Lettera
MI VERGOGNO!

di Maria Teresa D'Antea

Da un po’ di tempo a questa parte provo un così grande senso di vergogna da sentire minacciata la stessa virtù della speranza senza la quale non si è cristiani. Non si tratta di vergogna di me come singola persona. Questa c’è sempre stata da quando ho avvertito su di me uno sguardo che non mi dava scampo e mi ha costretto a vivere timorosa e rossa, sì, di vergogna davanti all’implacabilità del suo Amore. Si tratta di una vergogna diversa, per la quale è improprio il termine stesso “vergogna”, ma nel vocabolario italiano non c’è una parola che possa esprimerla. Sono così costretta ad usarla, aggiungendo però, per farmi capire meglio, che questo sentimento di vergogna è associato a un profondo dolore e del tutto lontano dalla sterilità del giudicare gli altri. Quando si sono valicati da un po’ gli ottanta anni, si capisce che giudicare è un passatempo narcisistico con il quale si vedono negli altri solo i difetti che sono nostri. Oggi gli psicologi lo chiamano proiezione, ma gli antichi lo avevano già spiegato con la favola di Giove che ci mette sul petto il sacco dei difetti altrui e dietro le spalle quello con i nostri. Alla mia età entrambi i sacchi ce li troviamo davanti e allora ci si astiene da ogni giudizio. Ma questo non cambia il disagio, il senso di inadeguatezza e di dolore per essere stati calati nella storia. Ci si accorge infatti che la storia non c’è e non c’è mai stata.
Allora perché ci siamo? Non possiamo sentirci autorizzati a parlare di storia quando abbiamo sotto gli occhi una infinità di esempi che ci mostrano gli uomini di oggi tali e quali a quelli dell’età della pietra. O forse peggiori, dato il potenziale distruttivo da essi raggiunto. A questo punto devo dire di cosa mi vergogno. Ecco: mi vergogno di appartenere al genere umano.
Non vorrei però tacere il fatto di considerarmi felicissima di essere venuta alla luce e aver vissuto tutta la parabola della vita: nello stupore della immensa bellezza della creazione; nella espressione della vasta gamma dell’amore; nella compartecipazione sociale per stare meglio al mondo; nella passione per la cultura e la conoscenza; nella tensione verso il mistero infinito dell’universo che un mite e intrepido Figlio dell’Uomo partito dalla Galilea ha voluto rivelare. Questa felicità non basta a non farmi vergognare di appartenere al genere umano.
E’ bastato un solo giorno, ieri, 18 ottobre 1919, in cui si sono accavallate tante e tali notizie da farmi piangere e arrossire per essere di razza umana. E’ cominciato con un rapporto della FAO sulla fame nel mondo: secondo l’organizzazione delle Nazioni Unite sarebbero 820 milioni gli esseri umani che non mangiano tutti i giorni e quando portano qualcosa alla bocca lo hanno raccattato da una discarica. E’ continuato con la reiterata notizia della Brexit, cioè dei capi di governo inglese che si sono dissociati dall’Europa per non avervi trovato i vantaggi sperati e ora la tirano lunga per uscirne senza danno alcuno. Non mi sono state risparmiate le quotidiane immagini di guerra in Medio Oriente, con il popolo dei siriani e dei curdi che vedono la tregua promessa trasformata in occasione per un bestiale massacro. Sono passate sotto i miei occhi desolanti immagini dell’inquinamento mondiale da plastica e le mie orecchie hanno dovuto sentire serafiche voci annunciare che la plastica non verrà abolita ma “tassata”. Infine, con tanti arsenali strapieni di armi micidiali, sia nelle dittature sia nelle cosiddette democrazie, ho dovuto sentire che l’Italia, con tutti i problemi di crescita economica nei quali si trova, avrebbe investito “troppo poco” in armi, aerei da guerra e missili e a causa di ciò avremmo meritato “sanzioni doganali”. Tutto questo per me è troppo e non ce la faccio a reggerlo. E poiché nella lingua italiana non ci sono parole per esprimere adeguatamente lo smarrimento, il disagio, lo stupore e il dolore, lasciatemi dire: mi vergogno, mi vergogno, mi vergogno!
Maria Teresa D’Antea



Giovedì 24 Ottobre,2019 Ore: 15:49