I commenti all'articolo:
"AVE MARY" E LA TEOLOGIA DI DIO COME "UOMO SUPREMO". Un saggio di Michela Murgia, recensito da Natalia Aspesi - con una premessa,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: September 24 2013 16:33:36.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 15/5/2011 18.01
Titolo:RISVEGLI. Nostra Signora degli eretici, di Alberto Maggi ....
Risvegli


di Mirella Camera

in “a latere...” (http://alatere.myblog.it/)del 15 maggio 2011


Promette bene l’ultimo libro di Michela Murgia, Ave Mary, che rilegge la figura di Maria nella tradizione cattolica rovesciando molti luoghi comuni che ne hanno pietrificato l’icona secondo un’immaginario molto più maschile (e clericale) di quanto fosse plausibile.


A dire il vero, una rilettura con occhi nuovi era giù tata fatta tanto per dirne una, con Nostra Signora degli eretici, di Alberto Maggi, Cittadella 1988, che sarebbe da rileggere. Anzi, in quel clima da laboratorio teologico che ha seguito il Concilio, proprio l’immagine “liberata” dagli archetipi più tradizionalisti della Madonna, insieme ad altre figure di donne della Bibbia, ha permesso di elaborare un nucleo di teologia femminile fervido e interessante. Peccato che, insieme al femminismo, tutto quanto sia finito in un riflusso che ha sepolto - o forse solo “addormentato” - quei semi di novità.


Semi che pare si stiano risvegliando. E se l’ultimo ventennio è riuscito a ricacciare di nuovo le donne dentro forme e modelli gradite ai maschi, non più “per bene” come un tempo (cioè spose e madri accudenti e pronte al sacrificio) ma “desiderabili e disinibite” (cioè inclini a liberarsi dai fardelli tradizionali e quindi molto più disponibili e malleabili), oggi si sentono qua e là voci fuori
dal coro, sussurri e risvegli che suggerirebbero una voglia di riprendere un discorso interrotto.


Speriamo. Speriamolo per la donna nella società, soggetta a un femminicidio la cui frequenza implacabile nelle cronache è direttamente proporzionale al silenzio più totale nei luoghi
ordinari della riflessione sociale.


E speriamolo per la donna nella Chiesa dove, al di là delle belle parole, essa è tenuta ben a distanza dalla possibilità di spartire tutte le responsabilità, anche quelle pastorali e decisionali, magari con la scusa che il genio femminile, è specializzato in questa funzione di privilegiare la carità. Detto in termini ecclesiali: è un loro specifico carisma (1). Come dire: attente, non va bene ricercare il potere, non “cascateci”: la carità evangelica chiede il servizio. Il potere, che è così spiritualmente pericoloso, lasciatelo a noi maschi...

E infatti, il vescovo australiano William Morris, reo di aver detto che non si sarebbe scandalizzato se la Chiesa avesse cominciato a ordinare presbiteri - donne per ovviare alla scarsità dei preti, è
stato rimosso al volo. Ma questa è un’altra storia.

(1) Le donne della “spazzadora” di Vittorio Cristelli in “vita trentina” del 15 maggio 2011 riportato
da Fine settimana
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 23/5/2011 20.52
Titolo:Maria a suo modo era una donna sovversiva..... Così anche Giuseppe!!!
“Nelle donne di oggi c’è molto di Maria”
Colloquio con Michela Murgia

a cura di Alain Elkann (La Stampa, 22 maggio 2011)


L’ultimo libro di Michela Murgia, pubblicato da Einaudi, s’intitola «Ave Mary». C’è un
motivo particolare?

«Sì, è un titolo che richiama proprio l’incipit dell’Ave Maria. Ma Mary è anche il simbolo della
donna di oggi».

In che senso?

«Intendo dire che il titolo cerca di sintetizzare una precisa domanda, ossia: “Quanto c’è
dell’immaginario religioso intorno a Maria nel modo in cui le donne si pensano o vengono pensate
al giorno d’oggi?»

Ce lo dica lei: quanto c’è di Maria in queste donne di oggi?

«Direi molto, anzi moltissimo, anche se spesso ciò non viene sufficientemente indagato, per cui si
rischia di muoversi senza consapevolezza».

Per quale ragione accade quello che lei dice?

«Non lo so con esattezza, ma penso che ciò riguardi le donne credenti e quelle che non lo sono. Il
cristianesimo è una matrice culturale trasversale che prescinde dalla dimensione di fede».

Che tipo di donna è Maria?

«È una donna fraintesa, descritta malamente, quasi in maniera strumentale. Di Maria è stata
costruita una falsa immagine, a cui le donne vengono obbligate a conformarsi. E credo che il
fenomeno dell’annunciazione di Maria abbia una portata veramente straordinaria».
E per quale ragione?
«Perché per secoli si è cercato di dare a intendere alle donne normali che con quel “sì” Maria
avrebbe dovuto essere per loro il modello della docilità».

E invece non era così?

«Quando l’Angelo fa l’annunciazione, per una serie di ragioni non si rivolge né al padre né alla
madre di Maria, ma direttamente a lei. Una cosa a quei tempi non abituale. E lei, prima di dire sì,
avrebbe dovuto chiedere il permesso, visto che era una ragazza di soli sedici anni. Invece decise da
sola di pronunciare la fatidica risposta positiva, senza consultarsi con nessuno, e soprattutto senza
parlarne neppure con il fidanzato. Così facendo, Maria ha rischiato la lapidazione, perché a suo
modo era una donna sovversiva».

Maria è veramente esistita?

«Assolutamente sì. Lo testimoniano i Vangeli, che rappresentano un fondamentale documento
storico che mette nero su bianco alcune prove molto concrete».

Lei ci crede alla storia di Maria così come è raccontata dalla tradizione?

«In quanto credente, non posso certo dire di avere difficoltà a credere a quanto è scritto».

Lei si definirebbe comunque una scrittrice laica?

«Sì, se si pensa significato greco di “laico”, che significa “del popolo”. Ma è solo oggi che laico è
contrapposto alla religione. Invece credo che si possa tranquillamente essere al contempo laici e
religiosi».
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 24/9/2013 16.33
Titolo:MESSAGGIO A PAPA FRANCESCO . Un solo discepolato e di una sola salvezza.
Anche gli uomini recitano il rosario

di Katie Grimes (Adista” - documenti - n. 33 del 28 settembre 2013)

Il mese scorso, di ritorno dal suo celebratissimo viaggio in Brasile, papa Francesco ha espresso alcuni commenti a braccio, producendo reazioni in tutta la blogosfera cattolica. Pur riaffermando il perenne divieto della Chiesa all’ordinazione delle donne, il papa ha fatto appello a ciò che ha definito «una vera e profonda teologia delle donne nella Chiesa».

In molti hanno accolto con favore le sue parole, interpretandole come prova del suo apprezzamento per il genere femminile. Ma io non sono così sicura che dovremmo leggere queste parole come “una buona notizia”. Il problema sembra esattamente l’opposto di ciò che papa Francesco ha sostenuto. Io non biasimo la mancanza di questa “teologia delle donne”, ma il fatto che tanti rappresentanti della Chiesa la considerino necessaria.

Prima di lui, Giovanni Paolo II aveva già tentato di delineare “una teologia delle donne” con la sua lettera apostolica del 1988 Mulieris dignitatem, individuando due dimensioni della vocazione delle donne: la maternità di stile mariano e la verginità. Tuttavia, piuttosto che criticare questa specifica teologia delle donne, voglio individuare i problemi legati ai presupposti di tale progetto.

La ricerca di una teologia delle donne, sostengo io, rende queste ulteriormente estranee, ponendole sotto la luce circoscritta dello sguardo maschile. Perché nessun papa ha mai scritto una lettera sul ruolo degli uomini nella Chiesa e nella società? O ha mai riflettuto su una “teologia dei maschi”?

La risposta è semplice: i papi non hanno mai messo in discussione il significato teologico del loro sesso, perché il potere ha trovato nella mascolinità la propria giustificazione. Esercitando il potere sociale ed ecclesiale, i maschi hanno voluto dare l’impressione di legiferare in quanto esseri umani. Gli autori del Magistero hanno anche utilizzato la parola “uomini” per indicare l’intera specie umana: le donne possono essere uomini, ma gli uomini non possono mai essere donne. Le donne non sono mai il metro di paragone, rappresentano l’eccezione.

Ciò vale per tutti i gruppi socialmente potenti. Ad esempio, negli Stati Uniti, i tradizionali opinionisti hanno sempre fatto riferimento alla costante supremazia bianca nel Paese non come al “problema bianco”, ma come al “problema nero”, o alla “questione razziale”. Allora come oggi, il fatto di essere bianco appare normativo, scontato e subliminale. Solo i neri devono spiegarsi. Invece di chiedere una «vera e profonda teologia delle donne», avrei preferito che il papa invocasse una critica più incisiva del sessismo, della misoginia e dell’androcentrismo. Invece di una teologia più profonda delle donne, avrei voluto che riconoscesse la necessità di più teologia fatta dalle donne.

Un papa non ha mai scritto una lettera affermando la dignità della popolazione maschile, anche perché questa non è mai stata messa in dubbio. La Chiesa ha sempre onorato e rispettato la dignità della mascolinità. Noi di solito dobbiamo affermare esplicitamente la dignità solo di quei gruppi a cui essa viene negata nelle vicende concrete della vita quotidiana.

Analogamente, il posto degli uomini nella Chiesa è stato dato sempre per scontato: sembra così ovvio da non dover essere discusso. Ma se papa Francesco parla della mancanza di un’adeguata teologia delle donne, vuol dire che 2000 anni non sono stati sufficienti per capire ciò che Dio vuole per le donne. Come può essere? Cosa c’è di così difficile da capire delle donne?

Forse gli autori contemporanei del Magistero considerano le donne così fastidiosamente complesse perché mirano all’impossibile: la produzione di una teoria che le renda sostanzialmente e complessivamente diverse dagli uomini, ma fondamentalmente uguali a loro. Le autorità cattoliche non hanno mai trovato questo problema così complicato. Tommaso d’Aquino ha dedicato una sola quaestio (ST 92 I.) in tutta la sua Summa alla discussione esplicita sulle donne. Ha parlato più spesso degli angeli che della “donna”.

Per gran parte della sua storia, la Chiesa non ha avuto bisogno di giustificare la sua fede nella supremazia maschile dinanzi a un coro di scettici. Le società in cui la Chiesa era inserita erano in genere d’accordo con loro. Gli autori cattolici hanno dunque investito la maggior parte delle risorse della retorica ecclesiale nella difesa della posizione della Chiesa su punti controversi.

Nel XX secolo, però, qualcosa ha iniziato a cambiare. La fede della Chiesa nella superiorità degli uomini rispetto alle donne non è sembrata più così ovvia. Nel tentativo di difendere la Chiesa da un fiorente movimento per i diritti delle donne, Pio XI ha scritto nel 1930 la Casti Connubii. Riaffermando la condizione dell’uomo come capo famiglia, ha insistito sull’importanza della sottomissione coniugale delle mogli, criticando aspramente tutti coloro che sostenevano «essere quella una indegna servitù di un coniuge all’altro» e che «i diritti tra i coniugi devono essere tutti uguali».

Quando Giovanni Paolo II è stato eletto, tali proclami erano caduti in disgrazia anche presso le donne cattoliche più conservatrici. I vecchi insegnamenti non erano più difendibili. Capovolgendo le posizioni, Giovanni Paolo II ha affermato l’incondizionata uguaglianza di donne e uomini per la prima volta nella storia della Chiesa.

Ma questo non ha risolto tutti i problemi. Non volendo in alcun modo aprire il sacerdozio a “uomini di genere femminile”, la Chiesa aveva bisogno di giustificare la sua intenzione di continuare a riservare l’ordinazione solo agli “uomini di genere maschile”. E dal momento che il divieto in relazione al sacerdozio femminile aveva sempre poggiato in maniera piuttosto decisa sull’evidente disuguaglianza delle donne rispetto agli uomini, la Chiesa si è trovata in un vicolo cieco. La complementarità sessuale, che fonda il sacerdozio esclusivamente maschile sulla differenza sessuale, piuttosto che sulla disuguaglianza sessuale, è diventata la soluzione a questo problema.

Tale ideologia divide sempre più il discepolato in base a criteri sessuali, sottolineando nelle donne l’iconica rappresentazione di Maria e negli uomini la rappresentazione di Gesù. Solo gli uomini possono stare sull’altare in persona Christi, perché Gesù Cristo era un uomo. Una “teologia del corpo” che tenta di attribuire importanza teologica e ontologica agli organi riproduttivi. Cosicché il significato di “donna” e di “uomo” può essere colto nel funzionamento eterosessuale dei loro organi genitali.

Nel suo libro del 2010, In cielo e in terra, l’allora cardinal Bergoglio ha descritto perfettamente questa linea di pensiero: «La tradizione fondata teologicamente vuole che ciò che è sacerdotale passi per l’uomo. La donna ha un’altra funzione nel cristianesimo, riflessa nella figura di Marta. È colei che accoglie, colei che contiene, la madre della comunità. La donna ha il dono della maternità, della tenerezza: se tutte queste ricchezze non si integrano, una comunità religiosa si trasforma in una società non solo maschilista, ma anche austera, dura ed erroneamente sacralizzata. Il fatto che la donna non possa esercitare il sacerdozio non significa che valga meno dell’uomo. Nella nostra concezione, in realtà, la Vergine Maria è superiore agli apostoli. Secondo un monaco del II secolo, tra i cristiani esistono tre dimensioni femminili: Maria, come madre del Signore, la Chiesa e l’Anima. La presenza femminile nella Chiesa non è stata sottolineata molto perché la tentazione del maschilismo non ha permesso di dare visibilità al ruolo che spetta alle donne nella comunità».

Giovanni Paolo II presenta nella Mulieris dignitatem una descrizione più completa di Maria come icona della femminilità. Come «il nuovo principio» della dignità e della vocazione della donna, di tutte le donne e di ciascuna, vanificando la disobbedienza di Eva. Attraverso il suo “fiat” liberamente esercitato, Maria ha la funzione di «rappresentante e archetipo di tutto il genere umano». In questo, «rappresenta l’umanità che appartiene a tutti gli esseri umani, sia uomini che donne». Ma «d’altra parte, l’evento di Nazareth mette in rilievo una forma di unione col Dio vivo che può appartenere solo alla “donna”, Maria: l’unione tra madre e figlio». Allo stesso modo in cui Maria agisce come un modello per le donne più che per gli uomini, così Gesù serve da modello per gli uomini più che per le donne. «Proprio perché l’amore divino di Cristo è amore di Sposo», argomenta Giovanni Paolo II, «esso è il paradigma e l’esemplare di ogni amore umano, in particolare dell’amore degli uomini-maschi».

I papi identificano giustamente la gravidanza come una capacità unica delle donne, ma interpretandola in modo teologicamente discutibile. Stando a loro, ci troviamo nella strana posizione di sostenere che il semplice possesso di un utero fornisce alle donne una più intensa esperienza di unione corporale con Dio rispetto a quanto possa fare un uomo. Tuttavia, se Maria ha effettivamente raggiunto l’unione con Dio portando il Figlio di Dio nel suo corpo, e se unicamente le donne possono rimanere incinte, nessuna donna prima o dopo Maria ha mai dato vita a Dio. La gravidanza di Maria si pone come un evento storico unico e irripetibile. (...). Contrariamente a quanto sostenuto dal papa, con la sua gravidanza Maria rivela la sua differenza da tutte le altre donne almeno tanto quanto la sua somiglianza come loro rappresentante. Nessuna donna, tranne Maria, è giunta all’unione del corpo con Dio attraverso la gravidanza. Esattamente come gli uomini cattolici, le donne cattoliche vivono l’unione corporale con Dio durante l’Eucaristia.

Dobbiamo affrontare un altro problema. Giovanni Paolo II crede che Maria e Gesù rappresentino un modello di genere per una seconda ragione. La femminilità, sostiene Giovanni Paolo II, esprime una passività essenziale, mentre la mascolinità incarna l’attività. «Lo Sposo è colui che ama. La Sposa viene amata: è colei che riceve l’amore, per amare a sua volta».

Ma il “sì” di Maria alla gravidanza è davvero così diverso dal “sì” offerto da Gesù nel giardino del Getsemani? Entrambi i “fiat” sono stati una risposta di sottomissione alla volontà di Dio. Proprio come Maria ha accolto la gravidanza, così Gesù ha accettato la crocifissione. (...). Sia Maria che Gesù rispondono all’amore offerto da Dio e dicono di sì con i loro corpi. Come spose, accettano il dono del loro amante e lo restituiscono con i loro corpi. Seguendo lo schema di Giovanni Paolo II, Dio Padre ha amato sia Maria che Gesù in modo maschile e sia Maria che Gesù lo hanno riamato in modo femminile. (...).

Le donne non rappresentano né un problema da risolvere né un mistero da spiegare. Contro la volontà di papa Francesco di attribuire alle donne una categoria teologica a se stante, affermiamo l’esistenza di un solo discepolato e di una sola salvezza.