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La fabbrica dei dibattiti pubblici,

Ultimo aggiornamento: March 24 2012 12:29:01.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 26/1/2012 21.52
Titolo:LA LINGUA DEGLI ESSERI UMANI E LA GRAMMATICA DELLO STATO ....
LA GRAMAMTICA DELLO STATO E LA LINGUA DEGLI UOMINI E DELLE DONNE *




"La grammatica è maschilista"
Le donne francesi vogliono cambiarla

"La cosa grave è che arrivi nelle scuole l’idea di un genere superiore all’altro" Quattromila persone hanno sottoscritto una petizione ripresa da "Le Monde" chiedendo nuove regole
Nei plurali il femminile risulta penalizzato, l’Académie Française però si oppone a ogni riforma

di Anais Ginori (la Repubblica, 24.01.2012) *



«Que les hommes et les femmes soient belles!», che gli uomini e donne siano belle. Nessuno può pronunciare questa frase senza venire immediatamente bacchettato dai puristi della lingua. Eppure è questo il titolo di un appello per riformare la grammatica che sta circolando in Rete, ripreso anche da Le Monde. Da secoli infatti la concordanza dell’aggettivo prevede che il genere maschile prevalga su quello femminile. Si dice "gli uomini e le donne sono belli", non il contrario.

Sembra una di quelle tipiche sfumature che appassionano studiosi e accademici. Invece, secondo i gruppi che hanno promosso la petizione già firmata da oltre 4mila persone, questa regola nasconderebbe un immaginario maschilista duro a morire e avrebbe addirittura conseguenze nella vita di tutti i giorni. «Se neanche nella lingua esiste la parità di genere - spiega Clara Domingues, docente di letteratura e presidente di un’associazione femminista - come sperare che la condizione delle donne faccia progressi in famiglia o negli uffici?».

La forza delle parole. Nonostante pari diritti e dignità per entrambi i sessi siano iscritti nella Costituzione, argomentano le promotrici dell’appello, esiste ancora una grammatica "sessista". «La cosa più grave - si legge nella petizione - è il fatto che questa idea di un genere superiore all’altro venga trasmessa anche a scuola nell’insegnamento del francese ai bambini». Le associazioni militano per un cambio dei manuali nel quale sia prevista la possibilità di accordare aggettivi e participi secondo il genere del nome più vicino. Ad esempio: «Un cappello e una giacca nere». Oppure: «Laura, Giacomo e Paola sono simpatiche».

Femminismo a parte, una grammatica meno schiacciata sul maschile, offrirebbe più libertà nella costruzione delle frasi e sarebbe esteticamente più elegante, aggiungono le promotrici. Contrariamente a quel che si pensa, già nel greco antico e nel latino funzionava così. La petizione è stata inviata all’Académie Française, guardiano della purezza della lingua, con scarse speranze di essere accolta.
L’istituzione fondata nel 1635 dal cardinale Richelieu ha sempre fatto argine ad ogni cambiamento in questo senso. Già dieci anni fa, l’organismo si era rivolto con allarmismo al capo dello Stato. Le socialiste Martine Aubry e Elisabeth Guigou, appena nominate nell’allora governo, avevano osato farsi chiamare "Madame la Ministre". Da allora, ci sono state molte altre ministre e prima o poi l’Académie dovrà registrare la novità.

Per tradizione, si tratta di un’istituzione esclusivamente maschile, sette donne tra i quaranta membri, la prima fu la scrittrice Marguerite Yourcenar nominata solo nel 1980. «Non abbiamo mai seguito le mode. La superiorità del maschile esiste almeno da tre secoli e non ho l’impressione che sia rimessa in discussione nell’uso comune del francese» spiega Patrick Vannier, che si occupa del dizionario dell’Académie. La parità di genere può aspettare, almeno in senso linguistico


* PER APPROFONDIMENTI, VEDI ANCHE IL LINK:


http://www.ildialogo.org/cEv.php?f=http://www.ildialogo.org/filosofia/documenti_1327419475.htm
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 24/3/2012 12.29
Titolo:INEDITO. Perché le idee non passeggiano nel cielo ...
Cosa succede alla società quando resta solo il potere

Le lezioni di Pierre Bourdieu, scomparso 10 anni fa, ci aiutano a capire l´oggi. Visto che le forme di dominio sono sempre più immateriali e simboliche

Il comando non ha bisogno di esprimersi come tale, ma agisce interiormente e produce sottomissione

Il concetto pascaliano di "imbarco", che ci fa sentire parte di un´impresa anche se non l´abbiamo scelta

di Giancarlo Bosetti (la Repubblica, 24.03.2012)

Il pensiero di Pierre Bourdieu, a dieci anni dalla scomparsa, è ancora "in movimento", eccome, lo ammette con magnanimità, anche Le Monde, che non fu per niente risparmiato dalle critiche terribili del sociologo francese, aggressivo come nessun altro nei confronti del giornalismo dei "cani da guardia" del potere, categoria dalla quale lui escludeva ben pochi.

Infatti la vastissima produzione di questo grande sociologo ha molto da dire, anche in Italia, non solo per la sua straordinaria forza teorica, ma per una ragione più precisa: la ritirata della politica, che concede all´economia, alla ricchezza, alle ineguaglianze molto più terreno che nel secolo scorso, mette a nudo le differenze sociali, le mostra in una luce cruda, ne fa lo spettacolo centrale e urticante della vita pubblica.

È in crisi quel vitale scorrere di idee, di impegno pubblico, di progetti politici e ideologici, quella vasta coreografia di récits, che avvolgeva le differenze, le poneva in una luce congiunturale, ne attenuava il peso, anche perché ne prometteva la riduzione. La desertificazione della politica fa sentire di più il male delle distanze sociali, che sono anche obiettivamente cresciute, e cancella le pur vaghe promesse di qualche rimedio prossimo venturo.

L´obiettivo di Bourdieu è stato quello della decifrazione, misurazione e proclamazione delle relazioni di potere (di dominio) tra gli esseri umani in società: l´oppressione simbolica che rinforza quella materiale, il comando che non ha bisogno di esprimersi come tale dall´esterno perché agisce interiormente e produce sottomissione e adattamento.

La mappa sociale di Bourdieu è un sistema di coordinate che serve a decodificare le differenze, a esplicitare distanze nei redditi, nella cultura, nei consumi, nel linguaggio, nel gusto, nella postura, nel modo di mangiare e bere, nel capitale economico e in quello intellettuale, nel patrimonio di relazioni sociali e nel saper fare incorporato nell´habitus.

L´autore della Misère du monde e della Distinction coglie le differenze nel momento in cui l´ideologia le traveste da scelte o le attenua per non ferire, svela il rimosso della sofferenza simbolica, calcola gli imbarazzi mortali del mercato immobiliare, della casa impresentabile, dell´abito inadeguato, delle parole sbagliate, o della vertigine che separa il gruppetto sofisticato di intellettuali lacaniani dal grossista di provincia che racconta con entusiasmo le sue imprese sessuali.

Oggi una rappresentazione sociologica così pungente delle distanze simboliche, troverà un terreno più fertile di dieci e venti anni fa perché il processo di impoverimento della politica ha messo allo scoperto, senza il colorato make-up dell´ideologia dei grandi movimenti storici, politici o confessionali, le asimmetrie che fanno insopportabili tante differenze di stipendi, di status e di bonus, di opportunità. E non si trattava solo di efficace cosmesi: l´oppressione simbolica e materiale era più sopportabile quando qualcuno sulla scena pubblica ne faceva intravedere la fine, era un po´ più morbida quando la mobilità e le speranze di ascesa individuale o di gruppo erano più realistiche.

Bourdieu partecipò in prima persona alle battaglie politiche per costruire una società più solidale, al riparo dalla violenza simbolica, dalle «esperienze di destituzione» che umiliano e consumano umanità e invitò sempre ad accendere Controfuochi per tenere viva la resistenza contro un potere finanziario, percepito come il «naturale svolgimento delle cose». Ma non fu certo solo un testimone di impegno.

Le sue idee e il suo lavoro, sociologico e filosofico hanno scavato in profondità in diversi ambiti, illustrando con fulminanti illuminazioni e con lavori meticolosi sul campo (la scuola, il potere e le sue istituzioni, la formazione, o meglio «consacrazione», delle élites) come il senso della vita e della morte si produca per ciascuno di noi all´interno della società, come la società stessa sia il più forte competitore di Dio nell´erogare le sfide, gli obiettivi, le poste in gioco, i riconoscimenti che ci tengono al riparo dall´indifferenza e dal vuoto, che alimentano la nostra azione in una corsa permanente, che ci fa sentire dotati di qualche compito e di qualche senso.

Anche la lezione inedita al Collège de France del dicembre del 91 è ispirata dalla filosofia pascaliana dell´"imbarco", di quella "Illusio" che ci tiene in gioco, che ci fa sentire parte di una impresa che ci è data, senza che ci sia stato il momento di deciderla.

L´area dell´impresa è inscritta dentro un "campo" che ci assegna fin dall´inizio concorrenti, alleati, mete e premi, e che ci costringe a strategie di lotta per vincere o semplicemente per sopravvivere. È vero per la carriera di un agricoltore come per quella di un filologo romanzo. Il contesto da cui nascono le idee non è per Bourdieu, come invece era per Marx, quello delle relazioni economiche e delle lotte tra le classi.

Qui l´economia mantiene la sua importanza nel modellare i contesti, ma sono le lotte interne ai singoli "campi" a decidere chi vincerà, nell´arte come nella filosofia. La storia delle idee è la storia di questi campi. E anche le classi non hanno più un profilo oggettivo e deterministico, ma hanno piuttosto il carattere di indicatori di un destino "probabile", sono "classi probabili", che condizionano vischiosamente gli individui, ma non ne definiscono compiutamente l´esistenza.

A risolvere l´enigma sociale del rapporto tra individuo e società, tra oggettività di una posizione sociale, dove è dato in sorte di nascere, e la soggettività di ogni singolo attore è l´invenzione trascendentale dell´"habitus", chiave di volta della costruzione bourdieusana, vale a dire quell´«insieme durevole di disposizioni» attraverso le quali gli individui percepiscono e incorporano i ruoli sociali.

È l´"habitus" a spiegare come e perché le gerarchie sociali godano di una certa stabilità e perché le relazioni di dominio simbolico non siano sempre sul punto di essere spazzate via da una ribellione, individuale o collettiva. Inerzie e strategie che spingono gli esseri umani a interiorizzare le condizioni oggettive, a lavorare di lima e di mediazione tra le aspettative che fioriscono entro di loro e le possibilità effettive alla loro portata. È un´area di adattamenti possibili ma anche di sofferenze estreme e distruttive, quando la frustrazione e la pressione del dominio simbolico superano i limiti di guardia.

La sociologia di Bourdieu continuerà ad alimentare ricerche. Ci sarà utile anche per far luce sulla paralisi della politica. Una migliore visione della sofferenza sociale può aiutarne il risveglio.

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L´inedito uscito da Seuil

Perché le idee non passeggiano nel cielo

Le teorie nascono da un processo di competizione fra loro condizionato dal momento storico

di Pierre Bordieu (la Repubblica, 24.03.2012)

Per comprendere il processo d´invenzione di cui lo Stato è il risultato, processo cui partecipa l´invenzione della teoria dello Stato, occorrerebbe descrivere e analizzare attentamente le diverse proprietà dei produttori mettendolo in relazione con le proprietà dei prodotti.

Inoltre, tali teorie dello Stato – spesso insegnate nella logica della storia delle idee, tanto che alcuni storici iniziano a studiarle in sé e per sé, senza ricondurle alle condizioni sociali di produzione – sono doppiamente legate alla realtà sociale: non ha alcun senso studiare le idee come se queste passeggiassero in una sorta di cielo intelligibile, senza alcun riferimento agli agenti che le producono né soprattutto alle condizioni nelle quali tali agenti le producono, e in particolare alle relazioni di concorrenza in cui essi si trovano gli uni contro gli altri.

Le idee sono dunque legate al sociale, e d´altra parte esse sono del tutto determinanti dato che contribuiscono a costruire le realtà sociali così come noi le conosciamo. Oggi assistiamo a un ritorno delle forme più "primitive" della storia delle idee, vale a dire una sorta di storia idealista delle idee, come ad esempio la storia religiosa della religione. Questa regressione metodologica tiene conto sì della relazione tra le idee e le istituzioni, ma dimentica che queste stesse idee sono nate da lotte interne alle istituzioni. Dimentica dunque che, per comprenderle del tutto, non bisogna perdere di vista il fatto che esse sono al contempo prodotto di condizioni sociali e produttrici della realtà sociale.

Ciò che sto dicendo è programmatico, ma è un programma relativamente importante, perché si tratta di fare storia della filosofia, storia del diritto, storia delle scienze, studiando le idee come delle costruzioni sociali, che possono essere autonome rispetto alle condizioni sociali di cui sono il prodotto – non lo nego – ma che nondimeno vanno sempre messe in relazione con le condizioni storiche. Ma non semplicemente – come dicono gli storici – in termini d´influenza: esse infatti intervengono in maniera molto più marcata.

Perciò le concessioni che ho fatto alla storia delle idee erano in realtà false concessioni, perché le idee intervengono sempre come strumenti della costruzione della realtà. Esse hanno una funzione materiale: tutto quello che ho detto poggia sull´idea che le idee fanno le cose, che le idee fanno il reale e che la visione del mondo, il punto di vista, il nomos, tutte queste cose che ho evocato cento volte sono costruttrici della realtà, al punto che perfino le lotte più teoriche e astratte, che si svolgono all´interno di campi relativamente autonomi, come quello religioso, giuridico, ecc., in ultima istanza hanno sempre un rapporto con la realtà, sia per la loro origine che per i loro effetti, che sono estremamente potenti.

(Traduzione di Fabio Gambaro(, Sur l‘État, © Editions Raison d´AgirEditions du Seuil, 2012