Alle sorgenti della gioia

Lettera da Taizé 2004


di frère Roger di Taizé

Tradotta in 57 lingue (di cui 24 asiatiche), questa lettera, scritta da frère Roger di Taizé, è stata pubblicata per l’incontro europeo dei giovani ad Amburgo. Sarà poi ripresa e meditata durante l’anno 2004 negli incontri di giovani che avranno luogo sia a Taizé, settimana dopo settimana, sia in altre parti del mondo. Tanti giovani attraverso la terra portano in loro una sete di pace, di comunione, di gioia. Sono attenti anche all’insondabile sofferenza degli innocenti. In modo particolare, non ignorano l’aumento della povertà nel mondo.[1] Non sono soltanto i responsabili dei popoli che costruiscono il futuro. Il più umile fra gli umili può contribuire a realizzare un avvenire di pace e di fiducia. Per quanto possiamo essere sprovvisti, Dio ci consente di portare la riconciliazione là dove ci sono degli scontri e la speranza là dove c’è l’ inquietudine. Con la nostra vita, ci chiama a rendere accessibile la sua compassione per l ’essere umano.[2] Se dei giovani con la loro vita diventano focolari di pace, ci sarà una luce là dove si trovano.[3]



Un giorno, chiesi ad un giovane che cosa era più essenziale, ai suoi occhi, per sostenere la sua vita. Ha risposto: «La gioia e la bontà del cuore». L’inquietudine, la paura di soffrire, possono portar via la gioia. Quando sorge in noi una gioia attinta dal Vangelo, porta un soffio di vita. Non siamo noi a creare questa gioia, essa è un dono di Dio. Ed è incessantemente ravvivata dallo sguardo di fiducia di Dio sulla nostra vita.[4] Lungi dall’essere ingenua, la bontà del cuore comporta una vigilanza. Essa può condurre ad assumere dei rischi. Non lascia posto a nessun disprezzo verso l’altro.[5] Rende attenti ai più sprovvisti, a quelli che soffrono, alla pena dei bambini. Attraverso il viso, con il tono della voce, riesce ad esprimere che ogni essere umano ha bisogno di essere amato.[6] Sì, Dio ci consente di andare avanti portando, nel fondo dell’anima, una scintilla di bontà che chiede solo di diventare fiamma.[7]

Ma come andare alle sorgenti della bontà, della gioia, ed anche a quelle della fiducia? Abbandonandoci a Dio, troviamo la strada. Risalendo anche lontano nella storia, moltitudini di credenti hanno colto che, nella preghiera, Dio donava una luce, una vita interiore. Già prima di Cristo, un credente pregava: «La mia anima anela a te di notte, Signore; anche il mio spirito nel mio intimo ti cerca».[8] Il desiderio di una comunione con Dio è deposto nel cuore umano da tempi infiniti. Il mistero di questa comunione raggiunge ciò che è più intimo, la profondità stessa dell’essere. Così possiamo dire a Cristo: «Signore, da chi andremo se non da te? Tu hai le parole che rendono la nostra anima alla vita».[9]

Rimanere davanti a Dio in un’attesa contemplativa non va al di là della nostra dimensione umana. In questa preghiera, un velo si alza su ciò che è inesprimibile della fede, e l’indicibile conduce all’adorazione. Dio è presente anche quando il fervore si dissipa e quando le risonanze sensibili svaniscono. Mai siamo privati della sua compassione. Non è Dio che rimane lontano da noi, siamo noi talvolta assenti. Uno sguardo di contemplazione coglie segni del Vangelo negli avvenimenti più semplici. Discerne la presenza del Cristo anche nel più abbandonato fra gli uomini.[10] Scopre nell’universo le radiose bellezze della creazione.

Molti si pongono la domanda: che cosa Dio si aspetta da me? Leggendo il Vangelo ecco che arriviamo a comprenderlo: in ogni situazione, Dio ci chiede di essere un riflesso della sua presenza; ci invita a rendere la vita bella a coloro che lui ci affida. Chi cerca di rispondere ad una chiamata di Dio per tutta l’esistenza, può far sua questa preghiera: Spirito Santo, anche se nessuno sembrerebbe fatto per realizzare un sì per sempre, tu vieni ad accendere in me un focolare di luce. Illumini le esitazioni ed i dubbi, nei momenti in cui il sì ed il no si scontrano. Spirito Santo, tu mi permetti di accettarmi con i miei limiti. Se c’è in me una parte di fragilità, la tua presenza venga a trasfigurarla. Ed eccoci portati all’audacia di un sì che ci conduce molto lontano. Questo sì è una limpida fiducia. Questo sì è amore di ogni amore.

Cristo è comunione. Non è venuto sulla terra per creare una religione in più, ma per offrire a tutti una comunione in lui.[11] I suoi discepoli sono chiamati ad essere umili fermenti di fiducia e di pace nell’umanità. In quest’unica comunione che è la Chiesa, Dio offre ogni cosa per andare alle sorgenti: il Vangelo, l’Eucaristia, la pace del perdono… E la santità di Cristo non è più irraggiungibile, è presente, è molto vicina. Quattro secoli dopo Cristo, un cristiano africano di nome Agostino scriveva: «Ama e dillo con la tua vita». Quando la comunione tra cristiani è una vita vissuta e non è solo una teoria, diffonde una speranza luminosa. Ed ancor più: può sostenere l’ indispensabile ricerca di una pace nel mondo. Allora, per quale motivo i cristiani potrebbero rimanere ancora separati? Nel corso degli anni, la vocazione ecumenica ha provocato scambi ineguagliabili. Sono le primizie di una comunione viva fra i cristiani.[12] La comunione è la pietra di paragone. Nasce innanzitutto al cuore del cuore di ogni cristiano, nel silenzio e nell’amore.[13] Nella lunga storia dei cristiani, moltitudini di persone si sono un giorno scoperte separate, talvolta senza neppure conoscerne la ragione. Oggi è essenziale fare tutto il possibile affinché il maggior numero possibile di cristiani, spesso non colpevoli delle separazioni, si scoprano in comunione.[14 ]Sono innumerevoli quelli che hanno un desiderio di riconciliazione che tocca il fondo dell’anima. Aspirano a questa gioia infinita: uno stesso amore, un solo cuore, una sola e medesima comunione.[15] Spirito Santo, vieni e deponi nei nostri cuori il desiderio di avanzare verso una comunione, sei tu che ci guidi.

La sera di Pasqua, Gesù accompagnava due dei suoi discepoli che andavano al villaggio di Emmaus. Lì per lì non si resero conto che egli camminava al loro fianco.[16] Anche noi incontriamo dei periodi in cui non riusciamo a renderci conto che il Cristo, attraverso lo Spirito Santo, rimane vicinissimo a noi. Instancabilmente ci accompagna. Illumina le nostre anime di una luce inattesa. E scopriamo che, se anche può rimanere in noi qualche oscurità, in ciascuno c’è soprattutto il mistero della sua presenza. Cerchiamo di tener presente una certezza. Quale? Cristo dice a ciascuno: «Ti amo di un amore che non finirà. Io non ti lascerò mai. Attraverso lo Spirito Santo sarò sempre con te».[17]



Note

[1] Un approfondimento della vita interiore, lungi dal condurre a chiudere gli occhi sulla situazione delle società contemporanee, ci chiama ad interrogarci. Siamo abbastanza coscienti, per esempio, che 54 paesi del mondo sono più poveri oggi che nel 1990 ? Kofi Annan, segretario generale delle Nazioni Unite, ci scriveva l’anno scorso, in occasione dell’incontro europeo di Parigi: «Ci sono nel mondo tanti giovani privi di prospettive per l’avvenire. Per loro, ogni giorno è una dura battaglia contro la fame, la malattia, la miseria. Numerosi poi sono coloro che vivono in regioni in preda a conflitti armati. Dobbiamo fare di tutto per render loro la speranza».

[2]L’amatissimo papa Giovanni XXIII scriveva: «Ogni credente, in questo nostro mondo, deve essere una scintilla di luce, un centro di amore, un fermento vivificatore nella massa: e tanto più lo sarà, quanto più, nella intimità di se stesso, vive in comunione con Dio. Infatti non si dà pace fra gli uomini se non vi è pace in ciascuno di essi» (Pacem in terris, 1963, 88).

[3]L’apostolo Paolo, incoraggia i credenti ad essere «focolari di luce» che brillano come astri nell’universo (vedi Filippesi 2,15-16).

[4]«Quando il Signore verrà, … gli umili gioiranno ancora nel Signore e i poveri esulteranno» (Isaia 29,18-19). «Consola il tuo cuore, tieni lontana la malinconia, da essa non si ricava nulla di buono» (Siracide 30,21-25).

[5] In una vita di comunità, la bontà del cuore è un valore inestimabile. È forse uno dei più limpidi riflessi della bellezza di una comunione.

[6]Quando è ancora piccolo, un bambino coglie ciò che significa la bontà del cuore di una madre o di un padre, di una sorella o di un fratello. È una chiara realtà del Vangelo. Per un bambino, sapere di essere amato è molto importante, questo gli consente per tutta la vita di andare avanti, di comprendere un giorno che Dio ci chiama, a nostra volta, ad amare.

[7]Durante una visita a Taizé, il filosofo Paul Ricoeur diceva: «La bontà è più profonda del male più profondo. Per quanto il male sia radicale, non è così profondo come la bontà».

[8]Isaia 26,9.

[9]Quando alcuni cominciarono ad abbandonare Cristo, egli disse ai suoi
discepoli: «Forse anche voi volete andarvene?» Gli rispose Simon Pietro: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna» (Giovanni 6,67- 68).

[10] Vivere in comunione con Dio, conduce a vivere in comunione con gli altri. Più ci avviciniamo al Vangelo, più ci avviciniamo gli uni agli altri. Il teologo ortodosso Olivier Clément scrive: «Più si diventa persone di preghiera, più si diventa persone di responsabilità. La preghiera non libera dagli obblighi di questo mondo: rende ancora più responsabili. Non c’è nulla di più responsabile del pregare... questo può prendere la forma concreta di una presenza accanto a coloro che soffrono per abbandono, per povertà – com’ è il caso, per esempio, di una ventina di fratelli di Taizé che vivono in quartieri poveri di altri continenti –, questo ci chiama anche a essere persone inventive, creatrici in ogni campo, compreso quello economico, quello di una civiltà planetaria, quello culturale...» (Taizé, un senso alla vita, Ed. Paoline, 1998).

[11] Ancor giovane, a 21 anni, il teologo tedesco Dietrich Bonhoeffer ha forgiato l’espressione «Cristo che esiste in quanto comunità». Egli scrisse che «attraverso Cristo l’umanità è realmente integrata nella comunione in Dio» (Sanctorum communio, Berlino 1930).

[12] Interrogandosi sulla vocazione ecumenica, il patriarca ortodosso d’ Antiochia, Ignazio IV, scriveva recentemente da Damasco: «Abbiamo bisogno con urgenza di iniziative profetiche per fare uscire l’ecumenismo dai meandri nei quali temo si stia impantanando. Abbiamo un urgente bisogno di profeti e di santi per aiutare le nostre Chiese a convertirsi attraverso il perdono reciproco». Il patriarca invitava a «privilegiare il linguaggio della comunione piuttosto che quello della giurisdizione». L’anno scorso il papa Giovanni Paolo II diceva, ricevendo a Roma dei responsabili della Chiesa ortodossa greca: «Con i santi, contempliamo l’ecumenismo della
santità: esso ci porterà verso la piena comunione, che non è né assorbimento né fusione, ma un incontro nella verità e nell’amore».

[13] La riconciliazione inizia già ora, dentro la persona. Vissuta nel cuore di un credente, la riconciliazione acquista una credibilità e può portare ad uno spirito di riconciliazione in questa comunione di amore che è la Chiesa. Questa strada presuppone che non ci sia umiliazione per nessuno.

[14 ] Potrà la Chiesa mostrare dei segni di un’ampia apertura, così ampia da poter riconoscere che coloro che erano divisi in passato, non sono più separati ma vivono già in comunione? Un passo verso la riconciliazione sarà fatto nella misura in cui si constaterà una vita di comunione, già realizzata in certi ambienti attraverso il mondo. Occorrerà del coraggio per constatarlo ed adattarvisi. I testi verranno dopo. Privilegiare i testi non finisce forse per allontanarci dalla chiamata del Vangelo: senza tardare, riconciliati?

[15] Vedi Filippesi 2,2.

[16] Vedi Luca 24,13-35.

[17] Vedi Geremia 31,3 e Giovanni 14,16-18.



Mercoledì, 07 gennaio 2004