La parola ci interpella - Approfondimenti
La sete d’amore

di Mario Mariotti

Anche se noi prendiamo Gesù come un uomo fra gli uomini, un individuo storico al pari di ognuno di noi, figlio di Dio, se Dio c’è, come lo siamo noi, la Sua esperienza ed il Suo messaggio rimangono sempre e comunque validi, significativi, portatore di un valore intrinseco, non legato alla divinità del personaggio, ma alla sua umanità, e quindi alla Verità. L’attitudine al dialogo, la cultura del necessario, il non-accumulo, l’accoglienza degli emarginati, il perdono, l’amore, la condivisione, la denuncia dell’ipocrisia, il giudizio netto sulle “condizioni” e la misericordia verso le persone, la testimonianza della necessità del superamento della religione e quella dell’impegno a pagare di persona per realizzare la giustizia, l’eguaglianza e la fraternità, l’invito alla soggettività strutturalmente solidale, quello a costruire un mondo nuovo attraverso la pratica dell’amore reciproco, sono tutti valori laici, che devono essere spesi fra gli uomini e per gli uomini, e che corrispondono all’imperativo etico della necessità di fare agli altri ciò che noi vorremmo ricevere da loro; alla necessità di considerare il nostro prossimo sempre come “fine”, e mai come “strumento” per raggiungere un altro fine.
La verità non necessita del divino o del miracolo; Gesù stesso si definisce “figlio dell’Uomo”, e dice a Pilato di essere per testimoniare la verità.
Questa considerazione mi serve per denunciare l’alienazione e la mancanza di senso che ha la divisione fra credenti e laici, fra credenti e agnostici o anche atei, divisione che fa parte della cultura religiosa probabilmente dal tempo di Ur dei Caldei, e che ormai mi ha saturato per questa e per la prossima era geologica!
Questa divisione ideologizza la Fede, e costituisce un pilastro dell’alienazione generata dalla visione religiosa della realtà, dalla quale il Signore vorrebbe liberarci; essa è estremente funzionale alla casta sacerdotale, e devia l’attenzione dalla necessità dell’impegno per la materializzazione dell’Amore, in termini di Fede, o dei Valori, in termini laici, formalizzazioni diverse per definire un’unica sostanza ed un’unica necessita. Per i sacerdoti, la prima cosa da fare è credere, la seconda è pregare, la terza è ubbidire, altrimenti si pecca di superbia e si offende la regalità divina del Padre onnipotente e buono.
La realtà non è certo questa, e non lo è né in termini di Fede, né in termini laici.
Per entrambe le culture, che esistono e restano divise per i limiti della natura umana e per l’attitudine della casta sacerdotale a servirsi e non a servire la Verità, il fondamentale sta, e va focalizzato, nella necessità dell’Incarnazione.
Il linguaggio di Fede direbbe che la prima cosa da fare non è il “credere” ma l’amare, è il rispondere positivamente alle necessità dell’affamato e dell’assetato; poi, che la preghiera non è necessaria, perché siamo noi stessi la risposta di Dio alle nostre preghiere; poi, che l’ubbidienza agli uomini è spesso una bestemmia di quella che è dovuta alla Verità; infine, che il peccato di superbia è specifico non del laico, ma della casta sacerdotale, che nutre la presunzione blasfema di poter conoscere, interpretare e pilotare essenza ed esistenza dello stesso Dio, di cui si sente sia custode che padrona.
Il linguaggio laico presenta, per parte sua, i vantaggi di una maggior semplicità: non si tratta solamente di impegnarsi a distinguersi dai cosiddetti “credenti”, (mentre spesso, di fatto, non ci si rende conto di essere omogenei ad essi in rapporto all’alienazione, la sola realtà che sia veramente ecumenica).
Non si tratta, infatti, di “credere di fare”, ma di “fare” agli altri ciò che si vorrebbe loro facessero a noi; si tratta della necessità di servire sempre l’uomo, e di non usarlo mai per gli interessi propri.
Il laico, l’agnostico, l’ateo, possono tranquillamente pensare che il Signore sia stato solo un uomo, un testimone laico di valori laici che ci ha rimesso la vita, come tanti altri, perché si era messo contro il potere religioso e politico del suo tempo e di ogni tempo.
Facendo questo, non tolgono nulla alla forza che la Verità dà a Cristo. Il credente può vedere, anzi necessariamente in quanto credente vede in Gesù il Figlio di Dio, fattosi uomo per indicarci il modo di costruire il Regno, questo nostro mondo compiuto secondo Amore.
Per entrambi, però, il fondamentale è l’incarnazione laica di quell’amore e di quei valori di cui il Signore, assieme ad altri personaggi storici, è stato testimone.
Dio, se c’è, non vuole altro da noi che questo rapporto positivo con l’affamato e l’assetato, cioè con le necessità di tutti i viventi.
La Sua esistenza nel mondo è nelle nostre mani.
Gesù stesso non ci presenta poi un Dio che ci è Padre, che ci ama di amore incondizionato, che ha bisogno di essere incarnato da noi per poter esprimere il Suo amore per noi.
Come ho già scritto da qualche parte, secondo il mio pensiero nessuno è veramente ateo, perché ognuno di noi ha qualche Dio, o idolo, che più ho meno consapevolmente sta servendo.
In genere, nella maggior parte dei casi, il nostro vero Dio è il nostro “io”, siamo noi stessi, siamo “i nostri interessi”.
L’unico veramente e strutturalmente ateo è solo Dio, che non può avere un Dio perché è Dio lui stesso.
Ma anche qui il Signore sembra alludere ad una verità sorprendente: se Lui è una cosa sola col Padre, e Lui è venuto per servire e non per farsi servire, la conseguenza logica è quella che l’uomo è il Dio di Dio, essendo l’oggetto dell’amore del Padre creatore per la propria creatura. È un’ipotesi assurda? Affatto!
L’amarci fra noi come Dio ci ha ama è il comandamento nuovo che sacralizza le creature, gli uomini stessi, che devono essere sempre fini è mai mezzi per altri fini.
Il fare agli altri ciò che si vorrebbe ricevere da loro, poi, allude ugualmente alla necessità di amare ogni creatura, perché noi stessi sappiamo bene quanto sia grande, importante, assillante la nostra sete d’amore, il nostro desiderio di ricevere amore…

Mario Mariotti
15 Novembre 2007



Venerdì, 16 novembre 2007