18 dicembre 2007
Il 15 avevo un impegno -da tempo- a Cagliari, come presidente della Commissione uranio impoverito e perciò non potevo
essere a Vicenza, il che mi spiaceva molto, ma non ci potevo fare nulla.
Arrivo perciò a Cagliari: il convegno è intitolato alle malattie belliche, è promosso dalla Tavola sarda della pace, si
tiene in una sala dellUniversità: una iniziativa molto ben organizzata. Ci sono comitati, gruppi, ritrovo compagni del
manifesto vivaci e pieni di idee, ci sono le famiglie dei militari morti o ammalati, molte donne e uomini motivati a
rivendicare i diritti di cittadinanza. I relatori invitati dalla Tavola siamo Accame e io.
Appena entro, vedo in fondo alla sala, oltre allo striscione della Tavola, anche uno "No Dal Molin!" e mi dicono subito
che vogliono essere solidali con Vicenza, non avendo potuto organizzare un viaggo fin lassù. Mi riconcilio col caso che mi
ha fatto essere qui oggi. Intanto mi telefonano da Liberazione e vengo a sapere che la manifestazione è grandissima e
bellissima, poi saprò anche che è andata molto bene senza alcuna sbavatura. Trasmetto subito la notizia allassemblea, che
applaude calorosamente. Tg e stampa sono molto avari e cancellano subito il successo, ma questo si sa già. Invece il 20
ottobre, il 24 novembre e il 15 dicembre segnano una nuova stagione di manifestazioni molto politiche, molto autonome e
attive e intrecciate fra loro, un inizio di risposta alla corporativizzazione in corso. Un inizio di ripresa, certamente
trafitta dal lutto delle morti operaie, da ultimo della Krupp, e dalle uccisioni di donne da parte di mariti e di ex di
qualsiasi tipo.
Non sto a fare la cronaca dei discorsi introduttivi, ciascuno ci ha messo se stesso e va bene: latmosfera è di grande
autenticità. Sono stata colpita da un divario nelle generazioni di movimento, e da notizie che credevo di conoscere e che,
riferite da chi ci sta in mezzo, hanno un altro sapore, unaltra eco.
Mi fermerò su questi due punti e su un piccolo ma molto significativo episodio.
Premessa la sincerità di ciascuno e la onestà di tutti, a me pare che dovremmo incominciare a chiederci perchè nel giro
di non molti anni, dalle enormi manifestazioni del 1991 vi sia stato un restringimento della capacità del movimento
pacifista e nonviolento di allargare e consolidare i consensi: al parlamento pacifisti e nonviolenti siamo una minoranza
non grande nellUnione, e assolutamente assenti da tutto il centrodestra. Vorrà pur dire qualcosa e bisogna chiedersi come
mai dopo tanta esaltazione la pace è più che mai minacciata e la cultura militarista si faccia sempre più forte. Non si può
accusare il destino cinico e baro o il tradimento dei parlamentari, bisogna fare unanalisi e tirare le conseguenze.
Ho provato a farlo e mi sono convinta che pacifismo e nonviolenza hanno perso ascolto perchè non hanno innovato le forme
della rappresentazione di sè e sorpreso e scosso con ciò le grandi masse in un tempo definito e contestualizzato. In che
cosa abbiamo mancato? Credo nella ripetitività delle accuse e nella mancanza di un disegno politico generale, costruito non
-come una volta- da parole dordine giuste ma generiche e gridate, ripetitive: ci è mancata la capacità di connettere le
questioni, di declinarle con voci non univoche, una polifonia ci voleva e anche le forme politiche dobbiamo riscrivere. I
movimenti politici in una società complessa, non sono manipolabili e hanno ciascuno proprie modalità.
La seconda questione è che ho sentito ancora raccontare che cosa sono i poligoni di tiro, unenorme estensione di
terreno sottratta alla popolazione, desertificata e resa inospitale a turismo e agricoltura sempre col sospetto del
pericolo. Alla fine dei lavori uno mi si è avvicinato per chiedere che cosa potevo dirgli sulla sorte di un poligono nel
quale da bambino andava a giocare con altri, e insieme alle greggi che vi pascolavano, senza alcuna avvertenza, precauzione
o protezione. Non ho potuto rispondergli se non che faccio parte di un gruppo di parlamentari che chiede la conferenza
nazionale sulle servitù militari. Intanto si dice che alcuni dei poligoni di tiro saranno raddoppiati, ma la Commissione
Difesa non ne sa nulla. A Teulada un comitato si è costituito per difendere un paese che muore, in una zona bellissima,
perchè gli impianti militari cacciano il turismo e non consentono attività produttive.
La Sardegna è sottoposta a una violenza che non si può accettare: vengo a sapere che organizzeranno una festa il 28
febbraio, quando lultimo soldato statunitense lascerà la Maddalena e inviteranno alla festa cittadini USA tra quelli che
lottano contro limperialismo della loro patria. Iniziativa politicamente opportuna ed eticamente nobile.
E tuttavia serpeggia non solo in Sardegna, qualche venatura razzista verso i militari: un po di pacifisti si
ritraggono e addirittura non ammettono che i militari sono persone, cittadini con tutti i diritti e che possono anche
cambiare opinione.
Verso la fine del dibattito si presenta alla tribuna un militare in borghese per raccomandare, tra laltro, che vadano
alla Cgil a firmare la presentazione di una legge di iniziativa popolare, che ricalca quella che con altri della sinistra
ho presentato a favore della sindacalizzazione dei militari. In effetti le leggi di iniziativa popolare sono la più ampia
forma di democrazia partecipata.
Marted́, 18 dicembre 2007
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