Pio XII e la Shoah: ancora silenzio Commissione storica internazionale cattolico-ebraica Rapporto preliminare |
DOC-1027. ROMA-ADISTA (20 novembre 2000). Gli undici volumi degli Actes et Documents du Saint Siège relatifs à la seconde guerre mondiale (Adss), pubblicati per ordine di Paolo VI a partire dal 1965 (terminati nell'81, sotto Giovanni Paolo II) non sono assolutamente sufficienti per rispondere in modo storicamente obiettivo alla domanda: «perché Pio XII tacque di fronte allo sterminio degli ebrei programmato dai nazisti?». E, dunque, prima di procedere, bisogna rispondere almeno a 47 domande di approfondimento suggerite dagli stessi Adss, anche se per fare ciò occorrerà aprire archivi vaticani ed ecclesiastici finora chiusi agli studiosi. È questa, in sostanza, la conclusione del Preliminary report di una commissione mista vaticano-ebraica che, dall'ottobre '99 all'ottobre di quest'anno, ha studiato a fondo il problema. Adista ha già ampiamente informato (v. n. 79/00) sui risultati del lavoro della commissione mista (scelta, per la parte vaticana, dal card. Edward Cassidy, presidente della Pontificia Commissione per i rapporti religiosi con l'ebraismo) e sul malessere che questi lavori hanno provocato in Vaticano e in storici cattolici legati ad esso. Un indizio di questo malessere è il fatto che la Sala stampa della Santa Sede non ha diffuso nemmeno un piccolo stralcio del ARapporto preliminare». Questo documento è tuttavia molto importante; importante e complesso, sia per gli indizi Acontro» che per quelli Aa favore» che esso apre nei confronti di papa Eugenio Pacelli, in particolare per gli anni che vanno dal 1939 al '45, cioè per quelli che coprono la Seconda guerra mondiale. Di seguito, in versione integrale in una nostra traduzione dall'inglese, il Preliminary report. Con un'avvertenza: all'interno del testo, nella composizione del gruppo dei sei storici, compare un settimo nome, quello di William R. Kenan. Inspiegabilmente, perché questi non fa parte della Commisisone. |
Commissione storica internazionale cattolico-ebraica«RAPPORTO PRELIMINARE»PREFAZIONE La Commissione storica internazionale cattolico-ebraica (Commissione storica) comprende un gruppo di tre studiosi cattolici e tre ebrei nominati, rispettivamente, dalla Commissione per i rapporti religiosi con l'ebraismo (CRRE) della Santa Sede e dal Comitato ebraico internazionale per le consultazioni interreligiose (IJCIC), a cui sottoponiamo questo rapporto preliminare. I sei studiosi scelti per lavorare nella Commissione storica sono: dr. Eva Fleischner, docente emerito della Montclair State University nel New Jersey; p. Gerald P. Fogarty SJ, William R. Kenan, docente di Studi e storia religiosa, Università della Virginia; dr. Michael R. Marrus, docente di studi sull'Olocausto e decano della Scuola universitaria dell'Università di Toronto; p. John F. Morley, professore associato, dipartimento di Studi religiosi, Seton Hall University; dr. Bernard Suchecky, ricercatore presso il dipartimento si studi sociali, Libera Università di Bruxelles; dr. Robert W. Wistrich, professore di storia e titolare della Cattedra di Neuberger di studi dell'ebraismo moderno alla Università ebraica di Gerusalemme. Gli studiosi non percepiscono compenso. Coordinatori del progetto sono il dr. Eugene Fisher, del Comitato episcopale per gli affari ecumenici ed interreligiosi della Conferenza episcopale dei vescovi statunitensi, per conto della CRRE; Seymour D. Reich, presidente del IJCIC e il dr. Leon A. Feldman, professore emerito di studi ebraici, Rutgers University, e Segretario del IJCIC. Ariella Lang, dottoranda in italiano presso la Columbia University, ha partecipato quale ricercatrice alla Commisisone storica e ha assistito alla redazione di questo rapporto. Membri dell'IJCIC sono l'American Jewish Committee, l'Anti-Defamation League, B'nai B'rith International, il World Jewish Congress, Israel Jewish Congress on Interreligious Relations e rappresentanti delle tre maggiori branche dell'ebraismo: Orthodox Union e Rabbinical Council of America (ortodossi); Rabbinical Assembly e United Synagogue of conservative Judiasm (conservatori) e Central Conference of American Rabbis e Union of American Hebrew Congregation (riformati). Il progetto era stato annunciato a Roma nell'ottobre 1999 dal cardinal Edward I. Cassidy, presidente della CRRE e da Seymour D. Reich, presidente del IJCIC. La Commissione Storica ha iniziato il suo lavoro con l'obietti-vo affermato dal cardinal Cassidy di esaminare criticamente gli undici volumi del materiale archivistico pubblicato dalla Segreteria di Stato vaticana (Sezione esterna) tra il 1965 e il 1981, intitolati Actes et documents du Saint Siège relatifs à la seconde guerre mondiale (ADSS). Ogni volume prende in considerazione un tema differente e un momento storico diverso. In questi documenti vi è pure la corrispondenza diplomatica della Segreteria di Stato della Santa Sede con i suoi rappresentanti e ufficiali all'estero, così come note e memorandum di incontri con diplomatici e leader ecclesiali di vari Paesi. Questi documenti sono pubblicati nella lingua in cui furono scritti originariamente (in primo luogo in italiano, francese e tedesco ma alcuni anche in latino e in inglese), ed ogni volume, eccezion fatta per il volume 3 che è diviso in due tomi, ha un'introduzione a sé. Queste introduzioni sono state recentemente riepilogate dall'ultimo membro ancora in vita del team di curatori gesuiti degli ADSS, p. Pierre Blet sj (1). Il mandato ricevuto dagli organismi committenti è quello di rivedere i volumi che compongono gli ADSS e di sollevare questioni e temi rilevanti che, a nostro avviso, non siano stati risolti in modo adeguato o soddisfacente dalla documentazione disponibile, e di pubblicare un rapporto sulle nostre conclusioni. Nel nostro esame del materiale, ci siamo sentiti obbligati a richiedere materiale aggiuntivo che potesse fornire risposte alle domande che sono sorte durante la nostra ricerca. Ci siamo incontrati una prima volta nel dicembre 1999 a New York, poi successivamente a Londra a maggio, a Baltimora in luglio e di nuovo a New York a settembre (2). Dopo aver esaminato gli ADSS, abbiamo preparato questo rapporto preliminare basato sulla nostra valutazione dei documenti contenuti nei volumi. Conformemente al nostro incarico, la parte preponderante di questo rapporto consiste in una selezione di domande sorte dal nostro studio dei documenti, dopo una breve illustrazione delle circostanze che hanno condotto alla creazione di questa Commissione. L'intensa polemica che coinvolge la reputazione di Pio XII e il ruolo del Vaticano durante la Shoah iniziò nei primi anni '60 con la controversia riguardo al testo teatrale di Rolf Hochuth, «Il Vicario». Era un periodo in cui diversi storici avevano pubblicato resoconti assai critici sul papa regnante durante la seconda guerra mondiale, che stridevano con le lodi che egli aveva ricevuto tanto durante che dopo la guerra e fino alla sua morte nel 1958. Molti studiosi, dagli anni '60 fino ad oggi, hanno preso sul serio il compito dell'oggettività storica e hanno scritto resoconti equilibrati (anche se in molti casi ancora critici nei confronti della Santa Sede). Altri sembrano aver semplicemente assunto come principio che un'accusa particolare, se ritenuta dannosa per la reputazione di Pio XII, deve per forza essere vera. Altri, invece, reagendo alle accuse contro il papa, hanno elaborato difese apologetiche, alcune delle quali sono altamente polemiche. In conclusione, nel corso degli anni sono stati elaborati ritratti sempre più controversi, tanto denigratori quanto adulatori, di un uomo il cui ufficio, il papato, è venerato da molti come un'istituzione sacra. Nel 1964 il Vaticano reagì alla controversia e mise in moto il processo editoriale che condusse alla pubblicazione degli ADSS. Autorizzando quella pubblicazione, papa Paolo VI prese la decisione senza precedenti di capovolgere in parte la consueta prassi del Vaticano di non mettere in circolazione materiale archivistico tanto recente (3). Il compito di pubblicare questi documenti fu affidato dalla Segreteria di Stato a tre gesuiti, lo stesso Blet, Angelo Martini e Burkhart Schneider. In seguito venne aggiunto al team Robert Graham, un altro gesuita (4). Padre Blet più tardi spiegò che la pubblicazione degli ADSS era la risposta vaticana alle "accuse" mosse a Pio XII all'inizio degli anni '60 (5). I volumi degli ADSS rivelano la complessità e la varietà delle attività che la Santa Sede svolse in difesa delle «vittime della guerra» (6). Uno dei loro preziosi contributi è di illustrare le priorità del Vaticano durante questo conflitto. A quell'epoca la Santa Sede si occupava in primo luogo del suo ministero sacramentale, dei diritti istituzionali e della sopravvivenza stessa della Chiesa cattolica, come illustrato, per esempio, dalla sua politica diplomatica concordataria. La varietà dei documenti e le questioni morali che sorgono da alcuni di essi attestano il serio impegno dei curatori che li hanno raccolti e l'inclusione di documenti, che poi, conseguentemente, hanno sollevato questioni sul ruolo della Santa Sede, la dice lunga sugli sforzi di obiettività degli autori. In realtà, il fatto che tali questioni siano state ripetutamente sollevate all'interno della Chiesa stessa è espressione di quanto sensibilmente si sia evoluta, a partire dagli eventi descritti nel nostro rapporto, la comprensione che la Chiesa ha del suo ruolo nel mondo. Tuttavia, l'esame di questi volumi di documenti vaticani non esclude domande significative circa il ruolo del Vaticano durante la Shoah. Nessuno storico serio potrebbe accettare che i volumi resi pubblici ed editi mettano la parola fine alla ricerca. Questo non è dovuto alla complessità né alla difficoltà delle questioni in sé, né alla qualità editoriale dei volumi documentari. Piuttosto, riflette il fatto che molti dei documenti sono suscettibili di diverse interpretazioni. L'interpreta-zione è inevitabile nel lavoro storico: in questo caso è particolarmente importante e delicata perché la Commissione storica ha a che fare con ciò che gli stessi curatori dei documenti riconoscono essere solo una parte delle prove disponibili. (7). Uno dei nostri obiettivi è di comprendere le azioni di Pio XII e del Vaticano durante la Seconda guerra mondiale, il modo in cui hanno deciso le politiche che poi hanno seguito, e il perché. Ma la possibilità di farlo è limitata dal fatto che la nostra Commissione, e gli studiosi in generale, hanno a loro disposizione solo una selezione dei documenti vaticani. Uno dei risultati inevitabili di questa limitazione è che alcuni commentatori si sono affidati alla speculazione in modo più pesante di quanto sarebbe stato opportuno, ed alcuni sono stati sopraffatti dal sensazionalismo. Gli stessi documenti pubblicati spesso sollevano importanti questioni alle quali non danno risposta. La semplice presenza di un documento, dopo tutto, non dice nulla sul modo in cui è stato ricevuto, sull'attenzione che è stata data alla sua ricezione, o al modo in cui è stato considerato o trattato nei diversi circoli della diplomazia vaticana. Inoltre, i curatori degli ADSS hanno concepito il loro progetto in un certo modo, come fanno tutti gli studiosi, e così dobbiamo affrontare non soltanto il compito di analizzare i contenuti dei volumi, ma anche quello di esaminare finalità e messa a fuoco dei curatori. Molte domande hanno la loro risposta nelle lunghe introduzioni che accompagnano ogni volume, delle quali padre Blet ha fornito una sintesi, ma altre rimangono insolute. Nelle introduzioni, i curatori citano numerosi documenti, alcuni dei quali sono pubblicati nei volumi, mentre ad altri si fa riferimento ma non sono pubblicati. Nel volume I, per esempio, i curatori menzionano lettere mandate al papa da «anime ansiose» che restano anonime, e che lo implorano di adoperarsi per la pace, a volte anche sottoponendogli piani di azione (8). Questi appelli, tuttavia, non sono inclusi nel corpus dei volumi. Analogamente, nell'introduzione al volume 2 i curatori citano esplicitamente in note a piè di pagina passi della corrispondenza della gerarchia cattolica tedesca al papa. Ma il testo del volume contiene solo lettere di Pio XII ai vescovi tedeschi. Gli stessi curatori riconoscono di aver utilizzato determinati criteri nella scelta dei documenti che pubblicano. Nella prefazione al volume 1 spiegano che la Segreteria di Stato riceve rapporti e invia istruzioni che riguardano tanto la vita interna della Chiesa cattolica quanto la vita religiosa dei suoi fedeli, e che non hanno nulla a che fare con le relazioni internazionali. Ecco perché questo volume si limita alla pubblicazione dei documenti che servono a spiegare il coinvolgimento della Santa Sede in questioni relative alla guerra del 1939-1945 (9). I curatori danno una spiegazione analoga nel volume 2, dove notano che «il papa ha a che fare con una enorme quantità di temi che sono strettamente ecclesiastici e riguardanti la vita religiosa» (10). Una generazione più tardi, gli storici potrebbero trovare importante per la loro ricerca temi che prima sembravano di carattere strettamente ecclesiastico o religioso. Allora, che cosa possiamo portare alla discussione che altri non abbiamo già portato? Non rivendichiamo una competenza su tutti i temi trattati nei volumi pubblicati, anche se tutti partecipiamo all'attuale ricerca e al dialogo ri-guardanti la Chiesa e la Shoah. Ognuno di noi è giunto alla Commissione storica con punti di vista differenti basati sul lavoro svolto in precedenza. Speriamo di dare una dimensione molteplice al rapporto, che rifletta la diversità di impostazione scientifica e di opinioni tipica di ogni ricerca. La nostra collaborazione e revisione congiunta dei documenti pubblicati non ci ha solo reciprocamente arricchiti ma ha anche dato vita ad un forum di ricerca e dialogo. Questo non significa, tuttavia, che si sia raggiunto un consenso unanime sull'interpretazione di ogni documento. Conformemente al nostro incarico, abbiamo iniziato il nostro lavoro con un'analisi dei materiali che sono stati di pubblico dominio per più di due decenni. Abbiamo accettato di intraprendere questo compito per una serie di ragioni. Primo, questi volumi sono stati poco usati e sono poco conosciuti, al di fuori di un ristretto gruppo di specialisti. Secondo, data la natura estremamente controversa ed emotiva della questione in oggetto, siamo stati d'accordo sull'utilità del fatto che tre cattolici e tre ebrei intraprendessero una ricerca indipendente con la prospettiva di promuovere, a un livello più profondo e più maturo, il dialogo storico tra le nostre due comunità e al loro interno. Terzo, crediamo che un esame comune della documentazione pubblicata sia un primo passo per arrivare ad un'ulteriore documentazione archivistica e ad un'ulteriore prova storica. Nel presentare il nostro lavoro, speriamo di stabilire una base documentaria più sicura per analizzare le azioni e le politiche di Pio XII e del Vaticano. Il nostro compito non è di giudicare il papa e il Vaticano. Piuttosto, attraverso l'ana-lisi e lo studio delle loro azioni, dichiarazioni e lettere, speriamo di contribuire ad una comprensione più pacata del ruolo del papato durante la Shoah. DOMANDE Ciò che segue sono alcuni esempi di domande che sono sorte nel corso del nostro esame dei documenti. Per comodità abbiamo raggruppato queste domande in tre categorie: la prima, di carattere molto specifico, nasce da documenti particolari nella collezione; la seconda, di carattere più generale, contiene temi che appaiono in uno o più volumi; e la terza, domande che ci siamo posti considerando il quadro più generale. Domande che sorgono da documenti particolari Eugenio Pacelli, allora Segretario di Stato, e i cardinali tedeschi hanno svolto un ruolo centrale nella redazione dell'enciclica «Mit brennender Sorge» («Con forte preoccupazione») del 1937 che costituiva una decisa condanna del nazional-socialismo. Subito dopo essere stato eletto papa, Pacelli si incontrò con lo stesso gruppo di cardinali tedeschi per discutere come dovevano affrontare il nazismo. Per comprendere l'evoluzione delle politiche di Pacelli come Segretario di Stato e come papa, possiamo vedere le bozze di «Mit brennender Sorge» o qualsiasi altro materiale rilevante che riguardi quell'enciclica o l'incontro del papa nel 1939 con i cardinali tedeschi dopo la sua elezione? (11). Nel 1938, dopo il pogrom della notte dei cristalli, solo un illustre prelato tedesco, Bernhard Lichtenberg, rettore della cattedrale di St. Hedwig a Berlino, ebbe il coraggio di condannare pubblicamente l'oltraggio. Pacelli ricevette un dettagliato rapporto dal nunzio pontificio a Berlino (12) ma sembra che non ci sia stata nessuna reazione ufficiale da parte del Vaticano. Questo tema è particolarmente importante perché l'arcivescovo Amleto Cicognani, delegato apostolico negli Stati Uniti, certamente informò il Vaticano della condanna, trasmessa per radio, della "notte dei cristalli" da parte dei vescovi americani. Gli archivi rivelano discussioni interne tra gli ufficiali del Vaticano, compreso Pacelli, sulla reazione più opportuna a questo pogrom? Nel giugno 1938 papa Pio XI commissionò a padre John LaFarge, sj, l'elaborazione di una enciclica sul razzismo e l'antisemitismo. I curatori degli ADSS hanno affermato che negli archivi del Vaticano non si è tovato nulla su questo argomento (13). Tuttavia, in un articolo apparso nell'Osservatore Romano nel 1973, padre Burkhart Schneider, uno dei curatori degli ADSS, disse che «i testi preparati, come molti su altri temi, sono finiti nel silenzio degli archivi» (14). Potremmo rivedere le bozze e i materiali archivistici relativi a quel documento? Una parte consistente del volume 6 è dedicata agli sforzi falliti per ottenere visti brasiliani per cattolici di origine ebraica. Numerose domande sono sorte riguardo al fallimento di questo progetto. Inoltre, è noto che una parte del denaro destinato ai rifugiati veniva da fondi raccolti dal United Jewish Appeal negli Stati Uniti (15). Esiste ulteriore documentazione sul perché questo denaro sia stato investito nel tentativo di salvare ebrei convertiti piuttosto che ebrei? Dallo scoppio della guerra, piovvero sul Vaticano appelli in favore della popolazione polacca, brutalmente resa vittima di un'occupazione crudele e sanguinaria. E fin dai primi giorni di conflitto, gli osservatori, che andavano dal governo polacco in esilio agli ambasciatori inglesi e francesi in Vaticano, si fecero portavoce dell'opinione di molti cattolici polacchi, tanto all'interno della Polonia che fuori, secondo cui la Chiesa li aveva traditi e Roma era stata in silenzio di fronte alla loro tragedia nazionale (16). Esiste ulteriore documentazione, oltre a quella già presente nei volumi, riguardo alle deliberazioni all'interno del Vaticano su questi insistenti appelli a favore dei polacchi? Il 23 novembre 1940 Mario Besson, vescovo di Losanna, Friburgo e Ginevra, inviò una lettera a papa Pio XII esprimendo profonda preoccupazione per le gravi condizioni di migliaia di prigionieri, tra cui ebrei, in campi di concentramento nella Francia sudoccidentale (17). In questo resoconto sollecitò un appello pubblico da parte del papa contro le persecuzioni e una difesa più attiva, da parte cattolica, dei diritti di tutte le vittime. Sappiamo che esso dev'essere stato preso sul serio dal Vaticano, specialmente perché le sue osservazioni erano confermate dal nunzio pontificio in Svizzera, l'arcivescovo Filippo Bernardini, che trasmise il messaggio di Besson al papa (18). Anche le successive risposte del card. Luigi Maglione, segretario di Stato, indicano che egli lo considerava degno di attenzione, e certamente ne avrebbe discusso con il Santo Padre (19). Ci sono prove che Pio XII, Maglione o altri alti ufficiali del Vaticano abbiano preso in considerazione, allora o in seguito, di rispondere nella maniera richiesta da Besson? Nell'agosto 1941 il capo di Stato francese, il maresciallo Philippe Pétain, chiese all'ambasciatore francese presso la Santa Sede, Léon Bérard, di accertare l'opinione del Vaticano sui tentativi del governo collaborazionista di Vichy di porre limiti agli ebrei con una legislazione anti-ebraica. La risposta arrivò, secondo quanto si riporta, da Giovanni Battista Montini, sostituto segretario di Stato, e da Domenico Tardini, Segretario della Congregazione per gli affari ecclesiastici straordinari, che affermarono che non c'erano obiezioni a queste restrizioni a condizione che queste fossero amministrate con giustizia e carità e non limitassero le prerogative della Chiesa (20). Il papa fu consultato su questa materia? Ci sono materiali aggiuntivi negli archivi riguardo a questo tema che non sono presenti negli ADSS? In Romania, dove i cattolici costituivano una minoranza piccola ma significativa, tanto le autorità locali quanto il Vaticano si attennero al Concordato del 1929 per definire il rapporto tra la Chiesa e il regime dittatoriale del maresciallo Ion Antonescu. Nel 1940 e 1941, quando la persecuzione degli ebrei si intensificò, il Vaticano ricevette una serie di comunicazioni dal nunzio, l'arcivescovo Andrea Cassulo, che riferivano in merito al danno che le leggi anti-ebraiche arrecavano a quelle che la Chiesa considerava sue prerogative, cioè, tra l'altro, la protezione dei diritti civili e religiosi dei cattolici convertitisi dall'ebraismo. Cassulo raccontò ri-petutamente i suoi sforzi di assicurare la «libertà della Chiesa» insistendo sulla necessità di esentare i convertiti dalle leggi anti-ebraiche e sui loro diritti di frequentare le scuole e gli istituti religiosi (21). Cassulo o i suoi interlocutori in Vaticano vedevano questi interventi come l'unico mezzo pratico con cui poter estendere un manto di protezione, o almeno una parte di protezione, agli ebrei che non erano convertiti? Ci sono ulteriori documenti che possano dare delucidazioni su questo tema? Cassulo aveva ottime relazioni con i leader ebrei nelle province centrali rumene della Moldavia e della Valacchia. Fece appello direttamente ad Antonescu affinché limitasse le deportazioni pianificate per l'estate del 1942 (22). Nella primavera del 1943 si recò nella Transistria, visitando uno dei principali campi di sterminio degli ebrei durante la Shoah. Cassulo riferì ampiamente le sue attività a Maglione (23). Andò a Roma nell'autunno 1942 e fu ricevuto dal papa. Non vi sono documenti che registrano quanto emerse da quella visita? Le sue azioni erano approvate dalla Santa Sede? Alla fine dell'agosto 1942, il metropolita greco cattolico di Leopoli Andrzeyj Szeptyckyj, scrisse al papa e descrisse con grande chiarezza le atrocità e gli omicidi di massa perpetrati contro gli ebrei e la popolazione locale (24). Nessun altro uomo di Chiesa di alto livello, per quanto sappiamo, ha fornito nello stesso modo una simile testimonianza oculare diretta ed ha espresso preoccupazione per gli ebrei perché ebrei (e come primi bersagli della bestialità tedesca). Inoltre, egli ha riferito al papa di aver protestato con lo stesso Himmler. Alla fine, denunciò pubblicamente i massacri degli ebrei laddove persino alcuni cattolici ucraini collaboravano con i tedeschi. C'è prova di una discussione o di una replica all'appello di Szeptyckyj? Il cardinale arcivescovo di Cracovia, Adam Sapieha, in una lettera del febbraio 1942 al papa, descrisse vividamente gli orrori dell'occupazione nazista, compresi i campi di concentramento che annientarono migliaia di polacchi (25). Tuttavia, né in questa né in nessun'altra comunicazione a Roma, di cui siamo a conoscenza, Sapieha fece alcun riferimento specifico agli ebrei. Né, per quanto è di nostra conoscenza, il Vaticano gli ha mai richiesto alcuna informazione in proposito. Eppure Sapieha senza dubbio sapeva ciò che stava avvenendo ad Auschwitz, che era all'interno della sua arcidiocesi. Non vi è nessuna comunicazione inedita di Sapieha a Roma in cui facesse allusione al destino degli ebrei? Gli archivi possono dirci di più riguardo all'interazione, su questo ed altri temi collegati, tra il Vaticano e i leader ecclesiastici polacchi? Il 18 maggio 1941, papa Pio XII ricevette il capo dello Stato fascista di Croazia, Ante Pavelic. Pur se il Vaticano ricevette Pavelic in visita privata, non come capo di Stato, vi furono implicazioni politiche a causa di quest'accoglienza. Prima della sua visita, il ministro jugoslavo presso la santa Sede portò all'attenzione del Vaticano il coinvolgimento di Pavelic nelle atrocità perpetrate contro i serbi e contestò l'accoglienza di Pavelic sotto ogni punto di vista perché era capo di uno Stato fantoccio «illegittimo» (26). In seguito, il regime di Pavelic si rese responsabile del massacro di centinaia di migliaia di serbi, ebrei, zingari e partigiani. Non si sa come il papa reagì a queste atrocità. Non ci sono materiali archivistici che possano far luce su tale questione? Molte domande irrisolte circondano anche l'arcivescovo di Zagabria, Aloysius Stepinac, beatificato nel 1999. Mentre nel 1941 egli inizialmente salutò con favore la creazione di uno Stato croato, in seguito egli condannò le atrocità contro i serbi e gli ebrei e creò un'organizzazione per salvare gli ebrei. Vi sono documenti archivistici o materiali del processo di beatificazione che possano far luce su questo argomento? In più occasioni Konrad von Preysing, vescovo di Berlino, aveva inutilmente fatto appello al papa affinché protestasse contro specifiche azioni naziste, tra cui quelle contro gli ebrei. Il 17 gennaio 1941 scrisse a Pio XII, notando che «Sua Santità è certamente informata sulla situazione degli ebrei in Germania e nei Paesi limitrofi. Vorrei dire che sia da parte cattolica che da parte protestante mi è stato chiesto se la Santa Sede non possa fare qualcosa a questo riguardo, diffondendo un appello in favore di questi sfortunati» (27). Questo era un appello diretto al papa, che scavalcava il nunzio. Quale impressione fecero su Pio XII le parole di Preysing? Quali discussioni, se ve ne furono, ebbero luogo riguardo all'appello pubblico richiesto dal vescovo tedesco? Si cercarono altre informazioni sulla politica nazista contro gli ebrei? Il 6 marzo 1943, von Preysing chiese a Pio XII di cercare di salvare gli ebrei, ancora nella capitale del Reich, che erano prossimi alla deportazione; la quale, come affermò lui stesso, li avrebbe portati a morte certa: «La nuova ondata di deportazioni degli ebrei, iniziata appena prima dell'1 marzo, colpisce aspramente e particolarmente noi, qui a Berlino. Diverse migliaia di persone sono coinvolte: Sua Santità ha fatto allusione al loro probabile destino nel suo messaggio radiofonico di Natale. Tra i deportati vi sono pure molti cattolici. Non è possibile a Sua Santità intervenire nuovamente per i molti sfortunati innocenti? Per molti è l'ultima speranza ed è il desiderio profondo di tutte le persone per bene» (28). Il 30 aprile 1943, il papa manifestò a von Preysing che i vescovi locali avevano la facoltà di decidere quando tacere e quando parlare di fronte al pericolo di rappresaglie e di pressioni (29). Anche se sentiva di dover esercitare, in quanto papa, una grande prudenza nelle sue azioni, rese chiaro che si sentiva rincuorato dal fatto che i cattolici, particolarmente a Berlino, avessero aiutato i «cosiddetti non-ariani» (sogenannten Nichtarier). In particolare sottolineò il «paterno riconoscimento» papale a padre Lichtemberg, che era stato imprigionato dai nazisti e che sarebbe deceduto poco dopo. Ci sono esempi anteriori, negli archivi, della sollecitudine del papa per padre Lichtenberg o riferimenti alla posizione dei vescovi contro la persecuzione degli ebrei a partire dal 1938? Ci sono prove di discussioni in Vaticano riguardo alle deportazioni da Berlino? A parte l'osservazione diretta di von Preysing delle deportazioni naziste degli ebrei da Berlino, e ciò che gli veniva riferito, sappiamo che il papa fu tenuto informato sulla persecuzione tramite il frequente contatto con Helmut James conte di Molte (la forza trainante del circolo anti nazista di Kreisau). Il papa ricevette altre informazioni da von Preysing sulla Shoah? Gli archivi contengono materiale aggiuntivo riguardo all'interazione di von Preysing e di altri vescovi tedeschi con il Vaticano circa la persecuzione e l'assassinio degli ebrei? La risposta del papa a von Preysing non indica un impegno specifico a fare appelli pubblici in favore egli ebrei. Ma il 2 giugno 1943, appena un mese dopo, il papa, in un discorso al sacro collegio dei cardinali, fece riferimento allusivo a coloro «talvolta destinati, anche senza colpa da parte loro, a misure di sterminio» (30). Questa fu la seconda ed ultima occasione in cui papa Pio XII avrebbe fatto (indiretto) riferimento alla Shoah durante gli anni della guerra. La sua vicinanza temporale alla replica papale del 30 aprile 1943 a von Preysing suggerisce che vi può essere stata una connessione, anche se ancora una volta solo un esame più approfondito degli archivi vaticani potrebbe rivelare se è stato davvero così. Quali documenti inediti riguardanti il discorso del papa e la sua risposta a von Preysing contengono gli archivi? In una lettera a von Preysing nel marzo 1944, il papa affermò: «Davanti a me ci sono le sue otto lettere del 1943 e cinque lettere del 1944» (31). Esistono queste lettere negli archivi, e possiamo vederle? Nel volume 8 sono riportati resoconti straordinariamente dettagliati di uccisioni. Un esempio sconvolgente: il 7 ottobre 1942, il Vaticano ricevette, sui massacri degli ebrei, informazioni compilate da un cappellano di un treno-ospedale italiano, padre Pirro Scavizzi, che riportava fino a quel momento due milioni di morti (32). Si suppone che Scavizzi abbia avuto quattro udienze con il papa; di due di esse non si fa menzione negli undici volumi (33). Contrastando le tesi del cardinale Theodor Innitzer di Vienna, Scavizzi, scrivendo direttamente al papa nel maggio 1942 (34), deplorava le timorose reazioni dell'arcivescovo Cesare Orsenigo, nunzio in Germania, a questioni come queste. Rapporti come questi sono stati mai discussi all'interno degli uffici della Segreteria di Stato? Il papa stesso si riferì a questi resoconti in incontri o altre conversazioni all'interno del Vaticano? Ci sono negli archivi altri materiali provenienti dai cappellani militari italiani? In agosto e settembre 1942, vi furono vigorose proteste contro le deportazioni degli ebrei dalla Francia da parte dell'arcivescovo Juels Saliège di Tolosa, del vescovo Pierre-Marie Théas di Montaubon, e del cardinale Pierre Gerlier di Lione (35). Secondo il New York Times, in un articolo pubblicato il 10 settembre 1942, il papa «mandò al maresciallo Pétain un messaggio personale nel quale manifestava la sua approvazione all'iniziativa dei cardinali e vescovi francesi in favore degli ebrei e degli stranieri deportati in Germania». Si intende che il papa chiese al capo di Stato di intervenire (36). C'è conferma, negli archivi vaticani, del resoconto di questa notizia? Casimir Papée, ambasciatore di Polonia presso la Santa Sede, il 28 aprile 1943, mandò a Maglione un estratto di un giornale di Zurigo, che descriveva il martirio di molti preti polacchi detenuti a Dachau. Egli ricordava al cardinale i sentimenti risvegliati in tutte le nazioni civili e cristiane dalla crudeltà tedesca nei territori occupati, aggiungendo: «I miei colleghi ed io non abbiamo mai mancato di attirare l'atten-zione di Sua Eminenza su questi fatti dolorosi». Nel concludere la sua lettera, Papée chiedeva che cosa la Santa Sede sarebbe stata in grado di fare «per salvare vite preziose alla Chiesa», e quali misure si proponeva di prendere «di fronte a tale ingiustizia» (37). Non c'è prova di una risposta negli ADSS, anche se le sofferenze dei polacchi erano ricordate in diverse occasioni (38). Appelli come questi erano giunti al Vaticano dal 1939. Ci sono materiali negli archivi riguardanti discussioni interne sul modo in cui il Vaticano avrebbe dovuto rispondere? Ci sono lettere dei vescovi dell'Italia del nordest alla Santa Sede tra il 1943 e il 1945 (per esempio, Giuseppe Nogara, vescovo di Udine, Antonio Santin, vescovo di Trieste, e altri vescovi) (39). Esse offrono un'immagine dettagliata della situazione politico-religiosa in quelle diocesi, come la persecuzione degli ebrei, la fucilazione di ostaggi, i pericoli rappresentati dai partigiani e la sofferenza degli italiani. Ci sono altre lettere di questi ed altri vescovi italiani negli archivi? All'inizio del 1944, il World Jewish Congress fece appello alla Santa Sede, attraverso l'arcivescovo di Washington, Cicognani, affinché intervenisse con le autorità ungheresi e accettasse di assistere gli ebrei della Polonia. In questo periodo, l'Ungheria era vista come un luogo di rifugio per gli ebrei. Maglione informò Angelo Rotta, nunzio in Ungheria, di questo appello, e gli diede istruzione di intraprendere qualunque passo egli ritenesse «possibile ed opportuno» (40). Altri appelli giunsero ai nunzi e ai delegati da diversi gruppi ebraici (41). I nunzi allora inviarono sintesi telegrafiche di questi appelli. Potremmo vedere i documenti originali per determinare quanto fedelmente sono riprodotti nelle sintesi? Nel febbraio 1944, la Pontificia Commissione per lo Stato della Città del Vaticano, organismo amministrativo della Città del Vaticano, registrò la presenza di ebrei ed altri a cui fu dato rifugio all'interno del Vaticano (42). Le registrazioni e i comunicati della Pontificia Commissione rispetto all'accoglienza di rifugiati sono disponibili? Vi sono registrazioni relative ad altre persone che abbiano trovato rifugio in istituzioni pontificie, ad esempio nella villa papale a Castelgandolfo? Nell'aprile 1944, all'epoca delle deportazioni degli ebrei dall'Ungheria, Rotta riportò che il capo del governo ungherese gli aveva assicurato che voleva mantenere relazioni cordiali tra la Santa Sede e l'Ungheria. Queste assicurazioni giunsero dopo la promulgazione di nuove leggi anti-ebraiche sotto l'influenza tedesca. Una nota in calce al rapporto di Rotta indica che esso era stato visto dal papa, ma tale nota non c'è nella maggior parte dei documenti analoghi (43). C'è qualche registrazione dei rapporti che il papa veramente vide? Quale fu la sua reazione ai rapporti di Rotta? Vi furono discussioni riguardo alle relazioni del papa con il governo ungherese? Rotta fu l'unico nunzio a cooperare con i rappresentanti diplomatici di Stati neutrali, Spagna, Portogallo, Svezia e Svizzera. In tre occasioni, alla fine del 1944, lui e i suoi colleghi diplomatici inviarono proteste al governo ungherese in difesa degli ebrei e presero provvedimenti concreti per salvarli (44). Il Vaticano espresse approvazione per le azioni di Rotta in questo frangente (45). C'è prova di una approvazione vaticana o di un incoraggiamento delle attività di Rotta già in precedenza? Nel 1933, Edith Stein (ebrea, convertita al cattolicesimo, fattasi carmelitana con il nome di Teresa della Croce, uccisa ad Auschwitz, e beatificata da Giovanni Paolo II, ndt) scrisse a Pio XI chiedendogli di pubblicare un'enciclica di condanna dell'antisemitismo (46). Questo è stato forse il primo di tanti appelli fatti al Vaticano affinché intervenisse in difesa degli ebrei. Anche se la data va oltre i limiti del nostro incarico, il documento è importante per il suo contenuto. Come fu accolta questa lettera? La lettera si trova negli archivi, e se sì, è possibile vederla? B. Domande che sorgono da temi pertinenti ad uno o più volumi. La spiritualità di Pio XII era modellata dalle circostanze e dai tempi nei quali egli visse, ed essa ebbe un influsso profondo sul suo modo di vedere la questione degli ebrei come quella di altre vittime della guerra (quali i polacchi, serbi, zingari, civili tedeschi, prigionieri di guerra italiani e altri). Per esempio, nelle sue lettere ai vescovi di Amburgo e di altre diocesi, la sua teologia della sofferenza influenzava fortemente il suo modo di rispondere sulla persecuzione, sui bombardamenti e sugli altri attacchi contro le popolazioni civili. Ci sono altre lettere e documenti non pubblicati che possano dare ulteriore luce su come il Papa vedeva il ruolo della Chiesa durante la guerra? In subordine alla Segreteria di Stato, la Congregazione per gli Affari Ecclesiastici Straordinari trattava i rapporti tra gli Stati. Negli incontri della Congregazione venivano discussi i rapporti provenienti dai nunzi e dai delegati e le prime stesure delle istruzioni inviate loro dalla Congregazione. Le minute di questi incontri potrebbero dare informazioni valide sulle reazioni del Vaticano alle attività della Chiesa nel contesto dell'Europa dominata dai nazisti. Le minute di questi incontri coprono il periodo della guerra? Se è così, potremmo avervi accesso? Questioni finanziarie sono occasionalmente menzionate nel contesto dell'aiuto dato ai civili sofferenti (47). Per esempio, viene dato un resoconto dell'esborso di fondi in quei casi nei quali organizzazioni ebraiche facevano donazioni al Vaticano per gli aiuti e i soccorsi. Tuttavia, i volumi non contengono nessun documento circa le transazioni del Vaticano in questo campo. C'è qualche prova d'archivio che indichi come il Vaticano raccoglieva e distribuiva i propri o altrui fondi nell'adempimento di tali attività, quale l'annuale Obolo di San Pietro? Durante la guerra, il Vaticano seguì la sua politica tradizionale secondo la quale gli ebrei convertiti al cattolicesimo erano membri a pieno titolo della Chiesa e quindi avevano il diritto di essere da lei protetti. Questa protezione veniva talvolta garantita tramite concordati che fornivano alla Chiesa i mezzi per intervenire in casi specifici e generali. Il ricorso a questi interventi derivava solo da considerazioni di efficacia o c'erano considerazioni morali o altro che venivano discusse dagli ufficiali vaticani? C'era un'ampia strategia, c'era una linea politica o c'erano discussioni teologiche tra gli ufficiali vaticani per determinare quali principi si dovessero applicare per gli interventi in favore degli ebrei convertiti? Nei ripetuti interventi contro l'applicazione di leggi razziali e negli appelli in favore di alcuni dei deportati che appaiono in questi volumi, l'accento sui "cattolici non-ariani" o sugli ebrei convertiti colpisce il lettore contemporaneo. E questo tanto più a causa del perdurante risentimento, tra gli ebrei, contro la promozione e l'incoraggiamento da parte della Chiesa di tali conversioni. Dal punto di vista del Vaticano, beninteso, le ragioni avanzate per questa sottolineatura sono triplici: anzitutto, il modo in cui la Chiesa comprendeva la propria responsabilità nella cura dei suoi; in secondo luogo, il fatto che il Vaticano non credeva che le organizzazioni ebraiche si sarebbero occupate degli ebrei convertiti al cattolicesimo; e in terzo luogo, l'asserzione che solo nei casi riguardanti questa particolare classe di "ebrei" il Vaticano aveva ragione di ergersi di fronte a regimi dittatoriali ed aggressivi con qualche possibilità di successo. Fino a che punto era questa pretesa la ragione per non prestare attenzione agli ebrei in quanto tali? E fino a che punto è giusto far riferimento, come molti fanno, ad interventi in favore di "ebrei" quando questo termine spesso indica gli ebrei battezzati? Ci sono dei documenti che potrebbero chiarire quest'uso ambiguo della terminologia? Quasi unico tra i diplomatici del Vaticano, mons. Domenico Tardini, assistente principale di Maglione, scrisse dei memoranda e note d'ufficio su una ampia varietà di argomenti, molti dei quali sono pubblicati negli ADSS. Ha forse scritto altre note circa il destino degli ebrei che non sono state pubblicate negli ADSS? Il 18 marzo 1942, Gerhart Riegner, del Word Jewish Congress e Richard Lichtheim, rappresentante della Jewish Agency for Palestin, inviarono all'arcivescovo Filippo Bernardini, nunzio in Svizzera, un memorandum particolarmente completo sul destino degli ebrei in Europa Centrale ed Orientale e il giorno dopo Bernardini inoltrò il documento a Maglione stesso. Se è vero che quel rapporto non dava la sensazione chiara di una "soluzione finale" a dimensione europea, lasciava tuttavia poco spazio all'immagina-zione nella descrizione degli orrori organizzati su scala continentale (48). C'è qualche indicazione negli archivi circa il tipo di risposta, se ce ne fu una, che venne data a questo rapporto? Per esempio, la Santa Sede rese noti alle gerarchie o ai suoi rappresentanti diplomatici i contenuti di questo rapporto? Ci sono prove che la Santa Sede era ben informata, verso la metà del 1942, sull'accelerazione del massacro di massa degli ebrei. Si continua a porre domande su come questa notizia fu accolta, e su quale tipo di attenzione vi fu prestata. Fino a che grado di completezza fu informato il Vaticano circa i dettagli delle persecuzioni e dello sterminio nazisti? Quale fu la reazione della Santa Sede, e quali furono le discussioni che seguirono i rapporti che abbondavano nella descrizione delle prove della "soluzione finale"? Più specificamente, quali furono i passi che condussero al messaggio del papa per il Natale del 1942? Ci sono bozze di questo messaggio? Alla luce di quanto sopra, ci furono nel settembre del 1942 delle richieste per una presa di posizione papale fatte dai rappresentanti diplomatici presso la Santa Sede della Gran Bretagna, del Belgio, della Polonia, del Brasile e degli Stati Uniti d'America. Nel volume 5 degli ADSS, viene pubblicata solamente la risposta a Myron Taylor, rappresentante americano presso il papa. Si potrebbero mettere a disposizione le risposte date agli altri rappresentanti? Sono state poste delle domande circa l'atteggiamento del Vaticano verso una patria nazionale ebraica in Palestina durante il periodo della Shoah. In genere, Maglione rispondeva agli appelli di aiuto mandando degli ebrei in Palestina e ricordando loro tutto ciò che la Santa Sede aveva fatto per aiutare gli ebrei, e la sua disponibilità a continuare così. Però in note interne pubblicate nei volumi, riservate solo ai rappresentanti del Vaticano, il Segretario di Stato e i suoi assistenti riaffermavano esplicitamente l'opposizione del Vaticano ad un'immigrazione ebraica significativa in Palestina, dicendo che «la Santa Sede non ha mai approvato il progetto di fare della Palestina una patria ebraica. La Palestina è ora più santa per i cattolici che per gli ebrei» (49). I documenti rivelano anche che Angelo Roncalli (il futuro papa Giovanni XXIII), allora delegato apostolico a Istanbul, aiutò degli ebrei a raggiungere la Palestina malgrado non si sentisse a suo agio nei riguardi delle aspirazioni politiche degli ebrei laggiù (50). C'è qualche documentazione circa direttive date per il soccorso e le loro implicazioni per quanto riguarda la politica del Vaticano per la Palestina? Il 12 marzo 1943, un gruppo di rabbini nel Nord America inviò un appassionato appello a Maglione, descrivendo gli orrori in Polonia e la distruzione del ghetto di Varsavia, e chiedendo aiuto a Roma (51). È curioso che non ci siano riferimenti nei volumi alla rivolta del ghetto di Varsavia. Ci sono documenti relativi a questo evento negli archivi? L'incaricato d'affari vaticano a La Paz (Bolivia) scrisse circa il carattere «invadente» e «cinicamente sfruttatore» degli ebrei, che venivano accusati di essere coinvolti «in affari disonesti, violenza, immoralità, e anche mancanza di rispetto per la religione» (52). Questo resoconto con accuse gravi potrebbe avere influenzato negativamente Maglione, specialmente perché aveva ricevuto rapporti simili da altri nunzi, come Aldo Laghi, a Santiago (Cile). Questo nunzio affermava che l'immigrazione ebraica in Cile aveva già creato «un grave problema». Gli ebrei, affermava, invece di diventare contadini come avevano promesso, si erano dati al commercio spicciolo, provocando proteste popolari in ambienti laici ed ecclesiastici del Cile. Il nunzio, dando il suo parere contrario all'immigrazione di cattolici non-ariani, faceva sua l'aggressività provocato da ciò che chiamava «l'invasione degli Ebrei» (53). Se ci sono altri rapporti di questo tipo negli archivi del Vaticano, potremmo vederli? Quali furono le discussioni interne che questi rapporti provocarono, e che tipo di influenza ebbero sulla politica riguardante la «questione ebraica» in un'epoca di antisemitismo dilagante? Quanto regolarmente Maglione, Tardini e Montini aggiornavano il Papa sugli eventi della guerra, le attività dei nunzi papali e le politiche che praticavano? Ci sono delle note su queste discussioni? Pio XII o i suoi assistenti, tenevano dei diari che alludevano a queste discussioni? La Radio Vaticana affrontava di tanto in tanto temi riguardanti la persecuzione nazista, e degli estratti di queste trasmissioni apparivano nel Tablet di Londra. Si dice che Pio XII potrebbe aver scritto o curato i testi di alcune di queste trasmissioni. C'è qualche prova documentaria sul ruolo di Pio XII e sono disponibili le trascrizioni originali delle trasmissioni? C. Domande di ordine generale Si è ripetutamente argomentato che la paura del comunismo spinse il Vaticano a tacere e a limitare le critiche contro le atrocità e le politiche di occupazione naziste. Siamo colpiti dalla scarsità di prove a questo riguardo e sul comunismo in generale. Anzi, la nostra lettura dei volumi presenta un quadro diverso, specialmente per quanto riguarda l'incorag-giamento del Vaticano al sostegno dei vescovi americani per l'alleanza tra gli Stati Uniti e l'Unione Sovietica per fare fronte comune contro il Nazismo (54). Ci sono altre prove su tale questione? In parecchi volumi, i curatori citano centinaia di documenti che non sono pubblicati. Per esempio, solo nel volume 10 i curatori elencano 700 di questi documenti. In alcuni casi, i documenti vengono riassunti o citati brevemente. Se questi documenti venissero messi a disposizione, ciò sarebbe di grande aiuto. I polacchi furono le vittime principali dei nazisti. Membri del governo polacco in esilio a Londra e alcuni vescovi polacchi furono spesso molto espliciti nella loro critica al ruolo di Pio XII. Si è detto che il Vaticano aveva incaricato i gesuiti di preparare la difesa della sua politica verso la Polonia (55). È vero questo? E se è così, possiamo avere accesso al rapporto? Più in generale, il tema dei rapporti tra il Vaticano e la Polonia è un elemento essenziale per la comprensione del ruolo della Santa Sede durante il periodo della Shoah e merita una ricerca ulteriore negli archivi vaticani. Ci sono altre informazioni pertinenti a questo tema negli archivi che non si trovano nei volumi, e possiamo accedervi? I volumi contengono appelli urgenti indirizzati al Vaticano per aiuto, formulati da richiedenti ebrei disperati. Queste petizioni sono spesso formulate in un linguaggio di lode calorosa e di gratitudine per azioni già intraprese (56). Eppure i volumi contengono pochi esempi di aiuto già dato e che avrebbe suscitato tali espressioni di lode e di gratitudine. Quali informazioni si possono ottenere o dagli archivi o da altre fonti riguardo l'assistenza concreta già prestata in modo da suscitare tali espressioni di gratitudine? In quei Paesi dove i rappresentanti del Vaticano si scontrarono con le autorità locali sull'applicazione delle leggi razziali, ci sono riferimenti ripetuti alle conversioni. Governi, autorità di occupazione, nunzi, la Segreteria e le Chiese locali sollevarono delle questioni circa la sincerità di queste conversioni. Erano queste conversioni un mezzo per evitare le limitazioni imposte da leggi e regolamenti discriminatori, o anche peggio, la deportazione e l'uccisione? A quanti conoscono la persecuzione contro gli ebrei durante la guerra - e questo include le autorità vaticane le cui voci sono qui rappresentate - tali domande possono apparire crudeli, o per lo meno ingenue. Alcune autorità della Chiesa fornivano falsi documenti di identità a ebrei non convertiti. Le espressioni di preoccupazione del Vaticano sul fatto che le conversioni dovessero essere «sincere» sono da intendersi come un mezzo per tenere a bada le autorità che perseguitavano o addirittura uccidevano gli ebrei? O erano invece un riflesso genuino delle priorità della Chiesa che custodiva gelosamente l'integrità della sua vita sacramentale, specialmente del battesimo, e che senza esitazione incoraggiava, anche in piena Shoah, ciò che sentiva come la sua missione apostolica verso le anime a lei affidate? Ci sono documenti che potrebbero, in proposito, dare luce? Pio XII ha avuto seri dubbi sulla saggezza o correttezza della sua politica di Aimparzialità», in rapporto agli ebrei, ai polacchi o a qualsiasi altra vittima dei nazisti? I documenti pubblicati danno poche prove, sfortunatamente, anche se il volume 2 ci dà informazioni importanti sul suo pensiero durante il periodo della guerra, particolarmente circa la Chiesa tedesca alla quale si sentiva particolarmente vicino (57). Nel suo diario, Roncalli riferisce di un'udienza dell'11 ottobre 1941 con il papa che chiedeva se il suo «silenzio» sul nazismo sarebbe stato male interpretato (58). Ci sono carte personali di Pio XII o documenti di sue discussioni con consiglieri importanti, diplomatici ed eminenti visitatori stranieri che potrebbero illuminare questo punto, e, se è così, possiamo accedervi? OSSERVAZIONI CONCLUSIVE La nostra ricerca preliminare sugli undici volumi ha fatto sorgere molte domande significative. Quelle che sono elencate in questo documento costituiscono solo una selezione di quelle che potrebbero essere poste. Quando poniamo queste domande non intendiamo denigrare il lavoro di coloro che curarono questi volumi alcuni decenni fa. Nessuna collezione di testi può fare il punto definitivo su una questione storica così importante. Proprio come qualsiasi storico lavora decidendo di sottolineare certi fatti e non altri, di presentare alcune personalità e non altre, e di parlare di alcuni fatti e non di altri, così il lavoro dei curatori fu basato sulle loro decisioni, prese individualmente o in quanto membri di un gruppo. Di fatto, uno dei quattro curatori originali, padre Robert Graham parlò delle grandi difficoltà che il gruppo aveva incontrato nella scelta di «ciò che ritenevano appartenere a Pio XII e alla sua Segreteria di Stato durante la Seconda Guerra Mondiale». Nel valutare l'adeguatezza degli undici volumi per la comprensione del ruolo del Vaticano durante l'Olocausto, dobbiamo tenere a mente il fatto che nessuna storia del ruolo di qualsiasi governo in una materia così vasta come la Shoah potrebbe essere efficacemente intrapresa sulla base dei soli scambi diplomatici anche se fossero completati, come gli ADSS lo sono occasionalmente, da note preparate come aides mémoires o altri documenti. Inoltre, gli storici devono sapere quale materiale non si trova in questi volumi. Anche senza avere a disposizione un inventario degli archivi della Santa Sede, è chiaro dagli ADSS che pezzi importanti del puzzle storico non sono presenti nella collezione. Alcuni di questi sono le registrazioni dell'amministrazione quotidiana della Chiesa e della Santa Sede. Inoltre, ci sono molte comunicazioni interne che ogni amministrazione lascia - diari, memoranda, agende di appuntamenti, minute di incontri, bozze di documenti, e così via - che mostrano nei dettagli il processo di come il Vaticano sia giunto alle decisioni che prese. A proposito dell'utilità di avere documenti al di fuori degli archivi ufficiali, sarebbe di grande aiuto avere accesso alle carte (spogli) di protagonisti preminenti quali Luigi Maglione, Amleto e Gaetano Cicognani, Giovanni Battista Montini, Domenico Tardini, Alfredo Ottaviani, Valerio Valeri, Giuseppe Burzio, Angelo Rotta, Eugène Tisserant, Filippo Bernardini e altri ufficiali del Vaticano operanti in quel periodo. Sarebbe ugualmente utile avere accesso ai vari archivi della Compagnia di Gesù, particolarmente per quanto riguarda le carte di Wlodomir Ledochowski, Robert Leiber, Pietro Tacchi-Venturi, Gustav Gundlach e Robert Graham. Più di trent'anni sono passati dalla pubblicazione dei primi volumi dei documenti del Vaticano sul periodo della guerra. Da allora, molti se non tutti gli individui viventi a quel tempo e ai quali ci si riferisce in queste pagine sono morti, e quindi alcuni dei limiti per la pubblicazione che potevano esistere quando i documenti furono messi a disposizione per la prima volta sono stati rimossi. Le restrizioni che potevano allora essere opportune, non lo sono più. Riteniamo che se anche fosse consentito l'accesso pieno agli archivi, questo non darebbe necessariamente la risposta definitiva alle domande che riguardano il ruolo della Santa Sede nei riguardi della Shoah. Tuttavia, crediamo che ciò sarebbe un passo molto significativo verso una conoscenza più approfondita di quel periodo e migliorerebbe i rapporti tra le comunità ebraica e cattolica. Infine, vorremmo ricordare quanto abbiamo detto al nostro primo incontro nel dicembre del 1999: «Ci sembra che la ricerca della verità, dovunque essa possa condurci, possa essere incoraggiata al meglio in un ambiente dove ci sia accesso totale alla documentazione d'archivio e ad altre prove storiche. Alla fin fine, l'apertura è la politica migliore per una valutazione storica matura ed equilibrata». NOTE 1. Pierre Blet, Pius XII and the Second World War, trad. Lawrence J. Johnson (New York, Paulist Press, 1999). 2. La nostra dichiarazione al termine di quel primo incontro a New York il 7 dicembre 1999 stabilì il nostro obiettivo comune: come studiosi ebrei e cattolici siamo consapevoli della nostra responsabilità congiunta e della serietà del compito che abbiamo intrapreso. I nostri sforzi, speriamo, accompagneranno la ricerca della verità, della comprensione storica e di migliori relazioni tra le comunità ebraiche e cattoliche. Riconosciamo che il ruolo del Vaticano durante la Shoah è stato un tema doloroso e difficile; la discussione su questo tema non è avvenuta sempre in un clima di comprensione storica e di dibattito distaccato. Ci sembra che la ricerca della verità, dovunque porti, possa essere promossa al meglio in un ambiente in cui ci sia pieno accesso alla documentazione archivistica e ad altre testimonianze storiche. In ultima analisi, l'apertura è la migliore politica per un giudizio storico maturo ed equilibrato. Mantenendo come obiettivo principale il pieno accesso e l'apertura, intraprendiamo un'analisi critica degli undici volumi del materiale archivistico vaticano, pubblicati tra il 1965 e il 1981, che si riferiscono al ruolo della Santa Sede durante la Shoah. Ci attendiamo che sorgano domande tanto rispetto ai temi generali di cui sopra quanto al materiale non contenuto in questi volumi. 3. La prassi del Vaticano era di mantenere chiusi gli archivi per 100 anni dopo un certo evento. Paolo VI ha cambiato questa prassi aprendo gli archivi per l'intero pontificato di Pio IX (1846-1878). Seguendo questo esempio, Giovanni Paolo II ha aperto gli archivi del pontificato di Leone XIII (1878-1903) e quelli di Pio X (1903-1915) e di Benedetto XV (1915-1922). 4. Pierre Blet, Osservatore Romano, n. 17, 29 aprile 1998, pp. 16-17. 5. Blet, Pius XII and the Second World War 6. «Les victimes de la guerre» è l'espressione usata nel titolo di diversi volumi degli ADSS. 7. Per esempio, cfr. ADSS, 8, pp. 767-781; ADSS, 9, pp. 641-651; ADSS, 10, pp. 637-652, che elencano i documenti citati ma non pubblicati. 8. ADSS, 1, pp. 11-13. 9. ADSS, 1, p. VII. 10. ADSS, 2, p. 60. 11. Cfr. ADSS, 2, appendice I-IX, pp. 385-436. 12. ADSS, 6, appendice 4, pp. 536-7. 13. ADSS, 2, nota 12, p. 407. 14. Burkhart Schneider, «Un'enciclica mancata», Osservatore Romano (5 aprile 1973). 15. ADSS, 6, n. 60, p. 137; n. 125-6, pp. 211-14; n. 131, p. 219; n. 137, pp. 224-5; n. 341, pp. 437-9 offrono numerosi esempi della discussione su questi fondi. Anche all'interno di questi documenti, vi sono riferimenti ad altri documenti citati ma non pubblicati, e queste lettere potrebbero essere importanti per gli storici. 16. Nel primo volume degli ADSS ci sono riferimenti al fatto che il papa guardava agli avvenimenti in Polonia con grande angoscia; che si tormentava sul come reagire; che tutto il possibile era stato fatto; e che essere più energici avrebbe causato certamente ritorsioni. 17. ADSS, 6, n. 378, pp. 477-480. 18. ADSS, 6, n. 378, nota 3, p. 479. 19. ADSS, 6, n. 378, note 4-5, p. 479. 20. ADSS, 8, n. 165, pp. 295-7; n. 189, pp. 333-4. 21. ADSS, 8, n. 581, pp. 762-3. 22. ADSS, 8, n. 421, pp. 586-7. 23. Molti di questi documenti appaiono in ADSS, 8. 24. ADSS, 3.2, n. 406, pp. 625-29. 25. ADSS, 3.2, n. 357, pp. 539-41. 26. Cfr. Gerhart Riegner, «Observations on the Published Vatican Archival Material», documento inedito, 5 dicembre 1999, p. 6. ADSS, 4, n. 398. 27. ADSS, 9, n. 82, p. 170. Una lettera di von Preysing al papa, data 17 gennaio 1941. La lettera originale recitava: «Sua Santità è ben informato sulla situazione degli ebrei in Germania e nei Paesi confinanti. Vorrei soltanto riferire, che sia da parte cattolica sia da parte protestante mi è stata posta la domanda, se a questo proposito la Santa Sede non possa fare qualcosa, lanciare un appello in favore di questi sfortunati». Von Preysing presenta questa richiesta come esigenza di terzi, piuttosto che personale, come se lui fosse solo il messaggero mentre per lui in realtà era una questione di una certa importanza. È interessante il fatto che la richiesta ha un carattere cristiano più generale (non scontato all'epoca, data la forza della divisione cattolico-protestante). La cosa più significativa è che esso tende a suggerire l'idea che i vescovi tedeschi (o almeno alcuni di loro) tenevano il papa ben informato rispetto alle condizioni degli ebrei o che essi erano consapevoli che lui sapeva della tragedia che colpiva gli ebrei nel Reich tedesco. 28. ADSS, 9, n. 82, p. 170. V. anche nota 9, ADSS, 2, n. 105, p. 323. 29. ADSS, 2, n. 105, pp. 318-327. 30. ADSS, 3, n. 510, p. 801; 7, n. 225, p. 396-400. Menzionato anche in ADSS, 9, n. 213, p. 327. 31. ADSS, 2, n. 123, p. 376. 32. ADSS, 8, n. 496, pp. 669-70. In particolare, vedi nota 4. 33. Sergio Minerbi, «Pius XII: « Reappraisal», documento presentato al simposio «Memories, Intertwined and Divergent: Pius XII and the Holocaust», Kings College, Wilkes Barre, Pennsylvania, 9-11 aprile 2000. 34. ADSS 8, n. 374, p. 534. 35. ADSS, 8, n. 454, pp. 625-27; n. 463, pp. 635-6; n. 468, pp. 638-40; n. 484, p. 658. 36. New York Times, 10 settembre 1942, pp. 7, 8, 9. 37. ADSS, 3.2, n. 497, p. 781. 38. Inoltre, Papée afferma che non tutte le sue note appaiono nei volumi degli ADSS. Cosa contengono le altre sue lettere? Sarebbe importante conoscere il contenuto di questi comunicati per capire meglio la questione polacca. 39. Per esempio, vedi ADSS, 10, n. 165, pp. 239-42; n. 463, p. 554. 40. ADSS, 10, n. 40, p. 115. 41. Per esempio, v. ADSS 10, n. 127, p. 198; n. 249, p. 335; n. 253, p. 341; n. 254, p. 342, nota 1; n. 260, p. 347; n. 270, p. 357, nota 3; n. 273, p. 359; n. 295, p. 378. 42. ADSS, 10, n. 53, p. 129. 43. ADSS, 10, n. 153, pp. 224-9; n. 172, p. 247-49. 44. Cfr. le attività di Rotta descritte in ADSS, 10. 45. ADSS, 10, n. 408, p. 497. 46. La Stein stessa descrive la sua lettera, dicendo: «So che la mia lettera è stata sigillata quando è stata consegnata al Santo Padre, qualche tempo dopo, ho persino ricevuto la sua benedizione per me e i miei cari. Ma non è successo nient'altro. Non è possibile che in seguito questa lettera gli sia tornata in mente più volte? I miei timori riguardo al futuro dei cattolici tedeschi si sono progressivamente realizzati nel corso degli anni seguenti» (Note di Edith Stein citate da Teresia Renata de Spiritu Sanctu, Edith Stein, Norimberga, Glock und Lutz, 1952). 47. Cfr. ADSS, 8. 48. ADSS, 8, n. 314, p. 466. Il memorandum è ristampato in John Morley, Vatican Diplomacy and the Jews during the holocaust 1939-1943 (New York, KTAV, 1980), Appendice B, 212. Come Riegner nota, questo importante documento non è stato incluso negli ADSS, solo la lettera di trasmissione di Bernardini. Cfr. Gerhart Riegner, «Observations on the Published Vatican Archival Material», documento inedito, 5 dicembre 1999, pp. 9-10. «Considero l'omissione nella documentazione vaticana di (questo documento del 18 marzo) e la lettera accompagnatoria di appello al Vaticano un grave errore», scrive Riegner. «Avrebbe mostrato che importanti organizzazioni ebraiche avevano richiamato l'attenzione del Vaticano immediatamente dopo l'applicazione della soluzione finale (sei settimane dopo la cosiddetta Conferenza di Wansee) alla tragica situazione dell'ebraismo europeo». Ibid, 10. 49. «La Santa Sede non ha mai approvato il progetto di fare della Palestina una nazione ebraica. La Palestina è ormai più sacra per i cattolici che per gli ebrei». ADSS, 9, n. 94, p. 184. 50. ADSS, 9, n. 324, p. 469. 51. ADSS, 9, n. 91, p. 182. 52. ADSS, 6, n. 29, pp. 92-4. 53. ADSS, 6, n. 134, p. 222. 54. ADSS, 5, n. 189, pp. 361-2. 55. Cfr. Richard Lukas, Forgotten Holocaust: The Poles Under German Occupation 1939-1944 (Lexington 1986), p. 16. 56. Uno dei molti esempi ricorre in ADSS, 8, n. 441, p. 611, in cui il rabbino capo di Zagabria fa appello al papa perché venga in aiuto. Cfr. anche la risposta di Maglione a questa lettera in una nota a piè di pagina, in cui dice che la Santa Sede «non ha trascurato di coinvolgersi in favore delle persone raccomandate» (611-612). 57. Per esempio, in una lettera al vescovo di Würzburg, Matthias Ehrenfried, il 20 febbraio 1941, Pio XII scrive, «Lì dove il papa vorrebbe parlare, è obbligato ad aspettare e a tacere; dove vorrebbe agire ed aiutare, deve attendere pazientemente» (ADSS, 2, n. 66, p. 201); e in una lettera all'arcivescovo di Colonia, Joseph Frings, il 3 marzo 1944, Pio XII scrive «è dolorosamente difficile decidere se c'è bisogno di mantenere un prudente silenzio o di parlare francamente e agire con fermezza» (ADSS, 2, n. 119, p. 365). 58. In un brano del diario di Roncalli riguardo ad un'udienza con Pio XII del 10 ottobre 1941. Roncalli scrive che il papa «si diffuse a dirmi della sua larghezza di tratto coi Germani che vengono a visitarlo. Mi chiese se il suo silenzio circa il contegno del nazismo non è giudicato male». Cfr. Alberto Melloni, Fra Istanbul, Atene e la guerra. La missione di A. G. Roncalli (1935-1944), p. 240. 59. Blet, Pius XII and the Second World War, p. XIII. |
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