4/1/2008 - su La Stampa - http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/200801articoli/28958girata.asp
CITTA DEL VATICANO La guerra di Piero: la Curia contro il Concilio. Ha dovuto evitare Roma e il Vaticano larcivescovo Piero Marini, dal 1987 fino allo scorso ottobre Maestro delle Cerimonie Pontificie, e chiedere ospitalità al cardinale di Londra Cormac Murphy OConnor, per il lancio del suo libro di memorie liturgiche. Ultimo episodio di una polemica che nessuno comprende più, forse neanche coloro che la stanno animando. E nata a luglio, quando Benedetto XVI ha promulgato il motu proprio Summorum Pontificum, un atto di liberalità pastorale a favore di quei fedeli - circa cinquecentomila su un miliardo e 200 milioni di cattolici - che dicono di ancorare la loro spiritualità alle forme dellordinamento liturgico in uso prima del 1964.
Nel mondo cattolico il motu proprio non ha prodotto alcuna rivoluzione copernicana, non ha svelato alcuna vena sotterranea del fiume celebrativo che attraversa le comunità locali, non ha proiettato né ombre né luci sul vissuto quotidiano dei sacerdoti e dei fedeli. Nonostante ciò, chi vuol parlare di liturgia e di Concilio deve allontanarsi da Roma. Piero Marini, universalmente riconosciuto come uno dei traduttori più fedeli del dettato conciliare in materia di riti, è sempre stato considerato un collaboratore tra i più solerti, discreti e apprezzati di Giovanni Paolo II. "A challenging reform: Realizing the Vision of the Liturgical Renewal" (Una riforma difficile: lattuazione della visione del rinnovamento liturgico), il saggio che ha presentato a Londra il 14 dicembre scorso, è un libro che ripercorre gli anni del Concilio Vaticano II e quelli immediatamente successivi, quando si realizzò il passaggio dalla messa tridentina, in latino, a quella odierna nelle lingue vernacolari, le oltre 1500 lingue oggi usate nella liturgia cattolica per condividere la Parola e celebrare lEucaristia.
La riflessione di Marini copre il periodo che va dal 1963, anno dellapprovazione della Sacrosanctum Concilium, alla fine dell80. Una stagione ricordata per il contrasto tra lapposito Consilium istituito da Paolo VI per diffondere e spiegare la riforma, e la resistenza accanita degli uffici della Curia. Questultima non ha mai perdonato a Papa Montini, dunque al padre della riforma liturgica Annibale Bugnini ed ai suoi, di aver abolito la «liturgia della cappella papale», un tripudio di uniformi, manti e troni barocchi, prescrivendo anche per il Papa in San Pietro, la liturgia episcopale celebrata da ogni vescovo nella sua diocesi. Per questo Paolo VI aveva pensato e delegato al Consilium - un organismo atipico, attento alle esigenze delle Conferenze episcopali nazionali ed estraneo alle logiche dei dicasteri vaticani - guidato da Bugnini e di cui Marini fu segretario personale, il compito di vegliare perché lo spirito della liturgia latina venisse correttamente tradotto nelle lingue moderne. In fondo, era stato lo stesso Giovanni XXIII, il padre del Concilio Vaticano II, a prescrivere che la grande assise ecclesiale guardasse alla Chiesa «come a un giardino da coltivare e non come a un museo da custodire». «La riforma liturgica», ha detto monsignor Marini durante la presentazione del libro, «non era intesa o applicata solo come riforma di alcuni riti. Era la base e lispirazione degli obiettivi per cui il Concilio era stato convocato. Lobiettivo della liturgia non era altro che lobiettivo della Chiesa e il futuro della liturgia è il futuro della Chiesa». Affermazioni condivise, secondo il «National Catholic Report», dai presenti nei saloni di Westminster, davanti al cardinale OConnor e a un drappello di dignitari vaticani, tra cui il nunzio in Gran Bretagna, larcivescovo Faustino Sainz Munoz.
Proprio le presenze del porporato e del nunzio hanno infastidito a Roma chi anche nella presentazione di un libro di storia liturgica vede «una campagna contro il Papa». A gridare «dagli al liturgista», da qualche mese sono soprattutto alcuni siti (in particolare, Petrus e il blog di Papa Ratzinger) che, in modo più cosciente di quanto dichiarino, hanno sostituito quegli anonimi «cultori della verità» che hanno costellato gli anni del pontificato di Giovanni Paolo II con pamphlet più o meno curiosi. Sono talmente "cattolici" da sentirsi autorizzati a fare lezione al Papa: «Benedetto XVI non ha bisogno di fare teatro perché le sue parole forti composte e tenere arrivano direttamente al cuore; non serve essere teatrali per farsi amare e seguire. Giovanni Paolo II passerà alla storia come il Papa dello spettacolo, del samba ballato con i giovani, delle messe che sembravano più degli show che delle vere messe e su tutto questo è pesato senza dubbio il personaggio, se così si può definire, di monsignor Piero Marini». E, sempre più infervorati dal ruolo di precettori del cattolicesimo universale: «Sospendiamo, per carità cristiana, ogni giudizio sulle stravaganti liturgie che ha portato in scena quando era Maestro delle cerimonie di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Ma non possiamo tacere sulla vergognosa, ributtante ed offensiva conferenza stampa inglese durante la quale, presentando un suo libro, ha denunciato il presunto ostruzionismo della Curia romana nellattuazione del Concilio». Commentano su www.korazym, sito dei papaboys, i ragazzi che dopo le messe di Papa Wojtyla, continuano a partecipare a quelle di Benedetto XVI: «Storia ironica di un pontificato, eletto sempre più a vessillo da chi allapertura fiduciosa preferisce gli spazi angusti della conservazione». «Giuda!», è stata la risposta dei monopolisti del cattolicesimo ratzingeriano.
Sabato, 05 gennaio 2008
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