GIORNATA DELLA MEMORIA E GIORNO DEL RICORDO
Dopo listituzione del Giorno della Memoria per il 27 gennaio (anniversario della liberazione del campo di sterminio di
Auschwitz da parte dellArmata Rossa sovietica), le associazioni irredentistiche degli esuli istriani hanno tanto fatto e
brigato da ottenere, nel 2004, che il 10 febbraio, cioè a pochi giorni di distanza da questa ricorrenza, venisse istituito
il "Giorno del Ricordo" (si noti qui anche la similitudine linguistica tra "ricordo" e "memoria"), "dellesodo e delle
foibe", ricorrenza istituita anche con il beneplacito di buona parte del centrosinistra, soprattutto i DS. A tre anni di
distanza da questa "operazione", possiamo vedere gli effetti che essa ha avuto sulla scena politica e culturale italiana
(ma anche internazionale).
Innanzitutto vediamo che già da metà gennaio, cioè in prossimità del Giorno della Memoria, le associazioni degli esuli
riempiono il calendario di proprie iniziative che, stante la vicinanza delle date e stante il fatto che, vuoi per capacità
organizzativa, per spirito combattivo, per disponibilità di fondi, o chissà per quali altri motivi, sono molto più numerose
e visibili di quelle indette per il 27 gennaio, mettendo di fatto in secondo piano quelle relative a questa ricorrenza. Cè però una differenza di fondo nellatteggiamento di chi si occupa delle due "giornate". Mentre nelle intenzioni di chi
ha ideato la Giornata della Memoria e di chi per celebrare questa giornata organizza convegni, dibattiti, iniziative
culturali lo scopo era quello di ricordare ciò che è stato (la follia guerrafondaia e criminale del nazifascismo) affinché
la storia non si ripeta e non vi siano più genocidi e violenze, la stessa cosa non la rileviamo nelle iniziative indette
dalle varie associazioni di "esuli istriani" per il 10 febbraio (e parliamo qui della Lega Nazionale ed anche delle
Comunità istriane). Chi ha avuto modo di sentire o di leggere le testimonianze dei sopravvissuti dai lager nazifascisti (e diciamo nazifascisti
perché anche il fascismo ha avuto i propri lager, pensiamo solo a quello di Gonars che si trovava a pochi chilometri da
Trieste, circostanza spesso ignorata dagli stessi antifascisti), sa perfettamente che nella memoria di essi non cè posto,
di norma, per lodio, per il rancore, per il desiderio di vendetta. Nella maggior parte dei casi, chi ha vissuto sofferenze
indicibili, preferisce dimenticare, cerca loblio e per questo lascia da parte i sentimenti di odio che invece tengono vivo
il dolore del ricordo. Se andiamo invece a seguire le iniziative per il Giorno del Ricordo (10 febbraio), vediamo che la maggior parte di esse non
sono finalizzate al superamento della fase storica che ha portato al Trattato di pace (perché il 10 febbraio è quello del
1947, quando lItalia finalmente siglò il trattato di pace con il quale venivano sanciti i nuovi confini sorti dopo la
seconda guerra mondiale), ma al reiteramento di una propaganda irredentistica, che partendo da dati storici falsi (come
lingigantimento delle cifre degli "infoibati", cioè di coloro che, nellallora Venezia Giulia furono uccisi, per vari
motivi, tra i quali anche fatti di guerra, dai partigiani jugoslavi o condannati a morte come criminali di guerra dai
tribunali jugoslavi), e dalla ripetizione della vecchia teoria (un tempo solo fascista) che il trattato di pace fu in
realtà un diktat per lItalia, ribadisce la teoria degli "ingiusti confini", delle "terre rubate" e conclude con lo slogan
"volemo tornar". Ora non ci dilungheremo sulla questione delle "foibe", perché fin troppo spesso ne abbiamo parlato su queste pagine;
diciamo solo che quelli che vengono fatti passare per "infoibati sol perché italiani" nella maggior parte dei casi si
possono inserire nella categoria dei "morti per cause di guerra", ricordando che nel corso della seconda guerra mondiale
sono morte milioni di persone, a causa di una guerra che è stata voluta ed iniziata (cosa che pochi ormai ricordano) dalla
volontà imperialistica dei regimi nazifascisti. È stata lItalia fascista ad invadere, senza dichiarazione di guerra, ed a
spartirsi, assieme ai propri alleati, la Jugoslavia, devastandola e provocando orrende stragi di civili; sono stati i
regimi nazifascisti che hanno dichiarato guerra al mondo intero, perché volevano prendere il controllo di esso, e, dato che
fortunatamente per i destini del mondo, la cosa non gli è riuscita e sono stati sconfitti (anche grazie al contributo di
sacrifici delle varie resistenze europee, tra le prime quella jugoslava), alla fine del conflitto hanno dovuto pagare, in
termine di perdita di territorio, questa sconfitta. Così entriamo nel merito della questione che più è dibattuta in questi giorni nei convegni organizzati per il 10 febbraio:
la questione degli "ingiusti confini". Se, come abbiamo sentito dire spesso in vari convegni cui abbiamo assistito, il diritto italiano sullIstria e su Fiume era
dato dal fatto che questi territori erano stati annessi in seguito alla prima guerra mondiale (dove Fiume, ci si lasci
dire, è stata annessa allItalia con un colpo di mano in barba al trattato di pace ed al diritto internazionale), volendo
seguire questa logica (che non è quella di "sangue e di suolo" che altri proclamano), dobbiamo accettare anche il fatto che
in seguito ad un altro conflitto altri confini sono stati tracciati e territori che erano stati conquistati grazie ad una
guerra vinta, sono poi stati tolti per una guerra (daggressione, ricordiamolo) perduta. Così abbiamo sentito il professor Raoul Pupo, che sicuramente non è uno storico "neofascista", sostenere che in realtà il
trattato di pace del 1947 non è stato firmato con lItalia, ma sopra lItalia, perché alla fine della guerra lItalia non
esisteva come soggetto politico internazionale e quindi non aveva alcuna possibilità di negoziare, con i vincitori della
guerra, i propri confini. Questa interpretazione, che è un po una variante del concetto di diktat, però non tiene conto di
una cosa fondamentale: che lItalia non era stata aggredita da nessuno degli Stati che vinsero la guerra, e che il fatto
che lItalia aveva perso la guerra era la mera conseguenza del fatto che laveva iniziata. Lattribuzione dellIstria alla
Jugoslavia, sostiene Pupo, rientra nella logica geopolitica di "accontentare" Tito, allinizio concedendogli i territori
che aveva militarmente conquistato, e successivamente per "tenerselo buono" in funzione antisovietica. Ma al di là del diritto di "conquista" (che, come abbiamo visto prima, viene di solito fatto valere per i territori annessi
dopo la prima guerra mondiale dallItalia), queste interpretazioni di Pupo non tengono conto di altre cose. Che i territori
istriani, ad esempio, non sono "italiani" per diritto di "sangue e di suolo", dato che la popolazione è mistilingue, con
predominanza di sloveni e croati allinterno e di istro-veneti sul litorale. Perché quindi dovrebbe essere "naturale" che
questi territori dovessero rimanere allItalia piuttosto che alla Jugoslavia, tenendo anche conto che lItalia doveva
risarcire danni di guerra di non poca entità al Paese che aveva invaso? Una volta sancito, in queste conferenze "storiche", che i confini sono, tutto sommato, ingiusti, i vari relatori vanno ad
analizzare la questione dell "esodo" degli istriani. Diciamo subito che, a parer nostro, un "esodo" che si prolunga per
ventanni non può essere un "esodo" causato da "pulizia etnica". Citiamo a questo proposito la testimonianza del
giornalista Fausto Biloslavo, di passata militanza nel Fronte della gioventù, che si è più volte autopresentato come
"nipote di infoibato e figlio di esule", che nel corso di un intervento ha spiegato che il nonno paterno, di Momiano,
dovette fuggire a Trieste "rocambolescamente" allarrivo dei partigiani, "perdendo tutto", e la moglie poté raggiungerlo
assieme ai figli appena nel 1954. Dunque la famiglia rimase per nove anni a Momiano, sotto il "regime titino", che
evidentemente non li "infoibò", né li espulse, nonostante con tutta probabilità il nonno fosse stato coinvolto con il
regime fascista, se aveva dovuto filare via in fretta e furia abbandonando moglie e figli. Ma queste contraddizioni stranamente non vengono rilevate da chi ascolta. Del resto, il racconto di Biloslavo non si
discosta molto, per coerenza, da altre interpretazioni "storiche". Il professor Pupo, ad esempio, sostiene che allinizio
il "regime jugoslavo" aveva fatto una distinzione tra italiani assimilabili al "regime" (operai, contadini, proletariato in
genere) ed altri non assimilabili (i ceti più elevati), che furono cacciati fin dallinizio. Ammesso e non concesso che
questa interpretazione sia attendibile, non passa per la mente dello studioso che si fosse trattato di una "epurazione"
politica e di classe e non etnica? Che furono indotti ad andarsene i possidenti, che avrebbero perduto, con il socialismo,
i loro possedimenti, nonché i fascisti, esattamente come accadde per sloveni e croati che non si identificavano nel nuovo
sistema di governo? Pupo sostiene poi che successivamente, dopo la svolta del Kominform, anche gli italiani che erano
rimasti furono cacciati via, perché tutti simpatizzanti per lURSS, in questo modo sarebbe stata completata la "pulizia
etnica": questa ci sembra ancora più fuorviante come interpretazione. Se ciò che sostengono questi studiosi, cioè che la
comunità italiana fu interamente espulsa, con le buone o con le cattive, dalla Jugoslavia, fosse vero, oggi non avremmo in
Istria una comunità italiana forte, compatta, ricca di istituzioni culturali, cosa che pure viene invece rivendicata da
quegli stessi rappresentanti degli esuli che prima parlano di pulizia etnica e poi del fatto che gli italiani in Istria
sono tuttora numerosi e presenti, senza rendersi conto che la seconda cosa escluderebbe la prima. La comunità italiana in Jugoslavia ha sempre goduto di diritti specifici, a cominciare dalle scuole, per proseguire con il
bilinguismo e con i seggi garantiti nei vari parlamenti. Se questo significa pulizia etnica, cosa dovrebbero dire gli
sloveni dItalia, che se oggi hanno le scuole con lingua dinsegnamento slovena è solo grazie al fatto che sono state
istituite dagli angloamericani e poi conservate in base ad una precisa clausola contenuta nel Memorandum del 1954, mentre
tutti gli altri diritti sono ben al di là di venire? Ma è proprio grazie alle mistificazioni degli argomenti storici che alla fine emergono i contenuti che sono, a parer
nostro, più preoccupanti, e che possono essere sintetizzati nello slogan "volemo tornar" che tanto spesso viene citato in
queste rassegne, e sui quali contenuti ritorneremo, per un approfondimento, in un prossimo articolo.
Lunedì, 11 febbraio 2008
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