Parlare di migliorare il carcere in un paese dove limpazzimento ideologico identifica la questione incertezza con la rincorsa al botteghino della sicurezza, in un paese con la percezione delle proprie città tagliate a metà da furfanti e belligeranti antisociali, in un paese dove ogni ruberia e sangue sparso allintorno è il risultato di un buonismo inaccettabile, in un paese dove le armate mediatiche drogano a piacere linformazione, credo sia una battaglia di civiltà giusta, ma destinata a sbattere nellottusità del voto da non perdere a tutti i costi, quindi il rischio per chi condivide questo ideale è di finire con la minoranza, quella messa anticipatamente in un angolo. Ma forse con coerenza, in punta di piedi, senza il bisogno di sbandieramenti, presunzioni, inni alleroismo carcerario ( penso davvero che in carcere non esistono eroi, ci sono solamente uomini sconfitti ) occorre spostare la riflessione dagli inutili detriti intellettuali, e fare comunicazione, soprattutto prevenzione, ben sapendo che occorre fare rete e farlo insieme agli altri, quelli che non fanno acquartieramenti nelle prime linee, quelli che non si abbeverano nelle ideologie e nelle subculture. Occorre farlo non per fornire risposte sbrigative, ma per tentare di sollevare qualche ulteriore interrogativo, che certamente non salva nessuno dal proprio destino, ma quanto meno pone sullavviso. Cordialmente
VINCENZO ANDRAOUS
TUTOR E RESPONSABILE CENTRO SERVIZI INTERNI
COMUNITA CASA DEL GIOVANE VIA LOMONACO 43 PAVIA
LA DISLOCAZIONE DELLATTENZIONE
Sul carcere italiano non si odono più lamenti sospetti, né si consumano notizie scandalistiche per tentare di restringerlo a una sorta di terra di nessuno. Da qualche tempo è stato studiato un progetto di eccellenza per renderlo inanimato, per cui la tutela del cittadino detenuto, la salvaguardia della società, linteresse collettivo, sono incentrati sul principio della sicurezza, la quale rafforza la propria efficienza e susseguente efficacia attraverso uno strumento a dir poco sbalorditivo: il silenzio. Tutto è possibile e tutto è accettabile a fronte di un paese messo alle corde dallincertezza, tutto è legalitario, anche lingiustizia programmata, per non fare trasparire un disagio economico che aggredisce i più deboli. Il problema microcriminalità investe da vicino in tutta la sua fisicità il cittadino, che percepisce la città tagliata a metà da furfanti e belligeranti antisociali, e ogni ruberia e atto sanguinario come risultato di un buonismo inaccettabile. Ma occorre fare i conti con la realtà paradossale che ci incalza, da una parte la politica da palco che pungola gli stati emotivi, dallaltra parte le armate mediatiche drogano a piacere linformazione, per cui le coordinate tracciate indicano nelle tribù di stranieri il pericolo debordante e incombente, mentre i delinquenti medagliati dallindulto fanno spargere lacrime e sangue, per cui è con il carcere che occorre compensare il gap, mobilitando la confusione e moltiplicando le iniziative a senso unico. E chiaro che il delitto offende e umilia, niente è perdonabile nel suo immediato, ma forse occorre più parsimonia dellascolto, in una quotidianità allarmante, che richiede capacità di intervento ma soprattutto equità di giudizio. Scippi, rapine, morti ammazzati, sono la tragedia di un paese, ma dislocare lattenzione su un versante piuttosto che su un altro, non favorisce giustizia, sottende ipocrisia nei numeri taroccati a dovere, nei morti sul posto di lavoro, provocati da coloro che fanno ressa al botteghino della sicurezza. Nelle case, nei focolari domestici, pedofili e violenti imbrattano le adolescenze, mentre sulluscio alzano la voce per avere maggiori garanzie. Il carcere finisce con lessere non più luogo e tempo di ricostruzione umana, bensì spazio adibito a chiudervi fobie e inculture, permanenze esistenziali disadattate in progettazioni a costo zero. Eppure il silenzio avvolge larea problematica carceraria, nel silenzio alla rieducazione si sostituisce la pratica del mero contenimento fine a se stesso, nel silenzio si muore a ripetizione, in un carcere svuotato come in molti si sono affrettati a gridare, dove non cè più sovraffollamento e gli operatori possono dimostrare capacità professionali e umane: ebbene la somma della detrazione alla vita, incredibilmente è andata aumentando, ma forse si tratta di suicidi poco importanti, che non scompongono il senso di sicurezza. Il carcere che non cè, anzi sì, in tutto il suo fisico fisiologico, mentre scompare lideale, irrompe il mutamento, la pratica che non guarda più alla persona detenuta, allindividualità da reimpostare, piuttosto a un evento, a comportamenti, che sono un pericolo diffuso. Ecco che la galera non ha più senso come luogo di speranza, ove riconsegnare alluomo dignità, il contenitore e i numeri sono la sintesi per indurre illusoriamente a unefficienza a minor costo, con grande soddisfazione di quelli che guardano al carcere senza porsi interrogativi, e di quegli altri che non guardano al carcere ma si fanno tante belle domande.
Domenica, 05 agosto 2007
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