ANTROPOLOGIA E TEOLOGIA POLITICA, OGGI.  L’ECONOMIA DELLA RICCHEZZA, DI "MAMMONA" E "MAMMASANTISSIMA" ("Deus caritas est": Benedetto XVI, 2006) CONTRO LA CIVILTA' DELL'AMORE ("Deus charitas est": 1 Gv., 4.8) E L'INTERA UMANITA'
IL FEMMINICIDIO E LA PRASSI DELLA "CARITA' POMPOSA" DEL CATTOLICESIMO. Un falso amore porta alla violenza. Una riflessione di Dacia Maraini - con appunti

Il femminicidio è, nel suo simbolismo profondo, un atto culturale e quindi di responsabilità collettiva.  


a c. di Federico La Sala

MATERIALI SUL TEMA:

DONNE, UOMINI E VIOLENZA: PARLIAMO DI "FEMMINICIDIO"

UOMINI E DONNE. SULL’USCITA DALLO STATO DI MINORITA’, OGGI.

LA CHIESA DEL SILENZIO E DEL "LATINORUM". Il teologo Ratzinger scrive da papa l’enciclica "Deus caritas est" (2006) e, ancora oggi, nessuno ne sollecita la correzione del titolo. Che lapsus!!! O, meglio, che progetto!!!

LUDOVICO A. MURATORI E BENEDETTO XVI: LA STESSA CARITA’ "POMPOSA". Un breve testo dalla "Prefazione ai lettori " del "Trattato sulla carità cristiana" di Ludovico A. Muratori

Per un ri-orientamento teologico-politico e antropologico... (fls)

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Un falso amore porta alla violenza

di Dacia Maraini (Corriere della Sera, 14 maggio 2013)

Il femminicidio è, nel suo simbolismo profondo, un atto culturale e quindi di responsabilità collettiva. Viviamo in un sistema di formazione che esalta la violenza sui deboli, che coltiva l’odio di genere e abolisce il rispetto dell’altro. La cultura di mercato sta sostituendo la cultura dei diritti e dei doveri e nel grande mercato internazionale una delle merci più richieste è il corpo femminile.

La cosa peggiore è che le donne stesse hanno talmente bene introiettato il concetto di merce da comportarsi spesso e con molta naturalezza come tale. Non che sentirsi merce porti felicità, ma può dare una inebriante sensazione di essere al centro del desiderio e dell’avidità mercantile, di smuovere un turbine di denaro. Senza rendersi conto che ogni mercificazione comporta servitù e dipendenza, umiliazione e degrado.

Se partiamo da questa constatazione ci rendiamo conto che il femminicidio non si può risolvere solo con le manette e leggi piu severe, anche se manette e leggi piu severe servono. Per cambiare veramente ci vuole una educazione dal basso, che imponga un nuovo concetto di integrità della persona, che esiga rispetto verso la libertà dell’altro. Nonostante le tante dichiarazione di emancipazione infatti la distinzione dei ruoli è ancora molto forte.

L’Italia poi, come dice l’Onu, è uno degli ultimi Paesi europei in fatto di partecipazione maschile ai lavori domestici e di accudimento. Provate ad andare in un negozio di giocattoli. Ancora oggi la divisione è netta: bambole, cucinette, piccola sartoria per le bambine; fucilini, trenini, camion, e guerra in miniatura per i bambini.

Da tempi lontanissimi si è radicata l’idea che il diritto più naturale e intoccabile del maschio umano sia la proprietà della famiglia. Proprietà che dà diritto al controllo maritale, all’impronta del proprio sangue, del proprio nome, di una propria idea di educazione. Toccare tale principio crea spesso risentimenti viscerali e selvaggi. Da quando, in un famoso processo divino, descritto così bene da Eschilo, Apollo ha stabilito che il vero motore della vita è il padre e la madre è solo il vaso che contiene il seme maschile, gli uomini si sono appropriati storicamente di un potere intimo e immutabile che costituisce, ancora per troppi, la base dell’identità virile.

Tutti i casi di violenza di questi ultimi anni mostrano una stessa struttura: una coppia che si sceglie e si ama. A un certo punto la donna decide di andare via o di rompere il rapporto. E l’uomo, che ha puntato tutto su quella proprietà, entra in crisi, diventa intollerante e violento, fino ad arrivare all’omicidio. Seguito spesso dal suicidio, segno che si tratta di una vera e propria tragedia per chi non sa accettare i cambiamenti, la perdita dei privilegi, la soppressione del concetto di proprietà.

Se vogliamo che questa violenza cessi, dobbiamo lavorare su quel sentimento di proprietà: «Io ti amo e quindi sei mia», dato troppo spesso come naturale e assecondato da troppe retoriche sentimentali.

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In principio (o meglio, all’Inizio) [1991] *

Omosessualità, pedofilia e altre “perpetue” questioni (con tutte le loro devastanti implicazioni) assillano da secoli la vita istituzionale della Chiesa Cattolica. Ma da sempre si preferisce negare, razionalizzare, “occultare e mascherare - generalmente senza successo - l’umanità di scandali e mezzi scandali fin troppo umani all’interno della cristianità”(1).

Fare i conti e bene con la donna è stato sempre vietato. Riconoscere fondamentalmente che senza il libero e decisivo della donna (Maria) non sarebbe nato non solo Cristo ma nemmeno la Chiesa, per l’uomo della stessa Chiesa è paradossalmente “scandalo e follia”.

Alla vigilia del terzo millennio dopo Cristo, si gioca ancora ad opporre “autorità” e “tradizione” allo spirito di libertà del messaggio eu-angelico.

E’ vero che certe “squallide” omelie contro la metà e più del genere umano non fanno più un baffo a nessuno, e non si collocano oggi, per la loro impotenza e rabbia, né sul piano della cultura cristiana né sul piano della cultura umana semplicemente (almeno in linea di principio e in generale), ma è altrettanto vero che le varie e innumerevoli persuasioni “diaboliche” sulla donna dovrebbero essere messe al bando, come le armi atomiche e simili.

Dalla misoginia al ginocidio, come al genocidio, il passo non è lungo: la caccia alle streghe e l’Inquisizione, come Auschwitz e Hiroshima, non sono incidenti di percorso.

“Il deserto cresce” (Nietzsche) - in tutti i sensi, e non si può continuare come si è sempre fatto. Non abbiamo tempo, non più né molto. Tutta una mentalità di secoli deve essere messa sottosopra e l’intera società deve essere riorganizzata. Non ci sono altre strade. Bisogna pensare ancora, di nuovo e in altro modo - Dio, uomo e mondo. E a partire proprio da noi, da noi tutti.

Ad esempio, oggi non è possibile - è un’offesa all’intelligenza (Lorenzo Valla cosa ci ha insegnato?) e il segno di una tracotante perseveranza - continuare a “tradurre il racconto della creazione della donna con: Non è bene che l’uomo sia solo: gli farò un aiuto che gli sia simile. Il testo originale ebraico dice: Gli farò un aiuto che sia l’altro di lui”. La differenza non è affatto innocente.

Come fa notare la teologa Wilma Gozzini che ha denunciato tale “vergognosa” situazione e che più volte ha “chiesto la correzione” di questo e altri passaggi del testo biblico (2), essa veicola tutt’altra visione della donna e del rapporto uomo-donna. “La donna è l’altro dell’uomo, uguale per diritti e doveri, ma anche diversa [...] L’altro che sta faccia a faccia è inquietante e scomodo e apre una sola alternativa. O lo si accoglie come unica possibilità data per vivere umanamente la propria storia, o lo si nega, assimilandolo - facendo simile ciò che altro - neutralizzando così l’alterità, non riconoscendogli autorità ma sottomissione, negandogli uguaglianza”.

Questo è il nodo da sciogliere e la sfida da accogliere. Si tratta, invero, di andare avanti coraggiosamente sulla strada indicata dallo stesso Giovanni Paolo II e trarre tutte le conseguenze dalla sua magisteriale convinzione, che il peccato originale “non può essere compreso adeguatamente senza riferirsi al mistero della creazione dell’essere umano - uomo e donna - a immagine e somiglianza di Dio”, e che nella “non-somiglianza con Dio [...] consiste il peccato (3).

Infatti, se è così, non si può continuare (o lasciare che la situazione resti) come prima. Non è più concepibile che “l’apertura all’altro e il dono di sé, che dovrebbero essere la libera e vitale disposizione dell’essere umano in quanto tale, diventano una norma vincolante per una parte sola dell’umanità: il sesso femminile” (4); o, diversamente, che si neghi alla donna auto-possesso e auto-determinazione come autorità e uguaglianza. Questo è semplicemente satanico, cioè un ostacolo sulla strada dell’amore, della pace e della comprensione.

A tutti i livelli, e ad ogni modo, intestardirsi a “voler intendere la pura ralazione [quella tra l’Io e il Tu, fls] come dipendenza significa voler svuotare della sua realtà uno dei portatori della relazione, e con ciò la relazione stessa”. Non altro.

Note:

-  1. Cfr. H. Kung, Essere cristiani, Milano, Mondadori, 1976, p. 19.
-  2. Cfr. W. Gozzini, Dio un po’ più materno? Suvvia..., “L’Unità” del 4.10.1990, p. 1. A riguardo, si cfr. anche M.C. Jacobelli, Il “Risus paschalis” e il fondamento teologico del piacere sessuale, Brescia, Queriniana, 1990, p. 98.
-  3. Cfr. Giovanni Paolo II, Mulieris dignitatem, pf. 9.
-  4. Cfr. C. Mancina, La Chiesa e la donna peccatrice, “L’Unità” del 10.12.1989, p.1.
-  5. Cfr. Buber, Il principio dialogico, Milano, Comunità, 1959, p. 74. Su questo tema, inoltre, cfr. I. Magli, Gesù di Nazaret. Tabù e trasgressione, Milano, Rizzoli, 1987, particolarmente il cap. IV e la conclusione.

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Federico La Sala, La mente accogliente. Tracce per una svolta antropologica, Antonio Pellicani editore, Roma 1991, "Introduzione", pp. 9-11.

 



Martedì 14 Maggio,2013 Ore: 13:53