La guerra contro lIran, secondo il gen Mini, starebbe dunque per scattare e lItalia sarebbe già in prima linea. Il soldato del SISMI morto in Afghanistan probabilmente stava "lavorando" proprio per tale scopo. Il tutto senza che il parlamento, il presidente della Repubblica ed il Popolo Italiano sappia alcunchè di cosa stia effettivamente succedendo in Afghanistan e quali siano le vere intenzioni degli Stati Uniti e del suo presidente Bush. Farà o no la guerra nellanno che lo separa dalla elezioni per la Casa Bianca che il Partito Repubblicano rischia di perdere alla grande? O farà la guerra proprio per vincere quelle elezioni? Domande a cui non siamo in grado di rispondere. Sappiamo però che abbiamo il dovere come cittadini di questo mondo di far sentire la nostra volontà di pace. Giovanni Sarubbi
Operazione sciame di fuoco di Fabio Mini Tutto è pronto per la guerra. E loffensiva non colpirà soltanto gli impianti nucleari ma cancellerà tutta la potenza iraniana. Concentrando le forze dattacco più moderne in orde come quelle di Gengis Khan Chi pensava che il via libera allattacco israelo-statunitense allIran sarebbe venuto dal Congresso americano si sbagliava. E si sbagliava anche chi pensava che un presidente Bush frustrato dal caos iracheno, dallo stallo afghano e dalle pressioni delle lobby industriali avrebbe finito per decidere da solo. Lattacco allIran si farà grazie alle dichiarazioni del neo ministro degli Esteri francese Kouchner. In questi anni di minacce e controminacce, di scuse e pretesti per fare la guerra le uniche parole rivelatrici sono state quelle della laconica frase "ci dobbiamo preparare al peggio". Molti le hanno prese come uno scivolone, altri le hanno considerate una provocazione scaramantica, altri come un incitamento e altri ancora come una rassegnazione ad un evento ineluttabile. Può essere che la frase contenga tutto ciò ma lessenza profonda delle parole di Kouchner è diversa.
In questi ultimi 15 anni di interventi militari di vario tipo e in tutte le parti del mondo si sono stabilite strane connessioni e affinità. Gli eserciti sono integrati dai privati, gli idealisti dai mercenari, gli affari dallideologia, la verità si è intrisa di menzogne che neppure la logica della propaganda riesce più a scusare. Ed una delle connessioni più insolite è quella che si è realizzata tra militari, operatori umanitari e politica estera arrivando a permettere che ognuna delle tre componenti si possa spacciare per le altre due. Il collante principale di questo connubio è la concezione dellemergenza. La politica estera ha perduto il carattere di continuità dei rapporti fra gli Stati e nellambito delle organizzazioni internazionali. Si dedica ormai da tempo a gestire rapporti di emergenza, rapporti temporanei legati ad interessi o posizioni transitorie e mutevoli e a geometrie variabili.
Daltra parte, la politica dellemergenza è lunica che permette limpegno limitato e selettivo. Inoltre, siccome la dimensione dellemergenza può essere manipolata o interpretata, può essere costruita o smontata a piacimento. Seguendo la stessa logica, gli eserciti di questi ultimi quindici anni si sono dedicati esclusivamente allemergenza, preferibilmente esterna e per motivi cosiddetti umanitari in modo da garantirsi consenso e sostegno. Non ci sono più eserciti capaci di difendere i propri territori o di assicurare la difesa in caso di guerra. È sempre più difficile trovare uno Stato che sia minacciato di guerra da un altro Stato e tutti gli eserciti del mondo oggi contano su un preavviso di almento 12 mesi per mobilitare le risorse idonee alla difesa nazionale. Si sono perciò specializzati nellemergenza sia come tipo sia come tempo e ritmo degli interventi.
Quando Kouchner dice candidamente che ci dobbiamo preparare al peggio non fa altro che interpretare una filosofia che non si pone come obiettivo la ricerca del meglio, della soluzione meno traumatica, ma che invoca la gestione dellemergenza da parte della politica, dello strumento militare e delle organizzazioni umanitarie ormai legate a doppio filo. È anche lammissione dellincapacità della stessa politica nel pensare e trovare soluzioni durature, dellincapacità degli strumenti militari di gestire situazioni conflittuali fino alla completa stabilizzazione e dellincapacità delle organizzazioni umanitarie di risolvere i problemi della gente in una prospettiva un po più lunga di quella offerta dallemergenza. Infine Kouchner ammette anche che la somma di queste incapacità conduce ineluttabilmente alla guerra. E allora guerra sia.
È evidente che in queste condizioni sono necessarie alcune forzature che garantiscano la realizzazione dellemergenza e degli interventi delle varie componenti: deve succedere qualcosa - quello che gli analisti chiamano trigger - che determini lemergenza politica, deve essere in immediato pericolo la sicurezza collettiva e si deve prevedere una catastrofe umanitaria (più grande è meglio è). Si deve in sostanza possedere un apparato gestibile capace di inventare lemergenza e di inventarne la fine che consente il distacco e il disimpegno a prescindere dalla soluzione dei problemi. Lattacco allIran rientra perfettamente in questo quadro e, a ben vedere, è un quadro ormai quasi completo. La disponibilità di pretesti per lattacco è molteplice.
Lidea che lIran voglia sviluppare un ordigno nucleare e che voglia distruggere Israele è ormai largamente ammessa da tutti. Mancano i riscontri e le prove oltre alle fanfaronate, ma siamo stati testimoni di fanfaronate terroristiche che si sono comunque materializzate e nessuno vuole più rischiare, neppure per amore della verità. Un attacco iraniano o sostenuto dagli iraniani alle forze americane in Iraq, anche questo senza prove, sta convincendo persino i più scettici. Prima o poi, a forza di parlarne ed evocarlo, sarà preso come un invito o una sfida e sarà fatto sul serio. La politica iraniana di sostegno ad Hamas e agli Hezbollah rende Teheran estremamente vulnerabile. Basta unintemperanza o un errore di queste formazioni per scatenare un intervento militare immediato. La politica estera dei maggiori paesi, Europa inclusa, si è ormai abituata allidea che un intervento armato sia in grado di ricacciare lIran sulle posizioni di ventanni fa. Sta anche passando lidea che lo scopo non è tanto e soltanto quello di impedire la formazione di una potenza nucleare, ma quello di eliminare il paese come attore regionale portatore dinteressi petroliferi e strategici in tutta lAsia centro-meridionale. Sul piano militare tutto è ormai pronto da tempo. I piani dattacco sono in vigore dal 1979, allepoca della crisi dellambasciata Usa, e sono stati aggiornati con nuove tecnologie e strategie. La tesi che si tratti di un attacco mirato essenzialmente alle strutture atomiche senza danni collaterali per la popolazione civile è soltanto una pietosa fantasia di chi si è ormai abituato a mentire. Anche lidea che possa essere limitato al territorio iraniano è quanto meno sospetta, perché lo scopo dellostinazione e dellostentazione degli ayatollah da una parte e di quella israelo-americana dallaltra riguarda interessi e ambizioni che vanno ben al di là del Golfo persico.
Qualsiasi genere di attacco produrrà ingenti perdite di militari e civili a prescindere che sinneschi una emergenza nucleare di fall out o una fuga di radiazioni. Qualsiasi attacco non potrà che avere come premessa la distruzione delle strutture difensive: basi aeree e missilistiche, depositi, rampe mobili, porti militari, unità in navigazione, difese contraeree e radar, reparti terrestri mobili e corazzati, centri di comunicazione e di comando e controllo dovranno essere eliminati prima o contemporaneamente allattacco alle installazioni nucleari. Molte di queste strutture coincidono con i maggiori centri abitati. Facendo la tara ai più sofisticati missili da crociera, alle bombe intelligenti guidate sugli obiettivi da parte dei commandos israeliani e statunitensi, già da tempo allopera in Iran, rimane un margine abbastanza elevato di danni collaterali. Se dovessero essere usati al posto delle bombe ad esplosivo convenzionale bunker busting i mini ordigni nucleari a fissione o le bombe a neutroni, la percentuale di danni potrebbe aumentare ma non così enormemente come molti asseriscono.
Anche la tesi che si possano fare attacchi chirurgici con una sola componente, quella aerea e missilistica, è uno specchio per le allodole. Unazione complessa che miri, come si dice di voler fare, a rispedire il potenziale bellico iraniano alletà della pietra, presuppone azioni di attacco multiple, con forze multiple, da direzioni multiple in tempi ristretti in modo da impedire allavversario, come diceva il colonnello Boyd, ogni capacità di decisione, risposta e controstrategia. Lazione multipla deve anche prevenire la ritorsione diretta da parte delle forze aeree e navali iraniane contro le installazioni e i trasporti petroliferi nel Golfo Persico e in quello di Oman. Deve neutralizzare le minacce missilistiche alle basi militari americane in Asia Centrale e nel medio Oriente. Deve impedire azioni iraniane di strategia indiretta in Afghanistan, in Pakistan, in Iraq, in Libano, a Gaza, nel Caucaso e in ogni altro posto dove uno sciita può creare un fastidio. Teheran inoltre controlla la costa settentrionale dello stretto di Hormuz e la chiusura di questa via dacqua al traffico delle petroliere potrebbe far schizzare il prezzo del petrolio a livelli oscillanti tra i 200 e i 400 dollari al barile. Lo stesso risultato si otterrebbe se lIran ritorcesse le azioni di sabotaggio e bombardamento sugli impianti petroliferi di altri paesi dellarea. La strategia militare dellattacco allIran non può perciò essere affidata ad un attacco chirurgico o ad una sola componente. Non può che essere quella della Swarm Warfare, la guerra dello sciame o dellorda, riesumata da Arquilla e Ronfeld dopo linsuperabile applicazione di Gengis Khan. In termini moderni questa strategia attiva tutte le dimensioni della guerra - terrestre, navale, aerea, missilistica, spaziale, virtuale e dellinformazione - su teatri e livelli multipli. Per far questo occorre che lo sciame delle varie componenti e delle azioni che si sviluppano concentrandosi in un luogo e in una dimensione per poi trasferirsi su altri luoghi e altre dimensioni sia comunque sufficiente ad impedire qualsiasi reazione. Le orde incaricate della distruzione fisica degli obiettivi devono integrarsi e concentrarsi sui bersagli con le orde virtuali delle azioni diplomatiche, della guerra psicologica e con quelle della manipolazione dellinformazione.
Le azioni militari devono poi essere finalizzate a creare una emergenza umanitaria che consenta lintervento di organizzazioni internazionali in territorio iraniano. Ovviamente la catastrofe deve essere attribuita alla responsabilità degli stessi iraniani. Anche in questo campo tutto è ormai pronto o quasi, soprattutto dopo lesortazione di Kouchner. Agenzie internazionali e organizzazioni non governative stanno già scalpitando per andare in Iran a togliere il velo alle donne. Se si dà loro la possibilità dintervenire per raccogliere i rifugiati, curare i feriti, fare la conta dei morti ed indire una tornata di elezioni al mese, ci sarà la gara per portare la democrazia in Iran.
La complessità di questo scenario non deve indurre a credere che si debbano mobilitare quantità enormi di forze. Le capacità di bombardamento degli stormi israeliani e statunitensi sono talmente elevate da essere in grado di battere obiettivi multipli con un numero limitato di velivoli. I missili da crociera che possono essere lanciati dal mare sono ormai armi tecnologiche che non hanno bisogno di interventi di massa per realizzare distruzioni mirate o su larga scala. Semmai la molteplicità dei piani e dei livelli dintervento porrà problemi di coordinamento, comando e controllo, ma nulla di eccezionale. Stati Uniti e Israele collaborano da mezzo secolo e i problemi di pseudo autorizzazioni da parte di paesi terzi ai sorvoli o al transito di truppe sono ormai superati sia dagli accordi politici con i paesi interessati sia dalla predisposizione delle due potenze a ignorare le obiezioni.
Rimane, grave e importante, lincognita del post-emergenza. Lincognita sul futuro di uno Stato di origine e mentalità imperiale che si vede transitato dal ruolo di Stato canaglia a quello di Stato fallito e da aspirante al ruolo di potenza regionale a quello di buco nero politico e strategico. Rimane forte lincognita della reazione non tanto alla sconfitta o al ridimensionamento delle aspirazioni ma allumiliazione. Non è escluso che quello che si vuole evitare, la nuclearizzazione dellIran, tutta da dimostrare e tutta da realizzare, non sia invece favorita con laiuto di potenze esterne proprio dallumiliazione.
Fabio Mini è generale, ex comandante delle forze della Nato in Kosovo http://espresso.repubblica.it/dettaglio/Operazione-sciame-di-fuoco/1796788 LItalia combatte già
LItalia sta già combattendo su uno dei fronti del conflitto iraniano. Perché è difficile non collegare lintensificazione degli scontri nella regione di Herat, la zona afghana affidata al controllo del nostro contingente, con lescalation del confronto tra Occidente e Iran.
Quella che era la regione più tranquilla dellAfghanistan liberato dai talebani, in poco più di un anno si è trasformata in una terra insidiosa. Lultimo episodio è la cattura dei due agenti del Sismi e la successiva operazione per liberarli. Gli uomini del servizio segreto militare erano in missione nellarea non lontano dalla frontiera iraniana diventata un cardine nei rifornimenti della guerriglia. Lì nuclei tribali finora neutrali verso la presenza delle truppe della Nato hanno potenziato i propri arsenali e raddoppiato i legami con i guerriglieri islamici. Dietro, secondo i sospetti del governo statunitense, ci sarebbe una pressione politica e militare crescente da parte di Teheran, testimoniata anche dai carichi di armi che vengono sempre più frequentemente intercettati dal contingente atlantico assieme al via vai di profughi e rifugiati afghani dallIran: ordigni sofisticati per gli agguati.
Con la sfida nucleare lanciata da Ahmadinejad il distretto di Shindad, quello dove sono stati catturati i due agenti, è diventato il punto di osservazione privilegiato.
Nel 2001 gli americani si sono impossessati delle grandi basi costruite dai sovietici proprio per sorvegliare il confine iraniano: le hanno trasformate in centrali di ascolto e osservazione, tornate adesso di rilevanza strategica. Ma la protezione della regione ricade sotto la responsabilità del comando italiano di Herat. E se i pattugliamenti dei normali soldati sono diminuiti negli ultimi mesi, parà del Col Moschin e incursori del Comsubin hanno invece messo sempre più spesso il naso nella zona a ridosso della frontiera. Molto attivi anche gli agenti del Ris, il servizio di informazioni dellEsercito che agisce spesso in Afghanistan come braccio operativo del Sismi. Come i due sottufficiali catturati assieme a due loro collaboratori afghani sabato 22 settembre. Il blitz lanciato prima dellalba del lunedì successivo dai commandos britannici dello Special Boat Squadron si è concluso in un bagno di sangue. Lazione a sorpresa contro la prigione degli ostaggi è fallita, forse a causa del rumore dei velivoli da ricognizione teleguidati: lattacco dagli elicotteri contro i mezzi in movimento degli afghani ha determinato una sparatoria pesante. Anche i due militari italiani sono stati feriti, forse dal fuoco amico dei liberatori: uno, colpito da due pallottole, è in condizioni disperate. Un incubo peggiore dello scenario afghano può venire dal Libano meridionale, presidiato da un massiccio contingente di caschi blu italiani. In caso di azioni contro lIran, i nostri soldati si troverebbero a fare da cuscinetto tra Israele e le milizie sciite di Hezbollah. Una trappola che potrebbe coinvolgere tutti i 2.400 militari italiani lì impegnati. http://espresso.repubblica.it/dettaglio//1796791/&print=true
Martedì, 09 ottobre 2007
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