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ISSN 2420-997X

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www.ildialogo.org Lo slogan della governabilità,di Elio Rindone

Lo slogan della governabilità

di Elio Rindone

Pubblico, perché mi pare di estremo interesse, una lettera riservata, di cui sono riuscito a entrare fortunosamente in possesso, di un noto uomo politico che dà al figlio, che chiameremo Ermenegildo per ovvie ragioni di privacy, una splendida lezione di realpolitik.
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Caro Ermenegildo,

rispondo con piacere ai quesiti che mi poni intorno alla questione dei sistemi elettorali. Ormai hai capito, e me ne rallegro, che aldilà delle differenti coperture ideologiche il vero obiettivo di ogni forza politica è conquistare il potere e, una volta conquistatolo, mantenerlo il più a lungo possibile. Assodato ciò, mi chiedi se è più funzionale allo scopo il sistema proporzionale o quello maggioritario. Anticipo subito la mia contrarietà al proporzionale ma, per inquadrare adeguatamente la questione, premetterò qualche considerazione per ricordarti brevemente e con inevitabili semplificazioni cose che dovresti avere studiato anche a scuola.
Nei regimi autocratici, come le monarchie assolute del buon tempo antico, il potere si trasmetteva per via ereditaria e il re, se garantiva i privilegi del ceto nobiliare, poteva tranquillamente ignorare gli interessi dei sudditi. Ma la borghesia, quando raggiunge un consistente potere economico, comincia a pretendere di contare anche sul piano politico: i governi, allora, devono rispondere al parlamento, in cui siedono i rappresentanti eletti dai cittadini. Da quali cittadini? Non da tutti ma soltanto dai più abbienti, perché il suffragio è su base censitaria. Ciò che si chiede allo Stato, oltre alla garanzia delle libertà civili, è perciò, sostanzialmente, la difesa della proprietà: è quello che una volta si chiamava 'Stato carabiniere', perché preoccupato anzitutto di mantenere l'ordine pubblico, e che ora si preferisce chiamare 'Stato minimo', perché i suoi compiti erano ovviamente molto limitati.

Ma intanto, con la rivoluzione industriale, nasce una classe operaia che diventa sempre più numerosa e che resta a lungo in condizioni di estrema miseria, ma che, a differenza dei contadini, acquista a poco a poco coscienza della propria forza. Cosa fare: dare anche agli operai il diritto di voto? È evidente che non è possibile: essendo molto più numerosi dei benestanti, prenderebbero il potere! Avremmo allora governi che operano a vantaggio dei poveri e a scapito dei ricchi, perché la stragrande maggioranza del demo, del popolo, è costituita appunto da poveri. Forse sai che già Aristotele chiamava 'oligarchia' il governo dei ricchi e 'democrazia' quello dei poveri: ed è ovvio che la sola ipotesi di una democrazia del genere, che non piaceva per nulla ad Aristotele, a noi fa semplicemente orrore. Così, per evitare un simile esito, i governi borghesi agli inizi sperimentano diverse soluzioni: dalla violenta repressione delle manifestazioni operaie alla messa fuori legge dei partiti socialisti, dalle aperture nei confronti delle forze di sinistra più dialoganti al corteggiamento di un ceto medio che vuole tenere a debita distanza il proletariato, sino alla creazione di partiti moderati di massa. Quindi, man mano che aumenta il numero di quanti avrebbero più da perdere che da guadagnare da un radicale rivolgimento politico, si comincia ad allargare la platea dei cittadini con diritto di voto, fino a comprendere salariati, analfabeti e nullatenenti. Oggi, infatti, abbiamo un sistema politico in cui sono tutti i cittadini - sul suffragio universale non si può ormai tornare indietro - che col loro voto conferiscono il potere ai governanti. Se è stato evitato il disastro, non si può certo dire, però, che tutti i problemi siano risolti, perché governare in queste condizioni non è affatto facile! Per avere i voti dei ceti più disagiati è necessario, infatti, rispondere alle loro richieste. E queste sono senza numero ed enormemente costose: scuola, salute, sussidi per i disoccupati, provvidenze a favore della maternità e della vecchiaia, case popolari. Tali esigenze sono addirittura considerate 'diritti', perché in questi termini ne parlano di solito le Costituzioni: diritto al lavoro, all'istruzione, alla salute. E chi paga tutto ciò? In buona misura i ricchi i quali, se non riescono a sottrarsi al fisco - quella che chiamano 'evasione' è secondo me solo legittima difesa - sono vessati da un sistema di tassazione fortemente progressivo. È ovvio quindi che quest'insieme di interventi, che prende il nome di Stato sociale, non risponde, in Italia come negli altri Paesi occidentali, agli interessi dei possidenti, costretti a fare buon viso a cattivo gioco solo per evitare il contagio del modello comunista affermatosi in Russia agli inizi del Novecento. Ti sarà ormai chiaro, Ermenegildo carissimo, che la retorica definizione della democrazia come governo del popolo - che non è affatto una realtà unitaria ma è composto di parti in conflitto - copre l'inevitabile contrapposizione tra interessi molto diversi tra loro. Capisci, quindi, che il parlamento è il luogo in cui si scaricano tali contrasti e che questa è la ragione per cui i governi, reggendosi su alleanze tra forze che rappresentano interessi differenti, sono costretti a continue mediazioni per non perdere il sostegno ora di questo ora di quel partito. E, se la mediazione fallisce, si ha la caduta del governo, con la conseguente ricerca di nuovi equilibri.

Tale instabilità, come sai, ha caratterizzato in particolare i governi italiani. I motivi della fragilità, e quasi della paralisi decisionale, dei nostri governi sono molteplici, ma un ruolo determinante l'ha esercitato a mio parere, e qui vengo al quesito che mi hai posto, il sistema elettorale proporzionale. Con la perfetta corrispondenza tra voti e seggi, tutti i partiti, dall'estrema destra all'estrema sinistra, vengono infatti rappresentati in parlamento. E come si fa a metterli d'accordo? È praticamente impossibile creare solide e durevoli maggioranze! Se si vuole uscire dal pantano, bisogna dunque trovare delle soluzioni per semplificare il quadro politico. Detto brutalmente: è necessario che certi interessi non trovino rappresentanza parlamentare. Evidentemente è impensabile che la parte migliore della società, che si distingue per cultura e ricchezza, sia tagliata fuori dai luoghi in cui si prendono le decisioni: non resta, quindi, che sacrificare i ceti che non mostrano particolari doti né in campo intellettuale né in quello economico. Ma è altrettanto ovvio che non possiamo dire: vogliamo che milioni di cittadini non siano rappresentati in parlamento. L'obiettivo si può, invece, raggiungere affermando - ecco la grande trovata - che è necessario eliminare la frammentazione dei partiti per garantire la governabilità! E sono diverse le soluzioni sperimentate con successo. Si può, per esempio, non inviare il certificato elettorale ma aspettare che siano i cittadini a richiederlo: già con questo piccolo espediente si elimina la fascia di popolazione meno abbiente e meno consapevole dell'importanza della posta in gioco. È possibile approvare sistemi elettorali che favoriscano il bipartitismo, perché così, per vincere le elezioni, ciascuno dei due partiti cercherà di conquistare il consenso del ceto medio, convergendo su posizioni moderate e abbandonando quelle estreme. La stabilità, lì assicurata dal fatto che governa l'unico partito che ha vinto le elezioni, non è meno garantita in una repubblica presidenziale: qui infatti il potere, per un certo numero di anni, è nelle mani del capo dello Stato e i partiti estremisti, che inevitabilmente sono espressione delle minoranze, restano di fatto irrilevanti anche se presenti in parlamento.

Ma l'Italia, come è noto, è una repubblica parlamentare, ha una tradizione di pluripartitismo e invia il certificato elettorale a tutti i cittadini: se a tutto ciò si aggiunge il sistema elettorale proporzionale, non ci si può stupire della sua perenne ingovernabilità! Per questo, da tempo, ci siamo proposti i cambiamenti necessari per mettere i nostri esecutivi in condizione di governare effettivamente. E, dopo la caduta del comunismo, abbiamo fatto dei concreti passi avanti verso la governabilità. Da te non mi aspetto più l'ingenua domanda: la governabilità non dipende dalla capacità dei politici di contemperare le differenti esigenze, facendo prevalere l'interesse generale su quelli particolari e conquistando così, anche attraverso le necessarie alleanze tra partiti, il consenso della maggioranza degli elettori? Niente affatto. Sono sicuro che ormai hai capito che, quando parliamo di governabilità, noi intendiamo una sola cosa: vogliamo che il potere si concentri stabilmente nelle nostre mani. Basta con le mediazioni, basta con le concessioni alle forze parlamentari che rappresentano i ceti inferiori, basta con questo Stato sociale che finanziamo noi benestanti! E, quindi, basta col primato del parlamento sul governo: chi vince le elezioni deve poter disporre di una solida, compatta e obbediente maggioranza parlamentare.

Ecco perché io e i miei amici siamo assolutamente contrari al sistema proporzionale. Vogliamo decidere, e decidere rapidamente, per proteggere i nostri interessi senza le lentezze e i compromessi imposti dalle procedure democratiche. Sistema elettorale maggioritario, premio di maggioranza, elevate soglie di sbarramento: qualunque soluzione va bene purché trasformi la minoranza di voti in maggioranza di seggi ed elimini le voci dissonanti. L'Inghilterra, per esempio, in cui vige un sistema elettorale decisamente maggioritario, è uno dei Paesi in cui la distanza tra ricchi e poveri è più marcata: credi che sia un caso? Ovviamente no: senza dimenticare altre circostanze, è la conseguenza del fatto che i ceti più disagiati, per non disperdere i voti su partiti che davvero tutelerebbero i loro interessi ma che sicuramente resterebbero fuori dal parlamento, sono costretti a votare per quello che li penalizzerà di meno, e che con un'abile propaganda potrà sempre trovare mille alibi per le proprie scelte antipopolari. Certo, l'Italia non è l'Inghilterra, ma non si può dire che una volta cambiata - con i referendum del 1993 e poi col cosiddetto 'porcellum' del 2005, purtroppo dichiarato incostituzionale nel 2013 - la legge elettorale su cui si reggeva la cosiddetta prima Repubblica, negli ultimi venti anni non ci siano stati dei miglioramenti. Siamo riusciti senza troppe difficoltà a tagliare le spese per scuola e sanità, a innalzare l'età della pensione, a smantellare progressivamente l'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Non tutti gli obiettivi sono stati conseguiti: per vincere le elezioni, infatti, era necessario creare delle coalizioni non del tutto omogenee, che spesso entravano in crisi prima della fine della legislatura. Non abbiamo ancora raggiunto, quindi, la governabilità come stabilità dei governi, ma abbiamo ottenuto quella che ci interessa davvero: la governabilità come riduzione delle opzioni politiche, resa possibile dalla progressiva scomparsa delle forze di sinistra che, desiderose di apparire affidabili ai grandi poteri finanziari, approvano ora le nostre stesse ricette economiche, col risultato che i lavoratori credono ormai che i loro interessi possano essere meglio tutelati da noi.

Ora, però, stiamo approvando (manca solo l'ultimo passaggio alla Camera) quella che considero la soluzione finale: un sistema elettorale che, abolite del tutto o quasi le preferenze, assicurerà a un solo partito, pur se minoritario, un'ampia maggioranza alla Camera, mentre il Senato, non più direttamente eletto dai cittadini, perderà il potere di dare o revocare la fiducia al governo. Infatti, poiché siamo minoranza, e non riusciamo a diventare maggioranza nonostante la compera del voto dei più poveri per qualche decina di euro, l'appoggio del Vaticano, il lavaggio televisivo del cervello, il voto clientelare e quello di scambio politico-mafioso, è indispensabile una bella legge elettorale che riconosca apertamente alla minoranza il diritto di governare. Il motivo per cui vogliamo privare il Senato del potere di dare la fiducia è ovvio: poiché esso viene eletto su base regionale, è molto difficile che un solo partito riesca ad avere una solida maggioranza, e quindi resterebbe vanificato l'obiettivo della legge elettorale maggioritaria. Altrettanto ovvio il motivo per cui siamo contrari alle preferenze: vogliamo che i parlamentari siano scelti dai partiti e rispondano a loro e non agli elettori. E non credere che sia difficile fare ingoiare tutto ciò ai cittadini. Diciamo, infatti, che vogliamo creare il Senato delle autonomie, ridotto di numero e composto di eletti negli enti locali, che non avranno però un doppio stipendio, garantendo così un grosso risparmio per le casse statali. Per quanto riguarda l'impossibilità dei cittadini di scegliere i loro rappresentanti, poi, abbiamo buon gioco ad affermare che con le preferenze aumentano enormemente le spese per la campagna elettorale, cosicché mai verrebbero eletti candidati meritevoli ma privi delle necessarie risorse economiche. E sosteniamo anche che le preferenze sono un pericolo perché i singoli candidati sarebbero soggetti alle pressioni mafiose e potrebbero cedere alla tentazione del voto di scambio.

In realtà, mentre propagandiamo il Senato delle autonomie, ci proponiamo di rivedere il titolo V della Costituzione nella direzione contraria, e cioè per dare maggior potere al governo nazionale. E se mettiamo in lista alcuni candidati effettivamente prestigiosi e indipendenti, lo facciamo perché, essendo una sparuta minoranza, non conteranno praticamente nulla, mentre noi potremo disporre di un'ampia massa di manovra scelta da noi e quindi di assoluta fedeltà. Quanto alla mafia, poi, i nostri elettori ancora non hanno capito che siamo proprio noi, e non i singoli candidati, i terminali di ogni trattativa di un certo rilievo! Così riproponiamo, in sostanza, una legge con liste bloccate e premio di maggioranza assolutamente in linea con il 'porcellum', ma questa volta non credo che la Corte Costituzionale possa cancellarla, perché per una sua pronuncia occorrerebbero anni e intanto avremmo tutto il tempo di inserire in essa i nostri uomini per evitare un simile pericolo. Se, prima o poi, riusciremo addirittura a trasformare la nostra repubblica da parlamentare a presidenziale potremo dire di avere ottenuto il massimo, perché è evidente che il ritorno al suffragio censitario o la pura e semplice abolizione del parlamento purtroppo sono oggi inattuabili. Ma, in ogni caso, è bene che i cittadini si abituino all'idea che il loro ruolo politico si limita al momento del voto: poi, tra un'elezione e l'altra, devono stare zitti e buoni, perché il vincitore di turno resterà saldamente al potere grazie all'ampia maggioranza di cui dispone e sarà libero anche di rimangiarsi le promesse con cui ha vinto le elezioni.

A ogni modo, già ora possiamo essere abbastanza soddisfatti, perché anche in Italia, grazie alla progressiva riduzione del peso delle forze d'opposizione nell'assemblea parlamentare, abbiamo posto le basi di un durevole regime oligarchico, quello dei ricchi di cui parlava il buon vecchio Aristotele, spacciandolo per democrazia. Mentre il potere è sempre più saldamente nelle nostre mani, milioni di cittadini, che se le bevono proprio tutte, sono infatti contenti perché, grazie allo slogan della governabilità imposto dai mezzi d'informazione ampiamente da noi controllati, siamo riusciti a convincerli che il loro interesse è uno solo: dopo aver votato per i candidati della nostra squadra che, per mettere in piedi una gara appassionante, facciamo giocare con maglie di diverso colore, la sera stessa delle elezioni sapranno chi ha vinto e li governerà senza intoppi per l'intera legislatura, ovviamente seguendo i diktat della finanza internazionale e facendo pagare i costi dell'attuale crisi economica ai ceti più deboli.

Elio Rindone

www.cronachelaiche.it 2 febbraio 2015




Mercoledì 04 Febbraio,2015 Ore: 16:07
 
 
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