Sono i luoghi di culto quelli più refrattari ed ostili e i ricettacoli d’impurità, perché è la religione, che crea l’impurità e crea i demoni..
Allora Gesù va in questi luoghi di culto per liberare le persone dal giogo della schiavitù della legge. “Accorse a lui, - e c’è una sorpresa - un lebbroso”. Un lebbroso che accorre da Gesù! La lebbra a quell’epoca non era considerata un’infermità, ripugnante quanto volete, ma era considerata una maledizione scagliata da Dio contro determinati peccati e peccatori. Questo lebbroso è anonimo. Ormai siamo diventati tutti pratici sull’interpretazione dei Vangeli: quando un personaggio è anonimo significa che è rappresentativo. Quello che l’evangelista adesso ci sta per narrare non è un fatto di cronaca, ma una realtà di fede, che non riguarda la storia, ma la teologia e quindi è importante che lo comprendiamo. Ebbene, il lebbroso era considerato un maledetto da Dio per determinati peccati. La sua guarigione era, praticamente, impossibile. In tutta la Bibbia si trovano, per quanto grave e diffusa potesse essere la lebbra a quel tempo, solo due casi di lebbrosi guariti. Il primo caso Maria, sorella di Mosè, guarita direttamente da Dio, che era quello che gliel’aveva mandata, naturalmente, e il secondo un ufficiale pagano Nahaman il Siro guarito da Eliseo. Con tutti i lebbrosi che c’erano in Israele, due casi di guarigione, quindi praticamente impossibile essere guariti della lebbra. Il lebbroso deve vivere fuori del villaggio, non può né avvicinare né essere avvicinato, se vede persone da lontano deve fuggire e gridare: ”Immondo, Immondo”, per i lebbrosi non c’è speranza, erano considerati morti viventi. Il lebbroso è considerato rappresentativo delle persone che vivono una situazione dalla quale, anche volendo, non possono uscire, perché l’unico che potrebbe guarirli è Dio, ma loro, fintanto che sono lebbrosi, non possono rivolgersi a Lui, quindi sono senza speranza. L’unico che mi può salvare è Dio, ma io non posso rivolgermi a Lui, perché sono lebbroso. Per i lebbrosi non c’è alcuna possibilità di salvezza, perché, come la religione insegna, a Dio non si può rivolgere una persona che è impura e Dio non si rivolge ad una persona che è impura. Quindi rappresentativo di persone che vivono una situazione religiosa, morale, che viene considerata peccato. L’unico che li potrebbe togliere da questa situazione è Dio, ma loro non possono avvicinarsi a Lui fintantoché vivono questa situazione. Non c’è speranza! Ebbene. Questo lebbroso accorre a Lui è una trasgressione. Come fa questo lebbroso ad accorrere a Gesù? È la fama di Gesù che si è allargata. Ha sentito che Dio è amore, che Dio non tollera che neanche una persona possa essere emarginata e discriminata in nome suo. Abbiamo detto più volte che Dio è amore che desidera comunicarsi a tutte le persone indipendentemente dalla loro condotta e dal loro comportamento. Allora il lebbroso spera, o s’illude, che ci sia speranza anche per lui e quindi accorre, fa la trasgressione. Ripeto, il lebbroso doveva scappare ed invece accorre a Gesù e lo supplica…, ma si mette in ginocchio, sa di aver trasgredito la legge, sa di essere colpevole e si mette in ginocchio, pronto ad accettare eventualmente il rifiuto ed anche il castigo, però ci prova. Dice: “Se vuoi”- non è sicuro, non è sicuro che quest’uomo che ha sentito parlare dell’amore di Dio, possa manifestare l’amore di Dio anche a lui, che è un peccatore-. “Se vuoi, puoi…” Non chiede di essere guarito, solo Dio poteva risanarlo. Chiede di essere purificato, che gli venga tolta l’impurità, per poi potersi rivolgere a Dio.
Ebbene abbiamo detto due guarigioni di lebbrosi nell’Antico Testamento, una da Dio l’altra da Eliseo. Quando il lebbroso si è presentato ad Eliseo, che era un uomo di Dio, manco l’ha voluto vedere, gli ha detto: “vai, vai, vai, tuffati sette volte nel fiume Giordano e sarai guarito”, ma Gesù, che per fortuna non è una persona religiosa, cosa fa? Mosso a compassione – questo verbo greco indica lo sconvolgimento delle viscere materne e indica l’amore che Dio ha per gli uomini - . Di fronte a questo lebbroso, se Gesù fosse stato una persona pia, una persona religiosa, avrebbe potuto fare quel rimprovero che spesso si sente: ”te la sei andata a cercare, te la sei voluta? Adesso te la tieni. Adesso ti accorgi del Signore. Non ci potevi pensare prima? Sei colpevole della tua situazione”. Invece Gesù, di fronte alla situazione di questo uomo, viene preso da compassione, cioè sconvolgimento delle viscere materne e “stese la mano e lo toccò”. Perché Gesù stende la mano? Non era mica necessario. Quante guarigioni Gesù ha compiuto soltanto con la forza della sua parola. Perché questa volta Gesù stende la mano e lo tocca? La Bibbia proibiva di toccare un lebbroso, perché: se tu che sei puro tocchi un impuro, la sua infezione si trasmette a te. Questa espressione “stendere la mano” era sempre usata per descrivere le azioni distruttrici di Dio e di Mosè: “Stese la mano sul faraone, stese la mano sugli Egiziani…”. Sono azioni che portano morte contro i nemici di Dio. Ebbene Gesù, che manifesta la pienezza della divinità, stende la mano e non colpisce il peccatore, non lo incenerisce. “Lo toccò” per dimostrare la falsità di una legislazione che veniva attribuita a Dio e che invece non esprimeva la volontà di Dio. Quindi lo tocca -anche se era proibito- dicendo: “Lo voglio”.
La volontà di Dio è il bene dell’uomo. “Lo voglio, sii purificato”.
Con questo comando di Gesù, si sbriciola tutto il castello teologico costruito dagli scribi sull’impurità dell’uomo e soprattutto - ed è importante questo - Gesù dicendo: “Lo voglio, sii purificato”, vuol dire che Dio non tollera alcuna discriminazione degli uomini fatta in nome suo, in nome della religione, che degli uomini possano essere messi alla porta, possano essere esclusi dal suo amore, dalla sua comunione. “Lo voglio, sii purificato”.
Che cosa ha fatto questo lebbroso per essere purificato? Non ha potuto compiere nessuno dei gesti richiesti per la purificazione: andare al tempio (non può!), offrire un animale, fare delle preghiere… La purificazione non avviene per i meriti dell’uomo, ma come espressione dell’amore di Dio. L’abbiamo visto questa mattina: non è come insegna la religione, che l’uomo deve essere puro per ricevere il Signore, ma: accogli il Signore e sarà Lui che ti darà la purezza. Ma voi capite che, caduto anche quest’argine, c’è l’allarme da parte degli uomini religiosi. Se non mettiamo un freno, se veramente tutti si sentono amati dal Signore, ma dove andiamo a finire? Andiamo a finire che dilaga l’amore di Dio per tutta l’umanità!
“E subito la lebbra lo lasciò e fu purificato”. Aveva chiesto solo di essere purificato, no! È purificato e anche la lebbra lo lasciò. L’evangelista vuol dire che Gesù non è un profeta, non è un uomo di Dio, ma in Lui si manifesta la pienezza della vita divina e quindi è Lui che guarisce dalla lebbra.
E adesso c’è la conseguenza strana, abbiamo visto che Gesù è pieno di misericordia e compassione, al versetto 43 troviamo: “lo rimproverò”. Come mai Gesù è passato in un attimo di tempo dalla compassione al rimprovero? “lo rimproverò e lo cacciò subito fuori”. Ah, ecco, non si era detto che si era nell’interno. Da dove lo caccia fuori? Anche se non è fisicamente presente, dalla sinagoga! Il rimprovero di Gesù qual è? “Ma come hai potuto credere che Dio ti rifiutasse? Ma come hai potuto credere che Dio non ti volesse bene? Ma come hai potuto credere di essere escluso dall’amore di Dio? È la sinagoga che te lo ha insegnato! Allora bisogna uscire.
Chi appartiene all’istituzione religiosa, chi appartiene a questo mondo religioso, non può percepire l’amore di Dio, perché la religione non ha interesse a parlare amore di Dio, ma di timore di Dio, perché Dio deve essere temuto, in modo che temano anche me, suo rappresentante. Ecco perché il rifiuto delle autorità religiose del Dio di Gesù. Loro sanno che il Dio di Gesù è quello vero, ma che Gesù ha presentato un Dio che non domina gli uomini, ma che si mette a servizio degli uomini. Quindi, se io pretendo di essere suo rappresentante, anch’io devo mettermi a servizio, anziché essere servito. Quindi ecco il rifiuto.
“Allora Gesù lo rimproverò e lo cacciò subito fuori dicendogli: “Ascolta, non dire niente a nessuno” - Il lebbroso deve rendersi conto, deve fare esperienza, di questa liberazione- “Invece fa’ che il sacerdote ti esamini e offri per la tua purificazione quanto prescrisse Mosè, come prova contro di essi.”
A quell’epoca, sotto il nome di lebbra, andavano anche: un eczema, la psoriasi e tutte le malattie cutanee e, se dalla lebbra non si poteva guarire, da certe malattie cutanee sì, allora, per essere riammessi nel villaggio, nella famiglia, bisognava presentarsi a quello che chiameremmo l’ufficio d’igiene del tempio, dove il sacerdote ti esaminava e, dietro pagamento di due agnelli, ti dava il certificato d’igiene che potevi rientrare a casa. Allora Gesù vuole che quest’uomo si convinca e veda la differenza tra Lui, il Dio che ama gratuitamente e incondizionatamente e il Dio del tempio, il Dio esoso, che chiede di essere pagato e che emargina le persone, e dice: “come prova contro di essi”. Quindi, una volta che l’uomo è stato liberato da Gesù, deve liberarsi dall’istituzione religiosa, che lo opprimeva. Restare ancora nella sinagoga, restare nel recinto, significa ancora accettare di essere sfruttato e di rinunciare alla libertà. Il peccato consiste nell’accettare volontariamente il dominio da parte dell’istituzione, avallando con la propria sottomissione il regime d’ingiustizia dell’istituzione religiosa. Se uno, dopo aver scoperto la libertà, continua a stare nel recinto sacro, per lui non c’è più nessuna speranza. Ecco perché Gesù lo rimprovera: “Come hai potuto credere che Dio ti emarginasse!” Lo ritrova e poi lo spinge fuori verso l’azione della libertà. Quindi con questo episodio importante, per Gesù queste prescrizioni che gli scribi insegnano, non sono di Dio, ma di Mosè, non sono espressione della volontà divina, ma sono invenzioni degli uomini. Allora Gesù è venuto a purificare tutto questo guazzabuglio di decreti spacciati in nome di Dio, per riportare in valore l’unico comandamento di Dio, che è quello di un amore incessante, crescente per tutta l’umanità.
Concludiamo l’episodio del lebbroso e poi ci aggiungiamo l’equivalente al femminile di questo episodio.
Abbiamo visto che Gesù dice al lebbroso di andare dai sacerdoti per far vedere la differenza e, scrive l’Evangelista, “egli, il lebbroso, quando uscì, si mise a predicare”. Pensate l’evangelista adopera per l’ex lebbroso lo stesso verbo adoperato per Gesù. Una volta che si è sperimentato l’amore incondizionato di Dio, si è come Gesù, divulgatori della buona notizia. Ricordate in Luca i pastori che lodano e glorificano Dio come gli esseri più vicini al Signore? Una volta che si è inondati dall’amore di Dio, come Gesù si è portatori della “buona notizia”, che non consiste tanto nel trasmettere un messaggio orale, ma nel trasmettere esperienze vitali e infatti dice: “si mise a predicare e a divulgare il messaggio instancabilmente”. L’esperienza dell’amore di Dio, della pienezza dell’amore di Dio, dalla quale il lebbroso pensava di essere escluso a causa del suo peccato e della sua colpa e la libertà totale definitivamente acquistata causano nell’uomo un’allegria che non può contenere, e l’evangelista l’esprime accumulando un verbo sull’altro: predicare, divulgare instancabilmente… L’uomo si converte in predicatore e non annunzia il semplice fatto di cui è stato oggetto, quindi non si limita a raccontare l’esperienza che ha avuto, ma: “Si mise a divulgare il messaggio”, e qual è il messaggio? Dio non è come glielo avevano presentato, non discrimina gli uomini, offre a tutti il suo amore indipendentemente dalla loro condotta e dal loro comportamento. Quindi quest’uomo, che si credeva emarginato da Dio, dopo aver visto che Dio lo aveva sempre amato e che era la religione a fargli credere di essere emarginato, per la contentezza, come Gesù, divulga la” buona notizia”, cioè che Dio è amore che desidera comunicarsi a tutti gli uomini indipendentemente dalla loro condotta e dal loro comportamento. La colpa dell’emarginazione che aveva sofferto non era di Dio, ma solamente dell’istituzione religiosa menzoniera, che si era messa al posto di Dio. E di conseguenza Gesù non poteva più entrare in nessuna città: rimaneva fuori in luoghi disabitati, ma correvano a Lui da tutte le parti. Gesù ha toccato un impuro e secondo la religione giudaica l’impurità del lebbroso si è trasferita a lui, quindi Gesù è diventato lebbroso, è diventato impuro, ecco perché non può più entrare in città. Gesù per offrire vita ad una persona lebbrosa accetta di perdere la propria. Il Gesù che elimina l’impurità è diventato Lui l’impuro per la legge, un emarginato dalla religione e dalla società, ma ormai l’esito è fatto. La gente accorre a Lui da tutte le parti, la gente ha desiderio di pienezza di vita ed, anche se Gesù comincia ad essere Lui discriminato, condannato dall’istituzione religiosa, la gente non ha dubbi, è da Gesù che proviene la vita.
E concludiamo allora l’incontro di oggi con un episodio che è simile a questo, ma ha per protagonista una donna la cui situazione è peggiore ancora di quella del lebbroso perché è una donna. Al cap. 5, versetto 24, si legge che una grande folla lo seguiva, ormai è l’allarme nell’istituzione religiosa; si sono rotti gli argini e la gente segue Gesù; e come Mosè ha liberato gli Ebrei dalla schiavitù egiziana per portarli nella terra promessa, ora la terra promessa è diventata la terra di schiavitù dalla quale Gesù deve farli uscire per trasportarli nel mondo della fede. Non è un viaggio dal punto di vista topografico, ma teologico. Gesù traghetta le persone dalla religione alla fede. Da ciò che gli uomini credevano di dover fare per Dio, a ciò che Dio fa per gli uomini. E molta folla lo segue. In questa folla succede un fatto inaspettato: protagonista una donna. Abbiamo visto che la donna era considerata una creatura sub umana, era emarginata. Gli Ebrei ancora oggi, nella triplice preghiera quotidiana dicono: “Ti ringrazio Signore che non mi hai creato donna” e la donna dice: “Ti ringrazio Signore che mi hai creata secondo la tua volontà”. Quando nasce una donna significa che il maschio non è stato abbastanza virile, che il seme era avariato. La donna è considerata un essere sub umano. E guardate che in Italia, ancora fino a poco tempo fa per gli auguri agli sposi si diceva: “Auguri e figli maschi”… Le donne sono sempre una disgrazia e comunque questa discriminazione si rifletteva anche nel campo religioso. Dio, affermava il Talmud, non ha mai rivolto la parola a nessuna donna. Poi l’autore sembra ripensarci ed annota: “Sì l’ha fatto una sola volta, ma poi si è pentito e non ha più parlato alle donne”. In effetti se andiamo a vedere l’Antico Testamento, leggiamo che Dio ha rivolto la parola ad un’unica donna, Sara, la moglie di Abramo, e siccome questa è scoppiata a ridere perché Dio le ha detto che il marito vecchio, lei ormai avvizzita, avrebbero avuto un figlio. Dio le ha domandato: “Hai riso?” e ‘sta poverina ha detto “No!”. Una piccola bugia. Dio, abbastanza “permalosetto”, da quella volta non ha più rivolto la parola a nessuna donna. A causa di quest’episodio di Sara, le donne non erano ritenute credibili e la loro testimonianza non era valida.
Qui abbiamo una donna che da 12 anni - è importante l’indicazione.
Abbiamo detto che l’evangelista non ci sta dando delle cronistorie giornalistiche, non sono episodi che riguardano la cronaca, ma la fede. Perché il numero 12? Perché nella situazione di questa donna l’evangelista vede la situazione di Israele che era raffigurato dal numero 12 come le tribù che lo componevano.
Da 12 anni aveva un flusso di sangue. L’evangelista descrive la donna come affetta da, clinicamente si chiama metrologia cronica, cioè un flusso mestruale continuo. Questa situazione la rendeva in una situazione precaria, perché il sangue nel mondo ebraico è la vita e quindi lei sta perdendo vita e il sangue la rende impura. Se non è sposata, non può trovar marito, se è sposata non può avere rapporti coniugali con lui e quindi non può avere figli. Una donna colpita da quest’infermità, viene considerata immonda, equiparata ad una lebbrosa. Non può né avvicinare né essere avvicinata. Abbiamo detto che, se è sposata non può avere rapporti con il proprio marito ed è l’impura per eccellenza. Non può andare nel tempio e non può rivolgersi alle funzioni sacre. Per la sua situazione, la religione la condanna alla sterilità. L’inarrestabile flusso di sangue che continua ormai da tanto tempo, la conduce alla morte. La donna quindi non ha nessuna speranza, nessuna via d’uscita che non sia l’attesa della morte.
La legge di Dio prescrive: quando una donna soffre queste condizioni è impura e come abbiamo visto prima per il lebbroso, l’unico che potrebbe salvarla è Dio, ma la donna fin tanto che è impura, non può rivolgersi a Dio e quindi questa donna, anche questa anonima, come il lebbroso, rappresenta persone che vivono una situazione che per la religione e la morale sono senza vie d’uscita.
“E che aveva molto sofferto per opera di molti medici spendendo tutti i suoi averi, senza alcun vantaggio, anzi piuttosto peggiorando”.
A quell’epoca per i consulti venivano chiamati più medici possibili. I medici nella Bibbia non godono buona fama. Nel libro del Siracide, si legge:- la malattia è lunga ed il medico se la ride. Nel Talmud è ancora peggio: “Il migliore dei medici è degno della Geenna” del forno crematorio.
Udito parlare di Gesù, venne tra la folla, abbiamo visto che dilaga la voce di Gesù, dilaga l’annuncio di questa buona notizia, arriva anche alla donna e questa, pazza, fa veramente una follia: “Venne tra la folla – ma non può lei, una donna rivolgersi all’uomo di Dio, non può lei impura rivolgersi all’uomo santo. Allora, da dietro, gli tocca il mantello, perché sa che è proibito a una donna nelle sue condizioni toccare qualunque individuo, tanto più un rabbi, come era considerato Gesù, perché lo rende impuro.
Perché fa questo? “Diceva infatti: se riuscirò anche solo a toccare il mantello, sarò salvata”.
La legge di Dio le impedisce di toccare chiunque, ma il desiderio della vita è più forte di ogni tabù morale e religioso. Non c’è una spinta così forte come il desiderio di vita, il desiderio di felicità! In una parola: l’amore. È quello che è capace di infrangere tabù morali e religiosi.
Del resto la donna, se continua ad osservare la legge, non commette peccato, ma muore, se prova a trasgredirla, ha una speranza di vita. Quindi la donna, che non ha più nessuna speranza, ci prova - peggio della sua situazione non le poteva capitare - quindi da dietro tocca Gesù. Immediatamente si fermò il flusso di sangue e sentì nel suo corpo che era guarita dal tormento. L’efficacia dell’azione è immediata. Il contatto con il mantello di Gesù, - cioè l’adesione, la fiducia in Gesù, rompendo il muro della legge - (perché ha avuto il coraggio di trasgredire la legge) - la cura. Come immediatamente era stata curata, “immediatamente Gesù, essendosi reso conto della forza che era uscita da lui, si voltò alla folla dicendo: chi ha toccato il mantello?” Gesù ha curato senza volerlo, ma non senza averne conoscenza. Gesù è portatore di una vita disponibile per tutti e il minimo contatto di fede con Gesù comunica vita, ma non per tutti. Sentite la reazione dei suoi discepoli: lo prendono per matto. I discepoli dicono: “tu vedi la folla che si stringe intorno a te e dici: chi mi ha toccato?” La denuncia dell’evangelista è molto seria: i discepoli non seguono Gesù, lo accompagnano. Qual è la differenza? Seguire Gesù significa accettare Gesù come modello di comportamento e il suo messaggio come fonte di vita. Loro non seguono Gesù, lo accompagnano: ecco perché gli stanno accanto, lo toccano, ma non sentono quel flusso di vita divina, quell’energia che da Gesù traspare. Questo è il rischio per le persone religiose, per le persone talmente immerse nel sacro: si abituano talmente al sacro che ne sono refrattarie.
Ecco perché quando Dio deve intervenire nella la storia evita luoghi e persone religiose perché sa che gli sono refrattarie e ostili.
“Egli guardava intorno per vedere colei che aveva fatto questo…”
Marco segnala la coscienza di Gesù affermando che non cerca un individuo qualsiasi, ma colei che lo aveva toccato.
Allora la donna impaurita e tremante, perché sa che le aspetta un castigo; una donna con quella malattia venerea che va a toccare un uomo, tanto più che quest’uomo ha fama di santità, di Rabbi, di profeta di Dio, lo ha reso impuro e come tale merita il castigo (c’era anche la pena di morte per le donne che volontariamente in queste condizioni avessero contagiato qualcuno) e quindi allora “la donna impaurita e tremante, sapendo ciò che le era accaduto venne, gli si gettò davanti e gli disse tutta la verità”.
La donna l’ha fatta grossa e adesso si aspetta l’umiliazione pubblica e la punizione, ma tutto ciò non le toglierà la gioia di essere finalmente guarita e tornata alla vita e così confessa la trasgressione e si fa coraggio ed egli le disse… (Se Gesù fosse stato una persona religiosa, vedendo la donna che lo aveva toccato e quindi legalmente gli ha contagiato la sua impurità, le avrebbe dovuto rivolgere un tremendo rimprovero : “tu, brutta zozza, con quella malattia hai osato toccare me, il Figlio di Dio, ma come ti sei permessa?”).
Gesù che per fortuna non era una persona pia, né religiosa, le disse : “figlia” .
L’espressione di Gesù è piena di affetto. Gesù a questa donna lontana da Dio la chiama figlia e, quello che agli occhi della religione era un sacrilegio, una trasgressione, agli occhi di Gesù è un’espressione di fede. “Figlia la tua fede ti ha salvata”.
Addirittura, nel vangelo di Matteo, Gesù dice: “Coraggio” cioè “cosa aspettavi?” “Ma non potevo perché la religione diceva che non mi potevo avvicinare a te”. Quando le persone che sono emarginate da Dio in nome della religione, hanno il coraggio di rompere questo Tabù, hanno il coraggio di trasgredire divieti e proibizioni e si avvicinano al Signore, non solo non incorrono in nessuna minaccia e in nessun castigo, ma trovano il Signore che dice loro: “Era ora! quant’è che ti aspettavo, coraggio!” “ho fatto sacrilegio” “No è fede”. Quello che agli occhi della religione è un sacrilegio, agli occhi di Gesù è un gesto di fede e Gesù conclude dicendo: “Vai in pace” cioè “prosegui nella pienezza della felicità e sii guarita dal tuo male”.
La donna una volta che ha sperimentato la guarigione di Gesù non viene invitata ad andare nel tempio per offrire l’offerta di ringraziamento prescritta, ma ad andare in pace. Non c’è più bisogno di offrire qualcosa a Dio perché è Dio che si offre agli uomini.
DOMANDE :
- Visione serena e liberante. Come conciliarla con l’affermazione del Vangelo di domenica scorsa di Giov. 20: “a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete resteranno non rimessi”.
MAGGI Gesù appare ai discepoli, che sono chiusi per paura di fare la sua stessa fine, non li rimprovera, li invita alla pienezza della pace, soffia cioè comunica loro la sua energia vitale e dice questa espressione: “A chi condonerete (cancellerete) i peccati..” Bisogna vedere che cosa si intende per peccati.
Nella lingua greca ci sono ben 10 termini che hanno le varie sfumature del termine peccato.
Questo termine adoperato dall’evangelista non indica le colpe degli uomini, ma una direzione sbagliata di vita.
Nei vangeli si distingue molto bene tra i 2 termini:
- Prima dell’incontro di Gesù c’è quello che propriamente si chiama peccato, che è una direzione sbagliata di vita.
- Una volta incontrato Gesù e orientata diversamente la propria esistenza, questo peccato viene completamente cancellato.
Poi naturalmente nei nostri limiti, nelle nostre imperfezioni, non abbiamo ancora la capacità d’amare come Dio ci ama, allora commettiamo delle colpe, degli sbagli e delle mancanze che vengono cancellate nella misura in cui noi siamo capaci di perdonare le colpe, gli sbagli e le mancanze degli altri.
Quindi deve essere chiara questa distinzione: - il peccato, nei vangeli, è sempre prima dell’incontro con Gesù.
Dopo l’incontro con Gesù non si parla più di peccato, perché il peccato era l’orientamento sbagliato della vita, “vivevo per me e mi stavo distruggendo, non ho capito che mi realizzo quando vivo per gli altri”. Dal momento che oriento diversamente la mia esistenza: “vivo per gli altri”, non appare più il peccato ma quegli altri termini.
Allora qui il termine adoperato dall’evangelista è, in greco, se qualcuno vuol seguire, “amartia” che significa direzione sbagliata di vita.
Cosa sta dicendo Gesù? Gesù non sta dando un potere alla sua comunità, ma un’enorme responsabilità. Lui “ Luce del mondo” ha invitato i suoi ad essere diffusori di questa luce; la luce che è venuta nelle tenebre. Questa Luce deve dilagare. Quanti vivono nel peccato, cioè in una direzione sbagliata di vita, ed entrano sotto l’alone di questa luce hanno il passato ingiusto e peccatore completamente cancellato. Quanti pur vedendo brillare questa luce si rintanano ancora di più nelle tenebre, rimangono sotto la cappa del peccato. Perché come ha detto Gesù al cap. 3° “Chi fa il male odia la luce.” Un delinquente ha paura della luce, il delinquente ha bisogno dell’oscurità per agire. Chi fa il bene è attratto verso la luce, chi fa il male ha paura della luce e si rintana nell’oscurità.
Quindi è una responsabilità della comunità: “Fate brillare la luce dell’amore di Dio in modo da attirare le persone che hanno sbagliato l’orientamento della loro esistenza”. Quanti entrano sotto quest’aria, questo influsso di luce, hanno il passato completamente perdonato.
Domanda - Come può uno come te essere inserito in un ordine religioso, dove la libertà è limitata dall’obbedienza se pure scelta liberamente? Lo chiedo senza polemica, ma per capire la validità oggi di questa istituzione all’interno della chiesa. Questi discorsi si faranno nei seminari?
Maggi
Dunque io sono frate, frate dell’ordine dei Servi di Maria, quelli a cui apparteneva Turoldo e quando scelsi questo ordine e chiesi informazione, mi diedero questa bella risposta che mi rimase in mente: “È un ordine dove alcuni lavorano per il Santo Uffizio ed altri danno lavoro al Santo Uffizio”. Perché c’era un frate, Padre Gabriele Roschini, che era inquisitore del Santo Uffizio e Davide Maria Turoldo che era inquisito dal Santo Uffizio.
Bene, mi è piaciuto e naturalmente ho capito da che parte stare in questo Ordine.
Nei Vangeli Gesù non invita mai ad obbedire né a lui e neanche a Dio. Mai troverete nei Vangeli l’invito di Gesù “obbedite a Dio, obbedite a me”. Figuratevi se chiede di obbedire agli uomini. Il padre di Gesù non chiede obbedienza, ma chiede assomiglianza. Mentre l’obbedienza suppone sempre un distacco tra chi comanda e chi obbedisce, l’assomiglianza elimina questo distacco. Pertanto nei Vangeli il verbo obbedire o la parola obbedienza appare soltanto cinque volte, mai in relazione agli uomini, ma sempre agli elementi nocivi od ostili della società (il vento, il mare in tempesta, il gelso). Quindi mai Gesù ci chiede di obbedire a Dio. Potrà sembrare un paradosso ma il cristiano è colui che obbedisce a nessuno, neanche al Padre eterno, perché il Padre eterno non chiede d’essere obbedito, ma di assomigliargli. Mai Gesù dice: “Obbedite” ma sempre: “ siate come il Padre vostro”.
Allora nella domanda si fa probabilmente riferimento al voto d’obbedienza che c’è negli ordini religiosi, che non significa una sottomissione della mia volontà a quella di un altro, ma collaborazione. Questo sì.
Io ho scelto una particolare famiglia religiosa nella quale entrare, mi ha dato delle possibilità di studio, di vita che non avrei potuto avere altrove e quindi c’è un rapporto di collaborazione per cui collaboro con questa famiglia. Metto gli interessi di questa famiglia al di sopra dei miei, ma non nel senso di obbedire a ciò che un altro mi dice spacciandola per volontà di Dio.
Quindi l’obbedienza è intesa nel senso di collaborazione, non di sottomissione e….Sono più di trent‘anni che sono diventato frate, ancora non mi hanno cacciato e spero, non dico di raddoppiare, ma comunque di arrivarci fino alla fine. Io ci sto bene, sto bene nella chiesa e assisto da un po’ di tempo ad un fenomeno particolare, che molte delle chiese protestanti, leggendo i miei scritti, entrano nella chiesa cattolica. Vanno in crisi perché? Perché leggendo uno scritto mio dicono: “Ma se un cattolico è più libero di noi allora tanto vale entrare nella chiesa cattolica. Quindi da parte mia ho intenzione di rimanere nella famiglia dei Servi di Maria, nella chiesa cattolica. Poi se un domani, è da mettere in conto tutto quanto, uno dovesse prendere un calcio nel sedere è già in preventivo, non è una sorpresa.
Domanda - Fanno questi discorsi nei seminari, quelli che fai tu ?
Maggi
Francamente non conosco qual è l’ambiente dei seminari e mi meraviglio che esistano ancora i seminari, ma comunque non conosco l’ambiente. Normalmente adesso per la generazione che è entrata ultimamente nei seminari, credo di No. Sono dei giovani molto, molto insicuri… che vedono l’essere prete come segno di potere, di dominio sugli altri (sono, li vedete, molto scodinzolanti, questi… che amano tanto portare queste sottane, amanti di queste liturgie,…) e non hanno questo rapporto di amore e di servizio per gli altri. Alcuni.. ma ripeto non conosco l’ambiente dei seminari. Nel mondo dei religiosi, nel mondo dei frati, nel mondo dei preti, questo discorso si fa abbastanza.
Ho appena terminato qualche mese fa una settimana di esercizi ai padri cappuccini della provincia veneta e quindi c’è da parte anche dei preti un desiderio di questa parola, una fame, un desiderio di verità.
Bisogna capirli. Per secoli sono stati educati ad essere il Duce della comunità e si ritrovano ad essere servi della comunità e questo per molti non è facile. È un orientamento diverso. Hanno paura di perdere la dignità e invece non si accorgono che servendo la comunità acquistano quella vera.
Domanda
- Io un po’ prima di lei ho ricevuto una buona educazione cristiana cattolica romana e poi ho percorso la mia strada: un po’ per volta, grazie ad incontri di persone come lei che mi hanno aperto, che mi hanno illuminato. Pensavo questo mentre lei parlava dei miracoli, perché per me era stato uno dei momenti chock a quei tempi, perché: vedere Gesù che compiva queste cose straordinarie, miracolose, contro natura e contro la scienza era il massimo.
Poi di colpo per me è diventata la cosa più incredibile e quindi dico, non mi ha messo in crisi, ma mi ha fatto pensare e molto. Oggi sono lieto di vedere che c’è, almeno in lei e in molti altri, una revisione di questo rapporto: tra scienza e fede e dall’altra parte vedo, però, che Sua Santità che il Signore ha appena chiamato, aveva una visione completamente diversa dalla mia e che ha influenzato e continua ad influenzare non poco il mondo cristiano.
Allora le chiedo se lo può, se lo desidera, di aggiungere un po’ la sua visione su questo rapporto tra scienza e fede, sulla natura, che cos’è questa natura? Che è immutabile, creata da Dio.
Maggi
- È sempre un problema di traduzione. Se prendete la bibbia di Gerusalemme, la bibbia della CEI, al termine delle nozze di Cana dove Gesù trasforma acqua in vino per più di 600 litri, nella edizione della CEI, quella vecchia, c’era scritto: “E questo fu il primo dei miracoli compiuti da Gesù in Galilea“. Se andate a vedere la nuova edizione della commissione episcopale italiana, quindi non di un teologo qualunque, troverete: “E questo fu l’inizio dei segni compiuti da Gesù”.
Nei vangeli, gli evangelisti (e gli evangelisti sono dei grandi letterati, dei grandi teologi che fanno un uso attento, minuzioso del vocabolario da usare) evitano per le azioni di Gesù di adoperare il termine miracolo. Non c’è una sola azione compiuta da Gesù che gli evangelisti classificano sotto il termine di miracolo. Quindi possiamo dire senza paura di smentite che Gesù non ha compiuto nessun miracolo.
Cosa si intende per miracolo? Per miracolo s’intende un’azione straordinaria, compiuta da un essere straordinario, in questo caso divino, che sovverte le leggi della natura. Ebbene nei vangeli per tutte le azioni di Gesù mai si usa il termine miracolo, ma il termine segno, il termine opere, il termine prodigi, che Gesù chiede alla comunità di continuare a fare.
Gesù dirà, nel vangelo di Giovanni “Le opere che io compio anche voi le compirete e ne farete anche di più grandi”.
Allora questa è la chiave interpretativa delle azioni compiute da Gesù. Prendiamo un esempio classico: quello che è chiamato “la moltiplicazione dei pani e dei pesci”. Gesù quasi fosse un prestigiatore da cinque pezzi di pane e due pesci ne tira fuori da sfamare più di 5000 persone. La gente applaude: “A quando il prossimo miracolo?. Ebbene nessuno di noi per quanta fede possa avere potrà ripetere questo miracolo .
Se volete facciamo la prova, andiamo a comprare cinque pezzi di pane e due merluzzetti, li mettiamo qui, preghiamo tutta la notte e, domani mattina, il pane è secco ed il pesce puzza. Ve lo assicuro! Eppure qui tra di noi ci sarà qualcuno con un po’ di fede. Gesù ha detto: “Se aveste fede quanto un chicco di senape riuscireste a fare queste cose”.
Io vi assicuro che se prendiamo cinque pani e due pesci, preghiamo fino a domani, dopo domani, quanto volete, non riusciamo a moltiplicare pani e pesci.
Allora chiediamoci, ma è questo che l’evangelista ci narra? Gesù è una specie di prestigiatore che fa questo gesto unico e straordinario? E che significato ha per noi che Gesù abbia moltiplicato pani e pesci?
Signore, perché non li moltiplichi anche oggi? Ti sei accorto che c’è gran parte dell’umanità che sta letteralmente morendo di fame?
Non guardiamo quelli delle altre religioni che non se lo meritano, ma almeno i cristiani che ti dicono Padre Nostro “dacci oggi il nostro pane quotidiano”. Da noi è facile, nella nostra società opulenta dire “dacci oggi il nostro pane quotidiano”. Ne abbiamo in abbondanza, ma ci sono certe regioni dell’umanità dove le persone dicono “dacci oggi il nostro pane quotidiano” e bum! Casca morto perché è morto di fame. Allora Padre eterno mio, sta moltiplicazione dei pani e dei pesci a che cosa è servita, se non la fai ancora?
Allora è compito nostro cercare di comprendere nell’episodio evangelico quello che l’evangelista ci vuol dire: non c’è nessuna azione compiuta da Gesù che la comunità non possa compiere .
Allora, soltanto per rimanere in questo episodio dei pani e dei pesci, quando leggiamo i vangeli, un’attenzione: attenti ai titoli; i titoli non fanno parte dell’autore, normalmente sono messi o dal traduttore o dall’editore e per lo più sono fuorvianti. Il titolo è importante perché il titolo mi aiuta ad interpretare il testo.
C’era un titolo, infatti chiesi quando ero all’Ecole de Biblique “toglietelo che è ridicolo” nel libro dei Re, si trova il titolo: “Due miracoli di Eliseo”. Si legge (Eliseo era calvo e, come tutte le persone pelate, un po’ permalosetto, ed entra in un paese, c’è un gruppo di ragazzini che lo incontra e lo prende in giro. Gli canta una canzoncina comica. Eliseo si voltò li maledì, permalosetto eh, li maledì e già potrebbe bastare (non capisco questo uomo di Dio che non sa accettare uno scherzo di bambini, va ben che era pelato, ma insomma..) li maledì ed uscirono due orsi dal bosco e sbranarono 42 di quei bambini. Questi i miracoli di Eliseo. Immaginate quando si incavolava cosa faceva? Immaginate cosa faceva quest’uomo quando si incavolava eh? Quindi attenti ai titoli.
Allora in questo brano normalmente viene messa la “moltiplicazione dei pani”. Il verbo moltiplicare non appare nel testo e neanche il termine moltiplicazione. Non si tratta di moltiplicare pane e pesci, ma si tratta di condividere quello che c’è per creare l’abbondanza. C’è la difficoltà che non comprendendo il linguaggio simbolico degli evangelisti interpretandolo con le nostre categorie occidentali, non comprendiamo il linguaggio figurato.
Quando anche noi nel nostro linguaggio usiamo i numeri, il più delle volte li usiamo in maniera simbolica, figurata, ma è una convenienza sociale che comprendiamo. Se io dico “vado a fare due passi” cosa significa, una breve passeggiata.
Se io prendo un bicchiere, questo è di plastica non succede, ma di vetro lo butto per terra voi sapete già che va in….“1000 pezzi” .. ma perché li avete mai contati? Vi dico no, 980 provate a far la prova. È che 1000 significa distruzione totale, oppure.. “è un’ora che vi aspetto”. Trovate una persona da tanto tempo che non la vedete.. “ehi è un secolo che non ci si vede” esagerato. Era, qualche mese etc.
Noi adoperiamo i numeri con un linguaggio figurato e sappiamo che veniamo capiti così.
Tutti i numeri che compaiono nella bibbia hanno tutti valore figurato e mai aritmetico: 5+2, 5 pani e 2 pesci fa 7 e 7 significa tutto.
Allora qual è il significato di questo episodio? La gente ha fame, e i discepoli non hanno capito il messaggio di Gesù, dice: “Mandali a comprare”. Comprare cosa significa? Chi ha i soldi compra, mangia e vive e chi non ha i soldi non compra, non mangia e non vive. Allora c’è il contrasto in questo episodio tra due verbi, mentre i discepoli ragionando in termini tipici della società usano il verbo comprare, Gesù dice “date” non comprare, “date voi stessi quello che avete”.
E quando mettono insieme quello che avevano, (la condivisione) si crea l’abbondanza. Fintanto che ognuno di noi, tiene per sé quello che ha, si crea l’ingiustizia. Se quello che abbiamo noi lo mettiamo insieme, si crea l’abbondanza; tanto è vero (ricordate perché questo è un vangelo dove ci sono tanti numeri) .. quante persone mangiarono? “5000”, ma cosa ha fatto? Li ha contati? Perché proprio 5000 e non 4000 ?
5 e i suoi multipli nel linguaggio figurato indicano l’azione dello Spirito; indicano che non è stato soltanto un pane materiale, ma è l’amore che è stato comunicato. E ricordate quante sporte sono avanzate? “12” Guarda un po’ proprio come il numero delle tribù di Israele. Cioè Gesù vuol dire: se condividete quello che avete, si sfama chi ha fame, si crea l’abbondanza, addirittura da sfamare tutto Israele. Allora questo sì! Moltiplicare pani e pesci noi non ce la facciamo, ma condividere quello che abbiamo per sfamare chi ha fame, questo sì! Ed è questo che il Signore si aspetta.
Quindi è inutile chiedere al Signore che moltiplichi pani e pesci per dare da mangiare alle popolazioni che sono affamate. Dicono le statistiche che se solo quello che in Italia si spende per le cure dimagranti venisse impiegato per sfamare gli affamati, quanti milioni di persone non morirebbero di fame! Noi siamo obesi e gli altri sono scheletrici.
Allora l’invito di Gesù (e questo lo possiamo fare, non c’è bisogno di una energia divina), è: condividere quello che abbiamo.
Quindi ripeto, non sono miracoli quelli che ci presentano i vangeli, ma sono segni che è compito di ognuno di noi fare e attenzione, non solo Gesù non ha compiuto miracoli, ma da quando esiste l’umanità non è mai esistito un miracolo sulla faccia della terra. È che noi confondiamo il miracolo con la guarigione. Sono due cose completamente diverse.
Il miracolo è: non ho la mano, prego e mi spunta. Miracolo, mai successo. Guarigione: ho la mano rattrappita, in determinate circostanze di emotività e di preghiera, in tutte le religioni, la mano mi torna sana.
Quindi guarigioni sì, e sono possibili, ma i miracoli no!
Intervento di un medico…..A Lourdes ci sono guarigioni…veramente miracolose, documentate come miracolose, cioè tumori devastanti guariti completamente, improvvisamente. La scienza assolutamente non può spiegare ...don Maggi!
Questo…io capisco tutto, ma non può dire certe cose, abbia pazienza.
- “Ma stai parlando di guarigioni, guarigioni indubbiamente. Chi mette in dubbio questo?”
“Guarigioni che assolutamente non sono scientificamente spiegabili”.
- “Va bene sempre guarigioni”.
Malattie gravissime - “si, si”- assolutamente devastanti, di persone in fin di vita che improvvisamente guariscono-“si, si”-guariscono vuol dire in brevissimo tempo, lei capisce che questo non era …..
Maggi
- “Ma non è soltanto una prerogativa di Lourdes o del cattolicesimo. È in tutte le religioni: ci sono luoghi dove ci sono le guarigioni, tali e quali come succedono a Lourdes. C’è, non so, in quale nazione dell’Africa, c’è un baobab dove si guariscono le fratture. Le fratture, le ossa fratturate, mettono queste persone sotto questo baobab e la frattura si unisce. Io non sto mettendo in dubbio, le ripeto le guarigioni; .. io credo profondamente alle guarigioni di Lourdes perché nell’individuo si può sviluppare un’energia di vita tale da arrestare o addirittura da annullare il male che ha dentro. Io non lo metto in dubbio. Però attenzione, attenzione, ricordate che un’immagine errata di Dio può causare l’ateismo. Attenzione a vedere in questo un’azione del divino che allora fa sorgere subito l’interrogativo “perché a questo e non all’altro?”… “Ah, …I disegni di Dio sono imperscrutabili!”. Vicino dove abito c’è il santuario di Loreto. Due anni fa un’anziana, 95 anni, in carrozzella, si è alzata. “Miracolo, la Madonna ha fatto il miracolo” allora io ho detto “Madonnina mia, già che dovevi fare un miracolo, che ne fai tanto di rado, non era meglio una bambina di 2-3 anni paralizzata? Questa ha già 95 anni! Insomma… ormai… la vita sua l’ha fatta, poteva pure restarci…se sprecavi sto miracolo per una bambina di 3 anni forse sarebbe stato un po’ più adatto. Bisogna stare attenti a parlare di miracoli da parte di Dio, perché un’immagine sbagliata di Dio non solo non induce la fede, ma induce la repulsa nei confronti di Dio. Io non metto in dubbio che in particolari situazioni di grande emotività religiosa, di grande preghiera, si possano suscitare in alcuni individui energie di vita che, ripeto, non solo frenano il male, ma addirittura lo possono cancellare. Quindi io questo qui non lo metto assolutamente in dubbio, ma non parliamo di miracolo. Io non sono molto documentato su Lourdes ma credo che a Lourdes nessun arto sia ricresciuto, arti che si sono curati sì, ma che a una persona che era monca le sia rispuntata la mano, io credo che neanche a Lourdes succeda.
Domanda
– La resurrezione di Lazzaro come la contestualizzi?
Maggi
– Per resurrezione si intende il passaggio da una vita mortale ad un’altra immortale. Allora le tre resurrezioni compiute da Gesù nel Vangelo non possono essere chiamate resurrezioni ma eventualmente rianimazioni di cadavere.
L’unico che è risuscitato, dice Paolo, è Cristo perché risuscitato non muore più, salvo che uno non creda che la figlia di Giairo ed il figlio della vedova di Nain e Lazzaro siano ancora vivi e vegeti da qualche parte.
Quindi per terminologia, non si può parlare di resurrezione. È chiaro, allora, che per risurrezione si intende il passaggio da una vita mortale ad una immortale. E l’unico che è in questa vita è Gesù.
Si tratta di rianimazione di cadaveri.
Allora il primo: quello della figlia di Giairo, era facile, era appena morta. Il secondo: quello della figlia della vedova di Nain, un po’ più difficile perché era già il funerale. Quello di Lazzaro difficilissimo, era da 4 giorni nella bara cioè era già iniziato il processo di putrefazione. E Gesù lo risuscita. Perché? Se noi crediamo, e qui la fede cattolica ci invita a credere questo, che una volta superata la soglia della morte entriamo in una dimensione che non abbiamo le parole per poterne descrivere la bellezza, la pienezza, la totalità, ma allora Gesù a Lazzaro risuscitandolo, gli ha fatto un favore? Lazzaro è già nella pienezza della condizione divina, nella pienezza della beatitudine e se volete della contemplazione di Dio e Gesù lo richiama sulla terra per …. ( non so se conoscete “la vita di Gesù” di Saramago, premio Nobel, portoghese, quando Gesù sta per risuscitare Lazzaro c’è Marta la sorella che glielo impedisce e dice “no, Signore, perché nessuno nella vita ha peccato tanto da dover meritare di morire due volte”) Gesù ha fatto un favore a Lazzaro? Lo richiama alla vita e questo uomo vive con l’incubo di dover ripassare attraverso il passo della morte!...
L’ha fatto per far contente le due sorelle? E insomma… mi sembra un po’ strano. E poi se Gesù aveva questa capacità di rianimare i cadaveri, benedetto uomo l’hai fatto un po’ poco: tre in tutta la vita. Almeno nell’occasione di Lazzaro tutti quelli della fila io li facevo risuscitare, no? Uno….Se Gesù poteva rianimare i cadaveri perché non l’ha fatto di più? Quindi vedete che è una lettura letterale del testo, sono più i problemi che suscita che quelli che risolve.
Allora brevemente, ma proprio brevemente, quindi in maniera imperfetta (eventualmente nei libri lo trovate questo episodio ben spiegato) quello di Lazzaro non è tanto un fatto di cronaca, ma una verità di fede. È il cambiamento della mentalità della comunità riguardo alla morte e alla resurrezione.
Vediamo soltanto gli istanti finali di questo drammatico racconto. Gesù dice “dove lo avete messo?”. Siete voi che lo avete messo da qualche parte. L’hanno messo in un sepolcro con una pietra collocata sopra.
Il sepolcro era il simbolo del regno dei morti; metterci una pietra sopra significava che era finito. (l’espressione che adoperiamo nella lingua italiana “mettiamoci una pietra sopra” si riferisce a questi usi funerari). Mettiamoci una pietra sopra significa che è finito per sempre.
Allora Gesù per prima cosa dice “Togliete la pietra. Siete voi che l’avete messo lì impedendogli la comunicazione col mondo dei vivi, togliete la pietra” e poi Gesù chiama Lazzaro, ma non esce Lazzaro. Se andate a vedere Gesù dice: “Lazzaro vieni fuori” Lazzaro non esce. Esce il morto.
Perché Gesù chiama Lazzaro, ma non esce Lazzaro ed esce il morto?
È la comunità che deve cambiare mentalità riguardo alla morte e quando il morto esce, esce come? …Con le mani ed i piedi legati da bende che non era l’uso funerario giudaico. Si avvolgeva la persona con un sudari. È il simbolo dei legacci della morte. È la comunità che ancora non ha capito la novità della vita portata da Gesù e continua a piangere i morti come li piangono i Giudei.
Allora Gesù impartisce l’ordine: “Scioglietelo” e l’invito finale che mi sembra così chiaro (immaginate adesso d’essere di fronte alla resurrezione della persona cara a che avete perso ultimamente. Quale potrebbe essere l’invito di Gesù? “scioglietelo e abbracciatelo, accogliamolo, facciamolo venire). Le ultime parole di Gesù: “Lasciatelo andare”.
Sono enigmatiche. Ma dove deve andare? Bè, dice, a prendere un po’ d’aria perché puzzava, se no dopo puzza un po’. Dove deve andare Lazzaro? “Lasciatelo andare”. L’evangelista adopera lo stesso verbo che Gesù ha adoperato per indicare il suo cammino verso il Padre. “Lasciatelo andare, cioè lasciategli continuare la sua esistenza nella sfera del Padre”.
Allora cosa vuol dire l’evangelista? La narrazione della rianimazione di un cadavere? (Legittimo credere così. Io non è che ve lo voglia togliere). o piuttosto, il cambiamento di mentalità della comunità cristiana riguardo alla morte? Di non piangerla come la piangono i Giudei che…. (vedete quando ci muore una persona, se ci vengono a consolare dicendo “risusciterà” non solo non ci consola ma ci getta nella più profonda disperazione).
Quando risuscita? Domani? No alla fine dei tempi. Allora non mi interessa. A me, oggi, manca la persona cara, oggi io piango la persona che amavo, abbracciavo, accarezzavo. Che risusciti alla fine dei tempi non mi interessa perché a quel tempo anch’io sarò morto stecchito e risuscitato.
Quindi Gesù cambia la mentalità riguardo alla morte ed alla resurrezione.
Non c’è più da piangere il morto come un cadavere che sta nel regno dei morti fino alla fine dei tempi, ma da pensarlo come vivo.
Ecco perché Gesù a Marta dice “Io ti assicuro: chi crede anche se muore vivrà. “Quindi voi che piangete un cadavere continuate a credere che continua ad esistere e chi vive e crede in me non morirà mai”. È il cambiamento di mentalità riguardo alla morte.
Allora non è che Lazzaro doveva essere liberato. Lazzaro era già nella sfera del Padre. È il morto. Fintanto che noi piangiamo i nostri cari come morti, non riusciamo a sperimentarli come viventi.
Tanto è vero che le donne quando vanno al sepolcro di Gesù si trovano la strada sbarrata da due individui che dicono loro: “Perché cercate tra i morti chi è vivo?”. Fintanto che noi li piangiamo come morti, non ci accorgiamo che sono vivi.
Questo era stato talmente capito dalla comunità cristiana che S. Paolo addirittura afferma “Noi che siamo già risuscitati”.
I credenti non credevano che sarebbero risorti dopo la morte, ma di avere una vita di una qualità tale che sarebbe stata capace di superare la morte.
Allora l’episodio di Lazzaro, se volete, è una proposta. (Chi la sente rispondere ai suoi bisogni la prenda e chi si sente turbato rimanga con la sua immagine, però ci rifletta un po’). Non è la rianimazione di un cadavere, ma il cambiamento di mentalità.
Non bisogna piangere Lazzaro come morto, ma accoglierlo come vivente nella comunità. Ecco “lasciatelo andare”. Lasciategli proseguire la sua strada nell’esistenza del Padre. Fintanto che noi piangiamo i nostri morti non riusciamo a sperimentarli come vivi e vivificanti.
Domenica 10 Aprile 2005 (È interessante il fatto che Gesù abbia detto “non chiamate nessuno ‘Padre’, nessuno ‘Maestro’ ”. Noi, nelle congregazioni religiose, chiamiamo il formatore dei novizi ‘padre’ e ‘maestro’. Pazzesco!)
Bene, buona domenica a tutti, benvenuti. Abbiamo una mattinata bella, intensa, con un bellissimo brano del Vangelo (ma tutti quanti sono belli) e continuiamo allora a vedere questa novità che ha portato Gesù nel panorama religioso. Una novità che costerà la vita a Gesù. Perché?
Gesù era atteso ed è stato accolto come un riformatore religioso. A quell’epoca si sperava in un inviato da Dio, il famoso Messia, che venisse a riformare le istituzioni religiose che si erano corrotte. Il tempio era diventato un mercato e quindi il Messia avrebbe dovuto purificare il tempio. La legge un guazzabuglio dove non si capiva più niente, allora il Messia avrebbe dovuto far osservare la legge, spiegarla e darne l’esatta interpretazione. I sacerdoti erano tutti corrotti, specialmente i sommi sacerdoti, allora una purificazione del clero e così via..
Ebbene Gesù è stato abbandonato da tutti, tradito da tutti quando hanno capito che lui non era venuto a riformare le istituzioni religiose, ma ad eliminarle. Come ha potuto Gesù fare questo?
Vedete Gesù non è un profeta e non è neanche un genio religioso. Il profeta, il genio religioso è l’individuo che si muove sempre nello spazio della religione: con le sue capacità di essere in particolare sintonia con il Dio sempre nuovo, ne manifesta la volontà in una maniera nuova che normalmente non viene mai capita, né accolta, osteggiata, però sempre nell’ambito della religione. Allora i profeti si muovevano nell’ambito della riforma del culto, nella riforma della legge, nella riforma del tempio. Gesù no! Gesù è l’uomo Dio. È l’uomo che avendo raggiunto la pienezza dell’umanità ha raggiunto la condizione divina . È quell’uomo che, come abbiamo visto nel Vangelo di Giovanni nel Prologo dice: “Dio nessuno l’ha mai visto, solo Gesù ne è stata la spiegazione”. È l’uomo che ha la condizione divina e lui si è messo al di fuori della religione. E per questo ha avuto la capacità di estirpare le radici della religione e di mostrarne il marcio.
Quello che si credeva permettesse la comunione con Dio, Gesù ha dimostrato che era ciò che lo impediva. È troppo!
Contro di lui si scatena l’odio mortale, già all’interno della sua famiglia (Gesù verrà catturato. Un tentativo di cattura da parte del clan familiare perché dicono che è pazzo) la denuncia da parte del clero (dicono che Gesù è un bestemmiatore, che è un eretico, che è posseduto dai demoni) e contro di lui tutte le forze della società si ribellano. Perché? Il Dio che Gesù ha presentato, quel Dio amore che stiamo balbettando in questi giorni, di comprenderne qualche aspetto, era completamente diverso dal Dio della religione. Il Dio della religione si basa sul potere che toglie la libertà agli uomini (questo è un tema che abbiamo più volte trattato) però dona a loro tanta sicurezza. Gesù ha presentato non un Dio che domina, ma un Dio che serve! E un Dio che serve spaventa.
Allora tutti quegli ambiti della società che sono in qualche maniera legati al potere, sono refrattari ed ostili al messaggio di Gesù.
Gesù e gli evangelisti identificano in tre componenti della società l’ostilità nei suoi confronti. È tutta legata al potere:
- quelli che detengono il potere ed è chiaro perché Gesù è contro il potere. Gesù è servizio.
- coloro che ambiscono al potere
- Ma la categoria più grave è la terza: coloro che sono sottomessi, che accettano di essere sottomessi, al potere. Vedono in Gesù un attentato alla propria sicurezza.
Tant’è vero che Gesù verrà abbandonato da gran parte dei suoi discepoli e alla sua cattura convergeranno tutte le forze politiche e religiose perché Gesù è pericoloso.
Il pericolo di Gesù, lo abbiamo visto in questi incontri, è che lui ha proposto una relazione degli uomini con Dio completamente nuova, basata non sull’osservanza delle sue leggi ma sull’accoglienza e sulla pratica di un amore simile al suo e soprattutto Gesù ha presentato un Dio esclusivamente Amore.
Ma se Dio non premia più i buoni e non castiga più i malvagi non c’è più religione!.
Ecco, grazie a Gesù è finita la religione e incomincia la fede.
Allora nei vangeli osserviamo una serie di attacchi crescenti contro Gesù. Questa mattina vedremo la risposta di Gesù contro l’attacco che gli muovono scribi e farisei, che all’inizio avevano visto con simpatia Gesù; pensavano che Gesù fosse un riformatore e pensavano di poterlo mettere nelle loro file, ma quando si accorgono che Gesù vive anni luce lontano da loro, si crea tutta una ostilità contro Gesù.
L’ostilità della quale parleremo questa mattina è l’atteggiamento di Gesù nei confronti dei peccatori. Sotto il termine peccatori nel Vangelo si indica una vasta gamma di significati: tutti coloro che non vivono secondo la legge, che non possono vivere secondo la legge, i miscredenti, i pagani. Questi vanno tutti racchiusi sotto il nome di peccatori.
Ebbene Gesù ha un atteggiamento con i peccatori che scandalizza e sconcerta, perché c’era tutta una tradizione, abbiamo visto già in questi giorni, che presentava un Dio nemico dei peccatori, un Dio pronto a sterminare i peccatori, un Dio che odiava addirittura i peccatori.
Gesù manifestazione piena della divinità non solo accoglie i peccatori, ma ecco il crimine che fa ed è la denuncia che fanno scribi e farisei, accoglie i peccatori e mangia con loro.
In Oriente, nel mondo palestinese il pranzo veniva servito su unico grande vassoio dove tutti intingevano. Essendo il peccatore impuro dal momento in cui metteva la mano nel piatto, tutto il piatto veniva infettato. Pertanto chi mangiava con un peccatore contraeva la sua impurità. Questo secondo gli occhi della religione.
Quindi Gesù ed i suoi discepoli sono impuri perché? Perché mangiate con i peccatori e contraete la loro impurità.
Non capiscono che: non l’impurità dei peccatori si riversa su Gesù, ma la purezza di Gesù si riversa sui peccatori.
Concluderemo, oggi, con la celebrazione eucaristica (per chi vorrà, ma io inviterei tutti quanti), che non è il pranzo dei giusti ma il pranzo dei peccatori e non bisogna essere puri per accogliere il Signore, ma basta accogliere il Signore per essere puri intingendo tutti nello stesso piatto. Non l’impurità dei peccatori si riversa su Gesù ma la purezza di Gesù si riversa sui peccatori.
Ma scribi e farisei, persone religiose, vedono con l’ottica deformata della religione e vedono il peccato là dove c’è la vita.
Allora Gesù proprio a scribi e farisei illustra, attraverso una parabola, l’atteggiamento di Dio. Dio nessuno l’ha mai visto, solo Gesù ne è stata la spiegazione. In questa parabola conosciuta con il nome: “La parabola del figliol prodigo” Gesù ci manifesta qual è l’atteggiamento di Dio nei confronti dell’uomo peccatore.
In tutte le religioni c’è tutta una seria di riti che vengono imposti al peccatore per ottenere il perdono di Dio; riti che non risolvono il problema. Io credo che se c’è stata una crisi del sacramento della confessione è che era diventato un sacramento inutile e ripetitivo. Andavi dal prete con la tua lista di colpe ed il mese dopo ritornavi con la stessa lista. Cioè non ti cambiava nel profondo.
(C’era un vecchietto dove vivo a Montefano, un piccolo paese agricolo, un ultraottantenne. Quando viene a confessarsi mi dice “scusi Padre Alberto, il solito”. È una vita che lui ha sempre le stesse colpe e io gli dico “ Rumuà, il solito”. È una confessione molto, molto breve.
Oppure c’è la vecchietta scrupolosa, perché la paura è di non denunciare esattamente tutte le colpe, che mi si viene a confessare e dice “ Padre Alberto confesso tutti i peccati che ho fatto ed anche quelli che non ho fatto”.
Non si sa mai, è sempre meglio stare sul sicuro! Perché Dio è molto preciso per cui lei, nel suo scrupolo, denuncia tutti i peccati che ha fatto ed anche quelli che non ha fatto.
Allora io credo che la crisi, la crisi del sacramento della penitenza è stata la sua incomprensione.
La grazia che dà il sacramento, si chiama una trasmissione di energia vitale. Come mai questa energia vitale dura poco nella persona?
Addirittura certe persone si credono di essere delle confezioni di pomodori, hanno il timbro di scadenza “è un mese che non mi confesso” “da consumare entro il tale giorno”. La grazia divina si è evaporata .
Ecco, allora, in questo brano molto importante, (questo brano che è alla radice di questo sacramento), si vedrà qual è l’atteggiamento del Signore. E, se vissuto con pienezza, vedremo che questa infusione di vita si incide in profondità nell’individuo, lo trasforma interiormente e cambia la sua esistenza.
Allora siamo al cap. 15, dal versetto 11 al 32; la parabola non è rivolta ai discepoli, ma è rivolta proprio alle persone religiose. Questa parabola è rivolta a coloro che si scandalizzano dell’atteggiamento che Gesù ha con i peccatori perché i peccatori bisogna ammonirli, bisogna tenerli a distanza e soprattutto bisogna escluderli dal Tempio, dal raggio di azione di Dio. Un Gesù che mangia con i peccatori, che comunica la sua vita ai peccatori è intollerabile.
Allora alle persone religiose, quindi non è un discorso per la comunità dei discepoli, anche se ci interessa perché scopriamo qual è un aspetto del volto di Dio, ecco questa parabola :
Lc. cap.15,11 – “..disse poi, un uomo aveva 2 figli. Il minore di loro disse al padre: ‘Padre dammi la parte che mi spetta dei beni ’ ed egli divise tra loro il patrimonio”.
È importante l’indicazione che ci dà l’evangelista; il più piccolo di questi figli non attende che il padre sia morto ma pretende già in vita la sua parte di eredità. Sa che riceverà meno del previsto richiedendola in anticipo, ma vuole tutto e subito. Per lui il padre è già morto, a lui quello che interessa è il denaro. Ebbene il Padre che rispetta la volontà del figlio, anche se questo va contro la sua volontà rispetta la decisione e, annotazione importante dell’evangelista, divise tra loro il patrimonio.
Quindi il padre ha 2 figli, divide il patrimonio tra i 2 figli. Quindi una parte la dà al figlio che l’ha richiesta, ma l’altra la dà già all’altro figlio, al figlio maggiore.
Dopo non molti giorni, raccolto tutto (il che significa che questo figliolo ha ricevuto la sua eredità in campi e case; raccolto tutto ha trasformato tutto quanto in denaro, in moneta contante) il figlio minore partì in viaggio verso un paese lontano (espressione che nella Bibbia indica sempre la terra pagana. Quindi non abbandona soltanto il Padre ma abbandona anche il suo Dio per andare in altri posti) dove, (e qui dimostra che è un imbecille), dissipò il suo patrimonio vivendo disordinatamente. Tanta la fretta di avere l’eredità, tanta la fretta con la quale l’ha dissipata.
Quindi tutto il patrimonio che ha ricevuto in eredità lo ha dissipato vivendo disordinatamente. Mentre a casa sua aveva potuto raccogliere, in terra straniera è solo capace di sperperare tutto .
Quando ebbe sperperato tutto venne una grande carestia in quella regione ed egli cominciò a trovarsi nell’indigenza.
Luca è l’evangelista che è più severo degli altri nei confronti dell’accumulo dei beni. È lui che fa seguire alle Beatitudini di Gesù.. (è soltanto un breve accenno: perché abbiamo parlato di quanti errori di interpretazione sono stati fatti del testo evangelico e che hanno portato al rifiuto del messaggio di Gesù. Pensate voi le beatitudini: sono 8 volte un invito alla felicità. Ebbene io, nella mia esperienza, (le beatitudini sono il costitutivo della comunità cristiana), quando chiedo ad una assemblea quanti sono i comandamenti di Mosè, tutti sanno che sono 10. Se chiedo quali sono, si fa un po’ di confusione, che uno confonde il sesto col settimo, comunque i 10 vengono, vengono fuori. Ma quando si chiede alla persone “quante sono le beatitudini proclamate da Gesù? “ già c’è difficoltà e se si chiede quali sono: è la nebbia totale. La prima, la più antipatica la ricordano tutti “beati i poveri”, le altre beatitudini sono le sfighe dell’umanità. “beati i disgraziati” “ beato chi piange”. Ma è possibile che Gesù, quelle che l’uomo normale, che ragiona con il proprio cervello, considera disgrazie, che spera che non gli capitino mai nella propria esistenza… ma è possibile che questo Gesù le proclami Beatitudini?
E questo ha portato, sì, al rifiuto del suo messaggio.
Un Gesù che proclami beati i poveri, i disgraziati della terra è un marziano, uno che non sa che cosa significa la povertà.
Un Gesù che proclami beati quelli che piangono, quelli che soffrono, è un essere alienante; e sapete che l’espressione “la religione è l’oppio dei popoli” si basa proprio su questa interpretazione delle beatitudini di Gesù.
Un Gesù che dice ai poveri “beati perché? Perché andate in paradiso” “Beati i poveri in spirito perché di essi è il regno dei cieli”.
I poveri che sono poveri ma non stupidi si chiedono ma… “Però guarda che in paradiso ci vanno anche i ricchi, anzi ci passano avanti perché quando muoiono lasciano pure le offerte per le messe; quindi fregati di qua e fregati di là”. È possibile che il Signore proclami beatitudini, quelle che gli uomini che ragionano con la propria testa considerano disgrazie? Mai Gesù ha proclamato beati i poveri, Gesù non è venuto a esaltare la povertà ma a eliminarla.
Mai nei Vangeli si trova l’espressione di Gesù di beatificare la condizione dei poveri.
Nel Vangelo di Matteo, Gesù dice “Beati i poveri in spirito”. Non quelli che la società ha reso poveri, ma quelli che volontariamente entrano nella condizione di povertà per eliminare la radici della povertà. La proposta che Gesù fa è una ed è positiva: abbassate un po’ il vostro livello di vita per permettere a quelli che l’hanno troppo basso di alzarlo.
E’ questa la beatitudine, cioè sentitevi responsabili della felicità degli altri.
La conseguenza qual è ? Perché di essi è …
Purtroppo in passato l’ignoranza della cultura ebraica ha fatto sì che in Matteo la formula Regno dei cieli venisse interpretata con l’aldilà.
Regno dei cieli è un’espressione che si trova soltanto nel Vangelo di Matteo e non negli altri evangelisti e corrisponde al regno di Dio.
Ma perché Matteo scrive ‘Regno dei cieli’? Perché l’evangelista che si rivolge ad una comunità di giudei sta attento a non urtare la loro suscettibilità e nel mondo ebraico Dio non solo non si nomina ma neanche si scrive.
Essi usavano dei sostituti come facciamo anche noi nella lingua italiana. Quante volte noi diciamo: grazie al cielo, mica ringraziamo l’atmosfera, ringraziamo Dio. Regno dei cieli significa Regno di Dio.
Cioè Gesù ci fa una proposta: se voi vi occupate del bene, del benessere degli altri, beati! Perché? Perché permettete a Dio di occuparsi di voi. Questa è la beatitudine.
Ebbene tornando alle beatitudini: Luca alle beatitudini fa seguire non dei guai come comunemente viene tradotto.
Gesù non maledice, non minaccia nessuno. L’espressione greca uhai era tipica del lamento funebre sui cadaveri.
Quindi Gesù piange i ricchi come dei cadaveri viventi. Sono vivi fisicamente, ma sono già morti perché chi vive sottraendo la linfa vitale degli altri produce morte agli altri e quindi morte in sé.
Allora dicevamo che Luca è l’evangelista che più degli altri presta attenzione alla condizione sociale, alla condizione economica e il denaro, l’accumulo del denaro è sempre visto in maniera negativa.
Qui abbiamo visto che il figlio ha sperperato tutto e si trova nell’indigenza. Non solo lui non ha niente, ma non è più niente.
Quando una persona punta tutto sul denaro, quando non ha più il denaro, non solo non ha più, ma non è più. Si ritrova niente. Dice un proverbio nella Bibbia molto, molto vero, “le ricchezze moltiplicano gli amici, ma il povero è abbandonato anche dall’amico che ha” .
Quindi, quando lui ha sperperato tutto si trova non solo a non avere più niente, ma a non essere niente.
Tutti quelli che puntano la loro felicità, che puntano la loro esistenza sull’accumulo di denari, sono delle persone che non solo non hanno niente ma non sono niente.
“Allora andò a mettersi a servizio” lui che a casa era il padrone adesso si va a mettere a servizio. Ha abbandonato il padre ed ha trovato un padrone. “Di uno degli abitanti di quella regione che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci” .
Abbiamo visto l’altro giorno che nell’elenco degli animali il maiale è un animale impuro, cioè il contatto con il maiale
Ti chiude il rapporto con Dio. Ebbene questo ragazzo scende proprio nel degrado sociale e nel degrado religioso.
Lui ebreo va a fare il guardiano dei porci, cioè immerso fino al collo nell’impurità totale.
“Bramava di riempirsi il ventre delle carrube che mangiavano i porci”. Sta con gli animali e si è ridotto anche lui ad essere un animale perché nessuno gli dava niente.
Nella casa di suo padre, come vedremo, i servi hanno pane in abbondanza e lui si trova a morire di fame.
Allora, e qui è importante perché spesso nelle catechesi un po’ semplicistiche che vengono fatte di questo brano, viene
Portato questo giovane come esempio, come modello di penitenza, come modello di conversione.
Attenzione! Stiamo al testo: nulla nel testo lascia trasparire che questo figlio decide di tornare a casa perché pentito.
Non gli manca il Padre, gli manca il pane. Infatti dice l’evangelista “tornato in sé” cioè ormai ridottosi alla fame
Disse: “Quanti salariati di mio padre abbondano di pane. Quindi si vede che questo padre non solo non era un padrone esoso ma trattava i servi come i figli, abbondavano di pane. “mentre io per questa carestia muoio” ed è la prima delle tre volte che apparirà il tema della morte.
Quindi lui ritorna in sé perché stretto dai morsi della fame; non per il rimorso del dolore che ha causato al padre, ma per i morsi della fame. Ripeto non gli manca il Padre ma gli manca il pane e se, come adesso vedremo, deciderà d ritornare a casa, non è per l’amore verso il Padre ma per l’amore verso lo stomaco. Perciò non è un modello di conversione o di penitenza. È un ragazzo che calcola e ragiona tutto in base al proprio tornaconto ed al proprio interesse.
In base al proprio tornaconto ha lasciato il Padre, in base al proprio tornaconto decide di tornare dal Padre.
“Mi alzerò e ritornerò da mio padre”. Questa espressione adoperata dall’evangelista Luca è importantissima. Questo verbo ritornare (e abbiamo detto che gli evangelisti sono dei grandi della letteratura ma anche dei grandi teologi) è la stessa espressione adoperata dal profeta Osea. Un profeta importantissimo perché è colui che per primo cambia il rapporto di Dio con il suo popolo. Chi era Osea? Osea era un profeta innamorato della moglie ma la moglie lo tradiva continuamente. Ogni tanto gli scappava con degli amanti. Gli aveva dato 2 figli questa donna ma ogni tanto fuggiva al seguito degli amanti; allora l’ultima volta Osea perde la pazienza, la rincorre, la rintraccia, gli elenca tutte le sue colpe e (per le donne adultere c’è l’immediata lapidazione pubblica) arrivato alla sentenza: “Perciò..” La conseguenza era “ti lapido”, ebbene Osea arrivato al momento della sentenza, (l’amore per questa danna adultera era troppo forte), anziché dire “ti condanno a morte”, dice: “Perciò..andiamo a fare un altro viaggio di nozze”. Dice, andiamo nel deserto noi due da soli e afferma Osea: “E là non mi chiamerai più padrone mio, ma marito mio”.
Il termine marito in ebraico significa sia padrone che signore. Ecco perché la donna fuggiva. La donna fuggiva perché non aveva un rapporto di amore con un marito ma aveva un rapporto di sudditanza con un padrone; e lei cercava l’amore.
Ebbene, Osea perdona la moglie senza nessuna garanzia della sua conversione. E allora il profeta capisce; se io che sono umano riesco a fare così, spinto dall’amore con mia moglie, ecco come fa Dio!. E Osea è il profeta al quale Gesù si allaccia, che cambia completamente il rapporto del perdono e del peccato. Secondo la religione l’uomo peccatore doveva pentirsi per poi ottenere il perdono dei peccati. Osea dalla sua tragica esperienza personale capisce: no! Prima c’è il perdono e poi eventualmente c’è il cambiamento di vita.
Quindi è chiaro, nella religione c’è l’uomo che pecca, se si pente, cioè se cambia vita, ottiene il perdono dei peccati. Osea dalla sua esperienza capisce: no! Prima c’è il perdono e come conseguenza del perdono ci può essere il cambiamento della vita. Quindi questa espressione “ritornerò da mio Padre” è la stessa che Osea mette in bocca alla donna che ritorna dal marito. “E gli dirò…” Qui il figliolo si prepara l’atto di dolore. Sa che giuridicamente ha perso ogni diritto di essere trattato come figlio, ha perso ogni diritto di poter essere accolto nella casa, decide di tornare a casa, e allora si prepara l’atto di dolore per essere accolto da questo padre. “E gli dirò: padre ho peccato contro il cielo… (peccare contro il cielo significa peccare contro Dio e nella Bibbia Dio dice: “Chi pecca contro il cielo sarà sradicato dalla terra”) “…e contro di te. Non son più degno di essere chiamato tuo figlio”. (ha perso la condizione giuridica del figlio) e chiede “fa di me come di uno dei tuoi salariati”. Quindi lui che si è ridotto a fare il servo in terra straniera, dove viene umiliato e maltrattato e sta morendo di fame, decide "Torno a casa, non potrò più essere trattato come un figlio ma almeno come uno dei servi di mio padre che hanno pane in abbondanza" Quindi si prepara l’atto di dolore. “E alzatosi andò da suo padre” Ora le azioni che seguono, l’evangelista ce le presenta al rallentatore e sono importantissime. Dio nessuno l’ha mai visto, solo Gesù ne è stato la spiegazione, ebbene ora nei verbi e nelle proposizioni che vedremo, Gesù svela chi è Dio ed è un ritratto veramente emozionante, commovente.
Io auguro e prego proprio in questo giorno che queste parole, non le mie ma quelle dell’evangelista, ci penetrino dentro, si radichino nel profondo di noi e orientino diversamente la nostra esistenza.
“..Era ancora lontano quando il padre lo vide”. Quindi il padre ha accettato la fuga del figlio ma non l’ha abbandonato. Lo ha atteso. Lo vede quando ancora è lontano. Quale sarebbe stato l’atteggiamento di un padre orientale ma anche di un padre normale? Bene lo vede arrivare da lontano; aspetta in casa, gli fa fare l’anticamera, lo rimprovera, lo ammonisce e poi eventualmente può essere riammesso.
“Ma il padre lo vide e …ne ebbe compassione”. Ricordate quel verbo tecnico “avere compassione” che è una formula che si adopera nell’antico testamento per indicare un’azione esclusivamente divina con la quale si restituisce vita a chi non ce l’ha. Tre volte compare nel Vangelo di Luca, l’abbiamo vista nella parabola del samaritano (il samaritano, l’eretico è l’unico che si comporta come Dio: ha compassione del malcapitato), si ritrova nella resurrezione del figlio della vedova di Naim e qui in questa parabola. Il padre ha compassione.
Quando l’uomo peccatore ritorna verso il padre, (e questo veramente è un uomo che era immerso nel peccato), da parte di Dio non ci sono reazioni di ira, di castigo, di minaccia ma si smuove un sentimento di compassione in lui, cioè un desiderio di comunicare vita. Il Dio di Gesù, l’abbiamo visto più volte in questi giorni, non è un Dio buono ma un Dio esclusivamente buono. Dio è amore che desidera comunicarsi. Il Padre non ha altra maniera di rapportarsi con gli uomini che non sia quella di una comunicazione incessante e crescente del suo amore qualunque sia la condotta degli uomini. “Lo vide e ne ebbe compassione e…(e qui c’è un verbo strabiliante che non ci aspetteremo conoscendo la realtà orientale. In Oriente sapete che i tempi non sono frenetici come da noi in Occidente. Il tempo ha tutta un’altra unità di misura, si vive molto più tranquillamente, serenamente. Dicono i miei amici arabi, palestinesi: “Voi siete ricchi ma siete poveri di tempo. L’unica espressione che noi sentiamo da voi italiani è: - non ho tempo, non ho tempo – noi siamo poveri ma abbiamo tanto di quel tempo! Quindi i ritmi del tempo sono scanditi in un modo diverso e la fretta ancora oggi, è considerata un segno di maleducazione. Si vive, ripeto, in un altro ritmo. Io ricordo una lezione di grande filosofia, di vita che mi diede una guida in Egitto. Nella mia mentalità sono un po’ tedesco, tutto preciso, ordinato. Arrivai alla frontiera in Egitto con un gruppo, trovai la guida e gli dissi: “Allora il programma di oggi?” Io avevo già dettagliato tutto. Lui mi ha guardato con quello sguardo da cammello che hanno gli egiziani e dice “per adesso montiamo in autobus”. Bello! Per me è stata una lezione, una lezione che non dimenticherò mai. Io avevo tutta la giornata cadenzata: 9-9,15 - 9,30…, dico il programma della giornata e lui “per adesso montiamo in autobus”.
Una lezione indimenticabile. Per cui la fretta è considerata maleducazione e mai una persona corre. Correre significa perdere l’onore e tanto meno un padre corre nei confronti di un figlio. Se una persona, una persona sposata corre, perde il proprio onore, si disonora. La fretta è considerata maleducazione, il correre un disonore.
Ebbene cosa fa il padre: .corre, non aspetta che il figlio arrivi e lo umilia, ma il padre corre incontro al figlio.
Il desiderio del padre di restituire l’onore al figlio disonorato, è più forte del proprio onore. Il padre si disonora per restituire l’onore al figlio disonorato.
Quindi Dio non aspetta che il penitente si avvicini a Lui pentito, umiliato e gli faccia sentire la pesantezza delle sue colpe, ma il padre non vede l’ora che i figli ritornino verso lui qualunque sia il motivo. “E gli corre incontro”.
E qui, facciamo l’ipotesi di essere i primi ascoltatori di questa parabola che non sanno come va a finire. “Gli si gettò al collo e ..” Noi pensiamo, .e lo strozza. E lo strozza; la reazione normale: “Gli si gettò al collo” gli si getta al collo e lo strozza, brutto imbecille!. “Gli si gettò al collo e lo baciò”.
Attenzione, quando leggiamo i vangeli non dobbiamo interpretarli con i nostri concetti occidentali, romantici. Non è una semplice espressione di affetto. Qui l’evangelista riprende l’espressione “gli si gettò al collo e lo baciò”, e lo baciò.
Dal primo perdono che appare nella Bibbia ed è sempre, guardate un po’, per una causa di eredità. È l’eredità che Giacobbe carpisce con la truffa al fratello Esaù. Sapete di Giacobbe che si finge di essere Esaù e prese dal padre tutta l’eredità e poi scappò. Quando il povero Giacobbe vede da lontano, su una collina, Esaù con 400 uomini armati a cavallo, pensa: “E’a frase deve sempre cominciare con la lettera maiuscola. la fine”. E infatti Esaù gli corre incontro gli si getta al collo e lo baciò. Il bacio è espressione di perdono. Quindi l’evangelista qui riporta il primo grande perdono che c’è nella Bibbia.
Allora, come si diceva poc’anzi, per il profeta Isaia: il Dio che si manifesta a Gesù cambia completamente le norme rituali liturgiche. Era l’uomo che doveva pentirsi, chiedere perdono, fare delle penitenze e poi ottenere il perdono.
Il Padre quando incontra il figlio peccatore per prima cosa, prima che il figlio pronunci l’atto di dolore che si era preparato, lo bacia, cioè lo perdona.
Ricordate quando l’altro giorno dicevamo che chiedere il perdono a Dio è la cosa più inutile che un credente possa fare perché siamo già perdonati. Questo perdono diventa operativo ed efficace quando si trasforma in altrettanto perdono per gli altri. Quindi il padre, e nella figura del padre dobbiamo vedere l’azione di Dio, quando si incontra con l’uomo peccatore, per prima cosa lo perdona senza attendere la confessione delle sue colpe, senza attendere l’atto di dolore.
Abbiamo detto che il problema di fondo è l’eredità. L’eredità nel Vangelo di Luca è sempre presentata in maniera negativa perché se esiste l’eredità, significa che coloro che la lasciano non sono state delle persone generose, delle persone magnanime ma degli avari, delle persone interessate che hanno accumulato per sé. Allora nell’eredità c’è sempre un veleno, tossico che viene trasmesso a chi la riceve. Io credo che una forma sottile di vendetta che hanno i genitori verso i figli, è quella di lasciare l’eredità. Hanno la certezza che i figli non andranno più d’accordo a causa di questa eredità. Perché anche se un uomo ha 2 figli ed ha 100 di sostanza e lascia 50 e 50, quindi crede di aver fatto la cosa più esatta, ci sarà un figlio che starà male perché pensava di ricevere di più, perché io lo sono andato a trovare più di te. Io conosco delle persone, fratelli, sorelle in lite da anni per un armadio, perché spettava a me e se l’è preso lui. Quindi l’eredità che è frutto di avarizia, trasmessa ai figli gli trasmette il veleno mortale del dissidio. E nell’eredità nascono sempre, come abbiamo visto in questo caso, le truffe, le arroganze e le ingordigie.
Ebbene, abbiamo detto che il padre gli si getta al collo e lo bacia ed il figlio è stordito. Non trova un giudice ma trova un amore quasi materno. Ma fidarsi è bene, non fidarsi è meglio. Si era preparato l’atto di dolore ed attacca il disco.
Ma gli disse il figlio: “Padre ho peccato contro il cielo e contro te, non sono più degno di essere chiamato tuo figlio, (e ricordate la frase come continuava?) ma assumimi come uno dei tuoi salariati.” Ebbene il padre non gli fa terminare la frase. L’incontro dell’uomo peccatore con il Padre non è sempre quello avvilente dell’elenco delle proprie colpe ma quello sempre arricchente della grandezza dell’amore di Dio. quindi il figlio pur essendo perdonato, non si fida, attacca l’atto di dolore e dice “assumimi almeno come uno dei tuoi salariati” ma la frase che si era preparato non riesce a terminarla e il padre gli tappa la bocca, “ma…” significa che il padre interrompe la frase del figlio. E qui c’è una serie di tre azioni pazzesche, folli che indica che l’amore del padre è un amore che va al di là delle categorie umane ed è confinante con la follia. Ma qui, in queste indicazioni, l’evangelista ci indica qual è il vero perdono da parte di Dio e di conseguenza il vero perdono da parte degli uomini.
“Ma disse il Padre ai suoi servi…(quindi il figlio ha attaccato l’atto di dolore, il padre gli tappa la bocca, chiama i servi e dice..): - Presto portate la veste, quella migliore e rivestitelo -”. Le spiegazioni un po’ semplicistiche di questo brano, uno pensa bè era un porcaio, era sporco lo ha rivestito, lo ha ripulito. Ma l’evangelista non dà questa interpretazione banale, ma qualcosa di più profondo. A quell’epoca, in quella cultura (ecco perché è sempre importante inserire il Vangelo nella cultura dell’epoca), a quell’epoca gli abiti erano merce preziosa, molto costosa e veniva usata dal re come una onorificenza per i suoi valorosi. Quindi quando un generale aveva vinto in una battaglia, il re non gli dava le medaglie, non esistevano le medaglie, ma come premio gli dava una veste preziosa. Ed il riferimento dell’evangelista è al faraone, con Giuseppe (ricordate la storia di Giuseppe e Putifare). Ingiustamente calunniato, messo in carcere.
Quando risalta l’innocenza di Giuseppe e, scrive l’autore, il faraone si tolse di mano l’anello, lo pose sulla mano di Giuseppe, lo rivestì di abiti di lino finissimo. Cioè l’abito significa una onorificenza. La restituzione della dignità ricevuta prima. Allora il primo gesto dalla parte del padre nei confronti del figlio, al figlio che si è disonorato, gli restituisce una nuova dignità. Al figlio che ha commesso le colpe non lo punisce per queste colpe, ma come premio per essere tornato gli dà una onorificenza. Quindi il primo segno di questo perdono è restituire la dignità che l’uomo aveva perso. E il padre continua nella sua azione folle “e dategli l’anello nella mano”. È pazzesco quello che fa il padre!. L’anello non era soltanto un monile, chissà perché gli doveva dare l’anello. L’anello era l’equivalente, potremmo dire, della carta di credito di oggi. Era l’anello che portava l’amministratore della casa con il sigillo della casa. Quando si andava a fare gli acquisti, non c’era la carta di credito ma c’era l’anello col sigillo, si imprimeva sulla tavoletta di cera e di creta ed aveva la stessa funzione appunto della nostra carta di credito.
Ebbene il padre a questo figlio scellerato ed incapace che in poco tempo ha sperperato tutte le sue sostanze, gli mette in mano l’amministrazione della casa. È qualcosa di folle. Nessuno farebbe una cosa del genere. Quindi il padre non solo gli rinnova la piena fiducia, ma gli dice “ ecco, ti faccio, ti nomino amministratore della casa”.
Anche in questo brano c’è un riferimento nell’antico testamento, nel libro di Ester, dove si legge che il re si tolse l’anello che aveva fatto ritirare ad Aman e lo diede a Mardocheo. Ester affidò a Mardocheo l’amministrazione della casa che era stata di Aman. Quindi questo gesto di dare l’anello significa conferire alla persona che detiene l’anello l’amministrazione piena e completa della casa. Quindi l’azione del padre nel perdono, abbiamo detto, è restituire la dignità e una fiducia maggiore di quella che era stata concessa prima.
Prima il padre non aveva dato al figlio l’amministrazione della casa; adesso che è tornato, ha fallito nella sua esistenza non lo mette a stecchetto, non gli dice “tu con i soldi hai finito, adesso ci penso io” ma gli dice “ecco diventi l’amministratore della casa”. Ciò che fa crescere l’uomo non sono le minacce, ma una fiducia piena, un aumentato gesto d’amore.
Noi non sappiamo come va a finire la parabola. E chi ci dice che la notte quando tutti, perché fanno una festa, devono, addormentati, stanchi; questo figlio ha in mano la carta di credito, l’amministrazione della casa torna via e la mattina dopo il padre si ritrova senza neanche le mutande. È il rischio dell’amore. L’amore rischia, l’amore non ha sicurezze ma il padre a questo figlio rinnova la piena fiducia . E non è finita.
E poi, continua l’evangelista, “e i sandali ai piedi”. Vedete sono tutti particolari preziosi. Perché i sandali? Nelle case padronali, gli unici che portavano i sandali erano i padroni. I servi andavano sempre scalzi. Lui che voleva ritornare a casa per essere trattato come un servo il padre gli dice: “No non sei un servo, sei il padrone e sei una persona libera”.
Il padre gli riconcede la stessa libertà.
Allora abbiamo visto che nel perdono del padre, e sono importanti questi tre elementi perché così dovrebbe essere il perdono che noi concediamo, è la restituzione della dignità, la restituzione della fiducia e la restituzione completa della libertà. È questo il perdono che agisce in profondità nell’individuo e gli consente eventualmente di orientare diversamente la propria esistenza.
I perdoni risicati, ci sono certi perdoni che sono offensivi, fanno più danno che bene. Quante persone costrette, perché sentono che Gesù martella sempre su questo perdono, o il predicatore o il prete insiste su questo perdono, alla fine perdonano; “l’ho perdonato per amore del Signore”. Cioè se fosse per te… oppure, ricordo una volta una persona che stanca di sentire l’insistenza con la quale dal pulpito parlo sempre di questo bisogno di perdonare gli altri, mi è venuta una volta tutta raggiante e contenta (aveva un dissidio con un’altra persona) dice: “Padre Alberto io ce l’ho fatto sa, l’ho perdonata quella persona lì, però per me e come se fosse morta”. Gliel’ha fatta, ha perdonato finalmente. Questo non è il perdono; il perdono non è riuscire a perdonare e poi escludere la persona dalla propria esistenza come se fosse morta.
Il perdono è restituire ancora vita, aumentare il rapporto e il perdono, attenzione, perché sembra la cosa più difficile da fare per i credenti, quando in realtà è la più facile e la più bella: il perdono non è un segno di debolezza ma è un segno di forza. Perdonare chi ci ha fatto del male, significa: “Guarda, la tua capacità di farmi del male non sarà mai grande come la mia di volerti e farti del bene”. Quindi è il forte che riesce a perdonare.
Sul perdono abbiamo delle idee sbagliate. Molti dicono: “Perdono ma non dimentico”. Ma non si deve dimenticare! Se per perdonare bisogna dimenticare, noi abbiamo un cervello che ragiona e che registra, ci ricordiamo addirittura dei torti ricevuti nella primissima età. Se proprio non riusciamo a perdonare per affetto, facciamolo almeno per testa, perché attenzione! Chi non perdona alimenta il rancore ed il risentimento dentro sé stesso che fanno sì che il torto ricevuto cresca a dismisura rovinando la propria esistenza. Vi è mai capitato di ricevere un torto di non essere riusciti a perdonarlo e con il tempo questo torto ha invaso tutta la vostra esistenza. La persona che ci ha fatto il torto magari se n’è pure dimenticata, noi no; perché mangiamo, camminiamo, dormiamo con sempre questa persona in testa come un tarlo che ci rode, che ci rovina la nostra esistenza. Allora se proprio non vogliamo perdonare per amore, perdoniamo almeno per un sano egoismo: stare bene. Ma il vero perdono, quello che sviluppa e libera le energie dell’uomo è quando, non solo si perdona, ma quando si fa del bene alla persona che ci ha fatto del male.
È un sentimento stupendo di pienezza, di libertà, perché la nostra vita s’innesca con quella di Dio, con la vita divina.
E non è finita. “...E portate il vitello, quello ingrassato” A quei tempi la carne si mangiava di rado e comunque soltanto in occasione delle grandi festività religiose. Ebbene per il padre il ritorno del figlio equivale ad una festa religiosa. “Portate il vitello, quello ingrassato”. Cioè quello ingrassato per la festa. “Uccidetelo e mangiandolo festeggiamo”. Il padre non fa nessuna ramanzina al figlio, non lo mette in quarantena, non gli mette dei limiti, delle punizioni. Se è tornato festeggiamolo a vita. È così che Dio fa con gli uomini. E dà la spiegazione: “Perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato trovato, e cominciarono a fare festa”.
Quando l’uomo peccatore ritorna a Dio c’è una festa nella quale Dio gli comunica la sua allegria, la sua energia vitale. Ed ecco finalmente il vero protagonista della parabola.
Avevo detto che Gesù questa parabola, a chi la rivolge? La rivolge agli scribi e ai farisei scandalizzati dell’atteggiamento che Gesù tiene con i peccatori. Un Gesù che condivide la sua vita con coloro che sono nel peccato. Allora adesso in questo fratello vengono raffigurati gli scribi ed i farisei.
Ora suo figlio, il più anziano (il termine greco è presbitero che significa anziano, e l’evangelista lo sceglie perché i presbiteri, gli anziani erano i componenti del Sinedrio. Il Sinedrio era formato dai sommi sacerdoti, dagli scribi e dagli anziani, cioè i presbiteri. Quindi l’uso di questo termine fa comprendere che appartiene al mondo degli scribi e dei farisei) era nel campo, e quando tornando si avvicinò a casa udì la musica e le danze.
Notate il contrasto: il padre vede il figlio quando è ancora lontano e gli corre incontro. Questo figlio grande torna a casa una casa dove vigeva il lutto. Il padre ha detto questo figlio era morto, quindi una casa inabissata nella tristezza, sente da lontano la musica e le danze. Cosa doveva pensare? - È tornato mio fratello -.
Come è possibile che a casa mia, la casa del lutto dove mio padre piange il figlio come morto all’improvviso ci sono musica e danze. Ma non va verso casa, s’insospettisce. Qui l’evangelista, abbiamo detto che Luca l’evangelista che intinge la penna nel vetriolo, fa il ritratto della persona religiosa. La persona religiosa è una persona lugubre che vive in un ambiente di morte, digiuni, mortificazioni, penitenze. Tutto quello che ha sapore di vita gli desta sospetto. La parola piacere lo mette in allarme; nella casa del padre c’è la musica, le danze ! Ma non c’è più religione.
E non è attratto da questa musica e danze, espressioni di vita, ma si ferma e chiama un servo. “E si informò su cosa fosse stato tutto questo”. La reazione di una persona normale (sento che a casa ci sono musiche e danze) è di essere attratto e di andare a vedere. No! S’insospettisce, si ferma. La musica e le danze, espressione di vita, paralizzano la persona religiosa. E manda un servo (quindi ritarda nel sapere il perché dell’avvenimento) per essere informato.
E allora gli disse: “Tuo fratello è venuto e tuo padre..” -la cosa che più ha stupito il servo, non è tanto l’anello, la veste, i sandali, quello che l’ha stupito, è: “E tuo padre ha ucciso il vitello, quello ingrassato, perché lo ha riavuto sano. (Cioè quel vitello che stavamo ingrassando per la grande festa religiosa, ma non sai che tuo padre lo ha ammazzato per il figlio? Quello che ha più colpito il servo).
Ebbene all’allegria del padre per il ritorno del figlio, subentra l’ira del fratello maggiore. “Ma si adirò e non voleva entrare”. I due figli sono praticamente uguali. Uno è scappato da casa ed uno non ci vuole entrare.
Di fronte all’amore di Dio ci sono 2 reazioni diverse. Non vuole entrare nella casa della gioia, non è contento per il ritorno del fratello ma è dispiaciuto per questo dispendio di cose; il vitello grasso. Quello che bisognava mangiare per la festa religiosa, se lo stanno mangiando per questo tuo figlio.
Il padre come è andato incontro al figlio minore, ora va incontro al figlio maggiore.
“Ora suo padre uscito lo pregava..” È importante l’atteggiamento del padre. Il padre con l’autorità che aveva, l’uomo orientale, lo poteva comandare. Il padre non comanda, il padre lo prega. Il padre è il signore che si fa servo perché i servi si sentano signori. Lo prega.. “ma egli rispose a suo padre:- ecco..(E qui è il ritratto della persona religiosa. Abbiamo detto che con Gesù viene proposta una nuova relazione con Dio. Mentre l’antica alleanza era stata formulata da Mosè “servo di Dio” ed era un’alleanza tra dei servi ed il loro Signore, basata sull’obbedienza delle sue leggi, la nuova relazione, la nuova alleanza proposta da Gesù è quella di Gesù figlio con il Padre. Quindi una relazione di figli con il padre non più basata sull’obbedienza ma sulla somiglianza. Questo che adesso vedremo è importantissimo, perché purtroppo molti cristiani, specialmente quelli delle generazioni passate sono stati cresciuti ad essere servi del Signore e ad avere il timore di Dio anziché essere figli del padre ed avere un rapporto d’amore.
Ricordate quando abbiamo visto l’immagine del giudizio di Dio, spaventoso. Ricordo anni fa in una inchiesta fatta tra gli studenti delle pontificie università romane e c’era tra le domande questa: il giorno del giudizio, potendo scegliere da chi ti faresti giudicare? Dio era all’ultimo posto. Veniva la Madonna, questo, l’altro.. quindi le creature più buone e misericordiose di Dio. Questa la mentalità del servo. Purtroppo in molti cristiani c’è una mentalità di servi nei confronti del loro Signore e quindi fatta di paura, e cosa fa il servo? Il servo per compiacersi il padrone gli offre ciò che ha più caro. Allora attenzione qui a cosa dice l’evangelista, che è un ritratto della persona religiosa). “Ecco da tanti anni ti servo”. Lui non è un figlio che collabora con il padre, lui è un servo nei confronti del suo signore.
È esattamente come i salariati. Lui è al servizio del padre, ma lui è il padrone. Ricordate che il padre ha diviso tra i figli le proprie sostanze? Lui è padrone delle sue sostanze ma non lo ha capito. Lui è un servo che serve il suo padre.
È, notate, l’infantilismo delle persone religiose. La religione ha bisogno di mantenere le persone nell’infantilismo. La religione ha il terrore della crescita e della maturità delle persone che gli sono sottomesse. Cosa significa l’infantile?
L’infantile è colui che ha sempre bisogno di un padre che gli dica cosa come e dove agire. La persona matura è quella che si emancipa dal padre ed agisce con la propria testa. E la religione ha il terrore che le persone siano mature e dà sempre indicazione su cosa devono fare e ci provano sempre, sapete. Se va bene va bene, se non va bene sempre le autorità religiose sempre ci provano ad indicare alle persone come si devono comportare. Questo fa sì che le persone rimangono in uno stato infantile.
Notate l’infantilismo di questo: è il fratello maggiore, è il presbitero. Dice: “Mai un solo tuo comando ho trasgredito (quindi è colui che obbedisce al padre osservando i suoi comandamenti) ..e..(sembra quasi di sentire il lamento piagnucoloso) e mai mi hai dato un capretto perché con i miei amici facessi festa”.
Imbecille, prenditelo è tutta roba tua! Aspettavi che io ti dessi il capretto? È tutta roba tua”. È la mentalità, questa, del servo. Vedete qui, sono raffigurati la mentalità dell’uomo religioso, il servizio, il comando e la ricompensa. È la mentalità dell’uomo religioso. Quello che fa, lo fa per ottenere una ricompensa.
Ma con Gesù tutto questo cambia. Ricordate la differenza dell’amore per Dio e l’amore con Dio?
Non si fanno le cose per ottenere una ricompensa da parte di Dio. La ricompensa c’è già, quella di essere già stati inondati da questo amore di Dio. Il credente non fa le cose per il Signore, ma le fa con il Signore e come Lui e l’efficacia è profondamente diversa. Quindi qui, in questo atteggiamento del figlio, l’evangelista critica la mentalità religiosa: sono dei servi che obbediscono e si attendono una ricompensa.
Ed ecco la denuncia: “Ma quando questo tuo figlio..(qui l’evangelista è simpatico perché proprio si rifà alla dinamica familiare. È un classico nelle famiglie. Quando c’è da vantarsi del figlio sentite il padre o la madre – perché mio figlio..- Quando c’è da lamentarsi - perché tuo figlio..- Qui non dice perché mio fratello. – Dice: - ma quando questo tuo figlio..- Avrebbe dovuto dire – ma quando mio fratello..- Quando c’è da vergognarsi, da scaricare, da lamentarsi, è sempre figlio dell’altro. Quando c’è da vantarsi è sempre Mio)... ma quando questo Tuo figlio…(quindi lui nega quasi di essere il fratello) che ha divorato il tuo patrimonio con le prostitute”. Come lo sa? L’evangelista ha detto che aveva vissuto dissolutamente. Non era andato in particolari. Questa è la malizia delle persone religiose. Gli osservanti osservano tanto da vedere anche quello che non c’è. Si sentono tanto a posto con Dio dalla capacità di giudicare gli altri. Francamente detto da uno che non ha mai osato trasgredire un comando e non si è preso mai un capretto, questa espressione del fratello maggiore più che dalla rabbia, sembra dettata dall’invidia.
Dice: “Ha divorato il tuo patrimoni con le prostitute, è tornato, hai ucciso per lui il vitello ingrassato”.
È la mentalità di tanti religiosi. Che Dio non minacci, non castighi i peccatori, che non gli metta un lungo cammino penitenziale, ma li riammetta nel suo amore, inondandoli del suo amore, è intollerabile: “Come, io tutta la vita (ricordate, l’abbiamo fatto questo esempio)………. Io tutta la vita….”
Questi protesta. Il padrone, che è Gesù, dice: “Sei forse invidioso perché io sono buono?” Ebbene nei farisei, nelle persone religiose c’è l’invidia per la bontà di Dio, invece di essere contenti: “Guarda il Padre quant’è buono! A questa persona che non merita niente le dà tutto il suo bene, come quello che ha dato a me”. Anziché questa relazione di felicità, di condivisione, subentra la rabbia: “Non è giusto, non è giusto che io che mi sono sacrificato per tutta la vita debba avere lo stesso trattamento di questo porco che ha dissipato tutti i suoi averi con le prostitute”. Ma egli disse: “Figliolo” (mentre il figlio si è rivolto con rabbia al Padre, il Padre si rivolge con un termine carico di tenerezza, lo chiama figliuolo, ma il termine greco ha il significato di “bambino”. Quindi il Padre gli si rivolge con grande tenerezza e lo tratta anche un po’ da stupido. Dice: “Tu sei sempre con me e tutte le cose mie sono tue, non c’era bisogno che io ti dessi un capretto, ma non hai capito la cosa più essenziale: che tutte le cose mie sono tue”. Era stata l’obbedienza ad impedirgli di comprendere l’amore che il Padre aveva per lui: chi ha un rapporto con Dio basato sul timore sulla sottomissione e sull’obbedienza non riuscirà mai a scoprire la grandezza dell’amore che il Padre gli comunica. Quindi è un monito molto importante quello che l’evangelista dà alla sua comunità: “Scegliete se volete vivere secondo la religione osservando i dettami dettati dalla legge divina, osservando tutte le regole e le prescrizioni, fate, ma non sperimenterete mai la grandezza dell’amore del Padre. Chi vive obbedendo non sarà mai capace di sperimentare la grandezza incandescente dell’amore del Padre. Quindi: tutte le cose mie sono tue, ma occorreva festeggiare, rallegrarsi perché, notate, (perché tuo figlio), il Padre: “Perché questo tuo fratello; (gli ricorda che è il suo fratello), era morto e ora è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. Quindi il Padre invita il figlio a rallegrarsi con lui, perché la vita è più forte della morte, lo invita a rallegrarsi della stessa gioia del Padre. Abbiamo visto che quando il peccatore ritorna a Dio, il Padre lo inonda del suo amore e il Padre vorrebbe che tutte le persone venissero contagiate da questo amore. Ecco la parabola termina, non sappiamo quale sarà la reazione del figlio maggiore, non sappiamo quale sarà la reazione del figlio minore, l’unica cosa certa che sappiamo è l’atteggiamento di Dio. Quindi l’incontro dell’uomo peccatore con il Padre, con Dio, non è quello sempre umiliante dell’elenco delle proprie colpe, ma quello sempre arricchente della grandezza del suo amore. Ecco perché rispondendo ad una domanda che era già stata fatta e per la quale mi ero riservato oggi di rispondere, la chiesa nella misura in cui approfondisce il messaggio di Gesù, cambia anche le formule, cambia anche le sue norme. E ormai da quasi trent’anni è stato rinnovato completamente il sacramento che prima si chiamava della confessione e non si chiama più della confessione. È importante, ‘confessione’ l’accento era posto sulla denuncia delle proprie colpe, denuncia che creava scrupolo; ricordate la signora che diceva: “Confesso quello che ho fatto e anche quello che non ho fatto”, perché se anche dimenticavi una sola colpa… Si chiama sacramento della riconciliazione, o della penitenza, ma penitenza non nel senso di fare penitenza, ma nel senso latino di pentimento, cioè cambiamento dell’orientamento della propria esistenza. Ebbene, nel nuovo rito il punto centrale, non è tanto, anche se viene mantenuta, la denuncia delle colpe ma l’ascolto della parola del Signore. Quando ci si incontra, l’uomo peccatore con il Signore, non è tanto la denuncia di quello che l’uomo ha fatto, perché? Perché agli occhi di Dio, cose che noi crediamo colpevoli, magari non lo sono. Nella prima lettera di Giovanni, l’autore dice: “Figlio se il tuo cuore, (cuore nella mentalità ebraica indica la mente), anche se il tuo cuore ti rimprovera qualcosa, ma Dio è più grande del tuo cuore”. Cosa vuol dire?, anche se la tua coscienza ti rimprovera qualcosa, ma lascia perdere! Che Dio è più grande. La nostra coscienza viene modellata dalla moralità corrente, ma noi vediamo nell’arco degli anni come certe cose che erano considerate sconvenienti, o addirittura peccaminose cinquant’anni fa, oggi non lo sono. Allora il rapporto della persona con il Signore deve essere assolutamente di grande tranquillità e di grande serenità, non è l’elenco umiliante delle proprie colpe, ma l’accoglienza gratificante, ubriacante della grandezza dell’amore del Padre.
Bene, abbiamo terminato il nostro excursus su il Dio dei vangeli un Dio non buono, un Dio esclusivamente buono. Naturalmente abbiamo potuto soltanto tracciare alcuni tratti, alcune componenti di questo aspetto, adesso ci prendiamo 10 minuti per respirare un attimo, poi lasciamo spazio agli interventi, alle domande, sia su quanto è stato esposto oggi e sia su quanto è stato esposto fin da venerdì sera. Vi ringrazio.
Domanda:
- Riprendi la frase del Padre Nostro, “Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori” grazie.
Maggi:
Veramente non è soltanto questa frase, ma sarebbe tutto il Padre Nostro da riformulare, perché la traduzione inesatta o insufficiente non fa altro che alimentare equivoci, da quel “sia fatta la tua volontà” dove Matteo non scrive: “Sia fatta la volontà” il verbo fare indica un’azione degli uomini, ma adopera il verbo compiere che indica un’azione divina: non è l’uomo che dice: sia fatta, accettiamo la tua volontà, è la comunità che dice: si compia la tua volontà, cioè il tuo disegno sugli uomini. Per non parlare poi, non è il momento qui per entrarci, dell’equivoco del pane quotidiano. Ma vediamo questa espressione molto importante: “Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori” normalmente viene erroneamente semplificata e spiegata con il perdono delle colpe: noi perdoniamo le colpe degli altri e così tu perdoni le nostre. Nulla di più lontano, da questo testo, di questa spiegazione spiritualistica. Questa formula si ritrova nel vangelo di Matteo. Abbiamo detto, ricordate, Matteo scrive per una comunità di ebrei e cerca di ricalcare Gesù sulla vita e sull’insegnamento di Mosè. Mosè sul monte Sinai propose l’alleanza con dieci comandamenti, Gesù sul monte, non da Dio, ma lui che è Dio promulga la nuova alleanza con le otto beatitudini. Come formula di accettazione della antica alleanza c’era, nel libro del Deuteronomio al capitolo 6, il credo di Israele. Ebbene, l’evangelista, come formula di accettazione delle beatitudini, presenta il Padre Nostro; pertanto, il Padre Nostro non è una preghiera, ma, sotto forma di preghiera, è la formula di accettazione delle beatitudini. Pertanto, possono capire ed esprimersi con il Padre Nostro soltanto coloro che hanno accettato le beatitudini, altrimenti è un bla bla, è una filastrocca. La prima beatitudine, che non è messa al primo posto a caso, ma è la conseguenza di tutte le altre, l’abbiamo vista: ‘beati quelli che volontariamente liberamente e per amore si fanno poveri’, che non significa essere miseri, ma abbassano il tono della loro esistenza, per permettere a quelli che l’hanno troppo basso di alzarlo; beati perché, perché di questi si occupa Dio. Dio è Padre, allora costoro che hanno fatto questa scelta, quindi di non arricchire, di non accumulare, nella formula di accettazione hanno presente questo ‘rimetti’, che significa cancella, annulla i nostri debiti. Non si parla di peccato, si parla di debiti, sono i debiti materiali. A cosa si rifà Gesù? Dio nella legislazione che aveva dato a Mosé aveva espresso la sua volontà che Gesù riprende e sarà quella che formula la prima comunità cristiana: ‘che nessuno tra di voi sia bisognoso’. Come fanno a capire, sapete che a quell’epoca ogni popolazione aveva la sua divinità, come faranno a capire i popoli circostanti che il vostro Dio è il vero Dio? Semplice: perché tra di voi nessuno sia bisognoso. L’unica prova che Dio esiste in una comunità, è quando in questa comunità non ci sono persone che hanno e persone che non hanno, non ci sono persone che possono e persone che sono bisognose, ma tutti hanno. Quindi, ‘che nessuno sia bisognoso’ è l’imperativo di Dio, che Gesù raccoglie e che formula nel Padre Nostro. Allora per far sì che nessuno si impoverisse, era stata emanata una legislazione, ma come si sa, fatta la legge poi si trova sempre l’inganno: ogni sette anni venivano cancellati tutti i debiti, in modo che nessuno si potesse indebitare e immiserirsi, quindi i debiti che uno aveva alla scadenza del settimo anno venivano cancellati. E voi capite che era una legge che doveva essere a favore dei poveri, ma un po’ ingenua: si ritorse contro i poveri. Nessuno prestava se non aveva più che certa la garanzia che gli fosse restituito il prestito, e chi era quel fesso che prestava al sesto anno o addirittura all’inizio del settimo, sapendo che al settimo anno tutto veniva cancellato? Quindi si era ritorta contro i poveri, allora Gesù che è venuto a inaugurare il regno di Dio, una nuova maniera di relazioni all’interno della comunità, alla comunità che ha accettato le beatitudini, rinnova questo impegno dell’antico testamento, ma non ogni sette anni, ma come pratica abitudinaria della comunità. Noi cancelliamo abitudinariamente i debiti che gli altri hanno nei nostri confronti, perché non è possibile che nella comunità ci sia un debitore ed un creditore, ma che razza di fratelli siamo! Quindi come noi cancelliamo abitudinariamente e siamo riconoscibili per questo, così tu cancella i debiti verso Dio, nella mentalità dell’epoca l’uomo era debitore verso il Padre di tutto ciò che aveva ricevuto, della creazione, della vita, eccetera. Quindi non si tratta di un rapporto spirituale, debiti nel senso di colpe, ma concreto. Voi capite che anche se perdonare è difficile, un conto è perdonare, un conto è cancellare un debito, allora piano, piano nei secoli si fece avanti l’interpretazione spiritualistica del Padre Nostro, ma il Padre Nostro è molto concreto. Quindi chi recita il Padre Nostro, ha accettato le beatitudini e non può permettersi di esigere dei crediti nei confronti dei debitori.
Domanda - Come mai la Madonna a Fatima e Medugorje chiede ai veggenti e ai fedeli di fare sacrifici e rinunce per la conversione dei peccatori?
-
Maggi Chi c’è Radio Maria qui? Dunque noi parliamo di cose serie, dei vangeli, queste sono cose marginali. Vorrei richiamare una cosa, nella chiesa cattolica, (io sono nella chiesa cattolica, penso che voi in gran parte sarete dentro la chiesa cattolica), la dottrina della chiesa cattolica afferma che si è perfettamente cristiani, pienamente cattolici anche senza credere in nulla alle varie apparizioni che cadenzano la storia della chiesa. Quindi se uno non crede a nessuna delle apparizioni che sono state rappresentate nell’arco della storia, non è che ha un di meno, e se ci credi hai un di più, perché non fanno parte del bagaglio della fede. La chiesa non rifiuta, le cosiddette apparizioni, ma le esamina, se il messaggio contenuto nelle apparizioni corrisponde al messaggio di Gesù, l’apparizione può essere accettata, ma come un optional, non qualcosa che riguarda la fede, se il messaggio contrasta con l’annunzio di Gesù, tutto il messaggio va abbandonato. Un classico delle pseudo apparizioni (la Madonna è troppo seria per fare questa giramondo, che trotterella da ogni parte chiedendo le cose più insipide), ma un classico delle pseudo apparizioni è questo: una Madonna che appare e annunzia che Dio è disgustato per i peccati dell’umanità, è pronto il castigo, Dio non ne può più. L’immagine classica: la Madonna che tiene a freno il braccio carico di ira di Dio sull’umanità. “Non ne posso più. Se digiunate se pregate, preghiera preferita è il rosario, può darsi che Dio cambi idea, non vi castiga! A prova di tutto questo ci sarà un grande segno straordinario.” Ecco, questo lo possiamo prendere e infilare direttamente nel contenitore senza fondo dello stupidario religioso. Nulla di tutto questo corrisponde ai vangeli. Il Dio di Gesù non è mai arrabbiato con l’umanità ma innamorato dell’umanità, il Dio di Gesù non annuncia né minaccia castighi all’umanità, neanche quando gli ammazzano il proprio figliuolo. Dio è amore e non desidera altro che amare e a questa pseudo madonna, naturalmente, poveretta, io direi: fermati un momentino e sfoglia il vangelo, sei rimasta un po’ indietro: questa tua fissazione sul digiuno che hai, cerca di rivederla. Perché è nata questa fissazione delle pseudo madonne? (Naturalmente non sto parlando della Madonna vera, troppo seria). Perché è nata questa fissazione del digiuno? Ricordate quando dicevamo è importante la traduzione, ebbene nel vangelo di Marco c’era un espressione di Gesù dopo la guarigione del ragazzo epilettico che suonava così: perché questa specie, s’intende di demoni, non si caccia se non con la preghiera. Punto. Dal quarto secolo, un copista, probabilmente un monaco, ha aggiunto ‘e con il digiuno’. Copia dopo copia, questa espressione di Gesù venne nel testo ufficiale. Allora la pratica del digiuno fu tanto in auge perché era Gesù stesso a dirlo: “Questa specie di demoni non si caccia se non con la preghiera e con il digiuno”. Andate però a vedere il vangelo che avete oggi e vedrete che questa espressione ‘il digiuno’ è scomparsa. Perché non c’è nel testo originario Allora bisognerebbe consigliare a questa madonna che appare dappertutto di darsi una calmata e andare a vedere nel vangelo, almeno annunziaci le cose del vangelo. Ecco, vedete quindi sono delle cose veramente sciocche, infantili. Io è da anni che studio tutti questi fenomeni, i messaggi di Medugorje, questa madonna che appare continuamente dicendo le banalità più complete. Oggi vi dico, siate buoni e pregate, (e, santo cielo, se devi venire dal cielo per dirci…) il giorno dopo: oggi pregate e siate buoni’, che grandi messaggi, Sono veramente delle cose, per carità rispetto chi ci vuole credere, ma non aggiungono niente e soprattutto sono distanti dall’annunzio di Gesù. Allora abbiamo detto, non c’è il castigo, non c’è l’invito al digiuno da parte di Gesù e tutti coloro che chiedono a Gesù un segno vengono sempre rimproverati da Gesù come una razza incredula e testarda. Nella religione si chiede un segno da vedere per poter credere, Gesù rifiuta e propone il contrario: ‘credi, cioè, dammi adesione e tu stesso diventerai un segno che gli altri possono vedere’.
Domanda:
Ieri lei ha detto, rispetto alla morte, finche la persona cara noi la vediamo morta non ci accorgiamo che è viva. Può spiegare meglio: umanamente quando ti muore una persona cara ti manca, il lutto bisogna elaborarlo, come faccio a pensare che è viva?
Maggi Io da anni, credevo e predicavo queste tematiche sulla morte, ma mi chiedevo sempre, quando capiterà a me, cioè quando mi morirà una persona proprio della mia famiglia, sarà vero tutto questo? Perché, sì, sono morti degli amici, morti dei parenti lontani, ma quando morirà una persona che mi è cara, e non avendo famiglia, sono proprio le persone più care: mio padre e mia madre, sarà vero tutto questo? Nove anni fa morì mio padre e confermò, la sua morte, tutto quello che credevo e che quindi annunciavo riguardo alla morte; una cosa ho cambiato. Io credevo, perché così mi era stato insegnato che quando ci muore una persona cara, muore qualcosa di noi, e lo dicevo, quando muore una persona muore qualcosa di noi. Quando morì mio padre io sentii un’esplosione di vita dentro di me incontenibile, rimasi un po’ stupefatto, ma poi capii. Ma chiaro: mio padre che mi amava tanto. Ora che è in cielo, ora che è entrato nella pienezza della vita divina, il suo amore è potenziato dall’amore di Dio, e non può non comunicarlo. La morte non distrugge la persona, ma è un’esplosione di vita. E questa viene comunicata. Vedete, in ognuno di noi ci sono delle capacità, delle energie di amore incredibili nel breve arco della nostra esistenza, non riusciamo a svilupparle tutte quante. A volte capita, in momenti critici, vi è capitato mai di avere un congiunto malato, e di doverlo assistere? Che energie, che forze, che resistenze, che capacità di sacrificio! Che non credevamo di possedere e c’è stata l’occasione che l’ha innestato, c’erano già, non c’era stata la possibilità che venissero a galla. Ebbene, il momento della morte è il momento in cui tutte le energie che sono nell’individuo, tutte le potenzialità d’amore esplodono, si liberano e crescono. La morte non distrugge l’individuo, ma lo potenzia. Gesù ne parla come il chicco di grano che caduto in terra marcisce, ma è un’esplosione di vita, ciò che viene fuori è una spiga. Allora, quando ci muore una persona cara, qual è l’atteggiamento? Naturalmente è un atteggiamento di tristezza e di dolore, non di disperazione, perché ci muore la persona che fisicamente potevamo toccare, abbracciare amare, però, dobbiamo cambiare mentalità. Anzitutto il cristianesimo non favorisce il culto dei morti, il Dio di Gesù non è il Dio dei morti, ma il Dio dei vivi. Il Dio di Gesù non risuscita i morti, ma comunica la sua stessa vita ai vivi, è il Dio dei viventi. Questo è il Dio di Gesù. Allora dovremmo anzitutto prendere un po’ di distanza dal culto dei morti e cambiare questa mentalità che ci faceva vedere i nostri cari, se ci andava bene, da qualche parte nell’universo spersi dei cieli. I nostri cari continuano la loro esistenza nella pienezza della sfera di Dio, e l’amore che avevano per noi non viene diminuito ma viene potenziato, perché continuano ad amarci con lo stesso amore di Dio, e allora per percepirli vivi viventi e vivificanti dobbiamo cambiare orientamento. Fintanto che stiamo di fronte alla lapide a piangere il morto, non ci accorgiamo del vivo che ci è accanto.
Quando Maria Maddalena sta nella tomba a piangere, non si accorge che c’è Gesù che aspetta pazientemente di dietro, soltanto quando si volta, quando cambia orientamento, vede che Gesù è vivo. Allora i nostri cari cosa fanno dove stanno? C’è una preghiera la cui origine di per sé era bella, ma si è rivelata una specie di condanna all’ergastolo: ‘l’eterno riposo dona loro…’ per carità: riposare per tutta l’eternità è peggio di una condanna all’ergastolo! Cosa si fa? Da piccoli nel catechismo per darci l’idea del paradiso ci dicevano: immaginate che siete al cinema, al teatro e sul palcoscenico c’è Dio e per tutta l’eternità lo state ad ammirare. Dio! Ero terrorizzato da questa idea! Io che sono stato sempre vivace e più di cinque minuti non riuscivo a stare fermo!… L’idea di stare tutta l’eternità a guardare sto Padre eterno…! Che sarà pure simpatico e bello ma dopo qualche secolo, l’idea di cambiare canale, viene!. Ebbene Gesù ci parla di una vita che continua Il riposo eterno viene preso da una espressione del libro dell’apocalisse dove l’autore dice: “Beati quelli che muoiono nel Signore le loro opere li accompagnano ed entrano nel riposo di Dio”. Dio aveva creato l’Umanità, il settimo giorno si era riposato, il riposo significa partecipare all’azione creatrice di Dio, non l’inattività. I nostri cari vengono assunti da Dio e chiamati a collaborare alla creazione nostra e di tutta l’esistenza. Quindi non stanno inattivi. Allora il lutto se vuol essere elaborato, non è quello del rimpianto di una persona morta, ma se si può, (perché quando si parla di queste cose, bisogna avere sempre tanto rispetto tanta delicatezza), provare a fare l’esperienza con una persona viva, vivificante che ci è accanto e che in qualche maniera cerca senz’altro di comunicare con noi e farci capire che è nella pienezza della vita.
Domanda: cosa ne pensa della rigidità della chiesa di fronte ai divorziati e separati che non possono più sposarsi in chiesa. Poi ce n’era anche una legata a questa degli sposati in Comune”
“In comune in senso di Municipio?” “si”
Maggi:
Nel vangelo non si parla praticamente di matrimonio, non è un tema a cui Gesù sia interessato, questa è una disciplina ecclesiastica. La chiesa sta cambiando, abbiamo visto, ricordate, il concilio di Firenze e il concilio Vaticano, 5 secoli, ma la chiesa, anche se lentamente, cambia e purtroppo, essendo una chiesa Romana è centrata su Roma, sull’Italia, e il divorzio è una realtà recentissima, di appena l’altro ieri nella situazione italiana. Il divorzio prima era soltanto una cosa, una roba di americani, di attori, quindi il divorzio nella società italiana non era contemplato. È una novità che la chiesa si è trovata impreparata a gestire e che gli è sfuggita dalle mani; oggi la chiesa si trova in questa contraddizione: che è più grave il divorzio dell’omicidio. Perché se uno ammazza una persona, il proprio coniuge, può essere poi perdonato e riammesso a tutti i sacramenti, se uno divorzia non può più essere perdonato. Allora voi capite che c’è una contraddizione è possibile che l’omicidio sia meno grave del divorzio? E come mai dopo che Gesù che ha lasciato alla sua chiesa la capacità di perdonare tutte le colpe, la chiesa inciampi su questo scoglio? Io adesso lo dico per sdrammatizzare un po’ la situazione: quando mi vengono le persone che hanno questo problema, dico: “Ma che problema c’è, ammazza la tua ex moglie con la legge italiana ti fai uno o due anni e poi ti risposi, sei a posto”. La Chiesa nel suo inizio non ammetteva le seconde nozze dei vedovi, quindi per secoli la chiesa impedì ai vedovi di risposarsi, poi finalmente lo ammise. Ma fino al concilio Vaticano secondo, nel rito del matrimonio dei vedovi non c’era la benedizione della sposa. Quindi vedete quanto ha impiegato la chiesa! Io credo che la chiesa rifacendosi alla prassi penitenziale dell’altra grande chiesa che è la chiesa ortodossa, rifacendosi alla prassi penitenziale della chiesa luterana…. (ieri abbiamo visto le nozze del principe Carlo, con quella Signora, che è divorziata, non è vedova, e non so se avete notato, all’inizio c’era un tratto penitenziale in cui si chiedeva perdono per le colpe che hanno avuto nei confronti dei rispettivi coniugi). La chiesa degli inizi, alle persone che vivevano questa situazione le poneva in un cammino penitenziale, normalmente era tre anni, al temine dei quali venivano riammessi completamente nella comunione ecclesiale. Lo fa la chiesa ortodossa, lo fa la chiesa anglicana e io credo che sia auspicabile quanto prima che avvenga anche nella chiesa cattolica, Non si possono far soffrire le persone per leggi che non hanno un radicamento sicuro nell’insegnamento di Gesù, almeno, nella chiesa ortodossa, per quello che viene chiamato il coniuge innocente, (anche se poi è tanto difficile, perché a volte l’innocente è il colpevole ed il colpevole è innocente). Ma non si può imporre una vita di sofferenza alle persone, allora io credo di essere ottimisticamente preparato ad accogliere novità, speriamo adesso con il prossimo papa, speriamo, perché ormai la situazione è pronta, e quindi questa è una legislazione ecclesiastica che può modificare, speriamo che ci sia il significato.
Domanda: chi lavora su se stesso aumenta il suo egoismo, può specificare meglio questa sua espressione? Un lavoro su di sé non può preparare il terreno per l’azione di Dio?
Maggi:
No. Chi si centra su se stesso alimenta soltanto il proprio egocentrismo. La persona non si conosce quando si centra su se stessa, ma soltanto in relazione con gli altri. Io quando sto da per me o quando sto con il Signore, sto tanto bene perché mi do ragione da solo, non mi contraddico. Il problema quando mi conosco, chi è Alberto, è quando mi impatto con gli altri che io non capisco perché osano pensarla diversamente da me, ma è così chiaro è così semplice, come si permette questo fratello di non pensarla come io la penso, allora magari mi innescano sentimenti di nervosismo o di aggressività. La conoscenza della persona non è quando entra in se stesso perché può essere illusoria e comunque alimentare il proprio egocentrismo, ma quando è in relazione con gli altri. C’è un grande mistico dei secoli scorsi Maestro Eckhart che ha un espressione fantastica, dice: “Se tu sei in contemplazione, (e mette l’esempio massimo di contemplazione, della santissima Trinità), se tu sei in contemplazione della Trinità e un tuo fratello ti chiede un te, lascia la Trinità e vai a preparare il te, il Dio che trovi è più sicuro di quello che lasci”. Quindi la persona cresce, si matura si realizza, non nella misura che entra dentro se stesso, e oggi è molto di moda, nelle varie filosofie, il cercare se stessi. Tempo inutile. Ci sono due cose inutili: il cercare se stessi e il cercare Dio. Chi cerca Dio, non lo trova mai, perché cerca una sua immagine di Dio, nei vangeli Gesù non invita alla ricerca di Dio, ma all’accoglienza di Dio nella propria esistenza. Non bisogna cercare Dio, Dio in Gesù si è pienamente manifestato, c’è soltanto da accoglierlo e anche la ricerca di se stessi può essere vana quanto è grande l’ambizione degli uomini. Ricordate il brano del vangelo di Giovanni al capitolo 15 il tralcio che porta frutto, il Padre ci pensa ad eliminare le impurità, non il tralcio perché il tralcio potrebbe danneggiarsi. Allora cosa vuole dire l’evangelista? L’unica tua responsabilità è come rendere gli altri più felici. L’unica tua tensione è: oggi come posso fare felici le persone con le quali vivo? Oggi cosa posso fare di gradito perché l’altro sorrida perché l’altro sia contento? L’unica tua tensione è questo, a te ci pensa il Padre, e il cambio, ve l’assicuro, è garantito a tutto vantaggio degli uomini. Dicevo ieri sera a tavola un episodio che ho provato nella mia carne, anch’io sono stato educato a questa religione, allora le quaresime le vivevo in maniera radicale con penitenze, digiuni, sacrifici, arrivavo alla quaresima sempre con diversi chili di meno, esausto. Arrivavo al quarantesimo giorno esausto, e ogni quaresima era finalizzata a eliminare un difetto che avevo. Individuavo un difetto e allora tutta la quaresima, le penitenze, i sacrifici, le lunghe ore di preghiera erano per sradicare questo difetto, arrivato al quarantesimo giorno io ero esausto e il difetto s’era irrobustito, proprio sedeva in trono, l’avevo alimentato, e non capivo perché. Dopo è stata la conoscenza dei vangeli, ma è chiaro, mi ero centrato per tutta la quaresima tutto su me stesso, non avevo tempo per i fratelli, perché dovevo pregare, non avevo energia per i fratelli, perché ero esausto dal digiuno o dalla penitenza, tutto centrato su me stesso. Chi si centra su se stesso non fa che alimentare il proprio ego il proprio egoismo, e quindi per carità, tutte le proposte sono buone , anche quelle di chi mi ha scritto questo, io rispetto tutto, ma la persona cresce e si matura, non quando si centra su se stesso, ma quando si centra sugli altri.
Domanda:
Ieri gli è stata fatta una domanda sul comando di Gesù, andate a chi rimetterete i peccati saranno rimessi, io lavoro in uno stabilimento dove ci sono i testimoni di Geova, noi andiamo a mangiare insieme, parliamo di queste cose e loro hanno detto le stesse cose che ha detto lei, che viene dalla traduzione, che viene dal linguaggio dei vangeli… viene da tutto questo. Ecco perché non c’è più bisogno di andarci a confessare e mi rispondono sarcasticamente: peccato che la chiesa tra un po’ la vostra chiesa cattolica toglierà anche questo. Noi con questo abbiamo fatto proseliti, perché togliendo doveri verso la chiesa abbiamo fatto proseliti. Io chiedo: la differenza dove sta?
Maggi Chiariamo ancora meglio questo equivoco di questo sacramento: attenzione il perdono dei peccati, Gesù è chiarissimo: perdonate e sarete perdonati, Gesù più chiaro non poteva essere. Questo sacramento non serve e non è finalizzato al perdono dei peccati ma a rimettere in sintonia la propria esistenza con il progetto che Dio ha sull’umanità, sulla tua vita. Ecco perché il punto centrale, purtroppo non attuato da parte di tanti preti in questo sacramento, non è tanto l’accusa delle proprie colpe quanto l’ascolto della parola di Dio. Il nuovo rito prevede il punto centrale: che si apra il vangelo o la bibbia e si legga una pagina adatta alla condizione dell’individuo. Vi faccio un esempio di questo sacramento come lo vivo io, io rispetto la spiritualità di ognuno e allora bisogna sempre andare incontro alle persone, allora io dico: guarda quello che tu hai fatto, a me proprio non interessa, tu quello che hai fatto lo conosci, il Padre lo sa meglio di te, perché cose che tu ritieni negative o colpevoli, agli occhi suoi non lo sono, allora mettiamo via tutto questo e invece ascoltiamo la parola di Dio riguardo ad un aspetto della tua esistenza, che tu senti deficitario, che non è in sintonia con il progetto di pienezza della tua vita che Dio ha su di te. Dio non limita gli uomini, ma li potenzia! Siamo noi che mettiamo i limiti, normalmente i limiti che mettiamo sono l’egoismo, l’avidità, perché per Gesù la persona vale nella misura in cui è generosa, e la persona che non è generosa non vale; sono il rancore, il risentimento o la chiusura, l’attaccamento a immagini del passato, normalmente sono questi i limiti, allora su questo lavoriamo, quindi infondiamo la potenza della Parola del Signore e il momento importante nel nuovo rito penitenziale del sacramento della penitenza è l’effusione dello Spirito attraverso l’imposizione delle mani sulla persona. È un gesto molto antico: imporre le mani significa trasmissione di vita, trasmissione dello spirito Questo è il sacramento. Quindi non serve tanto per ottenere il perdono delle colpe perché tu puoi andare a confessarti (usiamo questo vecchio termine) quanto vuoi, ma se non perdoni non ti viene perdonato nulla. Perdonate e sarete perdonati. Ma è che non basta questo, non è soltanto l’aspetto negativo, è importante l’aspetto positivo. Rimettere in sintonia la nostra esistenza con quella di Dio. Detto questo, il sacramento per eccellenza dove tutto ciò si realizza è quello che tra poco, se volete, celebreremo. Nell’Eucaristia c’è il perdono delle colpe, nell’Eucaristia c’è l’immissione di una forza, di un energia divina che ti dà la capacità di superarlo; quando all’inizio c’è l’atto penitenziale e la formula: “Dio che è Padre onnipotente ed ha misericordia di noi perdona le nostre colpe”. Perdona le nostre colpe: c’è già il perdono; quando al momento dell’Eucaristia: “Questo è il mio sangue effuso per voi e per tutti per il perdono dei peccati”. Al momento prima della comunione: “Ecco l’agnello di Dio che toglie il peccato dal mondo” e quante volte dobbiamo insistere su questo cancellare il peccato! Quindi l’Eucaristia è il sacramento principale dove tutto questo avviene. Solo che noi ragioniamo con la nostra mentalità centralista dove abbiamo chiese in quantità, preti in quantità, messe anche troppe, forse, in quantità, ma la chiesa ragiona per tutto il mondo dove ci sono regioni intere grandi come l’Italia dove c’è magari un solo prete e non può andare a celebrare l’Eucaristia dappertutto, e allora in queste occasioni si dà valore anche a questi altri tipi di sacramenti, ma, ripeto, per la nostra realtà rimane il sacramento della penitenza ad uso della necessità delle persone, ma quello che è primario è il sacramento centrale: importante è quello che tra poco (anzi adesso concludiamo perché ormai è ora di prepararci), tra poco celebreremo. Ripeto: è l’Eucaristia la festa dei peccatori, tutti sono ammessi, tutti quanti possono partecipare, eccetto una sola categoria: le persone giuste, le persone che si sentono a posto con Dio non hanno nulla a che fare con quello che è il pranzo dei peccatori.
Martedì, 10 gennaio 2006
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