Caro direttore, ogni tanto mi trovo a discutere con amici atei, su temi attuali che toccano la sfera morale e religiosa, e
come credente devo umilmente ammettere che spesso la mia possibilità di ragionare è limitata dalla fede. Il fatto è questo:
che io parto da una "verità" già stabilita (non da me), e quindi la mia autonomia nel ragionare è compromessa a priori. Gli
amici atei spesso partono da un punto, fanno un percorso e giungono ad una conclusione, che non è sempre il punto di
partenza, e che ovviamente può essere giusta o sbagliata. Io mi trovo su una pista circolare; loro su un rettilineo. Grave
però - e questo grazie a Dio non mi riguarda - è quando la ragione viene completamente oscurata da una fede sbagliata, vale
a dire quando si attribuiscono al dio in cui si crede cose insulse, oppure crudeli. Un paio di esempi: i Testimoni di
Geova, in base ad un fede sbagliata, sono persuasi che a Dio dispiaccia che una sua creatura sia salvata dalla morte
ricorrendo a trasfusioni di sangue. I cattolici, in base ad una fede che non tiene conto della ragione appunto, e neppure
del Vangelo, che non fa discriminazioni, sono persuasi che a Dio dispiaccia che due sue creature si amino sinceramente e
onestamente, e che pretenda da loro totale castità per tutta la vita, per il solo fatto che sono omosessuali (cf Catechismo
n. 2359). Ma gli esempi sono tantissimi. Francesca Ribeiro
Mercoledì, 19 dicembre 2007
|