I muri di Milano

Bruno Gambardella

Milano è una grande città moderna, forse la più europea delle metropoli italiane. La crisi finanziaria internazionale qui si è fatta sentire, eccome, ma l’immagine di “capitale del fare” non è stata intaccata. Passeggiare per il centro significa sì incontrare capolavori dell’arte e i monumenti allo shopping più costoso e di classe, ma anche immergersi in un mondo fatto di uffici finanziari, agenti di borsa, grandi banche.

A differenza di altre grandi città che praticamente non hanno più una periferia (si pensi all’asse Roma-Caserta-Napoli-Salerno: praticamente un tutt’uno senza soluzione di continuità), Milano è circondata dalla campagna ed alcuni quartieri potrebbero offrire una qualità della vita decisamente superiore a quella del centro o di altre città cresciute diversamente. Lo aveva intuito decenni fa il costruttore Silvio Berlusconi, inventore dei ghetti per ricchi chiamati Milano 2 o Milano 3, ma certe scelte urbanistiche potrebbero funzionare ancora oggi per l’edilizia popolare e per quella di media qualità.

Nella zona nord-ovest di Milano i cittadini non discutono di riqualificazione edilizia o di città-verde ma su come proteggersi dall'invasione di roulottes, accampamenti, baracche di rom e clandestini. Ultimamente hanno deciso di recintare l'area occupata - per lo più prati abbandonati - con cumuli di terra in modo da evitare il passaggio agli "ospiti".

 

I milanesi di periferia, stanchi di dover abitare in case protette da inferriate e allarmi laser, di avere paura di essere minacciati e di essere continuamente derubati e scippati, chiedono una svolta definitiva a questa battaglia che va avanti da anni: il Comune interviene per liberare le aree occupate dagli zingari, questi si spostano altrove e poi ritornano. E la storia è sempre la stessa ad ogni sgombero.

I cittadini hanno così deciso di intervenire personalmente, solcando il terreno in modo da creare una vera e propria barriera e prevenire l'ingresso nei campi con la speranza che, come già successo in una cittadina della provincia lombarda qualche anno fa, i rom non intervengano con ruspe per spianarsi la strada.

L'insediamento rom più grande della periferia milanese è situato in via Triboniano dove gli abitanti difendono le proprie abitazioni, oltre che con allarmi, anche con sbarre appuntite e filo spinato sui muri, nonostante il Comune abbia già innalzato un muro per separare il campo nomadi dalle abitazioni e abbia effettuato dal mese di gennaio, 160 sgomberi. Ma come ha dichiarato anche il vice sindaco Riccardo de Corato, il problema così viene solo spostato e non risolto.

Partono così le idee per restituire ai cittadini la sicurezza a cui hanno diritto.

Secondo il Comune di Milano una soluzione sarebbe innalzare dei muri divisori attorno ad ogni campo nomade. Secondo i critici invece occorre intervenire rafforzando la sicurezza notturna, in modo da prevenire anche gli atti vandalici, ed effettuando la recinzione dei parchi (come Il Parco delle Basiliche negli anni '90 e il parco in viale Montenero avvenuta qualche mese fa dove i giovani si ritrovavano fino a tarda notte disturbandola quiete) e delle strutture che possono fungere da riparo per profughi e clochardes come le gallerie.

Un'alternativa del tutto diversa e da prendere in considerazione è stata proposta da De Corato: il coinvolgimento delle aziende agricole per concimare e coltivare quei terreni abbandonati, in modo da evitare che possano essere occupati nuovamente e contribuendo così alla salvaguardia dell'ambiente e all'incremento economico dei Comuni coinvolti.

Quest’ultima ipotesi mi sembra intelligente ed efficace. Il problema dei rom esiste ed è inutile far finta di niente, ma credo sia chiaro a tutti che, mai e poi mai, sono stati i muri a risolvere le questioni.

 



Luned́ 02 Novembre,2009 Ore: 12:56