CONGO: UN POPOLO CROCIFISSO DAGLI INTERESSI DI IMPRESE E GOVERNI.

da Agenzia ADISTA

LA GUERRA DEL COLTAN VISTA DA JON SOBRINO


DOC-2089. SAN SALVADOR-ADISTA. Tra tutti i teologi latinoamericani, è probabilmente Jon Sobrino quello che più si porta l'Africa nel cuore: non a caso, intervenendo al Forum di Teologia e Liberazione svoltosi a Nairobi nel 2007, aveva esordito dicendo: "Il mio interesse principale è poter essere presente in Africa" (v. Adista n. 18/07). E, in quell'occasione, aveva scritto pagine indimenticabili su Kibera, la più grande baraccopoli di Nairobi, intesa come principio ermeneutico, come luogo teologico, per comprendere la realtà e lottare per la liberazione (v. Adista n. 20/07). Due anni prima, al congresso di teologia organizzato a San Salvador durante le celebrazioni del 25.mo anniversario del martirio di mons. Oscar Romero, aveva voluto che fosse presente il carmelitano congolese Jean Floribert, ritenendo che non potesse mancare l'Africa a quell'appuntamento. Così, avviene spesso che nei suoi interventi Sobrino ricordi la figura di mons. Christophe Munzihirwa, l'arcivescovo di Bukavu assassinato il 29 ottobre 1996, spesso ricordato come il Romero d'Africa. E altrettanto ricorrenti sono le sue denunce nei riguardi della "guerra del coltan", minerale di importanza economica e strategica immensa (è usato per esempio nei cellulari, ma anche nell'industria aerospaziale) di cui è ricchissimo il Congo, dove viene estratto a mano da uomini, donne, bambini ridotti in schiavitù, spesso prigionieri di guerra. Ed è appunto alla Repubblica Democratica del Congo, alla sua guerra dimenticata, che Sobrino dedica l'intervento che qui di seguito riportiamo in una nostra traduzione dallo spagnolo (ripreso dal portale www.feadulta.com). (c. f.)
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UNA GUERRA DIMENTICATA CHE NESSUNO VUOLE FERMARE
di Jon Sobrino
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Zenit, l'agenzia di notizie del Vaticano, ha scritto recentemente che la "crisi umanitaria più dimenticata sul nostro pianeta è quella del Congo". Ogni tanto la tragedia affiora sui media, perché non c'è più modo di nasconderla. Ma quello che si dice di essa è ancora irrisorio e insultante in confronto all'entità della barbarie e del genocidio. E non c'è pianto, né richiesta di perdono, né proposito di ammenda. In Carta a las Iglesias talvolta diciamo una parola sul Congo. È solo una goccia nel mare.
Ora, anche solo per pudore, torniamo a ricordare questo immenso "popolo crocifisso". Presenteremo, in sintesi, tre testi che sono giunti fra le nostre mani in questi giorni. Concluderemo con una breve riflessione.

1. "Vogliono prolungare la guerra in Congo"
In Periodista Digital del 27 novembre, il gesuita Ferdinand Muhigirwa accusa la comunità internazionale di voler prolungare la guerra in Congo. "Se la comunità internazionale lo volesse realmente, la guerra nella Repubblica Democratica del Congo terminerebbe in pochi giorni"
E ne spiega il motivo: "È chiaro che la radice del conflitto è nei minerali, dei quali beneficiano le imprese minerarie e i Paesi stranieri, ma non la popolazione autoctona che si vede obbligata a vivere con meno di un dollaro al giorno". Gli organismi sovranazionali, come l'Unione Europea, preferiscono che il conflitto perduri e "si prolunghi a tempo indeterminato".
Il genocidio, a causa della guerra e della povertà, è chiaro. "È terribile che in un Paese così ricco la popolazione viva a tali livelli di povertà". E la disumanizzazione cresce.
Nel Salvador lo comprendiamo bene. Da decenni va a-vanti l'abbandono progressivo dell'agricoltura: "La gente non vuole continuare a lavorare nei settori tradizionali perché preferisce arricchirsi nelle miniere". E i bambini soffrono: "Le famiglie permettono ai propri figli di abbandonare la scuola molto presto e li mandano a scavare. Credono che così diventeranno ricchi, quando invece la maggioranza di essi non guadagnerà più di 50 dollari al mese".
Sono parole estreme.
a) La guerra nel Congo è un genocidio che ha prodotto 5 milioni di morti in 15 anni.
b) Il genocidio può essere fermato, ma la comunità internazionale, le democrazie del Nord, non vogliono.
c) Il Congo è un popolo attivamente crocifisso.

2. "Il telefono cellulare: la bara del Congo"
In linguaggio giornalistico, Cristóbal Saura spiegava su El Portal del medio ambiente, il 6 giungo del 2007, perché avviene il genocidio e perché lo si occulta.

Il genocidio
Nelle montagne orientali del Congo c'è coltan e niobio, oltre a oro, diamanti, rame e stagno. Il coltan, abbreviazione di columbo-tantalio, si trova in terreni di tre milioni di anni. Si usa con il niobio per fabbricare i condensatori per il flusso elettrico dei telefoni cellulari. Cobalto e uranio sono elementi essenziali per le industrie nucleare, chimica, aerospaziale e di armi da guerra. Circa l'80% delle riserve mondiali di coltan è in Congo.
Per il controllo di questi minerali, che sono scarsi, c'è una guerra tremenda. I poteri multinazionali vogliono controllare l'attività mineraria della regione. Conclusione: "Il motivo del genocidio è dato da questi minerali ricercati dalle imprese", che stanno anche distruggendo la seconda area verde del pianeta dopo l'altrettanto minacciata Amazzonia.

Un po' di storia
Nel 1996, gli Stati Uniti hanno favorito l'invasione militare dei vicini Rwanda e Uganda. Nel 1998 hanno preso il controllo e occupato le aree minerarie strategiche. Ben presto, l'esercito ruandese ha cominciato a guadagnare oltre 20 milioni di dollari al mese con l'estrazione del coltan. Ci sono centinaia di rapporti che denunciano abusi di diritti umani in questa regione mineraria.
Le imprese dell'alta tecnologia trasformano il coltan nel prezioso tantalio in polvere e lo vendono a Nokia, Motorola, Compaq, Sony e ad altri fabbricanti di telefoni cellulari e di altri strumenti tecnologici "di punta".
Keith Harmon Snow afferma che, per un'analisi della geopolitica del Congo e per le ragioni di una guerra che praticamente non si ferma dal 1996, bisogna comprendere il crimine organizzato delle imprese multinazionali.
La guerra del Congo è stata pianificata grazie agli investimenti nella regione di imprese multinazionali di Stati Uniti, Germania, Cina e Giappone. Ed è sostenuta dalle più potenti corporazioni: la Cabot Corporation e l'OM Group, degli Stati Uniti; la tedesca HC Starck e la cinese Nigncxia.
Reti criminali, preparate e mantenute da queste multinazionali, praticano estorsione, corruzione, violenze e stragi. E ottengono benefici senza precedenti con la ricchezza mineraria del Congo. Ogni giorno escono dalla Repubblica Democratica del Congo fino a 6 milioni di dollari di cobalto grezzo. Tuttavia, queste compagnie non appaiono quasi mai nei rapporti sui diritti umani.
Personaggi legati al commercio del coltan sono stati molto vicini al governo degli Stati Uniti. Sam Bodman ha ricevuto nel 2004 dal presidente Bush la carica di segretario per l'Energia. Nicole Seligman è stata consigliera legale di Bill Clinton. Molti fra quelli che hanno raggiunto posizioni di potere nell'amministrazione Clinton hanno ricoperto alti incarichi nella Sony Corporation.
All'affare partecipano distributori nordamericani di armi, come Simax e le compagnie che fabbricano materiale da guerra per il Pentagono, le cosiddette "fornitrici della Difesa", Lockheed Martin, Halliburton, Northrop Grumman, GE, Boeing, Raytheon e Bechtel. E anche organizzazioni pseudo umanitarie come Care, il Comitato di Soccorso Internazionale, Conservation, imprese di relazioni pubbliche e grandi mezzi di comunicazione come The New York Times.
Si sono fatte grandi fortune vendendo prodotti elettronici di alta tecnologia destinati ai nordamericani e agli europei, ai giapponesi e ai "nuovi ricchi" dell'America Latina, della Cina e dell'India.

L'insabbiamento
Il 5 giugno 2006 si leggeva sulla copertina della rivista Time: "Congo: il pedaggio occulto della guerra più mortale del mondo". È vero che l'articolo menzionava brevemente il coltan e il suo uso per i cellulari e altri strumenti elettronici. La guerra vi appariva una tragedia orribile, ma nulla si diceva delle attività delle imprese e dei governi stranieri per impossessarsi, attraverso la guerra, del coltan. E neppure di quanti ottengono da questa guerra vantaggi finanziari e politici.
Al contrario, Johann Hari, su The Hamilton Spectator del 13 maggio 2006, analizzava l'origine di questa e di altre guerre in Africa. "L'unico cambiamento nel corso di decenni è stato quello delle risorse naturali destinate al consumo occidentale: caucciù sotto i belgi, diamanti sotto Mobutu e ora coltan e cassiterite". La cosa più crudele è che i media non dicono niente del fatto che questi conflitti hanno condotto la popolazione africana ad una vita disumana.

3. "Ogni chilo de coltan costa la vita a due bambini"
Lo dice Alberto Vázquez Figueroa su ABC del 12 novembre di quest'anno, raccontando l'impatto della guerra del coltan sui bambini. Riportiamo le sue riflessioni, formulate in forma di domanda e risposta.
"I bambini fra i sette e i dieci anni sono le grandi vittime della lotta per il coltan. Vengono terribilmente sfruttati e li si 'paga' 25 centesimi di euro al giorno. Siamo di fronte alla schiavitù del XXI secolo? Il coltan lo estraggono i bambini perché si trova in giacimenti a notevole profondità e i bambini, con i loro piccoli corpi, sono quelli che entrano meglio nei cunicoli. Molti di loro muoiono nelle frane. E rimangono lì, sepolti. Le imprese che fabbricano strumenti con il coltan non hanno voluto che questo si sapesse. Ho vissuto due decenni in Africa e qualcosa avevo sentito. Ci sono foto di questa barbarie: bambini semischiavi che respirano polvere mentre piove a dirotto o che vengono trascinati dalla fiumana. È un inferno. Sono arrivati centinaia di migliaia di rifugiati e questo è un disastro. Io mi domando: com'è possibile che nel XXI secolo tutta la nostra tecnologia dipenda da un bambino che dà martellate ad una pietra e da un mucchio di terra che gli cade addosso? È una cosa da pazzi! Tutti ricordiamo che tutsi e hutu si ammazzavano a colpi di machete, e non dimentichiamo le chiese che bruciavano con tutta la gente dentro, né i bambini perseguitati, con braccia e nasi tagliati. 700mila rifugiati e ormai quasi cinque milioni di morti per il maledetto coltan e perché noi si abbia una vita più comoda! La guerra non si ferma perché le grandi imprese e i governi non vogliono che venga fermata. Se si blocca la guerra non si fanno affari con il coltan. Resterebbe nel Congo. Chi controlla il coltan controllerà la nostra vita".

Riflessioni da El Salvador
1. Non è possibile leggere testi come questi senza sentirsi male, ma qualcuno potrebbe chiedersi perché guardiamo al Congo quando anche nel Salvador si vive fra grandissimi problemi. E, inoltre, possiamo fare poco. La risposta è: "per pudore". Non si può essere umani, né nel Salvador né a Roma, se non mettiamo al centro oggi il dolore del Congo.
E anche per un minimo di onoratezza. Nei peggiori anni della repressione contro il popolo salvadoregno, si sono alzate voci negli Stati Uniti e in Europa per far conoscere la nostra tragedia e offrirci solidarietà. Poco possiamo fare da qui, ma almeno facciamo conoscere quello che sta accadendo in Congo.
2. Per quanto riguarda la Uca (Università Centroamericana), mentre ricordiamo i nostri martiri gesuiti, sarebbe da irresponsabili non ricordare i gesuiti del Congo e i loro martiri. Un gesuita, Christophe Munzihirwa, arcivescovo di Bukavu, è stato assassinato nel 1996 per la sua difesa di centinaia di migliaia di rifugiati. Lo chiamano "il san Romero d'Africa".
Ora riceviamo questo messaggio da Ferdinand Muhigirwa, gesuita congolese, direttore del Centro Studi per l'A-zione Sociale, che lancia un appello da Kinshasa. Ci fa venire in mente le parole dei nostri martiri. E ci sentiamo fratelli. E ci ricordiamo anche del padre Arrupe, quando chiese a tutti noi di "lottare per la giustizia", pagando il prezzo necessario. 49 gesuiti sono stati assassinati da allora nel Terzo Mondo. E lo stesso padre Arrupe subì una forte persecuzione all'interno della Chiesa.
3. La realtà del Congo smaschera la falsità del "mondo dell'abbondanza, civile e democratico", lo accusa e lo giudica. Casaldáliga scrive: "L'Africa è stata chiamata la segreta del mondo, una Shoà continentale"
Il nostro amico Luis de Sebastián ha scritto un impressionante libro dal titolo: "Africa, peccato d'Europa". È bene ed è necessario ricorrere al termine religioso di "peccato". Non è politicamente corretto, ma il linguaggio civile, corretto e democratico, non ha trovato una parola equivalente. In teologia, "peccato" è "ciò che dà la morte": l'ha data al figlio di Dio e continua a darla a milioni di suoi figli e figlie.
4. Per coincidenza, scriviamo queste pagine nel terzo anniversario della morte di padre Jon Cortina.
Nel salmo abbiamo recitato: "Al consiglio degli dei, Dio si alza e li accusa: 'fino a quando giudicherete iniquamente? Giudicate a favore del debole e dell'orfano; rendete giustizia all'umile e all'indigente; liberate il debole e il povero e strappateli dalle mani degli empi".
Questo è il giudizio di Dio, di fronte alla guerra del Congo, contro gli dei, gli imperi, la transnazionali, i mezzi di comunicazione.
5. E mi sia permessa una riflessione personale. Io sono venuto a conoscenza che c'era una guerra nel Congo una decina di anni fa. Non sapevo cosa fosse il coltan, né a cosa servisse. Non sapevo nemmeno dei criminali affari dell'Oc-cidente per ottenerlo. Di tutto ciò non sono venuto a conoscenza alla Uca, né durante le mie visite negli Stati Uniti e in Europa. Me lo hanno raccontato semplici religiose che hanno vissuto le tragedie del Rwanda e del Burundi, e hanno lavorato nei campi dei rifugiati di Bukavu, nel Congo. Mi hanno aperto gli occhi.
Le ho viste lavorare nei comitati di solidarietà in tutta la Spagna, con somma semplicità, con mezzi molto limitati, ma con grande lucidità e amore. Pubblicano Umoya, una rivista sulla realtà attuale dell'Africa. Vanno avanti. E sono le persone che sanno di più sull'Africa.
Mi ricordano le parole che ho ascoltato da Joe Moackley, deputato del Massachussets, quando veniva a difendere i contadini salvadoregni dalla repressione dell'esercito: "Quando devo votare al Congresso sulla nostra politica in qualche Paese del Terzo mondo, per informarmi non mi metto in contatto con le nostre ambasciate, ma con le religiose che lavorano lì. Sono quelle che ne sanno di più".
6. Con il coltan si costruiscono missili, telefoni cellulari e anche giochi. Quando li usiamo, ricordiamoci dei 5 milioni di morti in questa guerra, e ricordiamo persone come Ferdinand Muhigirwa, che ci mantiene nella verità e nell'amore.
7. Sono le religiose che sono state là quelle che ho visto mantenere la speranza per il Congo. Non sono ingenue, ma con affetto e ammirazione ricordano la bontà che hanno visto.
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da Adista n.8 - documenti- del 24/1/2009
 

Articolo tratto da
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Marted́ 20 Gennaio,2009 Ore: 17:28