Se un bicchiere di vino si rompe, l’importante è salvare il vino, non il bicchiere

Intervista a Marcelo Barros


di Normanna Albertini

Marcelo Barros è un importante biblista e teologo dell’America Latina, priore benedettino del Monastero dell’Annunciazione di Goias, nel centro del Brasile. Ha lavorato a stretto contatto con Mons Helder Camara per quattro anni, soprattutto sulla pastorale indigena e sull’ecumenismo. È stato per otto anni referente della pastorale della terra, dove si è reso conto delle condizioni di povertà ed emarginazione dei contadini e ne ha sostenuto le battaglie. Barros ha scritto trenta libri sui temi della spiritualità, della pace, della giustizia e delle sfide che attanagliano la Chiesa. È anche esperto di cinema e partecipa come relatore al festival del cinema di Recife. A Cervarezza (RE) il mese scorso per un incontro sul dialogo interreligioso, ha purtroppo chiuso in fretta la serata, un po’ per problemi di salute, un po’ per mancanza di risposta del numeroso pubblico alle sue sollecitazioni. Il tema è importante e interessante, ma forse manca ancora, dalle nostre parti, l’abitudine a ragionarne con calma cercando vie condivise. Lo abbiamo intervistato dopo la serata.

Può essere dannosa la “religione civile” per il dialogo interreligioso?

La religione civile non è mai ecumenica: deve legittimare il potere vigente di una cultura ufficiale e anche gli interessi economici di chi comanda. É logico che essa separa, non unisce. Si fonda sulla paura, sull’abitudine e non ha profezia, che non permette proprio. Per questo non favorisce né il pluralismo, né il dialogo.

Quando una religione diventa “di stato”, cioè “civile”?  

Io dico che è un fenomeno “costantiniano” e non è soltanto delle chiese. Nel buddismo del Tibet, chi è tibetano, automaticamente, è anche buddista e il capo del buddismo tibetano era, prima della dominazione cinese, capo dello stato. Si trattava di un monaco che aveva dei servi, forse schiavi, e la società era divisa in classi, come in India. Perché in India sono sorte le caste? Per la “religione civile”. Quando le chiese cristiane erano perseguitate dall’impero romano non c’era religione civile, che era invece quella imperiale. Quando l’imperatore ha visto l’impero crollare, ha percepito il cristianesimo come forza di coesione e lo ha assunto religione dell’impero. Questo in modo molto semplificato. A partire da Teodosio, il cristianesimo ha sostituito la religione pagana. Tutte le chiese rimpiazzano, alla fine, le antiche religioni delle aree in cui si insediano.

Lei parla di qualsiasi chiesa “ortodossa”(cioè che segue le regole) di qualunque religione?

Il cristianesimo si è inserito sulla stregoneria, sui culti del sole, delle dee madri; è arrivata la chiesa cattolica, ha proibito e demonizzato queste forme di culto, però, siccome era cultura del popolo, molte di quelle cose sono ricomparse “rivestite” da un abito cristiano. Dunque: la devozione alla Madonna, il culto delle reliquie, la messa dei defunti; insomma, la religiosità popolare cattolica. Cattolica in che senso? Nel senso di un “rivestimento” di cattolicesimo, che non è cattivo in sé, è normale, umano, accade in ogni religione, però, quando, da solo involucro, si trasforma in “religione civile”, diventa pericoloso e tende ad essere opprimente.

Può, in questo, essere di aiuto recuperare il misticismo nelle religioni?

La religione è un fenomeno sempre ambiguo. La natura dell’uomo lo spinge ad impossessarsi di tutto, anche della religione, che tende a diventare idolatrica. La fede è invece  l’adesione ad un progetto divino di rivelazione. Però non possiamo mettere in conflitto fede e religione, perché non c’è fede allo stato puro, la fede è tutt’uno con l’anima. Ma qual è l’anima della religione? È la spiritualità, la mistica. Dunque, la religione è un’espressione culturale legittima, ma ciò che è importante è la spiritualità, sono l’amore e la vita che esprime. È un po’ come nell’amore tra un uomo e una donna, l’importante è l’amore, che però non può esistere senza le sue espressioni. C’è sempre bisogno di espressioni, tuttavia non fini a se stesse. Nelle nostre relazioni, qualsiasi persona più o meno percepisce se una persona è sincera o falsa, se esprime sentimenti reali o se dietro c’è il vuoto; lo stesso è con la religione. La religione civile tende ad essere sempre il “rivestimento” dei “segni” senza l’anima, perché l’anima della religione civile non è la spiritualità, ma è la legittimazione di un tipo di società.

La paura dell’integralismo e anche, dall’altra parte, il bisogno dell’integralismo, derivano dal fatto che più ci si incontra col diverso più si diventa dogmatici?  

Dipende dall’incontro, succede se è forzato. Al contrario, l’incontro con il diverso, l’incontro che è nel bisogno dell’uomo, arricchisce, apre. Nella storia, è sempre accaduto con i pellegrini, gli avventurieri, i viaggiatori che si sono culturalmente arricchiti e hanno arricchito gli altri. Quando studiamo la liturgia cattolica romana, la troviamo molto impreziosita dall’incontro con l’orientalismo. Tutto il rito della settimana santa viene dalla chiesa di Gerusalemme, non è romano. Potrei parlare di altri aspetti della religione: l’incontro delle culture le migliora. Quando, però, è imposto, c’è il pericolo di sentirsi minacciati e ci si chiude.

Ma in religioni come l’islam, dove, ad esempio, la conversione ad un’altra fede diventa un pericolo di vita per il convertito, lei vede una possibilità di cambiamento, un’evoluzione?

Il fenomeno dell’islam è molto complesso e io ho paura di parlare di una religione che non conosco in profondità, però ho l’impressione che sia molto diverso l’islam in una società islamica e l’islam in una cultura “migrante”. L’islam dei migranti è sempre più chiuso, si deve difendere e diventa fondamentalista. Succede anche per il pentecostalismo in Brasile, che manifesta i suoi aspetti più fanatici inserito in una realtà a maggioranza cattolica, mentre negli Usa non è così. Credo sia lo stesso con l’islam. C’è un islam aperto, molto bello, e c’è un islam ridotto a forte religione civile, che anche nell’occidente cerca di mantenere la propria identità culturale chiudendosi. In Europa, ci sono intellettuali islamici che lottano e lavorano per una sorta di “teologia della liberazione” islamica, una revisione dell’islam a partire dalla modernità, dalla società pluralista. Non è facile, non è facile per l’islam, ma non è facile neanche per il cattolicesimo.

Parla delle scelte vaticane di oggi?

Sì, perché questo papa appare sempre più conservatore? Perché si sente minacciato, sente la struttura medioevale della chiesa cattolica in pericolo e cerca di difendersi, ma questo non è produttivo.

Quanto potrebbe migliorare le religioni la maggiore partecipazione delle donne a livelli più “alti” nelle chiese?

Sia come sia, nelle chiese luterane e anglicane che io conosco, e che hanno delle donne pastore e vescovi, c’è un progresso e una umanizzazione della fede. Però il problema non è ancora risolto, perché le donne rivestono, comunque, dei ruoli maschili. In una struttura maschile che apre alla donna la possibilità di diventare prete cambia poco, perché non cambia la teologia che ci sta dietro. Si dovrebbe prima permettere la nascita di una struttura non solo maschile, ma insieme maschile e femminile.

C’è, secondo lei, una crisi generale di tutte le religioni? 

Tutte le religioni sono in crisi e c’è una tesi, che in parte condivido. L’umanità esiste da quattro milioni di anni, mentre le più antiche religioni hanno cinque/seimila anni, dunque, prima di allora, c’era sicuramente spiritualità, ma non religioni istituite. Quando sono sorte le religioni? Nel Neolitico, con l’agricoltura e la nascita delle città. Da allora, non c’è mai stata una vera rivoluzione, fino ad oggi, fino al 1950, quando la società basata sull’agricoltura è diventata società basata sulla conoscenza, e lì le religioni hanno perso le loro fondamenta. La religione che era “naturale” per i nostri nonni, con i suoi difetti e le sue qualità, per i nostri nipoti non è più “naturale”; per loro “naturale” è internet, è il telefono. Le religioni sono troppo lontane, staccate dalla realtà, appaiono folcloristiche. Non possono cambiare questo gli incontri del papa con i giovani, le adunanze mondiali della gioventù; non c’è niente da fare: è una crisi strutturale che le religioni devono riconoscere con umiltà.

Ma allora, cosa si può salvare?

Se un bicchiere di vino si rompe, l’importante è salvare il vino, non il bicchiere. Le religioni, invece, vogliono salvare il bicchiere.

E si potrà salvare il vino?

C’è un bisogno così forte dell’umanità, così essenziale, che fa parte dell’anima umana, che io aspetto produca qualcosa di positivo in questo senso.

Cristo liberatore, immagine del Brasile, questa figura che arriva nella storia, avrà ancora qualcosa da dire ai nostri nipoti?

Io penso che la stessa figura di Cristo debba essere molto riletta, perché Cristo solidale, figura di fraternità universale è comprensibile per loro, ma non il Cristo delle religioni dove si insiste sulla sua morte, sul sangue, sul sacrificio. Lì c’è l’utilizzo della sua figura per la legittimazione della religione, non per la “salvezza” del mondo.



Domenica, 02 marzo 2008