- Scrivi commento -- Leggi commenti ce ne sono (2)
Visite totali: (311) - Visite oggi : (2)
Questo giornale non ha scopo di lucro, si basa sul lavoro volontario e si sostiene con i contributi dei lettori Sostienici!
ISSN 2420-997X

Canali social "il dialogo"
Youtube
- WhatsAppTelegram
- Facebook - Sociale network - Twitter
Mappa Sito

www.ildialogo.org Claude Lévi-Strauss è morto: è morto la notte fra sabato e domenica a Parigi. La notizia della sua scomparsa è stata diffusa dall'Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales.,a cura di Federico La Sala

FILOSOFIA E SCIENZE SOCIALI
Claude Lévi-Strauss è morto: è morto la notte fra sabato e domenica a Parigi. La notizia della sua scomparsa è stata diffusa dall'Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales.

Era nato in Belgio il 28 novembre del 1908, fra pochi giorni avrebbe compiuto 101 anni. Tutta la vita dedicata allo studio delle strutture che guidano popoli e gruppi sociali


a cura di Federico La Sala

L'accademico si è spento a Parigi, avrebbe compiuto 101 anni il 28 novembre
Una vita dedicata allo studio delle strutture che guidano popoli e gruppi sociali

Addio a Claude Lévi-Strauss
padre dell'antropologia moderna *

 
 
PARIGI - L'antropologo ed etnologo Claude Lévi-Strauss è morto la notte fra sabato e domenica a Parigi. Era nato in Belgio il 28 novembre del 1908, fra pochi giorni avrebbe compiuto 101 anni. La notizia della sua scomparsa è stata diffusa dall'Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales.

Le origini, gli studi. Lévi-Strauss, di famiglia ebrea, nasce a Bruxelles ma si trasferisce presto con i genitori a Parigi dove suo padre lavorava come ritrattista. La sua formazione culturale avviene nel clima intellettuale parigino. Studia Legge e Filosofia alla Sorbona, non conclude gli studi in Legge ma si laurea in Filosofia nel 1931. Inizia a insegnare in un liceo di provincia - un'esperienza che condivide con Maurice Merleau-Ponty e con Simone de Beauvoir.

Le scienze umane, gli incontri decisivi. Le sue posizioni filosofiche sono molto critiche nei confronti delle tendenze idealiste e spiritualistiche della filosofia francese del periodo fra le due guerre. Scopre presto nelle scienze umane, in particolare nella sociologia e nell'etnologia, la possibilità di costruire un discorso più concreto e innovatore sull'uomo. Decisivi gli incontri con Paul Rivet, che conosce in occasione dell'esposizione di Jacques Soustelle al Museo Etnografico, e con Marcel Mauss, del quale fu allievo. Di quest'ultimo, lo segna in particolare il metodo utilizzato per spiegare e analizzare riti e miti dei popoli primitivi.

La scoperta del Brasile. Nel 1935 gli viene offerto di andare a insegnare Sociologia a San Paolo in Brasile, dove una missione culturale francese aveva avuto l'incarico di fondare una università. Sarà per Lévi-Strauss l'occasione per conoscere un mondo completamente diverso da quello europeo, ma soprattutto per entrare in contatto con le popolazioni indie del Brasile, che diventeranno l'oggetto delle sue ricerche sul campo.

Le spedizioni, l'analisi sul campo. Il suo esordio nel campo dell'antropologia avviene in maniera graduale. Nei primi tempi, quando è libero dagli impegni universitari, compie brevi visite nell'interno del paese. Organizza poi una spedizione di qualche mese tra i Bororo, un gruppo rtnico del Brasile, e infine una missione, che durerà un anno, nel Mato Grosso e nella foresta amazzonica dove incontrerà "i veri selvaggi", cioè le popolazioni meno acculturate e nello stesso tempo per lui più interessanti.

La guerra, la fuga a New York. Tornato in Francia nel 1939 entra nell'esercito allo scoppio della seconda guerra mondiale ma nel 1941, subito dopo l'armistizio, a causa delle persecuzioni contro gli ebrei, fugge e si imbarca per gli Stati Uniti. A New York conosce e frequenta altri intellettuali emigrati e insegna presso la Nuova scuola per le ricerche sociali. Insieme a Jacques Maritain, Henri Focillon e Roman Jakobson, è considerato uno dei fondatori dell'École Libre des Hautes Études, una specie di "università in esilio" per accademici francesi. E dal 1946 al 1947 lavora anche come addetto culturale per l'ambasciata di Francia.

Gli anni americani. Gli anni trascorsi a New York sono molto importanti per la formazione di Lévi-Strauss. La sua relazione con il linguista Jakobson gli è d'aiuto per mettere a punto il suo metodo di indagine strutturalista. Lévi-Strauss è anche considerato, insieme a Franz Boas, uno dei maggiori esponenti dell'antropologia americana. Disciplina, quest'ultima, che insegna presso la Columbia University a New York, lavoro che gli fa ottenere un titolo che gli servirà per essere accettato con facilità negli Stati Uniti.

Il ritorno in Francia, il dottorato alla Sorbona. Nel 1948 torna a Parigi e nello stesso anno consegue il dottorato alla Sorbona con una tesi maggiore e una minore - come era tradizione in Francia - dal titolo The Family and Social Life of the Nambikwara Indians (La famiglia e la vita sociale degli indiani Nambikwara) e The Elementary Structures of Kinship (Le strutture elementari della parentela). Quest'ultima viene pubblicata l'anno seguente e subito è considerata uno degli studi antropologici più importanti, realizzati fino a quel momento, sui rapporti di parentela.

"Tristes Tropiques", la popolarità. Tra gli anni Quaranta e Cinquanta Lévi-Strauss continua le sue pubblicazioni, sempre con maggiore successo. La popolarità di Lévi-Strauss si deve a Tristes Tropiques, pubblicato nel 1955: in parte biografia, in parte riflessione filosofica sul viaggio, l'opera è soprattutto un diario sistematico dei suoi studi su quattro tribù primitive del Sud America. Nel 1959 diventa titolare della cattedra di Antropologia sociale presso il Collége de France. Dopo qualche tempo pubblica Structural Anthropology, con una raccolta dei suoi saggi. In quel periodo sviluppa un programma che comprende una serie di organizzazioni - come il Laboratory for Social Anthropology - e un nuovo giornale, L'Homme, sul quale pubblicare i risultati delle sue ricerche.

"Pensée Sauvage", il dibattito con Sartre. Risale al 1962 la pubblicazione di quello che, secondo molti studiosi, viene considerato il suo lavoro più importante, Pensée Sauvage, nel quale vengono delineate la teoria della cultura della mente e - nella seconda parte del lavoro - la teoria del cambiamento sociale: la seconda parte coinvolgerà Lévi-Strauss in un acceso dibattito con Jean-Paul Sartre riguardo alla natura della libertà umana.

Il grande progetto "Mythologiques". Ormai diventato molto popolare, Lévi-Strauss dedica la seconda metà degli anni Sessanta alla realizzazione di un grande progetto: quattro volumi di studi dal titolo Mythologiques. In essi, Lévi-Strauss analizza tutte le variazioni dei gruppi del Nord America e del Circolo Artico esaminando, con metodologia rigorosamente strutturalista, le relazioni di parentela tra i vari elementi. L'ultimo volume di Mythologiques viene pubblicato nel 1971.

I riconoscimenti. Nel 1973 Lévi-Strauss viene accolto dall'Académie Française. Nel 1975 riceve l'Earsmus Prize, ma negli anni ha avuto numerosi riconoscimenti e lauree ad honorem da università prestigiose come Oxford, Yale, Harvard e Columbia. E' stato membro di istituzioni celebri incluse la National Academy of Sciences, l'American Academy and Institute of Arts and Letters, l'American Academy of Arts and Sciences, l'American Philosophical Society.


* la Repubblica, 3 novembre 2009



Martedì 03 Novembre,2009 Ore: 18:41
 
 
Commenti

Gli ultimi messaggi sono posti alla fine

Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 04/11/2009 09.22
Titolo:Note di Gravagnuolo, Tito, Niola, Galimberti,
l’Unità 4.11.09
Lévi-Strauss, la rivoluzione dello sguardo occidentale
di Bruno Gravagnuolo

La scomparsa Il padre dell’antropologia si è spento in Borgogna nel fine settimana a quasi 101 anni
La vita Le spedizioni, i «Tristi Tropici», lo strutturalismo: così ha cambiato il modo di vedere l’uomo
Ha cambiato il nostro modo di vedere il mondo. Dalle spedizioni in Amazzonia negli anni ’30 fino all’indagine sul simbolico, ritratto di uno dei più grandi studiosi del ’900. I suoi funerali si sono già svolti in Borgogna.
Avrebbe compiuto 101 anni il 28 novembre. Ma non ce l’ha fatta. In compenso ha traguardato il secolo di vita, con un’attività intellettuale lucida fino all’ultimo. E con un’opera ciclopica, che ha cambiato il nostro «sguardo» sul mondo. Eppure Claude Lévi-Strauss di suo era un temperamento mite e sembrava destinato a un tranquillo insegnamento nei licei, al più all’Università.
Figlio di un pittore, con entrambi i genitori francesi, era nato in Belgio nel 1908 e passò infanzia e giovinezza a Parigi. Laureato in filosofia nel 1931, dopo un breve insegnamento alle superiori, concorre per una cattadra di Sociologia all’Università di San Paolo in Brasile, dove avviene la svolta della sua vita. Una svolta chiamata «antropologia», nel segno dell’etnografia «americanistica», compiuta con due spedizioni nel Mato Grosso e in Amazzonia. Due libri da quelle due spedizioni: La vita familiare e sociale degli indiani Nambikwara, e Le strutture elementari dela parentela (1948 e 1949). Tra
l’esperienza brasiliana e il primo viaggio negli Usa nel 1940 c’è intanto la prima rivoluzione di Lévi-Strauss. La connessione tra antropologia americana e linguistica.
Dunque tra la lezione di F. Boas, e quella del linguista russo Roman Jacobson, che aveva conosciuto a New York, sospinto dall’interesse per la fonologia.
Sta qui il nucleo più profondo dello «strutturalismo», l’invenzione più importante del grande antropologo. Non solo, proprio a partire di qui Lévi-Strauss introdurrà in Europa il frutto più maturo delle scienze umane statunitensi: «l’antropologia culturale». Piccolo inciso. Proprio mentre rivoluziona lo sguardo occidentale sulle «culture» come sistemi, Progresso e «primitivi», lo studioso è del tutto inconsapevole della tragedia che incombe sull’Europa. Di ritorno dagli Usa, tenterà addirittura di tornare ad insegnare nel suo vecchio liceo parigino, prima di essere messo sull’avviso da un funzionario ai permessi di Vichy, che gli dirà: «Professore, con un nome così!. Segno non solo di un temperamento da studioso assorbito dai suoi lavori, ma anche di un certo motato come ministro della pubblica istruzione (non se ne fece nulla).
Ma torniamo alla sua rivoluzione epistemologica, consegnata a opere quali, Strutture elementari di parentela; Razza e Storia; Tristi Tropici; Antropologia strutturale; Il crudo e il cotto. Da un lato c’era la «cultura», in quanto sistema di relazioni sociali. «Unica», nelle sue varietà geografiche e storiche, secondo la linea di Boas. E cultura riletta con gli occhi di Durkheim, risposta «funzionale» ai bisogni di produzione e riproduzione del mondo. Dall’altro però c’era il linguaggio. Ma non tanto come lingua parlata, bensì come modello: sistema di segni alla Saussure. E segni coincidenti con le «strutture di parentela». Con i riti e i miti, le abitudini alimentari. Ecco la rivoluzione: il linguaggio come sfera del simbolico. Codificato in invarianti, inclusioni ed esclusioni, tabù e procedure consentite/obbligate. Era la famosa «struttura». Atemporale, inconscia, sovrapersonale. Irriducibile ad altre strutture di altre culture, benché confrontabile, sul piano metodologico.
LA POLEMICA CON SARTRE
Stanno qui le radici della famosa disputa tra storicisti e strutturalisti, la polemica con Sartre e l’ esistenzialismo. Se gli storicisti rivendicavano il ruolo dell’umano e della storia, lo strutturalismo mirava alla struttura tendenzialmente non modificabile, se non per rotture, «coupures» epistemologiche. Come quelle dei «paradigmi linguistici» in Foucault o in Althusser, o in storici della scienza come Kuhn. E il punto affermato da Lévi-Strauss era questo: nelle società primitive era il «simbolico» a fungere da tecnica produttiva. Cioè l’incesto e la sua proibizione, le regole familiari e claniche. E l’economia era riproduzione culturale e non «economica». Come accade nello «scambio simbolico» del dono teorizzato da Marcel Mauss, tra i maestri di Levi-Strauss. All’opposto, con la modernità occidentale, è l’economia a fare cultura, almeno in una prospettiva marxista o post-marxista (anche in Weber). Ne derivava non solo un’intera scuola di pensiero: Lacan, Foucault, Baudrillard. Ma un nuovo criterio interpretativo del vivere sociale, dove l’immaginario inconscio e rappresentativo è inseparabile dall’economia, anche nelle società moderne. La sfida teorica che Levi Strauss ci lascia è allora questa: il potere dei segni come forza produttiva di ogni società e di ogni relazione. Ieri come oggi.❖

l’Unità 4.11.09
L’ultima intervista
«I miei Tristi Tropici, come un romanzo»
di Anna Tito

2005, nel cinquantenario di quella sua opera, concesse a l’Unità una delle sue ultime rare interviste. La ricerca sul campo, l’odio per i viaggi, l’ebraismo, Hitler, la politica. Ecco cosa ci disse

Nel 2005 Claude Lévi-Strauss concesse a l’Unità una delle rare interviste dei suoi ultimi anni. Ecco ampi stralci di quel colloquio.
In occasione dell’Anno del Brasile in Francia, Lévi-Strauss accetta di tornare con noi sul suo rapporto con il Paese dal legno color brace. Ricorre infatti il cinquantesimo anniversario di Tristi Tropici, un romanzo più che un testo scientifico, dedicato agli indios del Brasile, che ha segnato un’epoca e che tuttora seduce e intriga: «Lo scrissi per diversi motivi spiega -: in primo luogo perché mi ero appena sposato per la terza volta e la mia vita era cambiata, poi perché l’editore Plon mi aveva chiesto un libro per lanciare una nuova collana, e infine per cimentarmi nella narrativa». (...) «Il Brasile rappresenta l’esperienza più importante della mia vita, specie per la lontananza e il contrasto. La natura mi appariva tanto diversa da quella che conoscevo. Me ne andai nel 1939 e vi tornai, per pochi giorni, nel 1985. Quel viaggio mi sconvolse: San Paolo, scomparsi i residui dell’epoca coloniale, era ormai una città spaventosa».(...) Dopo il Brasile abbandonò quasi del tutto le ricerche sul campo: (...) «Io non riesco a vivere per due o tre anni insieme a un popolo, osservandolo. Mi sono orientato nel dopoguerra verso l’etnologia, che era in fase evolutiva, e si erano accumulate tali quantità di materiali e in maniera tanto confusa da renderli inutilizzabili. Scrissi perciò Le strutture elementari della parentela, per analizzare e razionalizzare tutti i dati disponibili sulle regole del matrimonio, per raggiungere un nuovo traguardo... Ma senza la guerra, nonostante la mia totale mancanza di talento, avrei forse continuato a lavorare “sul campo”».
Già, la guerra, di cui non avvertì l’imminenza, ammette laconico: «così come non mi resi conto del pericolo che rappresentava Hitler, o della minaccia fascista». (...) Ma, continua senza tentare di giustificarsi, «non si può vedere ciò che non ha precedente alcuno». (...) Ricorda ridendo che: «nel settembre del 1940, subito dopo la disfatta e l’armistizio, mi venne in mente di recarmi a Vichy per chiedere l’autorizzazione di tornare a Parigi, occupata dai nazisti, per insegnare nel liceo al quale ero stato assegnato! ».(...) Dell’antisemitismo Lévi-Strauss ritiene di essere stato poco vittima, anche se «fin dalla scuola materna mi hanno trattato da “sporco ebreo”. E continuarono al liceo. Ma io reagivo a pugni». E poco lo interessava il sionismo (...). Prima della partenza per il Brasile si era però impegnato in politica: «Militavo nel Partito socialista. Collaboravo con il giovane e brillante parlamentare Georges Monnet, per il quale scrissi non poche proposte di legge». E a San Paolo l’antropologo ascoltava emozionato sulle onde corte i risultati delle elezioni francesi del 1936, che portarono alla formazione del governo del Fronte Popolare. Monnet era stato nominato ministro e «ero convinto che mi avrebbe voluto al suo fianco (...)».
È forse per via di questa mancata carriera politica che, al ritorno dagli Stati Uniti, contrariamente ai suoi colleghi, sempre rifiutò di prendere posizione (...). La sua reticenza emerse nel corso degli avvenimenti del maggio ’68, e poi nei confronti delle forme più «urlate» dell’anticolonialismo e dell’antirazzismo.
Il fatto che lo abbiano definito un conservatore lascia Lévi-Strauss del tutto indifferente: «il mondo è troppo complesso e un ricercatore non può prendere posizione su tutto ciò che avviene».❖

Repubblica 4.11.09
Le lezioni di un mestro che reinventava il mito
di Marino Niola

Insegnava al Collège de France e venivano ad ascoltarlo da tutto il mondo
La sua opera è ricaduta come una pioggia benefica su tutti i campi del sapere

Austero, secco, elegantemente severo. Il tratto sempre cortese, la retorica alta e distaccata, l´ironia tagliente e l´erudizione sterminata erano quelli del grande classico. E Claude Lévi-Strauss classico lo era fino in fondo, perfino nel corpo. La prima volta che lo vidi mi apparve come una stupefacente reincarnazione di quei grandi moralisti che amava spesso citare nei suoi libri e nelle sue affollatissime lezioni al Collège de France. Come la Bruyère, come l´amato Montaigne. Apparentemente distante e disincantato eppure pronto ad aprirsi improvvisamente a digressioni personali, vere e proprie confessioni in stile rousseauiano, sofferenti, veementi, persino violente. Sideralmente distante da ogni forma di compagnonnage con allievi e collaboratori la sua impeccabile formalità metteva spesso a disagio i suoi interlocutori. Il grande antropologo americano Marshall Sahlins mi raccontò che quando era in visita a Parigi temeva moltissimo le cene in casa di Lévi-Strauss poiché la raffinatezza proustiana del maestro lo intimoriva. Tanto che al primo invito bevve un whisky per sciogliersi. Evidentemente si sciolse troppo e il risultato fu un´atmosfera gelidamente silenziosa.
Eppure era questo stile d´altri tempi ad affascinare chi lo ascoltava. E perfino chi lo leggeva. Nessuno si rialza indenne da una lettura di Lévi-Strauss, diceva spesso Yvan Simonis, un suo allievo belga che nel 1968 gli dedicò un libro appassionato e concitato. In quegli anni i corsi di Lévi-Strauss erano incredibilmente affollati da giovani che accorrevano da tutte le parti del mondo per ascoltare la voce gnomica dell´uomo che reinventava in diretta la scienza dei miti davanti al suo pubblico incantato. Come un Orfeo ammaliatore, attraversato dalla poeticità delle sue stesse parole, posseduto dalla materia incandescente di quei racconti e al tempo stesso capace di farla colare negli stampi rigorosi di una logica di stringente razionalità. L´effetto era una miscela straordinariamente suggestiva di ragione e passione, un intreccio irripetibile fra Immanuel Kant e Giambattista Vico. È la forza del suo pensiero, l´urgenza della sua interrogazione filosofica che ha consentito a Claude Lévi-Strauss quella rivoluzione scientifica, ma anche esistenziale che lo ha proiettato nell´Olimpo dei maîtres à penser del Novecento. Per aver trasformato la conoscenza dell´Altro, lo studio delle differenze culturali, in coscienza critica dell´Occidente. In un nuovo modo di pensare l´uomo. Facendo così dell´antropologia il fondamento di una critica radicale dell´Occidente e dei pericoli della mondializzazione che si profilava.
L´uomo che ha inventato l´antropologia ha incarnato in pieno l´ansia delle generazioni del dopoguerra di spezzare gli angusti schemi eurocentrici che identificavano la civiltà occidentale con la civiltà tout court. Centro e motore dell´umanità. In questo senso l´autore di Tristi Tropici si può considerare il Copernico delle scienze umane.
Nessun antropologo ha esercitato un´influenza altrettanto vasta al di fuori della propria disciplina. Dalla filosofia alla storia, dalla politica alla critica letteraria, dalla linguistica alla sociologia, dalla poesia alla psicanalisi, dall´arte alla musica contemporanea, l´opera di Lévi-Strauss è ricaduta come una pioggia benefica su tutti questi campi dando loro nuova linfa. Quando apparvero le Strutture elementari della parentela nel 1949 Simone de Beauvoir che fu la prima a recensire il libro, lo salutò come una pietra miliare nella conoscenza dell´uomo. E artisti come Max Ernst, come André Breton, come Luciano Berio hanno tradotto il pensiero di Lévi-Strauss in pittura, in poesia, in musica.
Capolavori come Tristi Tropici, Il pensiero selvaggio, Antropologia strutturale, nascono da questo personalissimo mélange, in buona parte inimitabile perché frutto di un talento eterodosso e senza confini. Che ha sempre portato Lèvi-Strauss a pensare in grande. Senza tuttavia perdersi nell´astrazione pura che parla dell´uomo con la maiuscola dimenticando gli uomini in carne ed ossa.
È proprio questa irripetibile alchimia di pathos e logos, teoria e poesia, rigore e fantasia la vera lezione di Claude Lévi-Strauss.

Repubblica 4.11.09
Dalla delusione per la filosofia all´incontro con i popoli selvaggi
La fuga dall´occidente alla ricerca dell´altro
di Umberto Galimberti

Dopo l´avventurosa peregrinazione nel Mato Grosso si chiede: "Cosa sono venuto a fare qui?"

Tutto incominciò con una telefonata alle 9 di mattina di una domenica di autunno del 1934 quando Célestin Bouglé, rendendosi interprete di «un capriccio un po´ perverso» di Georges Dumas, chiede a Claude Lévi-Strauss, allora ventiseienne, se era disposto a partire per il Brasile su incarico di una commissionoe incaricata di organizzare l´università di São Paulo. Lévi-Strauss, che allora insegnava al liceo di Laon, accetta senza esitazione e parte per il Brasile dove rimane fino al 1939.
In questi cinque anni, oltre alla cattedera di sociologia che gli era stata affidata, Lévi-Strauss compie spedizioni etnografiche nel Mato Grosso, nell´Amazzonia meridionale, entra in contatto con la popolazione dei Caduvei, dei Bororo, dei Nambikwava, dei Tupi Kawahib, e raccoglie tutto il materiale che poi ordinerà nei suoi libri che, nel loro complesso, costituiscono il corpus più significativo e filosoficamente più interessante dell´antropologia del Novecento.
Mai parlar male della filosofia, perché, anche in chi, dopo averla frequentata, la disprezza, la filosofia lavora come un´inquietudine che rode l´anima finché non le si dà espressione. Quello che sarà il più grande antropologo del Novecento attribuisce la delusione del suo apprendistato speculativo al fatto che la filosofia è sterile come disciplina che si esprime come système, mentre può diventar feconda se si rivolge a quello che Lévi-Strauss chiama concret, come aveva fatto Marx che Lévi-Strauss aveva letto a diciassette anni. La sua opposizione al "sistema" si rivolge anche a tutti quegli antropologi che avevano prediletto le ricerche systématisantes, mentre la vera ricerca, se vuole evitare conclusioni dogmatiche, dovrà essere ricerca "sur le terrain" come quella praticata da Marcel Mauss allievo e nipote di E. Durkheim.
Ma non sono mai le esigenze puramente teoriche che inducono qualcuno a cambiar cielo e a cambiar terra. Quando le stelle non hanno più la stessa disposizione con cui appaiono nella terra d´origine, spontanea sorge quella domanda che Lévi-Strauss si pone dopo un´avventurosa peregrinazione nelle foreste del Mato Grosso: «Che cosa siamo venuti a fare qui? Con quale speranza? A quale fine? Avevo lasciato la Francia da quasi cinque anni, avevo abbandonato la mia carriera universitaria; la mia decisione esprimeva una incompatibilità profonda nei confronti del mio gruppo sociale da cui, qualunque cosa accadesse, avrei dovuto isolarmi sempre di più». Alla base di queste domande e del malaise che le promuove c´è un continuo ed estenuante interrogarsi sul senso e sul destino della civiltà occidentale, delle sue credenze e dei suoi valori, tutti imperniati su quell´orgoglio eurocentrico incapace di percepire e di comprendere l´esistenza dell´Altro, non semplicemente teorizzata a livello filosofico, ma toccata concretamente con mano nella forma di altri popoli, altre culture, altre civiltà.
Agli "antipodi" dell´Occidente Lévi-Strauss vede: «Il segno di una saggezza che i popoli selvaggi hanno spontaneamente praticata, mentre la ribellione moderna è la vera follia. Essi hanno spesso saputo raggiungere col minimo sforzo la loro armonia mentale. Quale logorìo, quale irritazione inutile ci risparmieremmo se accettassimo di riconoscere le condizioni reali della nostra esperienza umana e pensassimo che non dipende da noi liberarci interamente dai suoi limiti e dal suo ritmo?».
Quella "antitesi", che aveva spinto Lévi-Strauss ad abbandonare l´Europa, potrebbe ora essere ricucita dalla sua opera se appena siamo capaci di scorgervi, al di là dello spirito di ricerca che l´ha promossa, l´intenzione profonda che l´ha generata e che potremmo riassumere nel concetto che, per quanto lontane siano le latitudini, e diversi i cieli, gli uomini, se nessuno di essi pensa se stesso al centro del mondo, sono tra di loro molto simili, e perciò possono incominciare a parlare e a dirsi molte più cose di quante non se ne siano dette nel corso della loro storia.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 05/11/2009 10.44
Titolo:La mente sistematica di un cuore selvaggio
{{La mente sistematica di un cuore selvaggio}}


di {{Enrico Comba}} (il manifesto, 04.11.2009)



«Odio i viaggi e gli esploratori», una frase indimenticabile, che apre il volume forse più letto e conosciuto di Claude Lévi-Strauss, Tristi Tropici (1955), una frase che rimane impressa indelebilmente anche nei lettori che non odiano affatto i viaggi e gli esploratori e che prediligono quella letteratura di viaggio al cui genere l'opera da cui è tratta nonostante tutto appartiene e che ha stimolato generazioni di viaggiatori e di ricercatori che si sono avventurati alla ricerca di tropici più o meno tristi. Una frase paradossale, dunque, che sembra riassumere i molteplici paradossi che caratterizzano l'opera e il pensiero di Lévi-Strauss: probabilmente l'antropologo più celebre e influente del Novecento, che tuttavia ha lasciato più critici che allievi, la cui opera è guardata con venerazione e rispetto ma per lo più scorsa frettolosamente dalle generazioni più recenti di studiosi.

L'antropologo francese ha avuto la singolare fortuna di poter assistere, nel corso della sua lunga vita, non solo al culmine della propria notorietà e del prestigio accademico e scientifico, ma anche al declino dell'interesse per le proprie opere, fin quasi alla tacita emarginazione, e infine alla lenta riscoperta e rivalutazione che si è fatta strada solo negli ultimi anni.

Sotto il segno dell'universale

L'opera immensa e straordinaria di Lévi-Strauss riscuote spesso reazioni contrastanti e diametralmente opposte: alcuni lo ammirano senza riserve e sono affascinati dallo stile raffinato ed elegante, mentre altri rimangono infastiditi e insofferenti di fronte al linguaggio a volte oscuro e a un argomentare fluido e sfuggente.

Eppure la figura di Lévi-Strauss segna una profonda trasformazione nella storia dell'antropologia: la disciplina, dopo aver assorbito gli stimoli e le sollecitazioni dovuti alla sua opera, non è stata più la stessa di prima. Il pensiero dell'autore di Tristi Tropici ne ha modificato la fisionomia, ne ha trasformato il ruolo e le prospettive, ne ha rinnovato l'autorevolezza e la notorietà. Lévi-Strauss ha rappresentato un genere di antropologia diversa da quella resa celebre, per esempio, da Malinowski: una ricerca dettagliata e approfondita di una singola realtà etnografica attraverso la ricerca lunga e sistematica sul terreno, lo sforzo di vivere come un nativo e di narrarne il significato e le implicazioni.

L'antropologia lévi-straussiana è piuttosto una ricerca comparativa di ampio respiro, che si propone di esplorare l'ampio spettro delle differenze e delle somiglianze tra le società umane per mettere in luce ciò che di universale le accomuna e le sottende. La sua opera sulle Strutture elementari della parentela (1949) ha costituito per oltre mezzo secolo un riferimento obbligato per gli studi antropologici e ha segnato una svolta nel modo di affrontare lo studio dei sistemi sociali. Quello che appariva come un caotico groviglio di usanze, costumi, regole e proibizioni estremamente variabili da una cultura all'altra comincia a prendere forma, sotto il rigoroso e sistematico esame dell'antropologo, mostrando l'esistenza di una serie di principi fondamentali che stanno alla base di tutta una vasta serie di fenomeni.

Le varie forme di prescrizione matrimoniale, che stabiliscono chi si può (o si deve) e che non si può (o non si deve) sposare, rimandano a un numero limitato di principi strutturali riconducibili al modello dello scambio. L'apparente disordine e confusione della variabilità culturale trova la propria giustificazione e possibilità di spiegazione attraverso l'individuazione di un nucleo di principi strutturali universali. Forse un meccanismo troppo semplice per spiegare adeguatamente la molteplicità dei fenomeni e delle situazioni empiriche, come è stato messo in evidenza dagli studi successivi, tuttavia il salto di qualità che quest'opera ha consentito di fare è stato immenso e ha fornito argomenti di discussione e di riflessione per i successivi cinquant'anni di studi e di ricerche.

Per Lévi-Strauss, questa ricerca di ordine nel caos delle percezioni e delle rappresentazioni è un'esigenza che si manifesta non soltanto nel lavoro dell'antropologo, ma più in generale in ogni sistema culturale umano. L'uomo è essenzialmente un «animale simbolico», la sua caratteristica fondamentale e universale consiste nel costruire un sistema di categorie attraverso cui dare ordine e significato al mondo che lo circonda. Così come ogni lingua si fonda su una particolare articolazione e scelta dei suoni, ciascuna cultura elabora un complesso sistema di classificazione della realtà, che si basa anch'esso su un numero limitato di regole e di principi ma che può dare luogo a un'immensa varietà di rappresentazioni.

È grazie all'opera di Lévi-Strauss, in particolare al suo volume sul Pensiero selvaggio (1962), che si è affermato ampiamente il principio secondo cui i popoli extra-europei non sono semplicemente dominati da un pensiero «magico», da superstizioni e credenze assurde e irrazionali, da concezioni empiricamente infondate, ma dispongono di complessi e articolati sistemi di classificazione e di descrizione del mondo. La conoscenza del mondo naturale, degli animali, delle piante, del territorio manifestata da molti popoli indigeni si rivelava, grazie alle pagine dell'antropologo francese, di un'inaspettata profondità e accuratezza. Non solo, ma questa propensione a classificare, osservare, descrivere, è stata ricondotta da Lévi-Strauss a una universale qualità intellettiva dell'uomo, che è indipendente dalle esigenze immediate di ordine materiale.

La famosa frase, rivolta in modo critico alla teoria utilitaristica di Malinowski, in cui si afferma che gli animali per il pensiero indigeno sono non tanto «buoni da mangiare» quanto soprattutto «buoni da pensare», costituisce per l'antropologia un momento di svolta decisivo: viene di colpo restituita a tutta l'umanità, anche a quella più lontana ed esotica, la dignità intellettuale, la capacità di interrogarsi e di osservare, la curiosità di indagare e di scoprire, la necessità di porsi delle domande e di cercare delle risposte. A molti antropologi della seconda metà del Novecento questa enfasi posta da Lévi-Strauss sulla dimensione intellettiva della cultura è sembrata eccessiva e squilibrata: lo si è accusato di mentalismo e di intellettualismo, di trascurare in modo indebito gli aspetti più materiali dell'esistenza, come i condizionamenti ecologici e le esigenze della produzione economica, la dimensione corporea e le pratiche ad essa collegate. Tuttavia, rimane a Lévi-Strauss l'indiscutibile merito di aver portato una ventata di aria fresca in un settore che era rimasto a lungo intriso da radicati pregiudizi e da prospettive obsolete.

La sua insistenza sul fatto che il pensiero umano funziona dappertutto secondo meccanismi identici e che gli uomini «hanno sempre pensato altrettanto bene» ha contribuito in modo decisivo ad abbandonare l'idea che vi fossero differenze sostanziali nelle facoltà intellettive e nelle capacità riflessive tra le società umane.

Nel regno del mito

A partire dagli anni Cinquanta, i principali lavori teorici di Lévi-Strauss si sono rivolti a un campo di studi particolare e alquanto inconsueto: quello dei miti. La scelta sembra apparentemente bizzarra: perché interessarsi per tanti anni e con tanto impegno a quel coacervo di storie improbabili, a quei racconti apparentemente incoerenti e fantasiosi provenienti dalle lontane foreste dell'Amazzonia o dagli altopiani delle Montagne Rocciose?

Tuttavia, anche in questo caso, Lévi-Strauss è stato in grado di mostrare come dietro quell'insieme caotico di eventi e di narrazioni, che raccontano di incesti e di assassini, di uomini e di animali, di luoghi misteriosi e di poteri sovrumani, esisteva un ordine, un disegno nascosto. Sovrapponendo e confrontando fra loro una versione con l'altra, un racconto con un altro, cominciavano a emergere alcune linee guida che dimostravano come i creatori di quelle narrazioni avessero cercato di rispondere ad alcune importanti questioni, che riguardano anche noi, uomini e donne del XXI secolo.

L'analisi delle mitologie delle Americhe conduce Lévi-Strauss a individuare un sistema di pensiero in cui la distinzione tra la natura e la cultura svolge un ruolo centrale. In realtà, secondo Lévi-Strauss, questo tema è fondamentale per l'umanità nel suo complesso: come spiegare altrimenti la spontanea facilità con cui tendiamo a distinguere in modo netto e reciso tra noi umani e gli altri animali? Perché abbiamo la tendenza a porre una barriera tra l'uomo e, poniamo, il cane e lo scimpanzé e caso mai siamo disposti a riconoscere una certa affinità maggiore tra noi e il nostro cagnolino piuttosto che con una scimmia abitatrice delle foreste, quando la distanza genetica che ci separa da quest'ultima è molto più piccola di quella esistente tra noi e il cane e quando la distanza tra cane e scimmia è molto più grande di quella tra gli uomini e i primati?

Per rispondere a tali interrogativi occorre prendere in considerazione il ruolo del pensiero simbolico come fonte per la costruzione di un ordinamento del mondo in cui l'uomo vive. Tuttavia, le diverse società umane risolvono in modo diverso gli stessi interrogativi fondamentali e l'analisi delle mitologie amerindiane consente di mettere in luce proprio le modalità attraverso le quali quelle società hanno sviluppato il rapporto tra la natura e la cultura. Nella definizione del mondo umano e nella sua contrapposizione al mondo circostante, molte culture americane hanno sottolineato non tanto la radicale separazione e incommensurabilità tra una dimensione e l'altra, quanto piuttosto le varie forme di mediazione che rendono possibile il passaggio tra natura e cultura, tra animalità e umanità, tra continuo e discontinuo.

Nei lunghi percorsi tortuosi che si addentrano nell'intrico delle mitologie americane e si snodano nei quattro ponderosi volumi delle Mythologiques (1964-1971), l'autore mostra come ogni mito richiami altri miti, della stessa popolazione e di altre popolazioni, più o meno vicine, in un continuo processo di rifrazioni e di trasformazioni. Dal sovrapporsi e intersecarsi dei motivi mitici comincia poco a poco a delinearsi un certo ordine, in cui il tema della cucina costituisce il fattore ricorrente. Il fuoco infatti costituisce un elemento di distinzione per eccellenza tra gli uomini, che padroneggiano il fuoco e mangiano cibi cotti, e gli altri animali, che fuggono impauriti alla vista del fuoco e che si nutrono di cibi crudi. Il fuoco costituisce così un essenziale strumento di trasformazione: è grazie all'impiego del fuoco che gli uomini sono in grado di trasformare il cibo crudo, prodotto della natura, in cibo cotto, risultato dell'intervento della cultura. I miti che narrano l'origine del fuoco sono poi connessi, in vario modo, con altri miti che raccontano l'origine dei maiali selvatici, che costituiscono la fonte principale di cibo ottenuto attraverso la caccia, e quindi la materia prima su cui si esercita l'arte della cucina. Questi a loro volta richiamano altri due elementi: il tabacco e il miele.

Che cos'hanno in comune il miele, il tabacco e il fuoco da cucina? Lévi-Strauss mostra, con un talento e una raffinatezza di riflessione ineguagliabili, come il miele costituisca una sorta di alimento già «cotto», cioè preparato, allo stato di natura, quindi senza l'intervento dell'uomo. Il tabacco, invece, richiede, per essere consumato, di venire bruciato: si ha così una sorta di eccesso di intervento culturale, che pone il tabacco in relazione con gli esseri soprannaturali. Così mentre il miele è un prodotto elaborato da esseri non umani (le api), il tabacco è un prodotto il cui consumo culturale implica la sua distruzione, per aspirarne il fumo. Tutti questi racconti finiscono quindi per parlare delle stesse cose e per elaborare in vari modi il tema delle molteplici forme di passaggio dal mondo naturale al mondo culturale e viceversa.

Allievo e testimione dei primitivi

Le analisi di Lévi-Strauss sono complesse, intricate, si sviluppano per centinaia di pagine e non sono quindi facilmente ripercorribili. Molti autori le considerano elaborazioni cervellotiche e infondate. Tuttavia, il lettore che abbia la pazienza di scorrere quelle pagine ne rimarrà affascinato e coinvolto: non potrà sfuggire alla sensazione che quelle storie, apparentemente strane e sconnesse, devono essere prese sul serio e, con esse, i loro lontani e remoti creatori. E allora il ricordo corre inevitabilmente alla lezione inaugurale, tenuta nel 1960 al Collège de France, al termine della quale l'antropologo francese volle tornare con il pensiero ai popoli della foresta tropicale presso i quali aveva svolto le sue prime ricerche e di cui si definì «loro allievo e loro testimone». Generazioni di antropologi si sono sforzati e ancora si sforzeranno in futuro di sviluppare le profonde conseguenze e implicazioni di questa affermazione, per alcuni aspetti sorprendente, di Claude Lévi-Strauss.

Ti piace l'articolo? Allora Sostienici!
Questo giornale non ha scopo di lucro, si basa sul lavoro volontario e si sostiene con i contributi dei lettori

Print Friendly and PDFPrintPrint Friendly and PDFPDF -- Segnala amico -- Salva sul tuo PC
Scrivi commento -- Leggi commenti (2) -- Condividi sul tuo sito
Segnala su: Digg - Facebook - StumbleUpon - del.icio.us - Reddit - Google
Tweet
Indice completo articoli sezione:
Filosofia

Canali social "il dialogo"
Youtube
- WhatsAppTelegram
- Facebook - Sociale network - Twitter
Mappa Sito


Ove non diversamente specificato, i materiali contenuti in questo sito sono liberamente riproducibili per uso personale, con l’obbligo di citare la fonte (www.ildialogo.org), non stravolgerne il significato e non utilizzarli a scopo di lucro.
Gli abusi saranno perseguiti a norma di legge.
Per tutte le NOTE LEGALI clicca qui
Questo sito fa uso dei cookie soltanto
per facilitare la navigazione.
Vedi
Info