La violenza contro la natura: disperazione od opportunità?
di p. Dàrio
cari amici, xxxxxxxxxxx Riflessione liberamente ispirata al testo "Lintera creazione geme …", RIBLA 21 http://padredario.blogspot.com/ Il gemito di Giobbe ed il gemito della creazione. Nella Bibbia ci sono due forti gemiti, che lo stesso Dio fatica a consolare. Il gemito di Giobbe è il grido di una persona che si lamenta per la sua situazione (sofferenza, miseria, malattia, esclusione …) e cerca avidamente migliori condizioni. La creazione, dal canto suo, geme lamentando la sua vocazione alla vita costretta dalla violenza e minacciata di morte definitiva. Il sistema economico attuale pone in conflitto queste due grida, crea competizione tra gli interessi della persona e quelli della natura. Laccesso al lavoro si scontra con la preservazione dellambiente (per ogni nuova impresa pianificata, la parola magica che apre la strada a tutte le licenze è la promessa di centinaia di nuovi posti di lavoro … anche se quasi sempre si tratta di montature promozionali). Allo stesso modo, la natura è considerata nemica del progresso e dello sviluppo. Giobbe cerca una vita piena ed abbondante; i suoi interessi sono soddisfatti nei paesi sviluppati, mentre la natura continua a gridare da lontano, nei paesi-deposito più poveri del mondo. Giobbe, dal canto suo, si sente completamente innocente e pure in diritto di gridare contro Dio, recriminando vita e soddisfazione personale. Il Signore gli dá ragione: "se il tuo orizzonte fosse solo la sfera personale, avresti tutto il diritto di gridare e lamentarti. Ma lascia che la tua voce si calmi e comincia ad ascoltare anche altre grida: il clamore della natura, delle masse dei poveri, del sistema squilibrato che sta franando … Comincia ad integrare le tue necessità con quelle dellintera creazione!" E questo il senso della bella poesia di risposta con la quale Dio riesce ad ammansire Giobbe ed includere la sua vita in una sfera esistenziale più ampia (Giobbe 38-42): Ha forse un padre la pioggia? Dal seno di chi è uscito il ghiaccio Giobbe, che inizialmente si sentiva vittima innocente ed unico meritevole della compassione di Dio, apre gli occhi e dichiara umilmente: "Ho esposto dunque senza discernimento cose troppo superiori a me, che io non comprendo" (Giobbe 42,3). Il nostro piccolo uomo sta cominciando a pensare con il cuore grande di Dio; ha incluso nei suoi sentimenti, sofferenze e desideri anche quelli della vita più ampia che lo circonda. Adesso è in sintonia con la creazione, ha superato il conflitto tra gli interessi dellindividuo e il bene maggiore del tutto che esiste. A chi spetta una teologia della terra? Chi ci aiuterà a vivere, individualmente e come società, questa conversione di Giobbe? Senza dubbio non saranno le grandi multinazionali, potenti divulgatrici della loro teologia personale. Loro vogliono definire – dallalto al basso- ciò che è sostenibile, "verde", puro. Ma "le vittime sono sempre locali" (Vandana Shiva). E in basso che si ha la vera nozione dellimpatto di ogni progetto. Da tempo, Dio ha cambiato di posto! Non ci serve più qualcuno che ci dica dallalto ciò che è bene e ciò che è male; non crediamo che la verità stia semplicemente nella versione divulgata dei fatti; non abbiamo fiducia nei potenti mezzi di comunicazione che conquistano la coscienza. "La verità si trova nelle vittime" (Jon Sobrino) e Dio ha scelto questo unico luogo dinterpretazione della realtà! Perciò una nuova teologia della terra può nascere soltanto nelle ferite delle vittime, lasciando parlare i corpi offesi ed ascoltando il lamento della creazione, dal basso. Il Vangelo rivela che Cristo risorto porta con sé le ferite della croce … ed è esattamente a partire da queste che Tommaso riconosce il Signore. Le ferite della terra e del popolo sono il Corpo di Cristo violato, punto di partenza per una riflessione permanente sulla Vita e sulla Resurrezione possibile. Alcuni pilastri di questa teologia della terra. Assumendo il punto di vista "di quelli del basso", possiamo rilevare tre espressioni interessanti:
"Non ce la facciamo più!" è il grido ogni volta più frequente che ascoltiamo, restando a fianco delle vittime. E questo lamento si fa reazione, arriva a parlare più alto della violenza incarnata nella realtà dalle grandi imprese, che agiscono silenziose ed impunite passando sopra i poveri. Allinizio questa rabbia può spaventare e sembrare violenta; poco a poco finiamo collidentificarla con il desiderio istintivo di farsi ascoltare: quando il rumore di fondo della violenza è costante ed oppressivo, bisogna alzare la voce. Ci sono persone e gruppi che da tempo hanno abbassato la testa di fronte alla pressione violenta imposta su di loro: si sono abituati; ci sono altri (e stanno aumentando) che non sopportano più ed hanno il coraggio di prendere posizione. A volte speriamo che questa rabbia possa contagiare più persone, perché il desiderio di consumo e di accumulazione spengono lo spirito. Oggi in Brasile un movimento parallelo in vari Stati della Federazione sta provando a "legalizzare la violenza storica": i danni ambientali, le carneficine, il disboscamento, linquinamento vengono considerati un male inevitabile, che è successo e che non si può più aggiustare. Questo gruppo di potere mira a negare la storia, annullare il legame stretto tra i popoli indigeni con le loro terre che fanno gola a tutti, diminuire la dimensione dellAmazzonia Legale cosi che nessuno possa più tentare di recuperare le condizioni originarie. Di fronte a questo pensiero clandestino che cerca di mascherare la violenza subita da queste regioni è necessaria una reazione vigorosa, orgogliosa: la rabbia deve svegliarci!
Dallinizio dellumanità, si percepisce un legame indissolubile tra Dio, il popolo e la terra. La vita non esiste in mancanza di uno di questi tre elementi. Lo stesso avviene nella cultura dei nostri popoli della terra: profondamente religiosi, senza preoccupazioni di dottrina o paura del sincretismo: "Tutto ciò che è fonte di vita per il povero stanco e demoralizzato fa parte del volto di questo Dio che è unico, ma che per ognuno dei poveri assume una faccia diversa, capace di generare vita" (S. Gallazzi). Allinterno dei nostri popoli si nasconde un potenziale inespresso di vita ed attenzione: basta osservare con che solidarietà e prontezza una famiglia povera aiuta unaltra ad educare i figli, adottare o ricevere un bambino, condividere il pane. Queste stesse famiglie possono maturare un sentimento analogo di attenzione verso la vita come un tutto, a partire da nuove piccole pratiche come: disciplina ed autocontrollo al gettare limmondizia (diminuendola o differenziandola); amore e rispetto per gli alberi; maggior attenzione alla bellezza dei nostri quartieri, case, ambienti …
Le vittime sono sempre locali, quindi la risposta deve nascere da loro. Si tratta di quelle piccole pratiche che abbiamo già accennato: i poveri dispongono di una grande creatività per guadagnare il loro sostentamento e possono applicare la stessa creatività per rendere lesistenza di tutti davvero sostenibile. In questo senso leducazione di base ha un potenziale enorme ed ha già dimostrato che può trasformare la società. Questa creatività personale deve poi trasformarsi in creatività politica: oggi si può investire in microcredito, progetti di generazione di rendita, agroecologia ed agricoltura familiare, progetti di scambio di beni tra campagna e città… Siamo al principio di una nuova creazione, se vogliamo. Dipende da noi, come ben evidenzia Ivone Gebara: "La terra non ha forma e loscurità lavvolge … Siamo al principio. Il disordine e la violenza imperano e non si conoscono più i sentieri della terra fertile, dellacqua limpida, del cantare degli uccelli colorati, delle stelle che brillano nel firmamento, della luce accogliente del sole o di quella della luna, amena e argentata, e del sorriso soddisfatto degli umani. Siamo al principio, il principio caotico di tutto, il principio/fine "delleterno oggi" di tutta la creazione. Siamo al principio oggi, siamo oggi al principio!".
Lunedì, 13 ottobre 2008 |