Rubrica CRIMINALMENTE/3
Il fascino inquietante dell’omicidio

di Giuseppe P. Fazio

L’atto di privare della vita un essere umano è, storicamente, un campo di studio che ha sempre esercitato un certo fascino inquietante. Spesso fondamentale per la costruzione o la distruzione di governi, imperi e nazioni è stato, secondo Freud, un atto che ha generato, partendo dalla società totemica, la società moderna, così come noi la conosciamo.

Anche nel campo narrativo l’omicidio è considerato un evento di particolare che desta l’attenzione dei lettori e consacra scrittori e personaggi: ne “I delitti della Rue Morgue”, Edgar Allan Poe dà vita ad un personaggio che con il suo metodo dà vita ai primi esempi letterari di criminal-profiling. Ma sarà Artur Conan Doyle con il suo Sherlock Holmes che darà vita al personaggio forse più famoso tra i detective che della scienza deduttiva ne hanno fatto un’arte per il chiarimento di enigmi senza soluzione.

Nella società moderna l’omicidio, soprattutto quello particolarmente efferato, trova sempre più spazio nei notiziari e nei quotidiani ma già alla fine del 1800 un caso, forse il primo caso di assassino seriale, destò scalpore in Inghilterra, dove, nell’arco di pochissimi giorni, vennero trucidate cinque prostitute, presumibilmente dalla stessa persona, che la stampa di allora denominò Jack lo squartatore: figura che a distanza di oltre un secolo desta ancora fascino e timore.

Come la narrativa, ovviamente, anche il cinema e la televisione non sono liberi dal fascino dell’omicidio e dai personaggi inquietanti che esso crea: indimenticabile, una su tutte, la figura di Hannibal Lecter ne “Il silenzio degli innocenti”.

A questo punto c’è da chiedersi, qual è il motivo di tanta fascinazione, quali le ragioni che spingono l’essere umano ad essere attratto dall’uccisione di un suo simile? Verrebbe quasi da dire, parafrasando Hirschi, il problema non è perché lo fanno? La questione è perché non lo facciamo? E’ evidente che noi vorremmo deviare, se solo osassimo!



17 febbraio 2009