VICTOR HUGO, TRA GRANDI ONORI E GRANDI DOLORI
di Sebastiano Saglimbeni
Questo testo contempla il poeta e scrittore francese Victor Hugo, la cui esistenza durò più di ottant’anni, tra grandi onori e grandi dolori. Di quest’uomo un tempo nelle scuole si leggevano (anche oggi?) pagine come la vicenda di Jean Valjean, un simbolo di buio e di luce vivissima; come la storia della negletta ragazza Cosette; come la tragica morte di Léopoldine. Hugo è figlio della Rivoluzione francese. I suoi genitori, Lèopold-Sigisbert e Sophie Trébuschet, si incontrarono nel 1796, mentre imperversava la guerra civile; si sposarono, qualche anno dopo. Un matrimonio, sin dal suo esordio, infelice che nemmeno la nascita di tre figli poté salvare. Hugo della classe 1802 è il terzo figlio, dopo Abel ed Eugène, figli che vissero per un breve soggiorno fuori dalla Francia. Il loro rientro a Parigi generò nel giovanissimo Hugo, studente e fondatore, a 17 anni, di una rivista dal titolo Il Conservatore Letterario, un’ispirata ed inesauribile volontà di esprimersi con la forza della parola e con questa pure intendere il passato dei padri latini. Provò difatti a tradurre Tacito e dopo scrisse poesie che propose in concorsi indetti dall’Accademia reale. Del grande storico latino scrisse che “è violento”. Scrisse pure che “è violento” Giovenale. Voleva probabilmente significare con questi giudizi che erano autori dalla parola magica, forte. Volle essere famoso come lo scrittore Chateaubriand, allora considerato il “principe degli scrittori francesi”. Ventenne, innamorato, in procinto di sposarsi con una giovane della sua stessa età, Adèle Foucher, pubblicò la prima silloge di versi dal titolo Odi, per la quale ricevette due consistenti pensioni. Il suo onore di giovane poeta, già coniugato a vent’anni, si diffuse per tutta la Francia: per l’incredula fecondità creativa che durò per circa sessant’anni, un arco di tempo che si colmò ancora di poesie, di drammi e di romanzi. Le opere, tra le più popolari dell’800, Nostra Signora di Parigi del 1831, I miserabili 1862, I lavoratori del mare del 1866, L’uomo che ride 1869, intensificarono, soprattutto, la fama dell’autore. Poi la pubblicazione delle nuove serie della Leggenda dei secoli nel 1877 e 1883.
Non solo la scrittura tanto copiosa di Hugo una messe di grandi onori, pure i suoi principi di uomo magnanimo, nella cui casa, oltre ai potenti e celebri uomini, entravano gli umili. Di lui dobbiamo, fra l’altro, ricordare le parole che recitano: “Per me umanità ha un sinonimo: eguaglianza; e che sotto v’è una cosa soltanto davanti alla quale dobbiamo inchinarci: il genio; e una cosa soltanto davanti alla quale dobbiamo inginocchiarci: la bontà”. I grandi dolori non risparmiarono la grandezza di Hugo. Suo fratello Eugène impazzì furiosamente per gelosia nel medesimo giorno che Hugo si coniugò con Adèle, che gli generò cinque figli in otto anni. Il primogenito, Léopold, morì a tre mesi d’età. A questo dolore si aggiunse una strana debolezza che nel 1830 colpì la bella moglie invaghita del famoso e polemico critico letterario Sainte-Beuve, amico di famiglia. Hugo, che lo aveva molto praticato, lo giudicò “velenoso e viscido”. Per quella infedeltà della moglie Hugo si diede al libertinaggio attenuato dalla conoscenza di una generica attrice dal passato opaco, Juliette Drouet di 27 anni, rivalutata dallo scrittore nel 1833 con l’assegnazione di un piccolo ruolo nella rappresentazione dell’opera Lucrezia Borgia. Mezzo secolo insieme Drouet e Hugo. Un ritorno di dolore, ancora grande, colse lo scrittore quando la figlia, tanto prediletta, Léopoldine, gestante da tre mesi, annegò nel 1843, durante una gita in battello, nella Senna assieme al marito Charles Vacquerie. Un anno nero per lo scrittore che pure aveva subito l’insuccesso del suo dramma I Burgravi. Pure l’altra sua figlia, Adèle, detta Dédé, innamorata e non corrisposta, finirà, come lo zio Eugène, la sua esistenza in un manicomio. Quando, in seguito alla rivoluzione del 1848, lo scrittore si spinse sulle barricate, da repubblicano, libertario e progressista, gli venne incendiata la casa e minacciata la famiglia. Seguirono il periodo di clandestinità per una settimana, con la polizia che lo perseguitava, e l’esilio che durò 19 anni, durante il quale patì la fame. Poté ritornare dopo il crollo dell’Impero francese, durante la disastrosa guerra del 1870 contro la Prussia. Si accennava prima alla tragedia della figlia Léopoldine. La sua morte dettò al padre vessato due struggenti liriche. Una lirica, che leggemmo nel dopoguerra in francese e apprendemmo a memoria, s’intitola “Leopoldina”, l’altra, meno antologizzata, “Io so che tu mi attendi”. Nell’una, il poeta canta, fra l’altro: “Rendeva felice la mia sorte,/ il mio lavoro agile, il mio cielo blu.// Era la fanciulla della mia aurora,/era la mia stella del mattino”; nell’altra canta: “Il giorno sarà per me come la notte(…),deporrò sulla tua tomba/un bouquet di agrifogli e di erica in fiore”. Alle cadute, come si è visto, ancora onori grandi. Hugo venne eletto nel 1876 senatore e per il compimento dei suoi 80 anni venne onorato con una festa nazionale. Le cronache di allora scrissero che centomila persone sfilarono davanti alla sua abitazione. Concludendo, Hugo morì il 22 maggio 1885 dopo una settimana di sofferenze. La sua Juliette, che gli era stata fedele compagna, morì due anni prima. Allo scrittore vennero decretate onoranze funebri imponenti. Venne sepolto nel Panthéon, il tempio che conserva le glorie della Francia. Un grande del suo tempo e di oggi Hugo. Quei miserabili del suo romanzo sono quelli del nostro tempo, popoleranno sempre questo nostro pianeta insozzato assieme all’abietto capitalismo. Ma per consolazione “ Pallida mors aequo pulsat pede pauperum tabernas regumque turris”. (1) (1)La pallida morte colpisce con piede infallibile le capanne dei miserabili e le regge dei potenti. Lunedì 15 Ottobre,2018 Ore: 18:09 |