Uno dei più gravi disastri psichici seguiti allintroduzione del concetto di «anima» è stata la netta separazione tra mondo umano e mondo non umano, dove, in questultimo, siamo soliti collocare cose, piante, animali e non di rado persino i nostri simili. Come se la vita umana si svolgesse in un vuoto, come se la razza umana fosse sola nelluniverso a perseguire destini individuali e collettivi in unomogenea cornice di non essere, su uno sfondo privo di forma, di colore e di sostanza. La stessa psicologia, «scienza dellanima», si è dedicata allo studio delle dinamiche interiori e delle dinamiche interpersonali senza prestare grande attenzione allambiente non umano, dove si raccolgono gran parte delle nostre proiezioni psichiche. A colmare questa lacuna fu nel 1960 lo psichiatra americano Harold F. Searles che scrisse un libro Lambiente non umano nello sviluppo normale e nella schizofrenia, oggi disponibile per il pubblico italiano nella Biblioteca Einaudi (pagg. 386, euro 25,00), la cui lettura consiglio non solo agli addetti ai lavori (psicologici), ma a genitori e a educatori, per non parlare dei politici che detengono il potere decisionale, e spesso neppure sospettano limportanza che lambiente non umano ha per lo sviluppo e lequilibrio di ciascuno di noi. Se resta qualche dubbio è forse utile andarsi a rileggere quel che il buon Freud, che oggi tutti si affannano a superare, scriveva in proposito nel 1916: «Luomo, nel corso della sua evoluzione civile, si eresse a signore delle altre creature del mondo animale. Non contento di un tale predominio, cominciò a porre un abisso fra il loro e il proprio essere. Disconobbe ad esse la ragione e si attribuì unanima immortale, appellandosi a unaltra origine divina che gli consentiva di spezzare i suoi legami col mondo animale. E curioso come questa presunzione sia estranea tanto al bambino piccolo, quanto al selvaggio e alluomo delle origini. Essa è il risultato di un ulteriore sviluppo delle pretese umane». Il primitivo, nello stadio del totemismo, non trovava difficoltà a far derivare la propria stirpe da un progenitore appartenente al regno animale. Il mito, in cui si trovano i residui di questa antica forma di pensiero, fa assumere agli dèi aspetti animali, e larte delle origini rappresenta gli dèi con teste di bestie. Il bambino non coglie alcuna differenza tra lessere proprio e quello degli animali, e non si meraviglia che nelle favole le bestie pensino e parlino; sposta un affetto dangoscia, che si riferisce al padre umano, su un cane o su un cavallo, e ciò senza il proposito di denigrare il padre. Soltanto quando sarà cresciuto si sentirà così estraniato dagli animali da poter usare i loro nomi per ingiuriare gli uomini. Sappiamo che le ricerche di Charles Darwin e dei suoi collaboratori e predecessori hanno posto fine, poco più di mezzo secolo fa, a questa presunzione delluomo. Luomo nulla di più è, e nulla di meglio, dellanimale; proviene egli stesso dalla serie animale ed è imparentato a qualche specie animale di più e a qualche altra di meno. Le sue successive acquisizioni non consentono di cancellare le testimonianze di una parità che è data tanto nella sua struttura corporea,quanto nella sua disposizione psichica». Fin qui Freud. I suoi esempi, che fanno riferimento ai bambini, ai primitivi e ai folli che non distinguono tra mondo umano e mondo non umano con cui spesso si identificano, possono far supporre che lo sviluppo della civiltà consista proprio in questa distinzione che, se ha una sua valenza di verità, comporta però lenorme rischio conseguente al fatto che tutto ciò che noi consideriamo non umano corrisponde a nostre parti interne che trattiamo come non umane. Per cui, ad esempio, non è fuori luogo pensare che le più profonde radici psicologiche del pregiudizio razziale o religioso, di cui la storia di oggi ci fa fare ampia esperienza, allignino nel carattere fragile e ristretto che lindividuo ha della propria umanità, al punto di dover proiettare sui rappresentanti di unaltra razza o di unaltra religione certi suoi tratti che egli concepisce come incompatibili con la sua qualità di essere umano. Tale proiezione gli permette di considerare laltro come un sottouomo e nel contempo di confermarsi nella propria umanità. Per questo i bambini sono fiduciosi (anche se noi li chiamiamo «ingenui») e gli adulti sospettosi (anche se di fronte a se stessi si considerano «avveduti»). I bambini non hanno ancora operato una radicale differenza tra lumano e il non umano, e quindi, a differenza degli adulti, non proiettano le loro parti non umane fuori di sé, sugli altri. Così vivendo, i bambini si esprimono come i poeti, il cui linguaggio, per esprimere le qualità umane, non conosce altre similitudini e altre metafore se non quelle tratte dallambiente non umano, come il cielo, il mare, la luna, il farsi luce del giorno e il suo declino. Lantropomorfismo, tanto deprecato dalla scienza e tanto amato dai poeti e da chiunque di noi cada in condizione damore o di dolore, non conosce la distinzione tra umano e non umano, perché umanizza tutto, accoglie tutto nel regno delluomo, che a questo punto si fa ospitale. Chiunque di noi ha fatto esperienza della proiezione dei propri contenuti psichici sul mondo non umano, quale può essere la casa nativa, la pianta che ogni giorno curiamo, lanimale che con noi condivide la nostra giornata, ma anche la proiezione affettiva sul vestito usato, sulla vecchia automobile, sul vetusto e ingombrante mobile della nonna. Sono elementi costitutivi della nostra identità, figure di radicamento, di autoriconoscimento, come già Rilke nel 1920 faceva notare in una sua lettera: «Per i nostri avi, una casa, una fontana, una torre loro familiare, un abito posseduto erano ancora qualcosa di infinitamente di più che per noi, di infinitamente più intimo; quasi ogni cosa era un recipiente in cui rintracciavano e conservavano lumano. Ora ci incalzano dallAmerica cose nuove e indifferenti, pseudo-cose, aggeggi per vivere. Una casa nel senso americano, una mela americana, o una vite americana non hanno nulla in comune con la casa, il frutto, il grappolo in cui erano riposte le speranze e la ponderazione dei nostri padri». E allora il discorso di Searles sullambiente non umano si allarga dallambito strettamente psicologico a quello più ampio della nostra cultura, la cultura di noi occidentali che, a sentir Heidegger, ha risolto la terra in semplice materia prima, e il suo uso in usura. Questo estraneamento psicologico dallambiente non umano ha trovato il suo motore nella macchina occidentale del consumismo, che non è un vizio da cui ci si può correggere,perché nella nostra cultura il consumo è la condizione della produzione,per cui non solo gli alimentari devono avere una data di scadenza, ma tutte le cose, dal frigorifero alla lavatrice, allautomobile devono essere regolati dal «principio della distruzione». Si tratta di una distruzione (ma se lespressione pare troppo forte usiamo pure la parola «consumo») che non è «la fine» naturale di ogni prodotto, ma «il suo fine». E questo non solo perché altrimenti si interromperebbe la catena produttiva, ma perché il progresso tecnico, sopravanzando le sue produzioni, rende obsoleti i prodotti, la cui fine non segna la conclusione di unesistenza, ma fin dallinizio ne costituisce lo scopo. In questo processo la produzione economica usa i consumatori come suoi alleati per garantire la mortalità dei suoi prodotti, che è poi la garanzia della sua immortalità. Come condizione essenziale della produzione e del progresso tecnico, il consumo, costretto a diventare «consumo forzato», comincia a profilarsi come figura della distruttività, e la distruttività come un imperativo funzionale dellapparato economico. Il «rispetto», che Kant indicava come fondamento della legge morale, non è funzionale al mondo delleconomia che, creando un mondo di cose sostituibili con modelli più avanzati, produce di continuo un mondo da buttar via. E siccome è molto improbabile che unumanità, educata alla più spietata mancanza di rispetto nei confronti delle cose, mantenga questa virtù nei confronti degli uomini, non possiamo non convenire con Günther Anders per il quale: «Lumanità che tratta il mondo come un mondo da buttar via tratta anche se stessa come unumanità da buttar via». Si conferma così il tratto nichilista della nostra cultura economica che eleva il non essere di tutte le cose a condizione della sua esistenza, il loro non permanere a condizione del suo avanzare e progredire. E se le cose del mondo agli occhi di Platone apparivano scadenti perché, a differenza delle idee, erano soggette al tempo e perciò transitorie, agli occhi della nostra economia la transitorietà di tutte le cose, il loro diventare obsolete ed essere superate, il loro non durare è la condizione del loro esistere. Quali sono le conseguenze psicologiche di questo strutturale nichilismo che investe il mondo non umano su cui fin da piccoli si radicano le nostre proiezioni affettive, che costituiscono il nucleo caldo della nostra identità, del nostro radicamento, del nostro riconoscimento? Le conseguenze sono indicate dalle ultime statistiche fornite dallOrganizzazione Mondiale della Sanità, la quale ci informa che un giovane su cinque in Occidente soffre di disturbi mentali, che nel 2020 i disturbi neuropsichiatrici cresceranno in una misura superiore al 50 per cento divenendo una delle cinque principali cause di malattia, di disabilità infantile e di morte, che il suicidio è la terza causa di morte nei giovani tra i 15 e i 24 anni e la quarta tra i 10 e i 14. A questo punto è difficile non essere daccordo con Searles là dove dice: «A mio avviso la crisi ecologica è la più grande minaccia che lumanità abbia mai affrontato collettivamente, più grande persino della minaccia nucleare. La mia ipotesi è che luomo sia frenato, nel far fronte alla crisi ecologica, da una grave e diffusa apatia che si basa su sentimenti e atteggiamenti di cui egli è in larga misura inconsapevole. Proiettiamo su questo mondo, che si sta ecologicamente deteriorando, la violenza più profonda di tutti i nostri potenziali conflitti emozionali interiori, compreso il conflitto tra le componenti umane e quelle non umane della nostra soggettività». Qui occorre una riflessione collettiva, soprattutto dopo il rapporto sulla condizione catastrofica della terra compilato dal Pentagono e apparso in questi giorni, nonostante fosse tenuto secretato dalla Presidenza americana, la stessa che ha rifiutato di apporre la sua firma al trattato diKyoto, dove ci si proponeva di limitare le emissioni dei gas-serra. E allora: meno americanismo nellincremento incondizionato dei consumi e più sensibilità al mondo non umano, il cui degrado non riguarda solo le sorti della terra, ma, a sentire Searles, anche le sorti della nostra anima.
Marted́, 06 aprile 2004
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