Da: nonviolenza-request@peacelink.it per conto di Centro di ricerca per la pace [nbawac@tin.it] Inviato: sabato 16 febbraio 2008 17.07 A: nonviolenza@peacelink.it Oggetto: Coi piedi per terra. 76 =================== COI PIEDI PER TERRA =================== Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino" Numero 76 del 16 febbraio 2008 In questo numero: 1. Si e' svolto il 14 febbraio a Viterbo il concerto a sostegno del movimento che si oppone al devastante mega-aeroporto 2. Alexander Langer: Quando l'economia uccide... bisogna cambiare 3. Alexander Langer: Contro la guerra cambia la vita 4. Per contattare il comitato che si oppone all'aeroporto di Viterbo 1. INIZIATIVE. SI E' SVOLTO IL 14 FEBBRAIO A VITERBO IL CONCERTO A SOSTEGNO DEL MOVIMENTO CHE SI OPPONE AL DEVASTANTE MEGA-AEROPORTO [Riportiamo il seguente comunicato del comitato] A Viterbo, presso il Centro sociale autogestito "Valle Faul", si e' svolta il 14 febbraio 2008 un'iniziativa intitolata "Aeroporto... no, grazie. Per San Valentino ama te stesso e proteggi la Tuscia. Di' no all'aeroporto", iniziativa a sostegno del movimento che si oppone al devastante mega-aeroporto e s'impegna per la drastica e immediata riduzione del trasporto aereo. L'iniziativa ha avuto carattere conviviale, di riflessione e di cultura. Dopo una cena vegan-biologica, e' stato presentato un documento del centro sociale "Valle Faul", e successivamente la dottoressa Antonella Litta (portavoce del Comitato che si oppone alla realizzazione del devastante mega-aeroporto a Viterbo e s'impegna per la riduzione del trasporto aereo, e referente per la provincia di Viterbo dell'Associazione italiana medici per l'ambiente - International Society of Doctors for the Environment Italia) ha riassunto le ragioni dell'opposizione alla devastante opera. Si e' poi svolto un assai apprezzato concerto. Una grande partecipazione, soprattutto di giovani, ha sancito la piena riuscita dell'iniziativa. A tutti i partecipanti sono state anche messe a disposizione pubblicazioni di rigorosa e approfondita documentazione scientifica, in formato cartaceo e audiovisivo. Ulteriori iniziative del comitato che si oppone alla realizzazione del devastante mega-aeroporto a Viterbo sono in preparazione. Un vivo ringraziamento da tutti i partecipanti e' stato rivolto agli animatori del Centro sociale "Valle Faul" di Viterbo (che attualmente si trova in strada Castel d'Asso snc) per l'impegno profuso e la qualita' delle iniziative. 2. MAESTRI E COMPAGNI. ALEXANDER LANGER: QUANDO L'ECONOMIA UCCIDE... BISOGNA CAMBIARE [Riproponiamo la seguente trascrizione (non rivista dall'oratore) di una conferenza tenuta da Alexander Langer a Viterbo il 27 gennaio 1995, che gia' ripubblicammo in opuscolo e in rete (e cogliamo l'occasione per ringraziare ancora una volta di tutto cuore Sandro Ercoli, all'epoca responsabile della formazione degli obiettori di coscienza in servizio civile presso la Caritas di Viterbo nonche' principale artefice dei cicli di incontri per una cultura della pace e della solidarieta' nel cui ambito si svolse anche quello con Alex). Alexander Langer e' nato a Sterzing (Vipiteno, Bolzano) nel 1946, e si e' tolto la vita nella campagna fiorentina nel 1995. Promotore di infinite iniziative per la pace, la convivenza, i diritti, l'ambiente. Per una sommaria descrizione della vita cosi' intensa e delle scelte cosi generose di Langer rimandiamo ad una sua presentazione autobiografica che e' stata pubblicata col titolo Minima personalia sulla rivista "Belfagor" nel 1986 (poi ripresa in La scelta della convivenza). Opere di Alexander Langer: Vie di pace. Rapporto dall'Europa, Arcobaleno, Bolzano 1992 esaurito). Dopo la sua scomparsa sono state pubblicate alcune belle raccolte di interventi: La scelta della convivenza, Edizioni e/o, Roma 1995; Il viaggiatore leggero. Scritti 1961-1995, Sellerio, Palermo 1996; Scritti sul Sudtirolo, Alpha&Beta, Bolzano 1996; Die Mehrheit der Minderheiten, Wagenbach, Berlin 1996; Piu' lenti, piu' dolci, piu' profondi, suppl. a "Notizie Verdi", Roma 1998; The Importance of Mediators, Bridge Builders, Wall Vaulters and Frontier Crossers, Fondazione Alexander Langer Stiftung - Una Citta', Bolzano-Forli' 2005; Fare la pace. Scritti su "Azione nonviolenta" 1984-1995, Cierre - Movimento Nonviolento, Verona, 2005; Lettere dall'Italia, Editoriale Diario, Milano 2005; Alexander Langer, Was gut war Ein Alexander-Langer-ABC; inoltre la Fondazione Langer ha terminato la catalogazione di una prima raccolta degli scritti e degli interventi (Langer non fu scrittore da tavolino, ma generoso suscitatore di iniziative e quindi la grandissima parte dei suoi interventi e' assai variamente dispersa), i materiali raccolti e ordinati sono consultabili su appuntamento presso la Fondazione. Opere su Alexander Langer: Roberto Dall'Olio, Entro il limite. La resistenza mite di Alex Langer, La Meridiana, Molfetta 2000; AA. VV. Una vita piu' semplice, Biografia e parole di Alexander Langer, Terre di mezzo - Altreconomia, Milano 2005; Fabio Levi, In viaggio con Alex, la vita e gli incontri di Alexander Langer (1946-1996), Feltrinelli, Milano 2007. Si vedano inoltre almeno i fascicoli monografici di "Azione nonviolenta" di luglio-agosto 1996, e di giugno 2005; l'opuscolo di presentazione della Fondazione Alexander Langer Stiftung, 2000, 2004; il volume monografico di "Testimonianze" n. 442 dedicato al decennale della morte di Alex. Inoltre la Casa per la nonviolenza di Verona ha pubblicato un cd-rom su Alex Langer (esaurito). Videografia su Alexander Langer: Alexander Langer: 1947-1995: "Macht weiter was gut war", Rai Sender Bozen, 1997; Alexander Langer. Impronte di un viaggiatore, Rai Regionale Bolzano, 2000; Dietmar Hoess, Uno di noi, Blue Star Film, 2007. Un indirizzo utile: Fondazione Alexander Langer Stiftung, via Latemar 3, 9100 Bolzano-Bozen, tel. e fax: 0471977691; e-mail: info@alexanderlanger.org, sito: www.alexanderlanger.org] Vorrei innanzitutto fare un ricordo per tutti significativo: oggi, in tutto il mondo, si svolge il ricordo dell'Olocausto di Auschwitz e forse molte crisi di umanita' che oggi stiamo affrontando ci richiamano anche a questo abisso nel quale non un solo popolo, ma la comunita', la nostra comunita' europea civilizzata ed industrializzata, e' precipitata. Il ricordo di Auschwitz, in questi giorni, forse sta proprio a significare, per ognuno di noi, che mai piu' questo possa accadere. Una delle grandi difficolta' di oggi e' quella di trovare, non solo buone ragioni o valide cause in cui impegnarsi, ma anche ragioni perche' questo impegno abbia un senso, non solo di testimonianza o per mettere a posto la coscienza. Il punto di partenza e' proprio questo: il riconoscimento di una reale grande difficolta'. Ci sono oggi molti fatti scoraggianti e, guardando alle guerre, alla fame, all'enorme dislivello che aumenta tra ricchi e poveri, una persona potrebbe scoraggiarsi in anticipo ancor prima di cominciare ad impegnarsi. Ci sono tanti fatti scoraggianti per chi e', ad esempio, impegnato sui temi ambientali e che, in particolare, di fronte alla natura di oggi, constata come la velocita' della distruzione e' talmente superiore ai tempi della ricostruzione: ci sarebbe voglia di disperare. Pensiamo a quanto tempo ci vuole per far crescere un albero e in quanto poco tempo si abbatte, a quanto tempo ci e' voluto per formare le nostre riserve e quanto ci e' voluto perche' i nostri mari si riempissero e come in molti casi oggi li abbiamo gia' vuotati. Insomma, se si confrontano i tempi della distruzione e i tempi, viceversa, della manutenzione e della ricostruzione, ci sarebbe da scoraggiarsi. Credo ci siano poi anche altre ragioni che ci impongono degli interrogativi, senza peraltro che si possano trovare a tutti delle risposte soddisfacenti. Guardiamo per esempio a come e' oggi l'Italia. L'Italia venti anni fa era considerato il paese piu' politicizzato, il paese con la piu' alta partecipazione civica e passione politica del mondo, non nel senso di tifoseria, ma di alta partecipazione, di attivazione civica, di intensita'. Guardiamo invece a cosa siamo arrivati oggi: da un lato la degenerazione della politica ad affari, a procacciamento di posti, di vantaggi, di interessi, e dall'altro, verificatosi negli ultimi mesi, il trionfo della politica-spettacolo. Io penso che le ragioni del dubbio e anche qualche volta di un certo sconforto, siano presenti. Tanto piu' se si guarda a quanto sia difficile poi costruire una alternativa che abbia senso. Oggi siamo di fronte a numerose ed a notevoli crisi di molti dei grandi orizzonti, delle grandi ideologie o ideali, di cio' che in qualche modo dava un senso positivo all'azione, all'impegno, dava insomma motivazioni, sostegno, speranza e spiegazione al mondo di quel che si faceva e sembrava, per questo, indicare un indirizzo. Credo che queste crisi attraversino un po' tutti i campi, perche' mi pare che sia in crisi, allo stesso grado e allo stesso tempo, l'idea del progresso. Per esempio a me sembra difficile definirsi oggi progressisti senza autoironia cosi' come sono fortemente in crisi le varie idee di nazione: guardiamo a che cosa portano oggi i vari nazionalismi. Al tempo stesso sono in crisi le esperienze sovranazionali: guardiamo la crisi ad esempio delle Nazioni Unite, la loro impotenza e scarsa credibilita', ma guardiamo anche ad altre grandi idee, grandi ideali, comprese le religioni, compresa la fede nel mercato. Ecco, tutto cio' e' fortemente in crisi. * Per ipotizzare una via di ricostruzione bisogna fare uno sforzo per sgomberare il campo da alcuni idoli. Non parlo di idoli come false divinita', ma di idoli in senso piu' modesto, come veniva detto dal filosofo illuminato Bacon. Egli aveva individuato degli idoli che, per comodita', voglio richiamare. Questo facilitera' l'esposizione non solo rispetto a cio' che puo' fare il potere, il mercato, il governo, i sindacati o altri, ma anche a quello che tocca ad ognuno di noi fare: e' molto importante capire a quale ispirazione, orientamento ci sentiamo impegnati. Bacon aveva utilizzato questi quattro tipi di idoli: quelli del foro, quelli del teatro, quelli della tribu' e quelli della caverna. Quelli del foro erano quelli del mercato. Io credo che oggi gli idoli del mercato siano ampiamente presenti nell'idea che il fine supremo della vita sia quello di fare soldi. Questo ci viene quasi quotidianamente propinato dalla televisione, dai concorsi a premi, dall'idea che comunque la vita e' una lotteria e che in particolare il primo premio, o comunque i premi vincenti, siano quelli che portano molti soldi. Tutto sembra poter essere trasformato in soldi compresi gli organi, la creativita' intellettuale, ogni surrogato di solidarieta' che puo' essere pagato, dall'assistenza all'anziano alla maternita', fino all'utero in affitto. Da questo punto di vista, l'idea dei soldi e della ricchezza come obiettivo riconosciuto ed unificante e' oggi un po' il primo di questi idoli, e, se non riusciamo a preparare il terreno in un'altra direzione, assai difficilmente e' immaginabile anche la costituzione di una alternativa civile. Il secondo, quello del teatro, mi pare non ci voglia molto a comprenderlo. Siamo oggi, molto piu' che ai tempi di Bacon, in una societa' dell'immagine, ed e' una constatazione sufficientemente realistica dire che oggi sembra che solo cio' che esiste a livello di immagine ha diritto di cittadinanza. Io credo che oggi, tra i requisiti per un cambiamento per un'alternativa civile, etica, sociale, una condizione di grande importanza sia quella di sfuggire alla frenesia e alla sudditanza dell'immagine. Credo, per esempio, che chi opera in politica ed in altri enti pubblici, sa benissimo che anche la migliore idea non serve se poi non viene riconosciuta o se piu' semplicemente viene deformata. La concorrenza sull'immagine e per l'apparire sulla stampa e sulla televisione fa parte quindi di un certo senso del mestiere. Credo pero' che una costruzione di alternativa sia possibile solo da parte da chi, non solo si sia appunto liberato dall'idolo del foro, cioe' del denaro e del mercato, ma anche di questo dell'immagine. Altrimenti non c'e' dubbio, e lo vediamo in questa fase politica, che tutto, tutto verra' sottoposto alla utilizzabilita' sul piano dell'immagine, della spettacolarita', della finzione, insomma della non-verita'. Sostanzialmente quindi, se si vuole lavorare a un cambiamento, occorrono ambiti, persone, comunita' che in qualche modo incoraggino anche chi sia stanco della dittatura dell'immagine, cioe' che incoraggino per esempio chi non e' servo dell'immagine televisiva o della stampa, sia che si tratti di magistrati o che si tratti di vescovi, sia che si tratti di sportivi o che si tratti di medici. Sappiamo che nel momento in cui l'esercizio di una funzione, l'esercizio di una partecipazione civile o di qualunque altra cosa, si svolge sotto il condizionamento dell'idolo del teatro e della sceneggiata, allora e' pressoche' impossibile la reale partecipazione e il peso della gente, e la stessa verita' in tanti ancora sara' assente. Il terzo tipo di idolo di cui parlava Bacon, riferendosi a tempi un po' diversi, e' quello della tribu', cioe' quello dell'appartenere alla tribu'. Se io oggi uso questa immagine mi riferisco fortemente ad una intesa di spirito quasi tribale, etnico, nazionalistico, e, comunque vogliamo chiamarla, una ipervalutazione del noi: noi che abbiamo lo stesso colore di pelle, noi che apparteniamo alla stessa nazione, noi che tifiamo la stessa squadra, noi che pratichiamo la stessa religione. In questo smodato ed esagerato bisogno di bandiere vi sono bandiere di identificazione e di compattazione, vi sono bandiere contro qualcuno, bandiere che dovrebbero obbligare chi non vuole stare in un campo a scegliere e a delimitarsi, e quindi anche a contrapporsi a qualcun altro. Io credo che oggi anche la ripresa della crisi di ideali internazionalisti o sovranazionali, comunque di affratellamento dei popoli, porta ad una forte emergenza di idoli della tribu' e mi pare che sia una delle cose che impediscono la costruzione di alternative piu' pacifiche e piu' civili. Il quarto di questi idoli che voglio citare, abusando di Bacon, e' quello della caverna. Bacon diceva che l'uomo, la specie umana, non ha una conoscenza piena delle cose. Egli ha una conoscenza velata che deriva dal nostro essere finiti e limitati. Bacon diceva che l'uomo e' come se stesse in una caverna e vede passare alle sue spalle le cose delle quali in realta' vede solo l'ombra, e quindi e' vittima in un certo senso di questa illusione ottica, di questa sua ridotta percezione. Tra le illusioni ottiche della caverna di cui siamo oggi particolarmente vittime e particolarmente esposti, c'e' una illusione di onnipotenza. In questo senso oggi il "diventerete come Dio" e' piu' forte che in ogni altro tempo che l'umanita' abbia mai vissuto. Si pensi che oggi appunto non solo si teorizza, ma si pratica, la stessa costruzione artificiale di vita, della natura ed in generale delle fonti energetiche, dell'equilibrio termico o di qualunque cosa. Si pensa che attraverso una artificializzazione della natura, della vita, del pianeta intero, si riesca, con fughe in avanti, a risolvere i problemi ed a puntare su una ulteriore crescita, un'ulteriore arbitraria soddisfazione di presunti bisogni. Questo e' il quarto dei grandi idoli che rendono appunto difficile oggi il cambiamento. Qualcuno lo ha chiamato "il faustismo", richiamando l'idea di poter fare tutto, facendo anche il patto con il diavolo, fino alla ri-creazione dell'uomo secondo i propri desideri. Io penso che per costruire un mondo oggi piu' sostenibile, termine con il quale intendo molte cose, bisogna prima riuscire ad affrancarsi da questi idoli e la cosa non e' facilissima perche' tutto tenderebbe a spingere nella direzione opposta. * Cosa potrebbe voler dire un mondo piu' sostenibile? Oggi si parla, anche nei documenti dell'Onu, di sviluppo piu' sostenibile, e, al di la' del nome tecnologico, una lettura realistica potrebbe voler dire "continuiamo come prima, ma cerchiamo di moderarci un po'". Pero', al di la' di questa lettura, e' importante capire che la nostra civilta', cosi' come appare, non e' compatibile con la natura perche', se continuassimo solo con questa produzione di rifiuti, non ci basterebbe il pianeta che abbiamo. La stessa cosa si potrebbe dire per l'energia e per tutti gli altri campi. Tutto questo, accanto ai molti paradossi della vita economica, della vita sociale, della vita ecologica, credo che ci obblighi ad un cambiamento di rotta. Io cerco di individuare solo alcune strade possibili, non un affresco di come potrebbe essere il nuovo mondo, perche' mi pare che non si possa avere un affresco del genere. Ci sono pero' alcune cose che si possono gia' dire. Una e' la forte rivalutazione e rivitalizzazione delle comunita' locali. Io credo che oggi una delle vie del risanamento passa attraverso la rivitalizzazione ed il rafforzamento delle radici, anche delle pluralita' delle radici. Quando dico radici non parlo di realta' biologica, ma, sostanzialmente, di cio' che ci permette di sentirci a casa, di cio' che ci permette di sentirci parte di generazioni, di storia, di tradizione, di cultura, anche di prospettiva di senso. Credo che oggi ci sia un forte bisogno di rafforzare le radici e, siccome su questo bisogno si specula con tante forme di integralismo, la comunita' locale deve essere la ragionevole alternativa su cui coltivare le radici senza abusi ideologici. Coltivare le radici vuol dire fare quello che noi tanto ammiriamo nei cosiddetti popoli indigeni, che vivono da custodi della terra in cui stanno. Da questo punto di vista oggi qualunque politica si proponga un'alternativa deve fortemente rivalutare la dimensione locale, che portera' poi a rivalutare la dimensione del vicinato, delle vicinanze, del radicamento, per restituirgli un senso. Radicamento non vuol dire che uno deve concentrarsi egoisticamente sul proprio territorio o che sara' obbligato a vivere sempre nello stesso posto, anche perche' in ogni caso la nostra civilta' obblighera' sempre piu' persone ad andare via, ad emigrare, per necessita', per poter migliorare la propria vita e per altro ancora. Pero' se oggi non si riscoprono le radici, ho paura che si e' molto piu' esposti a qualunque soluzione totalitaria, a qualunque inganno televisivo, agli idoli sopra esposti. Serve quindi la rivalutazione della comunita' locale dove comunita' non vuol dire solo unita' amministrativa, non vuol dire solo un quadratino sulla carta geografica, ma vuol indicare qualcosa che e' cresciuto, che poi si modifica ma che ha dei legami. Penso invece che la frase ormai molto usata, del "pensare globalmente ed agire localmente", e' fondamentale, ed oggi nessuno puo' fingere di non sapere che qualsiasi scelta facciamo a livello locale ha delle ripercussioni globali molto forti: i prodotti che compriamo cominciano ad essere quelli che rifiutiamo, quelli che versiamo nel rigagnolo sotto casa hanno delle conseguenze anche altrove, il motore acceso della macchina ha conseguenze anche globali, i sacchetti di plastica hanno conseguenze anche altrove, eccetera. Il fatto che utilizziamo dei detersivi piu' rispettosi dell'aria e dell'acqua ha conseguenze globali. Anche delle piccole scelte quali l'andare in bicicletta e non in macchina hanno conseguenze un po' su tutto e non solo sui nostri polmoni. Un altro settore importante di rigenerazione e' l'assoluta necessita' di agire per una politica, per una cultura e una amministrazione per la convivenza tra diversi. Non esistono piu', e se mai esistevano, non esisteranno piu' soprattutto nelle citta', ma anche nelle campagne, realta' perfettamente omogenee dal punto di vista etnico, culturale. Siamo cioe' in un mondo molto piu' mescolato di quanto magari non ci piaccia, pero' abbiamo solo due alternative di fondo: o puntare, chiamiamola pure cosi', sull'epurazione etnica, cioe' creare una forte omogeneita', e questo significa usare violenza, reprimere, cacciare via, sterminare, ghettizzare; oppure sviluppare l'arte della convivenza. Io credo che lo sviluppo dell'arte della convivenza, tra etnie, tra Nord e Sud, tra noi diversi, tra professioni, tra persone con diverso colore della pelle, tra lingue, culture, eccetera, e' oggi una delle condizioni fondamentali per il riequilibrio e per la conservazione della stessa pace. Penso che a questo proposito sia molto importante dire che la convivenza non e' in contrasto con la politica del luogo, perche' il luogo e' ospitale anche con chi ha diverso colore della pelle o parla una lingua diversa se sa rispettosamente inserirsi. Io credo che al di la' dei grandi disegni che si possono fare, oggi un punto di svolta verso un'alternativa di ricostruzione, che e' forse possibile, mi pare che possa sintetizzarsi abbastanza bene intanto con una parola molto comune che io chiamerei la semplicita'. Credo cioe' che oggi ci sia molto bisogno di una svolta verso la semplicita', da molti punti di vista. E quando dico semplicita' non lo dico per negare che il mondo e' complesso, anzi, le semplificazioni sarebbero pericolosissime. Non voglio significare l'idea manichea della massima semplificazione di decidere chi e' il buono e chi e' il cattivo, con la quale le destre del mondo a volte hanno successo; non dico quindi semplificazione o semplicismo, dico proprio semplicita', che vuol dire sostanzialmente operare una svolta nei nostri comportamenti, nelle scelte economiche che facciamo, nelle scelte di come organizziamo la convivenza. Svolta che a mio giudizio si potrebbe sintetizzare bene capovolgendo esattamente nel suo contrario il motto dei giochi olimpici. Il motto dei giochi olimpici ci spinge al massimo della competizione: "piu' forte, piu' alto, piu' veloce". Io credo che la svolta verso la semplicita' puo' facilmente capovolgere questo. Invece di dire piu' veloce probabilmente abbiamo bisogno oggi di una svolta verso una maggiore lentezza (lentius). Invece di dire piu' alto, che e' poi il massimo della competizione, io credo che possiamo puntare viceversa sul piu' profondo (profundius), cioe' sul valorizzare piu' le dimensioni della profondita' che significa tante volte rinunciare alla quantita', alla crescita, guadagnando in qualita'. E invece di piu' forte oggi possiamo cercare invece il piu' dolce, il piu' mite (suavius): nei comportamenti collettivi ed individuali invece di puntare alla prova di forza, al massimo della competizione, si punti, anche in questo caso, sostanzialmente alla convivenza. Piu' di duecento anni fa, Kant cercando di capire una regola generale che potesse illuminare tutti, credenti e non credenti, su che cosa fosse giusto fare, disse: "noi dobbiamo agire in modo tale che i nostri criteri di comportamento possano essere anche i criteri di ciascun altro". Io credo che oggi questa regola ha una comunicazione in piu': oggi dovremmo dire che, di per se', ogni nostro comportamento, per essere equo, dovrebbe teoricamente essere moltiplicabile per cinque miliardi, tali siamo gli abitanti del mondo, e credo che allora molto presto ci accorgeremmo che molti dei nostri comportamenti non sono eticamente accettabili perche' non sono moltiplicabili per cinque miliardi. 3. MAESTRI E COMPAGNI. ALEXANDER LANGER: CONTRO LA GUERRA CAMBIA LA VITA [Riproponiamo ancora una volta questo articolo di Alexander Langer del gennaio 1991 apparso su "Terra nuova forum"] Quanti oggi si disperano per non essere riusciti a prevenire prima ed a fermare poi la guerra nel Golfo, si trovano in buona ed illustre compagnia: il papa ed il segretario delle Nazioni Unite aprono il lungo corteo di coloro che non si rassegnano facilmente al fatto che la parola sia passata alle armi, che la guerra, "avventura senza ritorno", sia poi effettivamente scoppiata. E piu' si sperimenta l'impotenza di milioni di persone comuni e di migliaia di esponenti rappresentativi delle piu' diverse istituzioni, chiese, associazioni, sindacati, partiti e persino parlamenti che invocano la fine della guerra, ma non riescono a farsi ascoltare, piu' ci si domanda cosa di efficace oggi si possa fare di fronte a gravi ingiustizie internazionali, senza affidarsi alla prova di forza militare. E se l'Occidente sviluppato e progredito non riesce a trovare risposte a questa domanda, come si puo' sperare che altri nel mondo, di fronte ad occupazioni ingiuste, gravi violazioni del diritto internazionale e dei diritti umani, minacce, atti di forza, soprusi, ecc. non cerchino in tutti i modi di ristabilire anche loro con piccole o grandi guerre (e col terrorismo, per chi non dispone del timbro di alcuno stato per legittimare la propria violenza armata) i loro diritti violati? Come pretendere dai palestinesi, dai kurdi, dagli abitanti del Kashmir, dai ciprioti, dagli armeni, dai tibetani, dai popoli baltici e da tanti altri di respingere la tentazione della violenza come mezzo per affermare i loro diritti violati? Tanti pesi, tante misure, ed alla fine ogni volta, quando parlano le armi, finisce per affermarsi semplicemente la legge del piu' forte, che sia nel giusto o nel torto. * Il "pacifismo gridato" (cosi' lo ha chiamato il cardinal Martini di Milano) esprime la rabbia e la frustrazione di chi sente questa impotenza, ma davvero non sfugge facilmente all'accusa di usare anch'esso pesi e misure diverse, a seconda di chi si tratta di condannare o approvare. Chi pero' non rinuncia a considerare la guerra comunque, ed oggi ancor piu' di ieri e dell'altro ieri, una sconfitta dell'umanita' che finisce per provocare mali maggiori di quelli che pretende di curare, non puo' rassegnarsi ad accettare che ci siano situazioni che solo con la forza bellica si possono risolvere. Sono due le linee di azioni che a questo punto sembrano degne di esplorazione approfondita. La prima aiuta a superare il "pacifismo (solo) gridato" e potrebbe essere sintetizzata con un motto formulato dalla "Campagna nord-sud": contro la guerra, cambia la vita. La seconda riguarda il ricorso alla "forza", senza che cio' debba essere sinonimo di guerra, un problema che i nonviolenti da sempre pongono e che non puo' ridursi all'alternativa tra subire o fare la guerra. * Contro la guerra, cambia la vita: le guerre scoppiano "a valle", quando tutta una infausta concatenazione di soprusi, violenze e fallimenti si e' gia' prodotta e sembra diventata irrimediabile; i popoli, la gente comune, sono poi chiamati a pagare il conto finale senza aver potuto intervenire sulle singole voci che lo hanno via via allungato. Ma dinnanzi al fallimento della politica e della negoziazione, che sfocia nella guerra, bisognera' pur rafforzare gli "anticorpi" a disposizione di ogni singola persona per prevenire le guerre e per non lasciarsene, comunque, catturare, una volta che sono scoppiate. Se tutto uno stile di vita (consumi, produzioni, trasporti, energia, banche...) nel quale siamo largamente coinvolti, per potersi perpetuare ha bisogno di condizioni assai ingiuste che regolano le relazioni tra i popoli e con la natura, bisognera' dunque intervenire "a monte" e mettere in questione la nostra partecipazione (anche individuale) ad un "ordine" economico, politico, sociale, ecologico e culturale che rende necessarie le guerre che lo sostengono. Se il consenso alla guerra (sotto forma di nazionalismi, razzismi, pregiudizi, stereotipi, ecc.) puo' con tanta facilita' diventare maggioritario - non certo soltanto tra "fondamentalisti islamici"... - si dovra' intervenire anche qui "a monte" ed allargare una solida base ideale e culturale di disposizione alla pace ed alla convivenza, disintossicando cuori e cervelli. Se e' considerato scontato che, una volta scoppiata la guerra, non resta che allinearsi ed arruolarsi (materialmente e culturalmente), bisognera' pure che qualcuno lavori per suscitare e consolidare scelte di "obiezione alla guerra". Sono dunque tante le forme di azione che si possono scegliere per "cambiare la vita di fronte alla guerra", nel senso di negarle ogni consenso e sostegno e nel senso di farle mancare - ognuno - almeno un pezzettino di apparente giustificazione. * Piu' difficile appare oggi la seconda delle linee proposte: sviluppare strumenti "di forza", ma il meno possibile violenti e comunque non bellici. Di fronte all'occupazione violenta del Kuwait da parte dell'Irak, ed alla sistematica azione degli Usa e di alcuni fra i loro alleati per arrivare comunque alla guerra con l'Irak e realizzare una globale "resa dei conti" per impedirgli di nuocere in futuro, la scelta nonviolenta a molti sembra andata improvvisamente in crisi. La "guerra giusta" e' riapparsa solennemente all'orizzonte - questa volta con tanto di voto a schiacciante maggioranza nel Consiglio di Sicurezza dell'Onu e quindi con la legalita' internazionale assicurata. Non poteva mancare qualche vescovo, qualche moralista e qualche elzevirista a benedire il tutto. "Pacifista" e' tornato ad essere un sinonimo di fifone, piagnone o alto traditore e cospiratore col nemico, "nonviolento" un aggettivo buono per i sognatori. Lo stesso papa viene indicato come capofila del "disfattismo", visto che non cessa di denunciare e chiamare a fermare questa guerra. L'argomento piu' forte dei sostenitori della "guerra giusta" (magari ribattezzata "azione di polizia internazionale") e' di ordine storico-morale: "se Hitler fosse stato fermato gia' nel 1934, al momento dell'occupazione della Renania, si poteva forse risparmiare al mondo intero la tragedia del nazismo e della seconda guerra mondiale". Dove per "fermare Hitler" si da' per scontato che si debba leggere "fare la guerra a Hitler". E dove si dimentica che la coalizione anti-Hitler avra', si', battuto l'incubo del totalitarismo nazifascista, ma rifondato anche - su 40 milioni di morti - un ordine internazionale che ha tranquillamente consegnato mezza Europa ad un altro totalitarismo e l'intero sud del pianeta allo sfruttamento e, in molti casi, a vecchi o nuovi colonialismi e totalitarismi. Se quindi e' giusto fare tutto il possibile per fermare aggressioni, ingiustizie e soprusi, a partire dal chiamarli per il loro nome ed identificarli come tali, non mi sembra invece ne' giusta, ne' risolutiva l'idea di farne derivare con una sorta di funesto automatismo la sanzione bellica. * Piuttosto la guerra nel Golfo (che fin d'ora appare - a dispetto di tutte le censure nell'informazione - ben piu' "sporca" di quanto non sia stata presentata, camuffata in geometrica potenza dell'azione chirurgica elettronica) dimostra che si devono inventare nuovi strumenti alternativi e nonviolenti, persuasivi ed efficaci, per ridurre il tasso di violenza nel mondo e per risparmiare bagni di sangue (che si chiamino guerra o repressione, che siano internazionali o interni). Ne provo ad indicare quattro, di cui mi sembra ci sia bisogno (potendoli qui appena accennare, naturalmente): 1) sviluppare l'arma dell'informazione e della disarticolazione della compattezza derivante da repressione, disinformazione, censura; perche' non "bombardare" con trasmissioni radio e tv, con volantini, con documentazione, piuttosto che con armi? ("Radio Free Europe" o "Radio Vaticana" hanno fatto probabilmente di piu' per la destabilizzazione dei regimi dell'est che non le divisioni della Nato) Perche' non fornire supporti ed aiuti ai gruppi impegnati nei diversi regimi totalitari per i diritti umani, piuttosto che fornire armi agli Stati che un giorno si spera facciano loro la guerra? 2) costituire e moltiplicare gruppi/alleanze/patti/tavoli interetnici, interculturali, interreligiosi di dialogo e di azione comune, piuttosto che dialogare solo da campo a campo o da blocco a blocco; e' l'abbattimento dei muri, o perlomeno lo sforzo di renderli penetrabili (vedi l'esperienza interetnica dell'"altro Sudtirolo") Oggi uno dei "buchi neri" in questa crisi e' l'assenza di forti legami interculturali ed interetnici tra arabi ed israeliani, tra Europa e mondo arabo, tra Cristianesimo ed Islam; non sono quindi da disprezzare anche modesti strumenti quali i "gemellaggi" tra Comuni, Regioni, associazioni, ecc., che avvicinano concretamente i popoli e rendono piu' difficile il consenso a "bombardare l'altro" (che si accetta di bombardare tanto piu' quanto meno lo si conosce); 3) lavorare seriamente per un nuovo diritto internazionale e per un nuovo assetto dell'Onu, basato oggi non solo sugli esiti della seconda guerra mondiale (con le sue "Grandi Potenze", i loro diritti di veto, ecc.), ma anche su un concetto ed una pratica di "sovranita' degli Stati" poco consono al destino comune dell'umanita'. La tradizionale distinzione tra "affari interni" che esigono la non-ingerenza degli altri (per cui torture e massacri non riguardano la comunita' internazionale, finche' non scoppia un contenzioso tra almeno due Stati) ed "internazionali" non regge alla prova delle emergenze ecologiche, ne' dei diritti umani; 4) chiedere all'Onu di promuovere una sorta di "Fondazione S. Elena" (nome dell'isola in cui alla fine fu esiliato Napoleone, tra gli agi e gli onori, ma reso innocuo), per facilitare ai dittatori ed alle loro sanguinarie corti la possibilita' di servirsi di un'uscita di sicurezza prima che ricorrano al bagno di sangue pur di tentare di salvarsi la pelle (Siad Barre, Ceausescu, Marcos, Fidel Castro, il re del Marocco, Saddam Hussein... potrebbero o potevano utilmente beneficiarne piuttosto che giocare il tutto per il tutto); la questione di amnistie e indulti per chi e' abbastanza lontano ed abbastanza vigilato da non poter piu' fare danni, non dovrebbe essere insolubile. * Ho scelto appena alcuni esempi, tra i molti che si potrebbero fare (pensiamo solo alle diverse possibili articolazioni dell'embargo commerciale, sportivo, scientifico, ecc.), perche' sono convinto che oggi il "settore R&S" (ricerca e sviluppo) della nonviolenza debba fare grandi passi avanti e non fermarsi solo alle ormai tradizionali risorse della disobbedienza civile. E la spaventosa guerra in corso non deve farci fare tutti quanti un salto indietro, riammettendo la guerra tra i protagonisti della storia e tra gli strumenti - seppur estremi - della convivenza tra i popoli. Con il livello odierno di armamenti, di affollamento demografico del mondo e di precarieta' ecologica del pianeta comunque non ci puo' essere piu' "guerra giusta", se mai ne poteva esistere in passato. 4. RIFERIMENTI. PER CONTATTARE IL COMITATO CHE SI OPPONE ALL'AEROPORTO DI VITERBO Per informazioni e contatti: Comitato contro l'aeroporto di Viterbo e per la riduzione del trasporto aereo: e-mail: info@coipiediperterra.org , sito: www.coipiediperterra.org Per contattare direttamente la portavoce del comitato, la dottoressa Antonella Litta: tel. 3383810091, e-mail: antonella.litta@libero.it Per ricevere questo notiziario: nbawac@tin.it =================== COI PIEDI PER TERRA =================== Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it Numero 76 del 16 febbraio 2008 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request@peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request@peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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