Breve vita, lunga fama del poeta Andrea Chénier
di Sebastiano Saglimbeni
![]() Si diceva sopra delle sue opere. Vennero vagliate e tardivamente generarono gusti nella nuova generazione che seguì al tramonto dell’astro napoleonico. Ma il tributo più alto venne reso al poeta, che incominciava ad essere considerato il simbolo della purezza e della libertà, dal librettista piacentino Luigi Illica che compose l’omonima opera Andrea Chénier musicata da Umberto Giordano. Il protagonista, il poeta librettista e il musicista, oscuri sino alla fine del 1800, di colpo, brillarono di un’ aureola di notorietà per le rappresentazioni che seguirono ad iniziare da quella che venne eseguita alla Scala di Milano nel 1896. Una rappresentazione strepitosa che poté, dopo, ripetersi con l’impiego di maestri della lirica, come, per fare qualche esempio, Borgatti e Del Monaco.
L’efficacia poetica di Chènier può emergere da questa sua proposizione che recita: “Intinta nel sangue dei vinti ogni spada è innocente”. O, meglio, risiede nelle opere sopra accennate, nelle altre: Il cieco (L’aveugle), Giambi (Iambes), che sono i versi satirici scritti in carcere, mentre era in attesa della condanna a morte, e nei quali c’è tutto fermato il suo furioso disprezzo nei confronti dei suoi compagni rivoluzionari, dei suoi amici vigliacchi e del carnefice. Ed ancora nei poemetti filosofici rimasti incompiuti Ermete (L’Hermès) e L’America (L’Amérique), che inneggiano ai miti di quel secolo della ragione. Tutta la sua scrittura poetica altro non è che il nobile tentativo di riscoprire il mondo classico del passato, con riguardo a quello ellenico ma con una flessione di abbandono nostalgico ad una chimera di amore e di esistenza pastorale. Come, d’altro canto, in certi puri poeti contemporanei che ripudiano questa èra evolutiva ed involutiva.
Oggi con le abbondanti ricchezze, che da sempre detengono gli uomini infami, mentre persiste l’indigenza e la sofferenza generatrice di tragicità, c’ è chi si attende una rivoluzione, come quella francese e sovietica. Il mio amico scrittore dimenticato, Carlo Bernari, l’autore di Tre operai e di altri lodevoli romanzi, fra questi, uno dal titolo Tanto la rivoluzione non scoppierà, ne aveva, a proposito, parlato durante una mattinata in una sala della Gran Guardia, strapiena dei miei alunni e di quelli dei miei colleghi dell’Istituto Einaudi di Verona.
Venerdì 17 Agosto,2018 Ore: 07:42 |