Il Vaticano e gli ebrei, quanti passi indietro
Documenti e dichiarazioni contro l’ecumenismo

di Emilio Carnevali

Il Motu proprio con il quale papa Ratzinger ha liberalizzato l’uso della liturgia anteriore alla riforma di Paolo VI ed il documento "Risposte a quesiti riguardanti alcuni aspetti circa la dottrina della Chiesa" non sono che gli ultimi due segnali in ordine di tempo di una sistematica opera di cancellazione del Concilio in atto già da molti anni all’interno della Chiesa.

Il documento appena pubblicato dalla Congregazione per la dottrina della fede non fa che ribadire quanto già affermato in altri testi precedenti. Nella "Dominus Jesus" del 2000 - firmata dall’allora cardinal Ratzinger e contenente un compendio estremamente chiaro dell’"escusivismo veritativo" che informa la teologia dell’attuale papa - si leggeva: «Le comunità ecclesiali che non hanno conservato l’episcopato valido e la genuina e integra sostanza del mistero eucaristico, non sono Chiese in senso proprio». L’ ulteriore precisazione che arriva oggi - nata dall’esigenza di sgombrare il campo da "interpretazioni infondate" e "inaccettabili" dell’insegnamento del Concilio - non marcherà di produrre effetti negativi sui rapporti con le comunità protestanti.

Non va meglio la situazione sul fronte del dialogo interreligioso, in particolare per quanto concerne le relazioni tra cattolici ed ebrei. Le polemiche montate negli ultimi giorni sul rito tridentino e le espressioni antisemite in esso contenute sono solamente la punta dell’iceberg di una rete di questioni ben più articolata. In un lungo e dettagliato articolo pubblicato all’inizio di maggio sulla rivista inglese The Tablet , Edward Kessler - esperto del Centro studi sulle relazioni tra ebrei e cristiani dell’Università di Cambridge - ha descritto lo scontro in Curia «fra una sempre più cospicua ed agguerrita fazione di tradizionalisti, alcuni dei quali intenzionati a riportare le lancette della storia a prima del 1965 (quando la Nostra Aetate aprì una nuova era nella relazioni tra ebrei e cattolici), e una sempre più marginalizzata ala di esponenti liberali». Kessler ha citato alcuni passaggi dell’omelia della domenica della Palme pronunciata da padre Raniero Cantalamessa, in cui il predicatore della casa pontificia ha commentato il racconto della Passione cercando di correggere la teoria circolata «in seguito alla tragedia della Shoa» e tendente ad attribuire quasi esclusivamente ai romani le responsabilità per la condanna di Gesù. «I quattro vangeli - ha dichiarato Cantalamessa - attestano, si può dire a ogni pagina, un contrasto religioso crescente tra Gesù e un gruppo influente di giudei (farisei, dottori della legge, scribi) sull’osservanza del sabato, sull’atteggiamento verso i peccatori e i pubblicani, sul puro e sull’impuro. Una volta però dimostrata l’esistenza di questo contrasto come si può pensare che esso non abbia giocato alcun ruolo al momento della resa finale dei conti e che le autorità ebraiche si siano decise a denunziare Gesù a Pilato unicamente per paura di un intervento armato dei romani, quasi a malincuore?». Secondo Cantalamessa, occorre superare la teoria secondo la quale «i vangeli hanno scagionato Pilato e accusato di essa i capi dell’ebraismo per tranquillizzare le autorità romane sul loro conto e farsele amiche». Ha scritto Kessler nel suo articolo: «Ciò che preoccupa di più nella predica di Cantalamessa è che non abbia generato alcuna reazione critica, malgrado sia stata anche pubblicata sulla stampa ufficiale del Vaticano».

Insomma, sono ormai lontani i tempi dello storico incontro di preghiera con i rappresentanti delle altre religioni organizzato da Giovanni Paolo II nel 1986 ad Assisi. A ricordarcelo è stato lo stesso Ratzinger nel corso di una recente visita nella cittadina umbra in occasione dell’VIII centenario della conversione di san Francesco: «La luce del Poverello su quell’iniziativa - ha detto Ratzinger rievocando il gesto del suo predecessore, con l’aggiunta di una sua "corretta" interpretazione - era una garanzia di autenticità cristiana, giacché la sua vita e il suo messaggio poggiano così visibilmente sulla scelta di Cristo da respingere a priori qualunque tentazione di indifferentismo religioso, che nulla avrebbe a che vedere con l’autentico dialogo interreligioso».

11/07/2007 su Liberazione pag.2 - http://www.liberazione.it/



Mercoledì, 11 luglio 2007