Un luogo in cui ascoltare…

di Giuseppe P. Fazio

La società contemporanea, definita dai più era della comunicazione per le nuove tecnologie che permettono connessioni sempre più veloci da un polo all’altro del pianeta, incontri virtuali in pochi istanti tra persone sparse in ogni angolo del mondo è oggi, paradossalmente, una società in cui la sensazione prevalente è quella di una profonda incomunicabilità. Una società in cui si comunica sempre meno, in cui si è meno propensi ad ascoltare l’altro ed ancor meno ad ascoltar se stessi è divenuto lo standard di quasi tutte le nazioni occidentali.

Tale percezione non può non far emergere, con forza, la necessità di prestare particolare attenzione ai bisogni di ascolto e di orientamento che sempre più sommersamente cercano una valvola di sfogo. Il discorso trova un fondamento maggiore quando i soggetti in causa sono i ragazzi in età pre-adolescenziale ed adolescenziale, età questa che costituisce, per definizione, una fase della vita in cui gli importanti cambiamenti che avvengono in modo repentino e drammatico sul versante biologico, cognitivo, psicologico e sociale potrebbero rappresentare dei potenti stimoli nei processi di assunzione e messa in atto di comportamenti rischiosi: spesso posti in essere solo e soltanto per far fronte ad una richiesta d’aiuto.

Un luogo che funzioni da prevenzione e intervento precoce e tempestivo per combattere da dentro il disagio, la dispersione e l’abbandono scolastico e che sia, soprattutto, uno spazio dove i ragazzi possano trovare accoglimento ai propri bisogni, alle proprie incertezze, alle proprie difficoltà e dove possano esprimere adeguatamente le proprie emozioni, anche quelle più forti e turbolente dovrebbe essere una prerogativa di tutti.

Uno spazio che consenta di rispondere alla domanda di aiuto e consulenza dei giovani teso ad arginare eventuali disagi e a prevenire il senso di sconforto e di solitudine che ne potrebbe derivare, avendo sempre fermo in mente l’obiettivo di contenere il disagio e di promuovere il benessere di tutti dovrebbe essere l’obiettivo finale di quanti sono impegnati in vario modo nel mondo.

Spesso però l’atteggiamento è quello di una confortevole superficialità vissuta come ancora di salvezza mentale per tutte quelle cose che è meglio non prendere in considerazione. Quanti genitori sono propensi a parlare in modo indiretto di certe problematiche, quasi come se talune realtà fossero fuori dal loro raggio d’azione e quanti di noi si sono dimenticati che in passato hanno avuto necessità d’essere ascoltati e che spesso non hanno trovato risposte adeguate.

Sono convinto che molto si possa fare, facendo fronte, in questo modo, a molte necessità reali di aiuto concreto. La speranza e che questi luoghi del conforto nascano in ognuno di noi. Tutti siamo in grado, volendo, di ascoltare, suggerire, orientare. Ognuno di noi è chiamato a fare della propria esistenza un tempio di significati, dove l’ascolto dell’altro deve essere considerato come l’atteggiamento normale in una società che continua a definirsi civile.



07 novembre 2009