Le tendopoli dei cinesi nuotano nel fango rosso. Lottano invano contro la polvere e lo smog, emergendo a tratti da nuvole nere e roventi. Sorgono ovunque, tra montagne di cemento, mattoni e asfalto, circondate da sciami di scurissime prostitute-bambine, seguendo cantieri immensi. Strade, ferrovie, ponti, stadi, alberghi, ospedali, grattacieli, si fanno largo tra discariche fetide, baracche di lamiera, fiumi di auto e campi minati. Ospitano due milioni di deportati da Beijing, pronti a raddoppiare entro il 2010. Tra i galeotti conflitti, migliaia di detenuti politici: professori, avvocati, medici, economisti, venduti come schiavi alla «tigre dellAfrica». Sveglia prima dellalba, zuppa alle 23. Nessun giorno di riposo. Dopo 27 anni di guerra civile, è sullo scandalo dei forzati dellOriente che si fonda il boom della nuova terra promessa del continente. Nella fradicia Luanda i gelidi uffici dei signori del petrolio e dei diamanti restano affacciati sulle sconvolte vie coloniali intitolate a Che Guevara, Lenin, Marx, Castro. La fine della Guerra Fredda ha però ripudiato comunismo, ideali rivoluzionari, opposizione a capitalismo e imperialismo dellOccidente. Gli eroi dellindipendenza oggi vivono solo per gli affari e per i dollari. LAngola dei record è il paradiso del liberismo senza vincoli e senza pietà. Osservata dallEuropa, appare come lisolato esempio dellAfrica di successo. Dal 2002 è in pace. La crescita economica sfiora il 25% allanno. Nel 2003 linflazione era al 98%, oggi sotto il dieci. Il kwanza continua a rafforzarsi su dollaro ed euro. Il presidente Josè Eduardo Dos Santos, al potere da trentanni, con un assegno da 2,4 miliardi di dollari ha rimborsato il Club di Parigi. E ormai la seconda potenza petrolifera dellAfrica, esordiente nellOpec. Da 800 mila barili al giorno si è schizzati a 2 milioni. Fra tre anni toccherà i 2,5 milioni. Nelle casse della Sonangol, la compagnia energetica di stato, lanno scorso sono piovuti 35 miliardi di dollari da Usa, Cina e Francia. LEndiama è il quarto produttore mondiale di diamanti: dieci milioni di carati avvolti nel mistero, che decollano verso Russia, Israele, Canada e Sudafrica. I cinesi, per assicurarsi gli appalti della ricostruzione, hanno offerto un credito-choc da 9 miliardi di dollari, 20 entro il 2013. Tra due anni il Paese ospiterà i campionati africani di calcio. Si stanno asfaltando 8 mila chilometri di strade, altri 3 mila saranno aperti prima del 2012. Per rilanciare lagricoltura il governo ha ordinato 9 mila trattori. I piani prevedono la creazione di otto città da mezzo milione di abitanti, 32 nuovi aeroporti, 3 grandi direttrici ferroviarie, sei porti sullAtlantico. Luanda, città più cara al mondo, ambisce a diventare la Dubai africana. Ditte olandesi stanno colmando la baia di sabbia. Oltre il vecchio lungomare portoghese sorgeranno 21 hotel di lusso, centri commerciali, palazzi di vetro e il grattacielo più alto dellAfrica. In pochi anni la città è esplosa da 800 mila a 6 milioni di residenti ufficiali. Gli affitti, per cento metri quadri, arrivano a 10 mila euro al mese. Per una casetta con giardino si pagano 30 mila euro mensili, lo stipendio di un manager. Gli alberghi accettano prenotazioni solo con due mesi di anticipo. Le compagnie petrolifere riservano piani interi per tutto lanno. La circolazione, tra le 6e le 23, si blocca. Migliaia di fuoristrada e pickup giapponesi sostano in colonna con il clacson premuto. Le vie si trasformano in spaventosi mercati ambulanti. Gli automobilisti fanno la spesa dal finestrino, mangiano al volante, lavorano al computer, organizzano riunioni di lavoro sui sedili, firmano contratti sul cofano. Per coprire una distanza da cinque minuti, si impiegano cinque ore. Arrostire in auto è il prezzo del successo: constatare di pagarlo in massa, la sua garanzia. Sessantamila furgoni privati ammassano milioni di persone in abitacoli asfissianti. Il porto, semiabbandonato fino al 2002, è assediato da centinaia di navi in attesa di scaricare. Per sdoganare un container occorrono sei mesi. Laeroporto, decrepito, ogni mese inaugura collegamenti diretti e larrivo di nuove compagnie. Da aprile si volerà quotidianamente su Beijing, un volo di sola business porterà a Chicago. Nel nuovo scalo aprirà i suoi uffici la Lufthansa. Scrutata attraverso i rapporti internazionali, lAngola si rivela come la seconda economia subsahariana, primatista mondiale di crescita e potenza energetica strategica, capace di determinare i prossimi equilibri planetari. Il sorpasso del Sudafrica non è più unutopia. Latmosfera è sovraeccitata e pionieristica. Una frenetica e violenta corsa alloro. Grazie ad un incontro si possono accumulare, o perdere, fortune in pochi mesi: a sgomitare, un taciturno esercito di predatori, di predati e di opportunisti. Questa, unAfrica allamericana al guinzaglio della Cina, è però solo una faccia del Paese: il profilo meno impresentabile, creato dal mondo che si contende il dominio delle materie prime più lontane dai fronti delle guerre. Tutto il resto, la realtà più profonda, è invece lAngola allafricana, nelle mani di una dittatura corrotta e venduta al miglior offerente. Perché se da una parte ci sono il petrolio dellenclave diCabinda e i diamanti del Lunda e del Moxico, daltra ci sono i bambini di strada della capitale e i morti di fame delle province. Sul primo pianeta spreca ll% della popolazione: i miliardari. Sul secondo sopravvive il 99%: i nullatenenti. Basta lasciare gli eliporti aziendali di Luanda, o spingersi nelle regioni dellinterno, per capire come la «pax energetica» abbia sconfitto il popolo angolano, escluso dallo sviluppo. In baraccopoli e villaggi mancano luce, acqua, strade, fogne. Non ci sono ospedali, scuole, lavoro. La gente, eccetto la radio governativa, non accede ad alcuna informazione. Le donne lavano nei fiumi, arano e zappano a mano, cucinano su falò a legna. Non circola denaro. Sì scambiano prodotti, frutto di primitive coltivazioni di sussistenza. LAngola era il primo produttore di caffè, varietà robusta, del continente: non ne cresce più una pianta. Ci si sposta a piedi. Su 16 milioni di abitanti, 14 sono in miseria. La disoccupazione è del 55%. Gli analfabeti superano il 70%. I medici sono 1400, uno ogni l5mila persone. Sei donne su 10 non sopravvivono al parto. Su mille bambini, 275 muoiono prima dei 5 anni. Ufficialmente solo il 3% della popolazione è siero-positiva: le indagini delle Ong straniere alzano la percentuale al 10. Solo lo Stato, in cambio della fedeltà al potere, offre lavoro: 100 dollari al mese, spesso non pagati. La disperazione si trasforma in alcol e droga, in una violenza disperata. Nelle case si nascondono ancora oltre 10 milioni di mitra e fucili. Quattordici milioni di mine e ordigni inesplosi, migliaia di vittime allanno, dissuadono chi vorrebbe tornare in campagna. La corruzione è la sola organizzazione funzionante. La «gazosa», si paga per tutto. Per ottenere il chinino, o un diploma, o aggiudicarsi un appalto. Una miliardaria truffa di regime. E così che la massa dei poveri viene strangolata e che loligarchia al potere si consolida. La spartizione delle incalcolabili ricchezze nazionali, tra non più di 120 famiglie, è stata siglata nel 2002. Jonas Savimbi, capo dellUnita, è stato assassinato grazie ad un accordo con lMpla di Dos Santos. Il leader dellopposizione nazionalista, prima sostenuto e poi tradito degli Usa, fu venduto agli ex rivoluzionari pagati dallUrss, adottati infine, liberisti, dagli Stati Uniti. Oggi lMpla è maggioranza e governa assieme alla minoranza dellUnita. In realtà un potere familiare occulto, mascherato e garantito da Dos Santos, muove ogni filo tramite un partito-Stato. I politici continuano a vendere le materie prime, i militari i diamanti: come sempre dopo lindipendenza del 1975, o dopo la riesplosione del conflitto civile, nel 1992. La differenza è che non si spara più e che gli investimenti stranieri sono rassicurati dalla stabilità del potere. La ricostruzione del Paese non esprime un progetto politico, unidea di società: agganciata al prezzo del petrolio, è ritmata dagli affari privati della nomenclatura pubblica. La famiglia presidenziale controlla edilizia, commercio, telecomunicazioni e credito. I clan degli ex-generali e dellesercito, attraverso il florido mercato delle armi, impiegano i proventi dei diamanti in agricoltura, pesca, trasporti e industria. Nelle province capita raramente di imbattersi in qualcosa che stia in piedi. Quando accade, un birrificio, una coltivazione di banane, una piccola flotta fluviale, o un allevamento di vacche da latte, la gente abbassa occhi e voce: «E del generale». Gli sconfitti dalla pace sono troppo poveri, troppo stanchi, per accettare la responsabilità di rivendicare dei diritti. Ai primi di settembre, per la prima volta nella sua storia, lAngola andrà alle urne senza che fuori dai seggi si combatta. Il Paese, oppresso dallingiustizia, è carico di odio. Qualche osservatore prevede unesplosione sociale che dai ghetti di Luanda dilaghi nelle campagne. Potere e uomini daffari ostentano invece sicurezza: nulla, a breve, cambierà. Le Ong attive nellaffermazione dei diritti umani sono state chiuse. Televisione, giornali e università sono nelle mani del governo. La propaganda presidenziale è martellante. Lopposizione, o una leadership alternativa, non esistono. Le potenze straniere che si dividono i tesori angolani non possono permettersi instabilità sui mercati africani delle materie prime. Il potere può ignorare la sofferenza della gente. Per questo, a parte leroica chiesa missionaria e qualche eccezionale realtà del crescente volontariato laico, nessuno chiederà giustizia. Nessuno vuol guardare lo scandalo dei prigionieri politici cinesi, usati come schiavi nei cantieri. Nessuno lavora per fare in modo che quattro milioni di essi, deportati in cambio di petrolio in un Paese di 16 milioni di angolani, non travolgano una cultura inespressa e le sopite identità tribali. Davanti al nuovo grattacielo della Sonangol, eldorado dei businessmen impegnati a svuotare la cassa africana il più rapidamente possibile, i poveri del barrio di Roque Santeiro, o le migliaia di miserabili stesi tra i rifiuti di Lixeira, non esistono. Come i rifugiati di guerra. Sono migliaia. Ammassati nei campi profughi, alla periferia di Luanda o lungo i confini, erano sopravvissuti grazie agli alimenti del Wfp. Presi in carica dal governo, sono stati abbandonati. E unemergenza umanitaria denunciata invano dalla solidarietà internazionale. Il prologo di una tragedia ancora più devastante: la guerra per la terra. Sei anni fa lOccidente si è ricordato che lAngola è anche un paradiso della natura. La terra è fertile e spesso vergine, il clima ottimo, lacqua abbandonante. Con i cinesi impegnati nella costruzione di strade, ferrovie e porti, il latifondismo torna ad attrarre gli investimenti occidentali. Cè un solo problema: le popolazioni indigene da cacciare. Un affare da generali. Dichiarano i villaggi «campi profughi» e li chiudono. Inviano lesercito a sgomberare baracche e terreni. Requisite le campagne, si intestano migliaia di ettari. Poi assegnano a se stessi macchinari, canali irrigui, sementi pagati dallo Stato. Vendono infine tutto ai compiacenti stranieri. Un noto ambasciatore in Europa, ex governatore di unimportante città, è stato uno spietato specialista della materia. In pochi anni ha deportato migliaia di contadini. Miliardario, in unantica capitale, studia il meccanismo dellimmunità parlamentare per conto del presidente. Una storia condivisa dellAngola non è stata scritta, nessun crimine di guerra è stato perseguito, la violenza viene premiata con il potere: meglio proteggersi, se mai qualcuno ricordasse le promesse e le speranze di un tempo. Zia Nanda, malata di cancro e madre di sei figli, anima e àncora di salvezza per i diseredati di Luanda, non sa dire cosè diventato il suo Paese. Non lo dice nemmeno Carlos Fernandes, usuraio durante la guerra civile, oggi finanziere di successo a Lubango. Si sfiorano su galassie ermetiche, però concordano. I ricchi stanno diventando ricchissimi. I poveri, poverissimi. Pochi clan neri, insaziabili, svendono la patria: ma ai tavoli eleganti di «Pintòs» siedono solo i bianchi. Gli educati dollari hanno sostituito i volgari proiettili. La colonizzazione si chiama ricostruzione. La corruzione, sviluppo. NellAngola del boom lannientamento di un popolo non dà più scandalo.
Domenica, 30 marzo 2008
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