Quando in carcere muore quel negro...

Bruno Gambardella

“Abbiamo rischiato una volta perché il negro ha visto tutto. Un detenuto non si massacra in sezione, si massacra sotto...". Era novembre quando queste parole, raccolte in una registrazione anonima, pubblicate da un quotidiano locale e poi riprese da Il Riformista,  suscitarono rabbia e indignazione nella società civile e nei palazzi della politica. A pronunciarle l'allora comandante degli agenti penitenziari del carcere di Teramo, Giuseppe Luzi, poi rimosso dal ministro della Giustizia Alfano.

A un mese di distanza i riflettori tornano ad essere nuovamente puntati sulla struttura carceraria abruzzeze, più volte visitata da parlamentari in sindacato ispettivo,  questa volta per la morte, sospetta, di un detenuto nigeriano di 32 anni, Uzoma Emeka. Sarebbe proprio lui, infatti, il "negro" cui si fa riferimento nella registrazione. Ascoltato più volte dai magistrati che indagano per far luce sull'eventuale pestaggio cui avrebbe assistito, si era sempre rifiutato di parlare, opponendo un prolungato silenzio intervallato da molti "non ricordo".

Poi il malore e il trasferimento all'ospedale Mazzini di Teramo. un trasferimento forse tardivo,  accusa il suo avvocato: "Uzoma, mentre parlava con la moglie, si è accasciato. All'ospedale, però, ci è arrivato solo dopo l'una del pomeriggio". Su eventuali ritardi nei soccorsi e sulle cause della morte indaga la procura di Teramo che sul caso ha aperto un fascicolo. Si attendono i risultati degli esami autoptici, sottoposti a ripresa video, così come disposto dall'autorità giudiziaria.

La drammaticità del caso sta nel fatto che, da cittadini comuni rispettosi della legge, dobbiamo augurarci che si tratti solo di un caso di malasanità. Sinceramente: come criticare chi, appresa la notizia, ha pensato subito ad una vendetta e ad un individuo suicidato perché sapeva troppo?

  L'oscura vicenda ha provocato, fin da subito, manifestazioni di dura protesta in molte carceri italiane. Sotto accusa, ancora una volta, le condizioni di degrado in cui versano le strutture penitenziarie, assolutamente inidonee per assistere persone con gravi patologie.

I dati diffusi da associazioni come Antigone, Ristretti orizzonti e Nessuno tocchi Caino parlano di circa ottocento decessi di detenuti nel solo anno che sta per concludersi, tra i quali un’ottantina di suicidi.

 Le tragiche vicende di Stefano Cucchi e di Aldo Branzini hanno acceso una lampadina nel buio del mondo carcerario italiano, dove da sempre hanno dominato violenza, omertà e degrado. La nostra speranza, più volta espressa in questa rubrica, è che la magistratura faccia fino in fondo il suo dovere, processando e condannando i responsabili di una delle massime vergogne del nostro Paese: un sistema carcerario incivile e indegno di una nazione che osa dirsi democratica.

 



Mercoledì 23 Dicembre,2009 Ore: 23:42