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www.ildialogo.org L'EPIFANIA: COSA SIGNIFICA DAVVERO ?,di Augusto Cavadi

L'EPIFANIA: COSA SIGNIFICA DAVVERO ?

di Augusto Cavadi

domenica 5 gennaio 2020
Riprendiamo questo articolo, su segnalazione dell'autore che ringraziamo, dal suo blog Augustocavadi.com
(Vi prego di notare l'icona: mentre Giuseppe si prende cura del neonato, Maria può concedersi un po' di lettura...Presepio paritario, oltre gli stereotipi di genere !)
 
4.1.2020
BUONA EPIFANIA. MA COSA SIGNIFICA DAVVERO ?
Una volta ci si augurava “Buona Epifania”, poi – pian pianino – si è passati a “Buona Befana” (un po’ come “Buona Assunzione” è diventato un più allegro e fruibile “Buon Ferragosto”). Slittamento linguistico conseguente alla secolarizzazione galoppante? Forse. Ma certi mutamenti non avvengono senza una concomitanza di motivi.
Una prima concausa – che può apparire più banale di quanto effettivamente sia – è l’ignoranza. La media statistica degli italiani non conosce il significato della parola “Epifania” e la ode – e la ripete – solo nella frase popolare: “Epifania tutte le feste porta via”. Che questo vocabolo greco significhi “manifestazione” (del Signore) è ormai noto a minoranze sempre più esigue.
Più seria una seconda concausa: la maggior parte dei cattolici non crede che le pagine del vangelo di Matteo (2, 1 – 12) dedicate alla “manifestazione” di Gesù ai pastori e ai re Magi riferiscano eventi realmente accaduti. Le omelie più frequenti non si preoccupano di interpretare questo scetticismo e, così facendo, i fedeli si sentono sempre meno a proprio agio nelle liturgie natalizie: perché radunarsi e fare memoria di avvenimenti immaginari, privi di una solida base storica? Non è più divertente fare finta di credere al viaggio di Babbo Natale fra renne, slitte e camini fumanti?
 Diversamente andrebbero le cose se i predicatori – più informati teologicamente e più desiderosi di comunicare ai fedeli le acquisizioni delle scienze bibliche – spiegassero che i vangeli non sono resoconti storiografici, ma proposte di vita. Quando Matteo racconta ciò che leggiamo vuole senz’altro accendere la nostra “fede”: ma in che senso? Non “fede” nel fatto che le vicende prima e dopo il parto di Maria si siano svolte in una determinata maniera piuttosto che in un’altra (egli stesso, scrivendo dopo circa mezzo secolo dagli avvenimenti, non aveva dati esatti); bensì “fede” nella possibilità che la persona e il messaggio di Gesù di Nazareth possano cambiare la vita della gente. Per presentare questo ‘piatto forte’ ogni evangelista si serve del ‘contorno’ che ritiene più adeguato: nel nostro caso del genere letterario “midrashico”. Di che si tratta? Come spiega molto bene Ortensio da Spinetoli, “per i moderni esegeti il midrash non è più sinonimo di favola, leggenda, mito. Più che una libera composizione è una ricostruzione personale dei fatti evangelici alla luce e con l’aiuto della tradizione biblica, canonica o extra-canonica. L’autore racconta la sua storia, si può dire, guardando soprattutto al passato e cercando negli avvenimenti antichi l’illustrazione dei nuovi. Preso da questa preoccupazione, perde di vista i dettagli reali degli avvenimenti che narra sostituendoli con altri tratti dai racconti che ha in mente o sotto gli occhi” (Introduzione ai vangeli dell’infanzia, Il pozzo di Giacobbe, Trapani 2018, pp. 45 – 46).
 Allora al redattore del vangelo secondo Matteo sta a cuore predicare l’essenziale: che Gesù è stato un profeta anomalo, dedito più alle fasce emarginate (i “pastori” venivano considerati, per la loro abituale familiarità con le greggi, dei semi-uomini) e agli stranieri (i “magi” come rappresentazioni letterarie del mondo extra-ebraico interessato a Cristo molto più di tanti ebrei), che alla difesa degli interessi dei ceti sociali dominanti e dei confini identitari del proprio popolo. Avere “fede” significa, dunque, aderire a questa prospettiva sulla vita propria e sulla storia del mondo: il resto è solo il ‘veicolo’ attraverso cui quella proposta di apertura, di fiducia, di accoglienza della diversità, di solidarietà universalistica…viene trasmessa.
 Certo, se i preti spiegassero come stanno davvero le cose, milioni di buoni cattolici uscirebbero silenziosamente dai templi per non metterci più piede. Ma, forse, i posti rimasti vuoti accoglierebbero uomini e donne che – attualmente – si mantengono a debita distanza dal mondo ecclesiale perché preferiscono vivere i valori etici fondamentali anziché sentirsi spacciare come eventi miracolosi delle narrazioni ricollegabili alla “esegesi edificante, omiletica, teologica, folcloristica degli scrittori giudaici” (ivi, p. 46).
Augusto Cavadi
 www.augustocavadi.com
 



Mercoledì 08 Gennaio,2020 Ore: 18:14
 
 
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