DIETRICH BONHOEFFER, UN TEOLOGO IN TENSIONE

a c. di Fulvio Fania (Liberazione, 10.02.2006)

A Torino un convegno sulla figura del pensatore tedesco fucilato dai nazisti. Ne parla Ugo Perone, docente all’Università del Piemonte orientale che ha organizzato l’incontro per il centenario della nascita


Etsi Deus non daretur. Anche se Dio non esistesse oppure “come” se Dio non esistesse. Sul modo di tradurre si è accesa una lunga disputa, ovviamente non linguistica ma filosofica. L’espressione latina risale all’olandese Grozio (XVI secolo) ma è anche tipica di Dietrich Bonhoeffer, teologo della chiesa evangelica confessante tedesca e oppositore di Hitler fino al punto di partecipare all’organizzazione del fallito attentato del 20 luglio 1944 e finire fucilato nel campo di Flossenburg, il 9 aprile 1945, alla vigilia del suicidio del Furher. Per lui - cerca di riassumere Ugo Perone, ordinario di filosofia morale all’Università del Piemonte orientale - quell’etsi Deus non daretur significa operare nel mondo «prescindendo dall’ipotesi di Dio».
Recentemente quella formula ha conquistato nuova popolarità per essere stata rovesciata dal cardinal Ratzinger, oggi Benedetto XVI, per il quale oggi anche i laici dovrebbero fare “come se Dio esistesse”, assumendo i valori assoluti che sono “fondamento ultimo” della religione.
Ugo Perone ha aperto ieri a Torino un affollato convegno promosso dal suo Ateneo sulla figura del teologo di Breslau, di cui si è appena celebrato il centenario della nascita. Il convegno si concluderà domani.
Professor Perone, ci sono due aspetti della personalità di Bonhoeffer, il teologo e il resistente al nazismo. Quali relazioni li legano?
In lui la dimensione culturale, quella teologica e quella di vita sono strettamente compenetrate. La sua è una teologia incarnata in biografia. La figura è affascinante proprio perché non è una somma ma una complessità, gli aspetti sono in tensione tra loro, la vita tende a procedere secondo le sue logiche mentre la teologia, come si vede anche in Karl Barth, rischia di ridursi a pura proclamazione della signoria di Dio. Mettere insieme queste due logiche è il fascino di Bonhoeffer.
Fu isolato nella sua stessa chiesa.
Sì, perché la sua teologia è radicale e impegnativa, non è di compromesso e, al contempo, non è neppure estremista. Questo è tipico di Bonhoeffer.
Ci può fare un esempio?
Da un lato recupera il concetto di “naturale” che sembra appartenere alla teologia cattolica. Non possiamo opporre sacro e profano: dobbiamo pensare secondo altre categorie e addirittura riconoscere che il “naturale” è una sorta di protezione della vita e della realtà. Dunque Bonhoeffer va verso una conciliazione tra due forme di pensiero: una, cattolica, che vede la grazia come completamento della natura e l’altra, di un barthismo estremizzato, secondo cui la natura è annullata dalla grazia. Ma al contempo per Bonhoeffer il “naturale” è dato solo nella luce di Cristo, è una condizione del Creato, quindi dipende da Dio. E questo sembrerebbe preludere perfino a concezioni di cristianesimo integralista. Le due posizioni vanno colte entrambe nella tensione di cui egli stesso è consapevole. Del resto il suo messaggio è che Cristo è unità di cielo e terra, ma un’unità polemica.
Naturale: qualche parentela col concetto di legge naturale di nuovo molto in voga nel cattolicesimo?
In un certo senso potrebbe averla. Bonhoeffer non è per niente cattolico e sarebbe fargli torto pensare che si tratti di una ripresa della legge naturale. Però egli teme che la critica della natura porti a non avere punti di riferimento condivisibili anche da chi non ha una posizione religiosa: non una legge di natura ma la forza della vita, che lui chiamerebbe appunto “naturalità”. Questo suo pensiero si applica a tanti temi, dalla vita sessuale al suicidio, sui quali la sua posizione è molto complessa: è liberale in quanto non è dogmatica ma evita di affidarsi soltanto alla libertà dell’individuo, che per Bonhoeffer è visione molto riduttiva. Il naturale in lui non è una legge eterna e immutabile ma una protezione della natura, qualcosa che pur modificandosi nel tempo serve a salvaguardare e proteggere l’esistenza.
Insomma che rapporto con la modernità ne scaturisce?
Bonhoeffer fa i conti con la modernità con un doppio movimento. Per un verso la accetta fino in fondo perché ritiene che la secolarizzazione del nostro mondo sia irreversibile: il mondo è autonomo e deve reggersi sulle sue gambe. Per altro verso, da cristiano, pensa che sia possibile “rivendicare” - la parola è sua - questo mondo autonomo a Cristo, che si possa tenere insieme la tensione tra un mondo con le sue leggi positive e il fondamento ultimo in Cristo. Per questo nel titolo del convegno parliamo di eredità cristiana: non si tratta infatti di continuare; il cristianesimo può essere solo ripreso.
Era pacifista, non violento. Ciò non gli impedì di partecipare al fallito attentato a Hitler. Quale era la “tensione” etica al riguardo?
Egli cerca una conciliazione di questi contrasti attraverso il concetto di responsabilità individuale: non posso assumermi una responsabilità in base a dei principi, altrimenti non sarebbe più una responsabilità. Devo invece assumerla in prima persona. Però la responsabilità non è un atto arbitrario, è saper essere a misura delle esigenze della realtà in quel dato momento. La responsabilità per lui arriva fino al punto da assumersi la colpa. E’ pacifista in generale ma pensa che ci siano situazioni estreme in cui non ci si può sottrarre alla responsabilità di agire e purtroppo di compiere qualcosa di non buono come sarebbe in fondo uccidere, perfino trattandosi di Hitler.
“Paradigma non religioso? ” si domanda una delle relazioni al convegno. Può illustrarcene il tema?
E’ la famosa tematica di Bonhoeffer di un cristianesimo non religioso. Per lui non c’è dubbio alcuno che il cristianesimo costituisca una forza cui attingere, però questa eredità non sarà in nessun modo religiosa. Va aggiunto, tuttavia, che egli continua a pensare che per la vita cristiana è assolutamente necessaria la chiesa, naturalmente non come istituzione. Il cristianesimo non può essere vissuto in solitudine dal singolo che si rapporta a Dio, bensì in una comunità. Ora, come si possa vivere il cristianesimo in forma non religiosa è l’elemento problematico.
Nulla a che fare però con la tesi del cristianesimo assunto a religione civile?
Assolutamente l’opposto. In questi mesi è stato proposto di riprendere e rovesciare la frase bonhoefferiana “Etsi deus non daretur”. Per Bonhoeffer il cristianesimo non ha come elemento essenziale la religione, non è religione ma sequela di Cristo. Oggi sarebbe critico violentissimo delle forme di risacralizzazione a cui assistiamo, attraverso le quali la religione può diventare instrumentum regni o una forma di coesione sociale. Qualcuno, da parte religiosa, magari è contento di constatate che il mondo moderno non è del tutto capace di risolvere i suoi problemi e allora deve ricorrere alla religione. Bonhoeffer risponderebbe invece che dobbiamo aiutare il mondo a risolvere i problemi con i suoi criteri. Solo così facendo verrà una nuova luce che farà comprendere che Dio non è il tappabuchi dei problemi insoluti dell’uomo ma l’apertura di un altro orizzonte.
Quali rischi di deformazione del suo pensiero individua?
Una posizione che riduca Bonhoeffer ad un martire, apprezzandolo per il suo comportamento personale ma eludendo le questioni inquietanti che ci pone. Oppure una posizione che ne faccia profeta di una sorta di morte di Dio proclamata in sede teologica. Nell’uno e nell’altro caso se ne tradisce la complessità. E’ importante che in un’epoca come la nostra, che viene considerata di superficialità, Bonhoeffer proponga una strada opposta: non predicare contro il mondo ma prenderlo sul serio sollevando questioni molto radicali. Vedo allora il pericolo di annacquarlo, banalizzarlo. Il suo cristianesimo inquieta.
Quale traccia ha lasciato nel mondo protestante?
Consistente. Ha aiutato ad andare oltre Barth, grandissimo teologo, ma la teologia post-barthiana rischia di non dire nulla di nuovo dopo il maestro. Invece Bonhoeffer torna a porre alcune vecchie domande della teologia liberale, della quale non accetta però le risposte. Naturalmente neppure noi dobbiamo fermarci a Bonhoeffer.
Quale obiettivo culturale si propone il convegno?
Ho voluto mettere in gioco una realtà tipicamente italiana: in Italia la riflessione su Bonhoeffer è avvenuta prevalentemente ad opera di filosofi. Il convegno è ampiamente culturale, non solo teologico. Ci interessa una lettura comune anche a chi non si muove in un orizzonte cristiano. E quella di Bonhoeffer è una teologia molto adatta, senza per questo essere “debolistica”. Si può infatti andare d’accordo tra cristiani e non cristiani anche banalizzando il cristianesimo e riducendolo a un fatto privato, ma si fallisce sulla questione più seria. Bonhoeffer invece è molto radicale, impegnativo. Al contempo è molto laico e aperto al dialogo.



Sabato, 11 febbraio 2006