Hong Hanh sta cadendo a pezzi. È sorprendente e terrificante al tempo stesso: una diciannovenne nel corpo di una bimba di dieci anni. Si sposta goffamente su gambe simili a quelle di un ragno, grondando costantemente sudore. Ogni tanto unguenti lenitivi e iodio le vengono cosparsi sulla schiena, un collage lunare di vesciche e croste. «Mia figlia sta morendo», dice sua madre. «La sorella, di 11 anni, ha gli stessi sintomi. Che cosa dovremmo fare? Le dita, di mani e piedi, si fondono insieme prima di staccarsi. Le mani si consumano fino a diventare moncherini. Ogni giorno perdono altra pelle. Non è lebbra. I dottori dicono che la malattia è legata alle armi chimiche a cui siamo stati esposti durante la guerra contro gli americani». Casi come questo, in Vietnam, ce ne sono intorno ai 630 mila: persone che soffrono di una gamma spesso sconcertante di malattie croniche. Altri 500 mila sono già morti. La causa? I defolianti usati dai militari Usa durante il conflitto. Alcune vittime sono veterani, irrorati dagli agenti chimici durante la guerra; altri sono contadini che vivevano della terra contaminata. La seconda generazione sono i loro figli. Ora c’è una terza generazione, i nipoti. Una catena ferocemente negata dal governo Usa, i cui scienziati asseriscono che i milioni di litri di defolianti come l’Agente Arancio, sganciati sul Vietnam, fossero innocui per gli uomini e poco contaminanti per l’ambiente. Gli strateghi del Pentagono sostengono che l’Agente Arancio era un prototipo di arma intelligente, un diserbante tattico e benigno: avrebbe salvato migliaia di vite di soldati, negando all’esercito nordvietnamita la copertura della giungla che gli permetteva di colpire senza pietà e poi ripiegare. Nuove ricerche, tuttavia, confermano ciò che i vietnamiti vanno dicendo da anni. Accusano gli Usa di avere usato armi di distruzione di massa, ostacolato gli sforzi indipendenti di verificarne l’impatto, rifiutato di riconoscere dati evidenti di gravissimi danni alle persone. Squadre di scienziati internazionali al lavoro in Vietnam hanno ora scoperto che l’Agente Arancio contiene uno dei veleni più potenti tra quelli conosciuti, una varietà di diossina chiamata Tccd. A 28 anni dalla fine dei combattimenti, rimane nel terreno, e continua a uccidere. Il governo americano era pienamente cosciente del potere distruttivo della diossina contaminante nell’Agente Arancio; tuttavia ha continuato a usare il diserbante in Vietnam per i dieci anni di guerra, in concentrazioni superiori fino a 25 volte alle direttive ufficiali. Appena 80 grammi di Tccd, se disciolti niella falda di New York, ne ucciderebbero l’intera popolazione. Ricerche recenti – effettuate da Arthur H. Westing, ex direttore del Programma ambientale dell’Onu, un’autorità in materia - mostrano che sul Nord Vietnam ne sono stati spruzzati 170 chili. Già nel 1961 Kennedy esaminò i vari “aggeggi e dispositivi” che potessero dare un vantaggio al Vietnam dei Sud nella guerra nella giungla; nel novembre dello stesso anno consentì l’uso di defolianti in una operazione segreta dal nome in codice Ranch Hand. Ogni missione veniva firmata dal presidente in persona. Ngo Luc, 67 anni, era con una pattuglia di guerriglieri nordvietnamiti nelle Central Highlands quando vide alcuni aerei volteggiare sopra la sua testa. «Ci aspettavamo le bombe; invece cadde una leggera nebbiolina gialla. Ne eravamo completamente inzuppati, ma la cosa non ci preoccupava, la sostanza aveva addirittura un odore piacevole. Continuammo a strisciare nella giungla. Il giorno dopo le foglie appassirono; dopo una settimana la giungla era brulla. Ma noi ci sentivamo in perfetta forma. Allora». Oggi l’ex capitano è l’unico sopravvissuto della sua Unità. Vive con le due nipoti, entrambe parzialmente paralizzate, vicino al centro della città vietnamita di Hue. Gli Stati Uniti prendevano di mira la pista Ho Chi Minh - una linea di rifornimento dei Vietcong resa invisibile dalla giungla, lungo i confini con il Laos - oltre alla fitta foresta della zona demilitarizzata che separava il Nord dal Sud e al Delta del Mekong, un labirinto di paludi e insenature coperto da vegetazione, che rappresentava un rifugio sicuro per i ribelli comunisti. Otto anni dopo il lancio di Ranch Hand, scienziati dell’Istituto nazionale per la salute avvertirono che topi di laboratorio esposti all’Agente Arancio stavano dando alla luce cucciolate morte o deformi; ricerche del dipartimento americano dell’Agricoltura lo confermarono. Nel dicembre del 1969, Nixon fece una promessa radicale e controversa: l’America non avrebbe mai utilizzato armi chimiche in un primo attacco. Non fece alcun riferimento al Vietnam né all’Agente Arancio, e il governo Usa continuò a spedire approvvigionamenti di diserbanti al regime sudvietnamita fino al 1974. In quell’anno nacque Kiem, in una capanna a Kim Doi, villaggio poco distante da Hue. Racconta la madre: «L’ultima volta che mio marito venne a casa mi raccontò dello spray, di come la sua unità era stata avvolta da una nebbiolina dall’odore gradevole, e di come tutte le foglie erano cadute dagli alberi». Quando Kiem venne alla luce, fu subito evidente che era severamente handicappata, mentalmente e fisicamente. «Può mangiare, sorridere, stare seduta. Tutto qui». Alla fine delle guerra, nel 1975, più del 10% del territorio vietnamita era stato sottoposto a dosi intensive di irrorazione- con oltre 72 milioni di litri di agenti chimici. II 68% era costituito dall’Agente Arancio, corretto con Tccd. Ma perfino queste cifre, contenute in rapporti militari Usa da poco di dominio pubblico, sono ampiamente sottostimate rispetto alla realtà. Ex piloti dell’operazione Ranch Hand hanno affermato che, oltre alle missioni registrate, ve ne furono 26 mila abortite, durante le quali 260 mila galloni di diserbante furono scaricati. I regolamenti militari Usa stabilivano che tutti gli aerei e gli elicotteri adibiti all’irrorazione dovessero tornare alla base vuoti; un pilota afferma di aver regolarmente sganciato il suo carico di diserbante nel bacino idrico di Long Binh. Subito dopo la fine della guerra, anche i veterani americani cominciarono a riferire di malattie della pelle, asma, tumori, disturbi intestinali. I loro bambini nascevano senza arti. o con sindrome di Down e spina bifida. Ma passarono altri tre anni prima che il Dipartimento americano per i diritti dei veterani acconsentisse a finanziare una ricerca medica, esaminando 200 mila reduci (una minima parti dei malati). Cominciarono a circolare voci secondo cui il presidente Reagan aveva avvisato gli scienziati di non fare «correlazioni tra l’Agente Arancio e l’acuirsi delle condizioni mediche degli ex combattenti». A quel punto le vittime persero la pazienza, e fecero causa ai produttori di diserbanti ottenendo, nel 1984, un elevato indennizzo. All’Ufficio per le consulenze genetiche e i bambini handicappati (Ogcdc) del Collegio Medico di Hue, il dottor Viet Nhan e i suoi 21 volontari condividono gli spazi angusti con apparecchiature per la derivazione del midollo cerebrale spinale donati da Norfolk, Virginia; vestiti per bambini dati dal Rotary Club di Osaka, Giappone; computer di seconda mano riciclati da banche a Singapore. Il caotico e sottofinanziato sistema sanitario del Vietnam non può far fronte alla richiesta di assistenza. La Croce Rossa locale ha stimato che circa un milione di individui sono stati resi disabili dall’Agente Arancio, ma ha fondi per aiutarne solo un quinto. I muri della stanza di Nhan sono ricoperti di foto sconvolgenti di ex pazienti: operazioni per ernie e palati leporini, chirurgia a cuore aperto e trapianti di reni. Tutti i malati vengono da distretti isolati nel centro del Vietnam. «Non mi interessa addossare colpe», dice il dottore. «Ho 60 bambini malati che hanno bisogno di finanziatori. Loro non possono aspettare che gli Stati Uniti cambino politica, e si decidano a risolvere questo disastro». Ci accompagna in un reparto intensivo per incontrare Nguyen Van Tan, 9 anni, che due settimane prima della nostra visita è stato sottoposto a chirurgia a cuore aperto per rettificare un problema congenito. Suo padre dice di essere stato irrorato con diserbanti quando combatteva con i Vietcong. La zona dove abitano è stata ripetutamente irrigata durante la guerra. Praticamente tutti i suoi ex commilitoni hanno figli disabili, spiega l’uomo. Nhan ci accompagna fuori. «Non voglio ancora dirlo alla famiglia, ma Nguyen non potrà mai recuperare completamente. È afflitto da una paralisi totale. Tutto quello che possiamo fare è mandarli a casa con un po’ di soldi». Tornati nel suo minuscolo ufficio, il dottore ci indica le fotocopie delle mappe dell’aviazione Usa, che mostrano il numero di missioni diserbanti effettuate sopra Quang Tri, una provincia prossima alla zona demilitarizzata, dalla quale proviene la maggior parte dei pazienti. Qui sono stati sganciati ben 741.143 galloni di agenti chimici, più di 600 mila galloni contenevano l’Agente Arancio. Il Governo vietnamita è restio a farci visitare la provincia di Quang Tri. Riusciamo però a organizzare un incontro ad Hanoi con Nguyen Thi Binh, fino all’anno scorso vicepresidente del Vietnam e veterana. Quale ministro per gli Affari esteri per il governo provvisorio rivoluzionario del Sud Vietnam, è stata tra i negoziatori alle trattative di pace di Parigi, nel 1978. Ricorda come, al suo ritorno a casa - nella provincia di Quang Nam, una regione molto fertile a sud-ovest di Hue che era stata impregnata di diserbanti - non aveva trovato «tracce di vita, solo rovine ed erba». Racconta: «Bisognava fare figli, per ripopolare il Paese devastato. Quando nacquero i primi bambini malati, i genitori ci riprovarono. Perciò tante famiglie, adesso, hanno quattro o cinque figli disabili, che crescono senza alcuna speranza». Cosa dovrebbe fare l’America? Binh ride. «È molto tardi per fare qualcosa. Se i nostri rapporti dovessero mai normalizzarsi, gli Stati Uniti dovrebbero accettare le loro responsabilità». A marzo hanno dato un piccolo segnale in questo senso firmando un accordo con il governo vietnamita: 850 mila dollari per «colmare i vuoti di informazione» sull’Agente Arancio. Binh ci rispedisce a Hue, dove parliamo con un segretario di partito alquanto sospettoso, che ci chiede perché ci occupiamo della faccenda dopo tanti anni. Ma nonostante tutto ci apre i suoi archivi e legge: «Nella città di Hue ci sono 6.633 famiglie colpite dall’Agente Arancio, tra questi 3.708 sono giovanissimi, sotto i 16 anni». Acconsente infine di accompagnarci a nord-ovest, oltre il fiume Perfume, verso la zona demilitarizzata. Qui tutti gli adulti soffrono di lesioni cutanee e gozzi, che si aggrappano al collo come palloncini sgonfiati. Le donne hanno aborti spontanei o danno alla luce esseri asessuati. In un’aia, Nguyen, macrocefalo, ha una testa grossa come un melone. Due case più giù, Tan ha occhi distesi che gli eruttano dal viso. Accanto al fiume, Ngoe sta dormendo: è talmente esangue che assomiglia a un fiore calpestato. «Mi hanno detto che il bambino è depresso», dice il padre. «Certo che è depresso. Vive con la malattia e la morte». Qui abitano tre generazioni di persone afflitte dall’Agente Arancio: i veterani irrorati durante la guerra e i loro successori, che hanno ereditato la contaminazione o che tuttora coltivano la terra. Gli scienziati locali stanno ora tentando di capire se ci sarà una quarta generazione. A questo proposito alcuni scienziati canadesi, gli Hatfield Consultants, hanno fatto una nuova, allarmante scoperta: nella valle dell’Aluoi, poco distante dalla pista Ho Chi Minh, la diossina è rimasta nel terreno con concentrazioni cento volte superiori ai livelli di guardia stabiliti per i terreni agricoli in Canada. Si è propagata fino agli stagni, ai fiumi e ai canali irrigui dell’Aluoi, da dove si è poi infiltrata nella catena alimentare. La gente del luogo ha ingerito la tossina invisibile, passa dalla madre al bambino attraverso la placenta e il latte. In questa minuscola regione, più di 15 mila piccoli e adulti soffrono della solita gamma di malattie croniche. Ci potrebbero essere fino a 50 di queste “zone calde”, inclusa una presso l’ex base aerea di Bien Hoa. Qui le forze Usa avrebbero versato 7.500 galloni di Agente Arancio il 1 marzo del 1970. Arnold Schecter, un americano esperto in contaminazione da diossina, ha rilevato che il suolo contiene livelli di Tccd 150 milioni di volte superiori al livello di sicurezza fissato dall’Agenzia per la protezione ambientale Usa. E’ estremamente difficile decontaminare gli uomini o il terreno. L’Oms avverte: «Una volta che il Tccd è entrato nel corpo, vi rimane». Ad Aluoi, i ricercatori hanno suggerito l’immediata evacuazione dei villaggi più colpiti. L’Oms ha inoltre consigliato di bruciare il terreno, o di coprirlo di cemento prima di trattarlo chimicamente. Gli Stati Uniti fanno tesoro di questi insegnamenti. Quando si scoprì che scorte di Agente Arancio erano state stoccate presso la base aeronautica di Robins, la discarica venne inserita in un “Elenco di priorità nazionale”, e immediatamente ricoperta da due metri di argilla e sabbia: Da allora è stata oggetto di sette investigazioni. L’Agenzia per la protezione ambientale americana ha recentemente ammesso che si tratta di un «cancerogeno di prima classe». La guerra chimica di trent’anni fa riempie oggi una stanza silenziosa dell’ospedale Tu Du, a Ho Chi Minh City. Gli scaffali sono pieni di materiali di ricerca. In centinaia di campane di vetro e bottiglie sottovuoto, feti umani galleggiano nella formaldeide. Alcuni sembrano addormentati, le dita che attorcigliano i capelli, i pollici pressati contro la bocca; altri hanno teste multiple e arti maciullati. Fortunatamente, nessuno di questi neonati avvelenati dalla diossina si è mai svegliato. Al piano di sotto, invece, non c’è mai quiete. Qui stanno i sopravvissuti alla miseria della loro nascita, lattanti devastati, piccoli traumatizzati dalle malformazioni. Nessuno di loro ha la capacità di comprendere. Sono bambini inferociti, urlano contro il proprio destino. Devono essere legati ai letti, per evitare che si facciano altro male.
Martedì, 06 maggio 2003
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