Myanmar: appello ecumenico per la riconciliazione

di Agenzia NEV del 3-10-2007

Presidente FCEI: "sdegno per le cariche brutali della polizia contro i dimostranti pacifici"


Roma (NEV), 3 ottobre 2007 - "Tutti noi, vescovi, preti, religiosi, leader cristiani, siamo preoccupati per la situazione della nazione". E’ quanto hanno scritto in un messaggio al generale Than Shwe, leader militare del Myanmar, l’arcivescovo Samuel Mahn san Si Htay e il mons. Charles Maung Bo, rispettivamente i presidenti del Consiglio delle chiese (organismo protestante) e della Conferenza episcopale del paese. Basandosi sull’insegnamento della religione, che parla di "amore, verità, giustizia, perdono e riconciliazione", insieme hanno esortato il generale ad "agire con moderazione e amore paterno, giungendo a una soluzione pacifica, per ottenere stabilità, pace e non violenza, che sono i desideri della popolazione", ricordandogli che “ogni anno, dal 28 settembre al 4 ottobre, tutti i cristiani del Myanmar, uniti, celebrano una settimana di preghiera per la riconciliazione nel paese”.
Appelli per la pace in Myanmar e a favore della protesta pacifica dei monaci buddisti sono giunti da tutto il mondo da leader cristiani di varie denominazioni. Dall’Italia, oltre alla vicinanza al popolo birmano espressa da Benedetto XVI, arriva anche da parte della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI) la solidarietà ai monaci buddisti del Myanmar. Il 28 settembre scorso Domenico Maselli, presidente FCEI, ha espresso il suo "sdegno per le cariche brutali della polizia e gli arresti indiscriminati di dimostranti pacifici contro la dittatura esistente nel Myanmar". Inoltre ha auspicato che "tutte le nazioni democratiche si facciano interpreti della volontà di pace e di libertà del popolo del Myanmar". Sulla stessa linea il pastore Salvatore Rapisarda, vice presidente dell’Unione cristiana evangelica battista d’Italia (UCEBI), il quale ricorda che la maggior parte dei cristiani presenti nel paese sono evangelici e battisti: "i nostri fratelli e le nostre sorelle in fede si collocano all’opposizione e per questi motivi sono costretti nelle zone impervie periferiche del paese o in condizioni di rifugiati, come avviene per i Karen in Tailandia".



Giovedě, 04 ottobre 2007