Paul Ricoeur, considerato uno dei massimi filosofi viventi, è scomparso ieri, alletà di 92 anni. Nel panorama filosofico del secondo Novecento campeggia da gigante, insieme a pochi altri come Emmanuel Lévinas, Hans Georg Gadamer e Jacques Derrida. Nella sua vasta e complessa produzione che si snoda a partire dallopera giovanile Le volontaire et linvolontaire del 1950 fino allultima grande opera La memoria, la storia e loblio del 2003, è possibile cogliere la trama della vicenda filosofica europea (la fenomenologia, lermeneutica, lanalisi del linguaggio, la teoria del testo e dellazione, la questione del soggetto) che si distende e si espande come lapprofondimento di un discorso che mira a svuotare i dualismi oppositivi, a confutare gli enigmatici sentieri della foresta heideggeriana per costruire, veicoli di mediazioni, vie di dialogo e di confronto sulle quali far interagire spiegazione e comprensione, scienze della natura e scienze umane, storia e memoria.
Si tratta , per usare una celebre immagine di Ricoeur, di percorrere, rispetto alla «via corta» di Heidegger, la «via lunga» che non è priva di difficoltà e di deviazioni ma che passa consapevolmente per il linguaggio e la riflessione in un serrato e continuo confronto con le nuove scienze delluomo. Nella Parigi degli anni Sessanta, Ricoeur si misura con la duplice contestazione indirizzata nei confronti di una filosofia del soggetto, da parte dello strutturalismo e della psicanalisi, discutendo con Lévi-Strauss e dedicando a Freud nel 1965 unopera mirabile, DellInterpretazione.
Se nei confronti dello strutturalismo (che rappresenta un movimento variegato nel quale convergono autori molto diversi tra di loro come Barthes, Greimas, Foucault, Genette) , Ricoeur chiarisce preliminarmente la differenza tra il modello strutturale e il modello ermeneutico e restituisce una dimensione di senso alle scienze umane con il richiamo ai soggetti viventi e parlanti, nei confronti della psicoanalisi che contesta un io che si presume padrone di sé quando invece deve accettare di perdersi per potersi ritrovare alla fine come coscienza adulta, il filosofo francese recupera la cruciale nozione di simbolo su cui verterà la sua ricerca negli anni Settanta.
Il simbolo è la regione del «senso duplice» perché ad esempio il sogno «non è parola che chiude ma che apre» e il linguaggio del sogno vuol dire sempre altro da ciò che dice perché esso svela luomo che desidera. Questa è «la regione del senso duplice» e linterpretazione come il cuore pulsante dellermeneutica «è lintelligenza del senso duplice».
Con il Conflitto delle interpretazioni del 1969, unopera considerata con Verità e metodo di Gadamer, uno dei capolavori dellermeneutica contemporanea, Ricoeur allarga il suo orizzonte di ricerca, approfondendo le sue indagini sul simbolo e linterpretazione e invocando come indispensabile unazione di arbitraggio, capace di regolare se non a contrastare «le pretese totalitarie» dei vari modelli interpretativi. La filosofia per Ricoeur diventa sempre più un compito, un esercizio, un lavoro critico, che mai può interrompere il suo dialogo con le scienze, mai può lasciar cadere quella connessione di domande e di progetti che già lopera giovanile con il suo motivo del volere inteso come capacità di decidere (e di decidersi per...) un progetto, di compiere o di patire unazione, lasciava presagire. Anche nelle opere degli anni settanta La metafora viva e la ponderosa trilogia di Tempo e racconto in cui Ricoeur indirizza la sua riflessione sui testi metaforici e narrativi indagando nozioni come il testo e la metafora e tematizzando in maniera originale le relazioni tra esistenza, temporalità e racconto, non viene meno la domanda di senso sullessere delluomo del mondo, nelle sue molteplici modalità di parlare, di agire, di raccontare e di imputare a se stesso le sue azioni. Nelle sue ultime opere, la questione del soggetto e il suo ruolo nella storia diventa centrale dal Sé come un altro del 1990 fino allultima opera La memoria, la storia e loblio del 2003.
La problematica dellidentità e dellalterità trova il suo luogo decisivo nellopera del 1990, la summa del pensiero ricoeuriano. Lintento è lattuazione di un «cogito integrale» alternativo alle pretese totalizzanti del Cogito cartesiano che permane pur nella cruda interpretazione del Cogito spezzato di Nietzsche, prigioniero di un illusionismo retorico grammaticale, privo di qualche sbocco credibile. Ricoeur, muovendo da posizioni fenomenologico-ermeneutiche, propone uno sviluppo di unermeneutica del sé che suggerisce unalterità che non è soltanto un termine di paragone, ma, in qualche modo costitutiva dellipseità stessa e non più un elemento estraneo. È il cammino dellapertura dellidentità che viene saggiato nellarte del raccontare, dove le modalità della storia e della finzione collaborano a modellare il «racconto della storia di una vita» e più propriamente quel che Ricoeur chiama «identità narrativa», la quale mette in gioco il proprio e laltro che fanno dellidentità un progetto.
Chi sono? Chi siamo? E una domanda che passa necessariamente per la nostra capacità di raccontare e di raccontarci.
Qui si inserisce limportanza del paradigma della traduzione, sul quale si è soffermato Domenico Jervolino, uno dei maggiori interpreti del filosofo francese: il nodo essenziale della nostra vita e della nostra ricerca didentità, egli scrive, passa per un lavoro enorme e mai definitivo di traduzione e di traduzioni, di ogni sorta di traduzione, che coincide con la storia delle nostre vita, con la rete infinita delle nostre azioni e passioni, con il lavoro del lutto e della memoria che tale opera esige, con le sue sfide sempre rinnovate e con la felicità che essa ha il potere di accordarci nelle pause del nostro cammino.
Mercoledì, 25 maggio 2005
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