NON OFFRIAMO PULPITI AI NEMICI DELLA VITA. LA STAMPA DIOCESANA SPIEGA IL NO AI FUNERALI PER WELBY
33707. ROMA-ADISTA. Sulla questione dei funerali religiosi negati a Piergiorgio Welby sembra proprio che, dopo molto tempo, sia toccato alla gerarchia cattolica stare sulla difensiva, sentendosi in dovere, cioè, di giustificare la propria scelta non solo di fronte al mondo laico, ma soprattutto di fronte ad unopinione pubblica cattolica sconcertata, se non indignata, dallatteggiamento assunto rispetto alla dignitosa ed eroica sofferenza di Welby. Così, dopo che al Tg1 erano dovuti intervenire prima mons. Rino Fisichella e poi il teologo Piero Coda per tentare di spiegare ciò che al comune senso religioso appariva inspiegabile, in queste settimane teologi, vescovi e parroci sono stati inondati di lettere di credenti e non credenti sconcertati ed indignati di fronte alla durezza del rifiuto ecclesiastico ai funerali religiosi. E anche sul fronte politico cè chi, tra i parlamentari cattolici, ha deciso di uscire allo scoperto criticando apertamente la decisione del Vicariato. "La mia Chiesa ha sbagliato": così Pierluigi Castagnetti, su Europa del 3 gennaio, intitolava il suo commento alla decisione del Vicariato di Roma. "Mi costa criticare la mia Chiesa. Perché, per me come per tutti i credenti, la Chiesa prima di essere istituzione è madre, ed è faticoso dire alla propria madre ‘posso sbagliarmi, voglio sbagliarmi e in questo caso ti chiedo il perdono, ma penso che tu abbia commesso un errore". Ciononostante, per Castagnetti, criticare la Chiesa può servire a "dare forza e ulteriore credibilità alle tante battaglie politiche che immagino ci attendano in difesa di valori e principi indicati proprio dal magistero della Chiesa". In caso contrario, ai cattolici sarebbe facile in futuro rinfacciare il "silenzio di fronte a una decisione così apparentemente notarile e distante da un comune sentimento di pietà e di sensibilità umana". E poi, "bisogna dirlo. La Chiesa ha bisogno di spirito di libertà e di franchezza", perché oggi ciò che manca "non sono i panegiristi dellordine costituito" ma gli uomini "che danno testimonianza nonostante ogni possibile travisamento e attacco, gli uomini, in una parola, che amano la Chiesa più della comodità e della tranquillità del proprio destino". In un contesto ecclesiale così attraversato dal dissenso e dalla polemica (come mai era avvenuto negli ultimi anni), anche la stampa diocesana si è lungamente soffermata nelle proprie pagine sul caso Welby. Alcune testate sfuggono al tema spinoso dei funerali religiosi, incentrando le loro pagine (e, a volte, interi "speciali") su questioni come eutanasia, malati terminali, cure palliative, accanimento terapeutico. Ma la maggior parte dei settimanali dedica ampio spazio ad interventi e commenti che tentano di giustificare di fronte ai lettori le posizioni assunte della gerarchia cattolica. Tra tante osservazioni teologiche, canoniche e pastorali a difesa della decisione del Vicariato, dalla lettura di molti degli articoli pubblicati dalla stampa diocesana un dato emerge con chiarezza: se – sostengono diversi settimanali – non "si" fosse strumentalizzato il caso Welby (dove luso dellimpersonale resta oscuro, dal momento che è stato proprio Piergiorgio Welby a voler fare della sua vicenda, a partire dalla lettera aperta al presidente della Repubblica, un caso politico), i funerali religiosi sarebbero stati certamente concessi. Non sarebbero, quindi, quelle addotte dal Vicariato le vere ragioni del "gran rifiuto" della Chiesa a Welby, quanto piuttosto la paura che il funerale religioso potesse divenire cassa di risonanza per le tesi dei sostenitori delleutanasia. Insomma, come scrive il 7 gennaio La difesa del popolo (v. notizia successiva), "si è voluto dare peso allaspetto simbolico e massmediatico del funerale, anziché al valore religioso". A fianco di quella "ufficiale" si fa quindi decisamente strada nella stampa diocesana Chiesa una lettura "politica" dei fatti: ciononostante, i settimanali respingono compatti critiche, dissensi e malumori della base cattolica e fanno quadrato intorno alla scelta del Vicariato. La colpa – scrivono i settimanali – è tutta della grancassa che i radicali e i media hanno orchestrato per provocare la reazione emotiva dellopinione pubblica in senso favorevole alleutanasia (in modo del tutto simile, anche se con obiettivi opposti e senza il consenso dellinteressata, a quanto la destra religiosa fece meno di due anni fa con la vicenda di Terry Schiavo, si potrebbe obiettare). Unica, coraggiosa eccezione, quella del settimanale diocesano di Padova, "La difesa del popolo", di cui diamo dettagliatamente conto nella notizia successiva. Di seguito, una rassegna dei commenti. (valerio gigante)
Il nostro tempo (Milano-Torino, 7/1) "Welby e tutti noi", Beppe Del Colle: "Il ‘caso suscitato dall‘uscita dalla vita di Piergiorgio Welby, di là dalla giusta e necessaria osservanza del rispetto umano e (per noi) cristiano per quella persona così a lungo sofferente e senza speranza di guarigione, esige di essere affrontato sotto due aspetti particolari. Il primo riguarda il rifiuto opposto dal Vicariato di Roma ai funerali religiosi per Welby. Una decisione che ha suscitato, anche nel mondo cattolico, rammarico e qualche insofferenza (pure ‘il nostro tempo ha ricevuto lettere ed e-mail di protesta da parte di laici credenti, e anche di sacerdoti). (…) È stato giusto e cristiano pregare, come in moltissime chiese italiane è avvenuto nei giorni di Natale (e da parte di suore e di credenti nella stessa piazza in cui si è svolta la cerimonia funebre civile) ‘per leterna salvezza del defunto. Così come è stato giusto ricordare, come ha fatto don Gianni Baget Bozzo in unintervista, che ‘la Chiesa non dà i sacramenti senza condizione, e quindi in riferimento alla verità di chi riceve il sacramento, della sua conversione. È infine stato il fratello di Welby a dichiarare: ‘È stato meglio così. Rispecchia la volontà di Piergiorgio, che non era cristiano. Il rito religioso era più per rispetto della volontà di sua madre. Insomma, per concludere su questo primo aspetto del ‘caso Welby, la religione è una cosa seria, e va presa sul serio. Un conto è pregare per la salvezza eterna di un defunto, chiunque egli sia, affidandolo alla misericordia divina, un altro conto è rinunciare pubblicamente, per puro ‘rispetto umano o peggio per ragioni di opportunità politica e mediatica, a uno dei principi fondamentali della fede cristiana: la vita è un dono di Dio e tale va considerata dallinizio alla fine. Il secondo aspetto particolare del ‘caso riguarda la sfera più propriamente giuridica e quindi politica. Il partito radicale e i suoi alleati ideologici, a destra come a sinistra, hanno inteso la vicenda di Piergiorgio Welby come unoccasione da non mancare per cercare di introdurre nella nostra legislazione norme che disciplinino il diritto allautodeterminazione dei pazienti ‘in stato terminale. Cioè, in definitiva, leutanasia".
ToscanaOggi (Firenze, 1/1), "Scelta obbligatoria anche se impopolare", Alberto Migone: "I Radicali – di cui Welby è esponente –, giocando sullemotività che ogni caso doloroso suscita, si sono impadroniti con una buona dose di cinismo di questa vicenda, che richiedeva discrezione e delicatezza, e ne hanno fatto una bandiera e così Welby è diventato licona del diritto alla buona morte e del dovere dello Stato di renderla legale. Questa strumentalizzazione ha avuto il suo apice nella cerimonia funebre in piazza con i discorsi di Pannella, Bonino, Pecoraro Scanio e con la raccolta di firme per far pressione sul Parlamento. In questo clima poteva la Chiesa concedere le esequie cristiane – che hanno sempre una valenza pubblica – ad un uomo che di fatto ‘era diventato una bandiera per affermare dei principi contrari alla vita cristiana? Poteva permettere che il commiato cristiano si trasformasse – e il rischio cera – in una manifestazione ‘pro eutanasia?".
Il Cittadino (Genova, 14/1), La Cittadella (Mantova, 5/1) "Piergiorgio Welby: le ragioni di un ‘diniego", Marco Doldi: "Le stesse immagini del malato, quotidianamente trasmesse, i racconti delle ultime ore con i risvolti più intimi e personali, le dichiarazioni dei parlamentari che appoggiavano leutanasia, larrivo del medico specialista, apparso come il liberatore… tutto sembrava assolutamente normale. Eppure, sotto i riflettori cera un uomo, sconosciuto fino a poco tempo prima e fortemente provato, al punto da chiedere insistentemente la morte. Lassurdo reality si è interrotto non tanto con la morte, quanto piuttosto con il rifiuto del Vicariato di Roma di celebrare le esequie religiose, perché il defunto aveva costantemente mostrato la volontà di uccidersi e questo in contrasto con la dottrina cattolica. La decisione non ha mancato di suscitare scalpore, giungendo ad accusare la Chiesa di insensibilità umana, ed anche comprensibile amarezza tra molti credenti e non. Sicuramente, non è stata voluta per umiliare ulteriormente questuomo e la sua famiglia. Invece, è stata presa per scardinare, finalmente, lassurda ovvietà della vicenda, facendo capire che questa ed altre simili storie con esito eutanasico non potranno mai essere considerati come un fatto normale, come un segno dei tempi che cambiano. La Chiesa non ha condannato un uomo; ha voluto opporsi fino in fondo alla logica e alla politica della morte. Il Catechismo della Chiesa insegna che leutanasia è un atto omicida, che nessuna circostanza o fine possono giustificare".
Vita trentina (Trento, 7/1), "Il tormento del ‘caso Welby", senza firma: "Quel no (...) è stato anche espressione della paura che le esequie diventassero semplicemente un altro altoparlante delle posizioni radicali a favore delleutanasia. È comprensibile il tormento di chi vive questa decisione come una chiusura da parte della Chiesa, quasi volesse essere il metro della misericordia divina. Ma è altrettanto necessario distinguere ed avanzare più di qualche dubbio nei confronti di quegli anticlericali dichiarati e convinti che hanno chiesto funerali pubblici religiosi".
La voce del popolo (Brescia, 5/1), ToscanaOggi (Firenze, 5/1), "Il caso Welby e i media. Dalla notizia allopinione", Adriano Fabris: "Cè da dire anzitutto una cosa: che con la sua uscita pubblica – la lettera indirizzata al capo dello Stato – Welby ha deciso di entrare nel circuito mediatico. Ciò vuol dire che ha accettato che la sua sofferenza venisse resa pubblica e fosse, per dire così, esibita. (…) Così Welby si ritrova prigioniero non solo della sua malattia, ma dellimmagine che di essa hanno costruito i giornali. Egli finisce per venire strumentalizzato non solo dalla parte politica alla quale si appoggia, ma dai mezzi di comunicazione a cui si è rivolto. (…) Se infine analizziamo gli interventi pubblicati soprattutto dai giornali in questultimo periodo, troviamo (…) uno scivolamento dalla notizia allopinione, dallopinione alla tesi ideologica, dalla tesi ideologica alla tentazione di mettere in opera unazione dimostrativa. Il tutto allinterno di una grande confusione terminologica e concettuale".
Il popolo (Pordenone, 7/1), "Welby: giusto vietare i funerali religiosi?", don Fabio Pighin: "(...) Si è voluto trasformare una vicenda dolorosa sul piano ‘personale che, se fosse rimasta tale avrebbe fruito in ogni caso della liturgia esequiale, in uninquietante bandiera ‘pubblica nella campagna a favore delleutanasia, pretendendo di piegare a tale macchinazione anche le esequie religiose. La non concessione dei funerali per Piergiorgio è stata una decisione sofferta e insieme obbligata che, mentre non toglie a lui la preghiera della Chiesa e ai suoi famigliari la partecipazione spirituale al dolore, impone di fare chiarezza contro le forzature di chi vuole trascinare i malati nella spirale della morte, anziché offrire loro laiuto, il sollievo e la solidarietà di cui hanno bisogno".
La vita del popolo (Treviso, 7/1), "La Chiesa e i funerali. La scelta ‘contestata del caso Welby", don Giuliano Brugnotto: "È necessario precisare fin da subito che non vanno confuse la ‘misericordia di Dio con la celebrazione dei funerali cristiani. Tanta gente ha valutato la negazione del funerale come negazione della misericordia di Dio verso la persona che è morta. Noi speriamo che Welby sia stato abbracciato dalla misericordia di Dio. Per questo, come ci ha informato la televisione, il parroco e i fedeli della comunità parrocchiale di Welby hanno pregato e celebrato sante messe in suffragio per lui. Noi non possiamo dire nulla del misterioso e segreto incontro tra Dio e Welby nel giorno della sua morte perché su questo non è possibile fare alcuna indagine. (...) La risonanza mediatica della decisione di Welby ha ulteriormente aggravato la situazione. Infatti avrebbe creato pubblico scandalo presso i fedeli concedere le esequie cristiane ad una persona che propugnava come legittima e favorita dallo Stato una scelta che il Magistero universale della Chiesa chiama "grave violazione della Legge di Dio" (Giovanni Paolo II, Evangelium vitae n. 65) (...). Sotto questo profilo, la decisione del Vicariato si è fatta carico delle implicazioni pastorali che il funerale avrebbe avuto per lintera comunità ecclesiale".
"UNA SCELTA CHE LASCIA PERPLESSI". SUL CASO WELBY, UN SETTIMANALE DIOCESANO ROMPE IL FRONTE ECCLESIASTICO
33708. PADOVA-ADISTA. Cè chi, allinterno della stampa cattolica, ha deciso di non relegare i malumori e il dissenso di tanti credenti sul caso dei funerali negati a Piergiorgio Welby nella rubrica delle lettere, evitando magari – come hanno fatto diverse testate – di rispondere ai tanti imbarazzanti quesiti posti dai lettori: "La Difesa del popolo", il settimanale della diocesi di Padova, la questione ha deciso di affrontarla "di petto". Sul numero del 7 gennaio, il giornale esprime infatti con chiarezza la propria opinione affermando, in un articolo firmato T. M., che, al di là della strumentalizzazione politica, la decisione della diocesi di Roma "lascia comunque perplessi" e che "la celebrazione in Chiesa poteva donare speranza e indicare una strada di comprensione al mistero di quel dolore che non lascia scampo alla vita". Poi, il giornale dà spazio alle opinioni a due esponenti della Chiesa locale, che sulloperato della Chiesa cattolica esprimono valutazioni opposte. Piuttosto prevedibili le argomentazioni di Urbano Camillotti del Movimento per la vita, che parla di "inquietante speculazione orchestrata negli ultimi mesi dal partito Radicale", sfugge alla questione della celebrazione del funerale in chiesa e concentra il suo intervento sulla questione delleutanasia, per ribadire che "la richiesta di Welby avrebbe potuto essere giustificata solo nel caso esistesse un diritto a morire", che – appunto – secondo Camillotti non esiste, perché la "vita è sempre un dono" di cui lindividuo non può disporre a piacimento e che quindi "infliggere la morte a un uomo prima della scadenza naturale va contro la sua natura". Parole decisamente diverse, nel tono e nel contenuto, quelle di Armando Gennaro, vicepresidente del consiglio pastorale diocesano, che giudica la scelta di negare i funerali religiosi a Welby "un grande tradimento" da parte della Chiesa, una decisione che lascia "sconcertati ed increduli". Espressioni tuttaltro che diplomatiche da parte di un autorevole rappresentante della Chiesa locale. Ma Gennaro prosegue il suo affondo: "Non so chi abbia deciso di vietare la celebrazione in chiesa, ma chiunque sia stato ha tradito brutalmente ciò che lo Spirito santo ha effuso nel convegno di Verona. Dal convegno ecclesiale, infatti, è venuta la chiara indicazione che ‘il volto della Chiesa da proporre alluomo doggi è quello di una Chiesa madre oltre che maestra, capace di curare le ferite dei figli più deboli, dei diversamente abili, delle famiglie disgregate, di camminare a fianco di ogni persona prendendosi cura con tenerezza di ogni fragilità e capace al tempo stesso di orientare su vie sicure i passi delluomo". "E lo stesso concetto è stato affermato anche nellambito della fragilità, sottolineando ‘il bisogno che la Chiesa sia ciò che deve essere, ossia maestra dumanità autentica e piena". E così, scrive Gennaro, "la Chiesa ha perso una grande occasione per essere madre, in modo da poter essere ‘anche maestra, e lha persa perché per qualche uomo di Chiesa, prima che madre e maestra, la si vuole giudice, detentrice della conoscenza del bene e del male. Purtroppo questa è una tentazione sempre forte, quando si perde la cognizione che Dio è misericordia". E poi, insiste Gennaro: non è la Chiesa che "insegna che bisogna distinguere tra peccato e peccatore", a cercare anche solo una pecorella che si smarrisce dal gregge, a non giudicare per non essere giudicati? "Penso a quanto sarebbe stata efficace una liturgia funebre celebrata da un pastore sensibile che, con comprensione per la fragilità di Welby, avrebbe potuto spiegare la sacralità della vita, testimoniare la misericordia di Dio". Sarebbe stata "unoccasione di grande impatto comunicativo, oltre che pastorale. E invece si è voluto offrire un motivo in più perché lanticlericalismo appaia giustificato e si trasformi in anticattolicesimo. Si è voluto dare peso allaspetto simbolico e massmediatico del funerale, anziché al valore religioso". "Per uno che, come me, ha vissuto con gioia lesperienza di Verona, nellimpegno per una Chiesa testimone di Gesù risorto, speranza del mondo, questo evento, che la Chiesa ha abbandonato alla disperazione, lascia una profonda tristezza e appare un grande tradimento". (valerio gigante)
IL ‘POPOLO DELLE PARROCCHIE NON SI AZZITTISCE. SU "AVVENIRE", NUOVE LETTERE DI PROTESTA SUL CASO WELBY
33709. ROMA-ADISTA. Non accenna a placarsi (v. notizie precedenti) il clamore per la decisione del Vicariato di Roma di non concedere il funerale religioso al "Dott. Piergiorgio Welby", come recita lo scarno comunicato emesso da Palazzo del Laterano il 22 dicembre. Tanto forti sono stati lo sgomento e la protesta che il quotidiano dei vescovi, Avvenire, si è visto costretto a dedicare il 10/1 unintera pagina – dopo quella sullo stesso argomento pubblicata il 27/12 – alle lettere indignate di lettori e lettrici. Il dibattito sulla morte e sui funerali negati a Piergiorgio Welby è infatti continuato soprattutto allinterno del mondo cattolico (v. Adista n. 4/07), come ammette lo stesso direttore del giornale della Cei, Dino Boffo: "Un fatto mi ha molto colpito: a prolungare il dibattito su alcuni giornali sono stati soprattutto i cattolici". "Tra i cattolici, moltissimi", aggiunge Boffo, "hanno compreso e condiviso la decisione; per costoro, la Chiesa non poteva evidentemente comportarsi in maniera diversa. Altri invece non hanno condiviso e lhanno detto, talvolta con toni accesi se non addirittura aggressivi". Singolare, però, come la strana statistica di Boffo contrasti con la rassegna presentata dal suo stesso giornale, nella totalità dei casi – tranne uno – contraria, seppure con diverse sfumature, alla scelta del Vicariato. E quanto sia profondo e diffuso il disaccordo e lo smarrimento del popolo delle parrocchie lo testimoniano proprio quelle lettere che arrivano nella casella postale di Avvenire (oltre che nella nostra, v. Adista n. 3/07): "temo avrà conseguenze negative anche tra i fedeli più convinti", scrive un lettore, aggiungendo che "alluscita della Messa di Natale i commenti dei presenti erano unanimi". Quasi tutti premettono di essere "cristiani", "cattolici appassionati", "praticanti", parte di "quella minoranza di laici che ha condiviso con la Chiesa anche le posizioni più impopolari e controverse al centro della discussione negli ultimi anni". Per alcuni, di fronte a Welby la Chiesa è stata "farisea", attenta alla lettera e non allo Spirito del messaggio cristiano e della propria missione tra gli uomini: "Gesù non ha mai fatto dei casi umani – scrive Raffaella Di Matteo – occasione per insegnamenti morali ma, sempre, provocato con malizia da farisei e scribi, si è piegato sulluomo anche se ciò significava contravvenire alle Legge e alla ‘morale". Tanto duro il colpo che la Chiesa ha dato a se stessa dando "scandalo" ai tanti "piccoli" confusi dalla sua scelta, che arriva persino a sospettare – tra le righe – lo zampino del demonio nella trappola tesa dai radicali. Cè chi torna a scrivere non pienamente convinto dalla risposta già ricevuta da Boffo: "Permangono alcune perplessità", scrive Rolando Sadocchi, ad esempio per chi ha giustificato il rifiuto con motivi di opportunità mediatica, temendo il risalto che i funerali in chiesa di Welby avrebbero avuto. In un funerale "conta molto più la valenza rituale, la benedizione di un corpo che è sempre figlio di Dio anche se ha dimostrato di voler cessare la propria vita che è sacra… Se è vero che Welby ha richiesto di porre fine alla propria esistenza, non è forse vero che il perdono, la comprensione e la misericordia devono venire da chi conosce lAmore vero?". E poi, sulla labile distinzione tra sospensione delle cure, accanimento terapeutico e eutanasia passiva: "Come è possibile che la Chiesa non abbia nulla in contrario che si possa rifiutare una cura estrema e non conceda poi di sospenderla quando i risultati siano inefficaci, dolorosi e senza speranza?". "Nel dubbio", conclude, "credo sarebbe stato meglio fare il funerale, magari in forma privatissima". Il più duro è un sacerdote, don Sebastiano Giachino da Torino: "A Pinochet, dittatore sanguinario e torturatore, solenni funerali in chiesa. A mafiosi, criminali, violenti e stupratori Santa messa in chiesa adorna di fiori e con note di organo. Al povero figlio di Agnelli, morto suicida, esequie nella parrocchia di Villar Perosa. A Welby, no... Un giorno potremmo ricevere il rimprovero di Gesù ai farisei: guai anche a voi, dottori della legge, che caricate gli uomini di pesi insopportabili, e quei pesi non li toccate nemmeno con un dito!". Ad Avvenire scrivono anche "giovani cattolici democratici toscani iscritti alla Margherita", che provano "totale ripugnanza" per la "strumentalizzazione mediatica" orchestrata dai radicali sul caso Welby ma allo stesso tempo credono che "in certe circostanze essa (la dottrina, ndr) possa essere superata, per lasciare posto allaccoglienza, alla fratellanza, allincontro con tutti i fratelli, alla carità cristiana, nel più autentico spirito evangelico, anche e soprattutto verso coloro che si pongono al di fuori dei suoi dettami". Uno dei lettori punta anche il dito proprio contro Avvenire, colpevole, a suo parere, di aver "sostanzialmente nascosto il dibattito sviluppatosi allinterno del mondo cattolico" sul caso di Welby. Deluso, il lettore, per il silenzio che dal 27/12 il giornale della Cei ha fatto calare su una vicenda che "comunque non riguardava nessuna verità di fede ma era solo una questione decisamente pastorale dalla quale era quantomeno lecito dissentire". "Ho motivo di credere", aggiunge, "che vi siano arrivate numerose lettere che esprimevano contrarietà alla mancata concessione delle esequie". Lindignato lettore deve aver visto giusto, tanto che Avvenire è stato costretto a dedicare unaltra pagina allargomento. Lo ha fatto, però, senza nascondere un certo fastidio: rispondendo ai suoi lettori, Boffo nota come "non poche lettere sembrano ignorare il ragionamento condotto sul giornale del 27 dicembre". "Chi lo desidera può recuperare - sul Web è disponibile - quelledizione di Avvenire e riprendere soprattutto gli interventi di alcuni autorevoli teologi ospitati a pagina 3" e tanto dovrebbe bastare per mettere a tacere quei lettori che hanno "incautamente trasformato in vessillo della pietà" la vicenda di Welby. Malgrado la promessa, Boffo torna poi a difendere le ragioni del Vicariato, con toni sempre più aspri e sprezzanti: "Ogni morte umana ha diritto alla compiacenza e allatteggiamento favorevole da parte della Chiesa, anche quella di un farabutto o di uno stragista, anche quella del peggior tiranno: magari nellestremo punto di morte, ma quellindividuo potrebbe essersi pentito. Da notare che per venire incontro al massimo alle situazioni, e non ferire le sensibilità, la Chiesa negli ultimi decenni sè sforzata di interpretare in maniera più indulgente persino le circostanze del suicidio. Mette nel conto infatti che una persona possa compiere il gesto estremo ed irreparabile in un momento di lucidità alterata, e in forza di questo la Chiesa osa rivolgersi alla misericordia di Dio. E celebra il funerale". Parole che hanno suscitato lindignazione di Mina Welby, moglie di Piergiorgio: "Mio marito peggio di Pinochet? Non posso crederci", ha dichiarato al Corriere. (alessandro speciale)
LA MORTE CONDIVISA: SULLULTIMO NUMERO DI MICROMEGA QUATTRO PRETI DIFENDONO LEUTANASIA
33710. ROMA-ADISTA. Sulla scia del dibattito che ha diviso profondamente lo stesso mondo cattolico al suo interno (v. notizie precedenti), il nuovo numero di MicroMega (1/07) – in edicola dal 12 gennaio – contiene unampia sezione dedicata alleutanasia. Al suo interno gli interventi di quattro preti: don Andrea Gallo, don Paolo Farinella, don Aldo Antonelli e Giovanni Franzoni. Voci critiche e controcorrente per una "Chiesa laica, consapevole che non si può imporre ad altri la propria fede", ma anche consapevole che "la ‘vita se è tortura, non va vissuta a qualunque costo". Franzoni si era già cimentato con tali tematiche nel suo libro "La morte condivisa" (editrice Edup, 2002, p. 122, euro 8). Nel suo articolo su MicroMega lex abate di San Paolo pone innanzitutto laccento sullambiguità del concetto di accanimento terapeutico, dietro a cui si nascondono "coloro che si attengono alla linea della Chiesa cattolica ufficiale". Il problema fondamentale è "se il soggetto in causa consideri o no, quel trattamento, come accanimento terapeutico". Ma cè unaltra ‘fuga semantica che è necessario affrontare a partire dalla distinzione tra la morte e il "morire". Il morire – a differenza della morte che "è condizione statica e irreversibile" – "si intesse fin dalla nascita col nostro crescere e col nostro stesso vivere". La deontologia medica oppone alla pratica delleutanasia unopposizione etica: "il medico cura la vita e non può dare la morte". Perché allora, domanda Franzoni, "non proporre ai medici la cura del morire, presentando il morire come una fase inevitabile e delicata del vivere?". Un altro punto problematico è quello sulla "sofferenza" – fisica o psicologica – che rende "non vita" la vita. Secondo Franzoni a tale concetto va affiancato quello del "non riconoscersi più, sul piano etico ed esistenziale, in una certa condizione. Un caso classico è quello citato da SantAgostino delle vergini cristiane (ma perché, oggi, non considerare anche le non vergini e le non cristiane?) che per evitare lesposizione al postribolo si gettarono nel fuoco e furono considerate sante e martiri". Infine è necessario chiarire il concetto su cui si fondano le posizioni di critica alleutanasia da un punto di vista cristiano: il concetto di "dono", ovvero la concezione della vita come quella di un dono del quale non possiamo disporre. La vita ha però come "dna specifico di essere libera". E allora, sostiene Franzoni, "che il donatore sia il Creatore o che sia il popolo o i genitori da cui nasci, essi ti donano la libertà e si attendono solo che tu la eserciti con responsabilità e non con stoltezza e leggerezza. La maturità della coscienza resta larbitro di questa suprema ed esaltante sfida".
Martedì, 16 gennaio 2007
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