Le Monde Diplomatique – N° 583, 49ème année, Octobre 2002
Canonizzato il fondatore dell’Opus Dei Un santo fascista e debosciato

di Juan Goytisolo (traduzione dal francese di José F. Padova)

Scrittore spagnolo. Ha appena pubblicato Foutricomédie (Fayard, Paris, 2002), una versione maliziosa e rabelaisiana della vita di mons. Escrivá de Balaguer, fondatore dell’Opus Dei.


Il 6 ottobre in Vaticano il Papa Giovanni Paolo II canonizza José Maria Escrivá de Balaguer, fondatore dell’Opus Dei, una specie di massoneria cattolica ossessionata dalla conquista del potere. Questa canonizzazione-espresso,, la più rapida nella storia della Chiesa, eccita forti emozioni nei numerosi cattolici che conoscono il sostegno apportato dall’Opus Dei ai regimi più reazionari, in particolare in America Latina, e i legami storici che uniscono José Maria Escrivá de Balaguer e il generale Franco, dittatore fascista della Spagna.

In Spagna, nel corso dei suoi ultimi anni, dopo la vittoria del partito popolare di José Maria Aznar, l’Opus Dei (1) ha poco a poco ha ripreso il potere. Molti militanti dell’Opus Dei hanno rioccupato posti importanti nelle imprese e nel governo. Fatto questo che spiega il rinnovato interesse suscitato dalla divulgazione del Rapporto confidenziale sull’Organizzazione segreta dell’Opus Dei, redatto nel 1943 dalla Falange (partito fascista spagnolo), impegnato a quel tempo contro mons. Escrivá de Balaguer in una aspra lotta per il potere nel seno della dittatura franchista. In questo rapporto Escrivá è descritto come una "mala lingua" dalla vita poco esemplare, con"parole ed atti pieni di secondi fini" e con una "devozione ostentativa e lacrimevole, molto poco naturale, con atteggiamenti finti e forzati". Queste accuse non hanno per nulla disturbato la folgorante carriera di mons. Escrivá, dapprima mondana (il fondatore dell’Opus Dei, "modesto" accumulatore di decorazioni e di onori, aveva ottenuto dal suo amico il generale Franco un titolo nobiliare: marchese di Peralta) e in seguito celeste, beatificazione nel 1982 e lui, consacrazione suprema, la santità, il 6 ottobre 2002.
Il lettore curioso della vita del nuovo santo Escrivá  troverà in qualche opera (2) e nelle agiografie pubblicate dall’Opus abbondanti testimonianze sui fatti e le gesta. Noi disponiamo di tracce non meno rivelatrici del personaggio con le sequenze filmate di qualche sua apparizione in Cadillac nera, in atteggiamenti pieni di grazia.
Ma la mia interpretazione personale, in Foutricomédie, delle massime tratte dalla sua opera capitale, Cammino - tradotta in più di quaranta lingue -, accende una luce nuova sui fantasmi sessuali di Escrivá. Il fondatore dell’Opus Dei era, non se ne può dubitare, come avrebbe detto Rabelais, fatto "del legno di cui sono fatti i santi".
L’opera principale del fondatore dell’Opus Dei, Cammino, fu scritta durante la guerra civile spagnola (1936-1939) e costituisce un elogio dello spirito fascista e del dittatore Franco. In uno dei rari incisi autobiografici del libro l’autore rievoca i momenti di "nobile e gioioso cameratismo" con gli ufficiali franchismi, durante i quali aveva ascoltato la canzone di un «giovane tenente dai baffi bruni» che recitava questa preghiera: «Di cuori condivisi / io non ne voglio; / e se do il mio / lo do intero» (massima 145). Il libro riflette il fervore franchista dell’epoca («La guerra è il più grande ostacolo rizzato sulla via facile. E tuttavia dovremo amarla [sono io che sottolineo] come il religioso ama le sue discipline [ndt.: qui nel senso di flagelli, fruste] (311)» e, naturalmente, la fervente esaltazione del “Caudillo” Franco (“Lasciarti andare? Tu?... Faresti dunque parte del gregge? Mentre sei nato per essere caudillo!” (16). “Dei caudillos!...Virilizza la tua volontà perché Dio faccia di te un caudillo” (833). Grazie al “fervore patriottico” (905) nella lotta contro lo “spirito voltairiano in parrucca incipriata o i liberalismi sorpassati del XIX secolo” (849) “la Spagna ritornerà all’antica grandezza dei suoi santi, dei suoi saggi e dei suoi eroi” (introduzione datata 19 marzo 1939).

Ispirazioni sessuali
Ma se questi aspetti di Cammino e molti altri, come la sua alta stima della funzione della donna nella società cristiana (“Le donne non hanno bisogno di essere istruite, basta che siano modeste, riservate (946)”) sono stati oggetto di esegesi da parte degli specialisti di Escrivá, mi rammarico per l’assenza di ciò che si potrebbe chiamare una lettura della “libido testuale” di Cammino, di quella santa sessualità esposta nella massima 28: “mentre mangiare è un’esigenza dell’individuo, procreare non è che un’esigenza della specie, alla quale i singoli individui possono sottrarsi”. Come vedremo, i “singoli” che “si sottraggono” alla procreazione, come persone assennate – alla maniera di Lorca – possono trovare in Cammino massime molto sapide e sentirsi confortati nei loro desideri e sante ispirazioni sessuali.
Il fondatore dell’Opus Dei ha molta considerazione per il vigore della virilità e non nasconde il suo disdegno per coloro che ne sono sprovvisti, che egli qualifica “dolci e teneri come meringhe”. Eccone qualche esempio: “Abbandona quei gesti e quei modi puerili. Sii virile (3)”; “Sii forte. Sii. virile. Sii uomo (22)”, “Non essere puerile” (49); “Non essere molle, indolente (193)”; “Non hai vergogna di essere così poco virile perfino nei tuoi difetti? (50)”.
Il vigore preconizzato da Escrivá congloba tutti i campi della vita spirituale e affettiva. “Chi ti ha detto che non era virile dire delle novene? (574)”. La preghiera, sottolinea in diverse riprese, deve essere “vigorosa e virile (691) e le lacrime di quelli chiamati alla milizia [ndt.: non è chiarito se sia il servizio militare o quello nell’Opus] saranno ugualmente “brucianti e virili (216)”. Per questo conviene adottare un modello di condotta che non presti il fianco alla critica; “Se non sei virile e … normale – egli osserva nel definire il terreno della singolarità ch’egli consiglia – tu sarai non un apostolo, ma la sua risibile caricatura (877)”. E sottolinea conseguentemente: “Essere bambino non significa essere effeminato (888)”.
A dispetto di queste esortazioni alla saggezza il terreno è scivoloso. “Perché queste supposizioni sul tuo conto ti fanno dispiacere? (45)” chiede Escrivá al suo lettore. “Gli sfoghi di tenerezza” di costui e quel sentimento che il Signore ha messo nel petto virile di coloro che aspirano a seguire la Via devono essere diretti al Cristo. E come persona consapevole della santità che predica, Escrivá gli mormora all’orecchio: “Non è forse vero che aprendo uno dei chiavistelli del tuo cuore – e tu hai bisogno di sette chiavistelli – una piccola nube di dubbio è aleggiata più di una volta sul tuo orizzonte soprannaturale? Tormentato, malgrado la purezza delle tue intenzioni, tu ti sei allora chiesto: Non sono forse andato troppo lontano nelle manifestazioni esteriori del mio affetto? (161)”. Trattandosi di una congregazione nella quale regna una stretta separazione dei sessi, il destinatario di quelle confidenze non è difficile da indovinare. Ma le inquietudini che tendono agguati ai “singoli” accolti nella milizia virile dell’Opus Dei saranno alla fine sgominate dalla “santa sfrontatezza”. Perché “Una cosa è la santa sfacciataggine e un’altra l’impudenza laica (388)”. Il lettore accorto, soprattutto se è “rotto alla lettura dei tantra indù” gioirà come me delle “espansioni improvvise e dilatate” che le massime di Mons. Escrivá procacciano. Benché la sua prosa sia disperatamente povera e spesso triviale e il pensiero del quale essa è il veicolo sia di un’incredibile balordaggine (siamo a migliaia di anni luce da San Giovanni della Croce e da santa Teresa d’Avila) il suo pensiero è eccitante se ci limitiamo ai passaggi – molto abbondanti – nei quali affiora l’inconscio sessuale dell’autore. Non è necessario essere uno specialista di Freud per apprezzare le metafore che si ripetono lungo tutto il Cammino: “Virilizza la tua volontà sì ch’essa sia, con la grazia di Dio, come uno sperone d’acciaio (615)”, “Braccio di ferro, potente, avvolto in una guaine di velluto (397)”, “Quel filo bene ritorto che può sollevare pesi enormi (480)” oppure “Non dimenticare che tutto ciò che è grande, sulla terra, è cominciato essendo piccolo (821)”, ecc.
Il Padre redarguisce teneramente il discepolo: “Che povero strumento sei! (477)” e lo esorta ad agire con scienza e padronanza. “Grande o piccolo, delicato o grezzo…, sii uno strumento. (…) Il tuo dovere è di essere uno strumento (484)”. E lo mette in guardia con fermezza: “Non si può lasciar arrugginire gli strumenti (486)”. I consigli del nuovo santo offrono ad ogni passo una deliziosa lettura tantrica. “Perché vuoi costruire senza direttore spirituale il palazzo della tua santificazione? (60)”, domanda al discepolo. “Noi daremo, tu ed io, e ci daremo senza lesinare (468)”. Lo sperone d’acciaio si eserciterà così all’amorosa abitudine di “assalire i tabernacoli (876)”.
Ma non è tutto petali di rose sulle strade che portano alla santità. “Una puntura. Un’altra e un’altra ancora. Sopportale! Tu sei così piccolo, non lo dimenticare, che nella tua vita – sul tuo piccolo cammino – tu non puoi offrire altro se non queste piccole croci (885)”. La fatica primordiale di lasciare un “deposito”, già prescritta fin dalla prima massima del libro, permetterà di “far sgorgare” l’antifona del catecumeno, tal quale un “fiume tranquillo e largo (145)”. “Ecco una devozione forte e feconda! (556)”, esclama. E la semenza, oh divina bontà, “germinerà e darà frutti saporiti, debitamente innaffiati (119)”.

Anima tormentata
La persona iniziata ai misteri che portano alla grazia deve sopportare le prove con virile fermezza. “Ciò fa male, non è vero? Sicuramente! È precisamente per questo che ci si è occupati di te (158)”. Ma la ricompensa verrà molto in fretta: “E presto la sofferenza diventerà pace felice (256)”. “V’è di che cantare a piena gola, diceva un’anima piena d’amore, alla vista delle meraviglie che il Signore operava per il suo ministero (524)”.
Evidentemente, Cammino autorizza letture diverse dalla mia. Il devoto protagonista di Foutricomédie applica in calce alla lettera l’ammonimento: «Non essere cieco o stordito al punto da non penetrare in spirito in ogni Tabernacolo, quando scorgi i muri o i campanili delle case del Signore (269)”. Nel momento in cui tanti preti cattolici sono accusati di pedofilia e di altre “virili” dissolutezze, la santificazione di Mons. Escrivá può incitare molte di queste anime tormentate a pregare “con la bramosia del bambino per i dolciumi, quando ha bevuto l’amara pozione (889)”. Senza dubbio le massime di Mons. Escrivá hanno loro apportato una specie di lubrificante e di guida efficace sul loro cammino seminato di spine e di rose. Per questa ragione – e in conformità alla proposta delle Suore del Perpetuo Soccorso glorificate nella mia Foutricomédie – il 6 ottobre 2002 essi festeggeranno nell’allegria la salita alle più alte sfere celesti di mons. Escrivá de Balaguer.

(1) Vedi François Normand, « L’Opus Dei, arme secrète du pape », et Michel Arseneault, « Les nouvelles légions du Vatican », Manière de voir, « L’offensive des religions », n° 48, novembre-dicembre 1999 ; Jesùs Infante, «Résurrection de l’Opus Dei en Espagne », Le Monde diplomatique, juillet 1996.
(2) Diversi libri, pubblicati in Spagna, hanno messo in luce le virtù e la vita prodigiosa del fondatore dell’Opus Dei: in particolare, quelli di Daniel Artigues, Jesùs Infante e soprattutto quello di Luis Carandell.



Lunedì, 18 novembre 2002